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Autore: Milly_Sunshine    11/10/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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«Spero che non ti dispiaccia ricapitolare» osservò Anthony, in corridoio, mentre si avviavano verso il loro ufficio, «Perché ormai ho perso il filo.»
Samuel annuì.
«Sì, capisco. In effetti raccontarti tutto in cinque minuti...» Si interruppe, prima di riprendere la propria narrazione. «Come ti stavo dicendo, avevo appena scoperto che John Brooks era stato sposato con la figlia di Marissa Flint, la famosa donna che non si faceva vedere da dodici anni e di cui non sono riuscito a scoprire niente, se non che aveva i capelli castani chiari.»
Anthony raggelò.
«Dodici anni, hai detto?»
Samuel spalancò gli occhi.
«Sì, perché me lo chiedi?»
Anthony si sforzò di sorridere con aria indifferente.
«Lascia stare, è semplice curiosità. Continua.»
«Dunque, avevo appena scoperto che quel tizio era stato sposato con la figlia della Flint e sono andato fuori per riflettere un po’ per i fatti miei. Per quanto sia stato bene con Theresa, continuo a non sentirmi bene tanto quanto vorrebbe lei...»
«Vieni al dunque» lo pregò Anthony, fermandosi a pochi metri di distanza dal loro ufficio. «Mi interessa di quel tale, in questo momento, e non certo di quello che provi per la nostra fedele collaboratrice!»
«Sì, hai ragione, scusami.» Samuel si appoggiò alla parete. «All’improvviso, mentre cercavo di schiarirmi le idee è arrivato John Brooks.»
«Fino a questo punto mi è tutto chiaro» confermò Anthony. «Hai detto anche che sembrava abbastanza infastidito dal fatto che tu gli avessi mentito sulla tua identità.»
«Più che infastidito, era convinto che avessi qualche scopo poco legittimo» ammise Samuel, «Come se noi giornalisti volessimo nascondere i fatti invece che farli venire alla luce.» Sospirò. «È proprio vero, quando cerchi di combinare qualcosa di buono, deve per forza esserci qualcuno che dubita di te!» Scosse la testa. «Comunque non mi è servito tanto per convincerlo che, se mi ero presentato con un nome falso, era soltanto perché pensavo che agire in incognito fosse più sicuro. Anzi, non mi aspettavo nemmeno che qualcuno potesse riconoscermi dalla voce. Perché si calmasse mi sono anche complimentato con lui per essere un assiduo ascoltatore del nostro programma... Non che ne fossi davvero convinto: ho l’impressione che, in realtà, sia sua suocera quella che ci ascolta ogni pomeriggio.»
«Avresti potuto fargli notare che anche lui ti aveva mentito» ribatté Anthony, «E farti dare qualche informazione in più su K. Flint.»
Samuel aggrottò le sopracciglia.
«K. Flint?»
«Beh, la figlia di Marissa Flint deve essere lei, no?»
«Forse.»
«Mi sembrava che anche tu ne fossi convinto» puntualizzò Anthony, «E poi ti ricordo che è stata lei a firmarsi così, quando...»
Samuel lo interruppe: «So perfettamente come si è firmata. Non ti sto accusando di essertelo inventato. Hai ragione: anch’io sono convinto che la donna che è venuta a trovarti al lavoro fosse proprio la figlia di Marissa Flint, ma non possiamo averne le prove, per il momento. Potrebbe essersi firmata con un nome falso.»
«A che scopo?»
«Non ne ho idea.»
«E soprattutto, perché è venuta da noi?»
Samuel abbassò lo sguardo.
«Non mi vengono in mente altre spiegazioni, se non quella che volesse allontanarti da Scarlet Bay. Se fosse implicata nell’omicidio...»
Anthony non lo lasciò finire.
«Mi spieghi che motivo avrebbe avuto per volere impedire a Kay di far luce sulla morte di sua madre?»
«Te lo spiego in un altro momento.» Samuel alzò gli occhi. «Non ho ancora finito, a proposito di John Brooks. Quel tizio è - o dice di essere - il cugino di Kay.»
Anthony pensò di avere capito male.
«Il... cugino di Kay?»
Samuel confermò: «Sì, me l’ha detto lui. Non vedeva Kay da molti anni - da oltre un decennio, ha detto - e...» Esitò. «Se Kay viveva ancora là quando lui era sposato con K. Flint, però...»
Anthony scosse la testa.
C’era qualcosa che non tornava.
«No, Samuel, non...»
«Lasciami finire!» lo pregò il collega. «Ammettiamo che la figlia della Flint sia la stessa donna che abbiamo visto in discoteca e che fosse sposata con il cugino di Kay, quando lui e Kay si vedevano ancora. Forse Kay la conosceva. In tal caso, avrebbe potuto riconoscerla facilmente.»
Almeno una certezza, Anthony ce l’aveva.
«No... o almeno, non tanto facilmente quanto potrebbe apparire: erano passati dodici anni, per quanto ne sappiamo, c’era poca luce e, per quanto ne sappiamo, Kay potrebbe non averla mai vista da vicino. Ti ricordo che mia moglie non aveva una vista particolarmente acuta. Per quanto potesse vederla e trovarla familiare, difficilmente avrebbe potuto notarne con chiarezza i lineamenti, a qualche metro di distanza. Quindi è plausibile - per quanto questa teoria mi convinca poco - che non sia stata in grado di riconoscerla.»
«Questa teoria ti convince poco, dici» osservò Samuel. «Perché?»
Anthony si sentì sollevato, quando la porta dell’ufficio si aprì e ne uscì Theresa. Se non altro, poteva astenersi dal rispondere.
Per fortuna Samuel concesse: «Ne parliamo dopo.»
Dietro Theresa, uscì anche Rebecca.
«Sì» confermò Anthony. «Ne possiamo parlare durante la pausa pranzo.»
Diverse ore li separavano da quel momento. Non sarebbe stato difficile trovare un modo per sviare quella domanda.

Rebecca fece un sospiro di sollievo.
«Finalmente!» Guardò Anthony con occhi imploranti. «È successa una cosa davvero strana.»
«Già» confermò Theresa. «Sono appena arrivata, ma ho avuto modo di rendermi conto di...» Esitò. «Di...»
Rebecca si rese conto che era meglio interromperla e spiegare tutto in prima persona.
«Sono arrivata qualcosa come venti minuti fa. Sono entrata in ufficio e ho trovato il computer di Kay fracassato.»
Vide Samuel spalancare gli occhi.
«Che cosa?!»
«Era in pessime condizioni, come se qualcuno l’avesse preso a martellate o qualcosa del genere. Naturalmente ho segnalato la cosa, ma...» Rebecca abbassò lo sguardo. «Questa storia non mi piace per niente.»
«Nemmeno a me» osservò Samuel, «E non posso fare a meno di chiedermi se non c’entri qualcosa con lo sfondo verde.»
«Lo... sfondo verde?» ripeté Rebecca.
«Sì, parlo della schermata di Wordpower» le spiegò lui. «Forse Anthony non te ne ha mai parlato, ma...» Si interruppe, guardando il marito di Kay. «Non lo sa, vero?»
Anthony sospirò.
«Credo di no. Temo che non sapesse nemmeno che Kay in genere teneva lo sfondo rosso, in Wordpower. Diceva che, con quello blu di default, le scritte erano troppo sfuocate.»
«Casomai era troppo scuro» replicò Samuel, «Ma non mi sembra affatto che sullo sfondo blu le scritte siano sfuocate. Non...»
Rebecca interruppe quella discussione sul nascere.
«Sì, sì, sapevo dello sfondo rosso. Mi è capitato di vederlo, un paio di volte, compreso il giorno in cui...» Era meglio evitare di parlare davanti a tutti del loro incontro, il sabato precedente alla morte della collega. Guardò Anthony, cercando di fargli capire che c’era dell’altro, di cui avrebbe preferito riferirgli in privato. «Stavate dicendo dello sfondo verde, comunque. Che cosa intendevate dire?»
Samuel le spiegò: «Kay - o qualcuno al posto suo - ha cambiato lo sfondo di Wordpower nelle ore immediatamente precedenti alla morte.»
«E allora?» intervenne Theresa. «Non penserai davvero che sia importante.»
Anthony si intromise: «Perché non dovrebbe esserlo?»
«Ci sono mille ragioni per cui Kay potrebbe averlo fatto, e nessuna di queste ragioni potrebbe essere importante.»
«Oppure potrebbe essere un indizio» obiettò Anthony. «Forse il colore verde è, per qualche motivo, collegabile a qualcuno...»
Rebecca scosse la testa.
«Mi sembra una teoria un po’ campata in aria. In fondo la scelta del rosso al posto del blu derivava dal fatto che Kay vedeva male il testo sullo sfondo blu. Potrebbe avere optato per il verde perché lo vedeva meglio e...» Non finì la frase. «Oh, maledizione!» Si accorse di essere rabbrividita. «Invece sì, se l’ha cambiato lei, era per lasciare un indizio.»
Anthony spalancò gli occhi.
Rebecca ipotizzò che fosse la reazione di chi si rendeva conto che lei aveva appena ammesso di non credere più all’ipotesi del suicidio.
In realtà doveva avere in mente qualcos’altro, dato che le domandò: «Cosa te lo fa pensare?»
Non c’era che una risposta.
«Il fenomeno dell’aberrazione cromatica.»
L’espressione di stupore di Anthony non mutò.
«Non capisco.»
Rebecca fece un lieve sorriso.
«Non importa.»
Theresa intervenne: «Non era qualcosa che aveva a che vedere con la fotografia?»
«Sì» confermò Rebecca, «Ma è un fenomeno che spiega anche altre cose.» Si girò a guardare Samuel. «Grazie per avermi illuminata.»
Anche lui parve non capire.
«Su cosa?»
«Su tante cose.» Rebecca sapeva che era meglio non aggiungere altro, specie alla luce di certe valutazioni. «Ci sono parecchie cose che dobbiamo definire per la trasmissione di oggi» si affrettò a chiarire, «Quindi è meglio che ci diamo da fare.»
Theresa la guardò con aria di approvazione.
«Sì, a questo proposito, se non sbaglio, venerdì avevamo lasciato qualcosa in sospeso.»
«Hai ragione» rispose Rebecca, seppure non ricordasse nulla di simile. «Entriamo e cerchiamo di fare il nostro lavoro, almeno per qualche ora.»
Tornò ad avviarsi verso l’ufficio e varcò la soglia. Udì Theresa, Samuel e Anthony parlottare, nel corridoio.
Vide gli occhiali di Theresa, appoggiati su un giornale, sulla scrivania; gli occhiali su cui, rammentò, Raymond si era seduto per errore.
Rebecca li prese in mano per un attimo, poi avvicinò li avvicinò al giornale, guardando attraverso le lenti.
Sentì dei rumori, oltre la porta, e mise tutto al proprio posto, senza sapere se ciò di cui si era accertata potesse esserle utile.

Samuel guardò dalla finestra e vide Theresa salire in macchina.
«Per un po’ non dovrebbe venire a disturbarci.»
«No» convenne Anthony, togliendosi gli occhiali e spingendo la sedia all’indietro, per allontanarsi dalla scrivania. «Possiamo riprendere il nostro discorso.»
Samuel gli indicò la porta, mentre andava a sedersi alla propria postazione.
«Sei sicuro che Rebecca non tornerà?»
«Se la conosco bene, si sarà imboscata da qualche parte con quell’idiota del suo ragazzo. Direi che possiamo occuparci di quell’Albert Wilkerson.»
Samuel aggrottò la fronte.
«Wilkerson?»
«Perché no? È da stamattina che non aspettiamo altro che...»
Samuel lo interruppe: «Stavamo parlando della presunta figlia di Marissa Flint e del fatto che tu non fossi convinto che...»
La porta, che Theresa aveva lasciato socchiusa, si spalancò.
Samuel si girò di scatto.
«Rebecca?!»
Doveva avere l’espressione di chi ha appena visto un fantasma, dal momento che la giornalista gli ricordò: «Lavoro qui anch’io, nel caso tu te ne sia dimenticato.»
Samuel annuì.
«Sì, certo, ma credevo...» Si interruppe. Quel discorso non aveva molto senso. «Io e Anthony ce ne stavamo andando.»
Fece per alzarsi in piedi, ma Rebecca lo trattenne.
«Aspetta, Samuel.» Si rivolse anche ad Anthony. «Aspettate entrambi. Ho l’impressione che abbiamo lasciato parecchie cose in sospeso.»
Anthony azzardò: «Raymond - o come si chiama - potrebbe essere poco soddisfatto, nel sapere che sei qui a parlare di lavoro insieme a noi, piuttosto che a intrattenerlo.»
Rebecca sospirò.
«Raymond, Raymond, Raymond... La mia vita non ruota intorno a Raymond. Inoltre pare che oggi non si sia presentato al lavoro, ma che non abbia avvertito nessuno.»
«Potresti telefonargli» le suggerì Anthony, «E chiedergli che fine ha fatto.»
«Oppure» replicò Rebecca, andando a sedersi sul bordo della sua scrivania, «Posso godermi l’inaspettata tranquillità che la sua assenza mi offre. Comunque, se ti può consolare, non sono qui per parlare di lavoro. Vi ho sentiti, mentre entravo. Stavate parlando di un certo Albert Wilkerson; e non negate.»
«Stavamo parlando di un certo Albert Wilkerson» confermò Samuel. «Dovrebbe essere un perfetto sconosciuto per te.»
«Sì e no» rispose Rebecca. «È vero, non ho mai conosciuto questo fantomatico signor Wilkerson, quindi si può dire che sia uno sconosciuto, ma è altrettanto vero che ho sentito parlare di lui... anche piuttosto approfonditamente.»
«Ah, sì?» domandò Anthony. «In che occasione?»
«L’ultima volta in cui sono rimasta da sola con tua moglie. Sembrava che avesse fatto una sorta di raccolta di articoli di giornale che lo riguardavano. Niente di che: tutta roba che segnala la sua morte in un incidente d’auto. Pare che sia precipitato in un burrone e che la sua macchina abbia preso fuoco. Su chi fosse, si sa poco e niente. Pare che non siano mai state pubblicate sue fotografie.»
«Una... raccolta di articoli?» Samuel si alzò in piedi e si avvicinò a Rebecca. «Hai un’idea, anche solo vaga, di dove siano finiti?»
«Sì, sono a casa mia.»
«Perché li hai tu?»
«Perché Kay me li ha consegnati. Ha anche stampato una cosa, quando ci siamo viste qui dentro.» Indicò il computer fracassato. «Sembra che lì qualcuno abbia rimosso l’hard-disc. Magari c’era memorizzato proprio quel file.»
Samuel rabbrividì.
«Era un file su che cosa?»
«Parlava di un video» gli riferì Rebecca, «Registrato da qualcuno. Una guida turistica o qualcosa del genere...»
Samuel sussultò.
Anthony si accorse di qualcosa, dal momento che gli domandò immediatamente: «Ehi, va tutto bene?»
Nel frattempo Rebecca stava considerando: «Io e Kay ci siamo viste al sabato mattina. Può darsi che quel file si sia arricchito, oppure che sia diventato più chiaro, e che...» Guardò Samuel. «Cosa succede?»
«Forse» rispose lui, «È meglio cominciare dall’inizio.» Con poche parole le riferì brevemente di avere trascorso il weekend alla locanda di Harriet Harrison, nella quale Marissa Flint aveva lavorato per moltissimi anni. Infine aggiunse: «Il genero della signora Harrison, tale John Brooks, era una guida turistica o qualcosa del genere, un tempo.»
A Rebecca, che aveva ascoltato con attenzione, senza interromperlo, quel nome non sfuggì.
«John Brooks, vero?»
Samuel annuì.
«È, o sostiene di essere, il cugino di Kay, anche se non si vedevano da molti anni. Tra l’altro c’è anche un’altra coincidenza curiosa: sua moglie Suzanne Harrison altri non è che la sorella maggiore di Michelle.»
Rebecca strabuzzò gli occhi.
«Michelle della reception?»
«Proprio così» confermò Samuel. Indietreggiò e, giunto alla propria scrivania, vi si sedette sul bordo. «Vuoi sapere anche di chi sono figlie?»
«Di quella signora Harrison, suppongo.»
«Sì, ma questo era scontato» ribatté Samuel. «Pare che quella donna avesse una relazione clandestina proprio con quell’Albert Wilkerson e che le ragazze siano entrambe figlie sue. E non è tutto: pare che, poco prima di morire, quel misterioso signor Wilkerson abbia fatto visita a Harriet e a Marissa.»
«Tutto ciò è molto curioso» ammise Rebecca. «Toglimi una curiosità. Hai detto che sei stato alla locanda insieme a Theresa. Anche lei, per caso, sa tutto questo?»
«No. Ho preferito non dirle nulla.»
Rebecca lo guardò con aria di approvazione.
«Hai fatto bene. Meno persone ne sono al corrente, e meglio è. Se solo potessi tornare indietro, anch’io mi comporterei in modo più sensato.»
«Cosa vuoi dire?» intervenne Anthony.
«Avrei potuto andare io alla locanda e cercare di raccogliere informazioni dalla gente del posto» rispose Rebecca, «Invece non l’ho fatto. Mentre cercavo di capire che diamine di legame potesse esserci tra quell’Albert Wilkerson e quella dannata Marissa Flint, ho sprecato il mio tempo a parlarne con quella testa vuota di Raymond.»
Anthony accennò un sorriso.
«Pensavo che avessi un’opinione più elevata del tuo ragazzo.»
«Anch’io lo pensavo, fino a qualche tempo fa» tagliò corto Rebecca, prima di tornare sul loro principale argomento di discussione. «Per quanto riguarda Kay, era certa che tra la Flint e Wilkerson ci fosse un legame. Era anche preoccupata. Forse temeva che addirittura che io potessi scoprire di che cosa si trattava.» Fece un lungo sospiro. «Più il tempo passa e più inizio a credere che non ci siano dubbi: se è stata uccisa, è perché era al corrente del legame tra Marissa e Wilkerson.»
«Invece un dubbio c’è, e anche bello grosso» puntualizzò Samuel. «Come è venuta a saperlo? Chi gliel’ha detto?»
Anthony azzardò: «Lo sapeva già.»
Samuel lo fissò.
«In un modo o nell’altro, deve averlo appreso...»
Anthony scosse la testa, prima di alzarsi in piedi.
«Lo sapeva già, ti ho detto. Evidentemente, se vogliamo credere alla versione secondo cui suo cugino era sposato con la figlia di Marissa Flint, esistono buone probabilità che lei e Marissa si conoscessero.»
Samuel osservò: «Quella storia non ti convince.»
«No, non mi convince affatto» replicò Anthony, «Ma questo è un dettaglio secondario. Credo che dovremmo concentrarci su Phil.»
Senza voltarsi verso di lui, Rebecca ripeté: «Phil?»
«Phil, altrimenti detto P.C.» le spiegò Samuel, «E l’ipotesi di riuscire a risalire alla sua identità è abbastanza improbabile. Pare che fosse stato il fidanzato di Marissa quando avevano vent’anni o venticinque e che anche lui, proprio in concomitanza con l’ultima visita di Albert, si fosse recato alla locanda. Non si sa a fare che cosa, ma pare che si sia fermato molto poco. Harriet Harrison conserva ancora una sua lettera... o meglio, la conservava, dato che è venuta a casa con me. È da lì che ho scoperto le iniziali di quel tizio.»
«P.C.» borbottò Rebecca. «Non sai altro, vero?»
«Purtroppo no, se non che la lettera era stata battuta a macchina e che, chiunque fosse l’autore, dava l’idea di non cavarsela molto bene con l’impaginazione, al punto tale da spingermi a chiedermi perché avesse fatto quella scelta, invece di scrivere a mano.»
«Oltre a chiedertelo, ti sei anche dato una risposta?»
«Sì, ma è troppo fantasiosa.»
Anthony si intromise: «Non mi hai detto nulla in proposito. Anzi, non hai nemmeno accennato al fatto che fosse scritta a macchina.»
«È vero, non l’ho accennato» confermò Samuel, «Perché la mia è una teoria alquanto assurda. Abbiamo Phil che va alla locanda dopo tanti anni e Albert che arriva di lì a poco. Abbiamo Albert che muore in un incidente stradale; la sua macchina bruciata e il suo corpo carbonizzato vengono ripescati in un burrone. Abbiamo Phil, che pare sparire nel nulla. Infine abbiamo una lettera, in cui Phil sostiene di essersi occupato del funerale di Albert, che a quanto pare non aveva parenti viventi, e di essere intenzionato a trasferirsi, non si sa bene dove. Sostiene di essere unico l’erede di un grosso patrimonio e di essere al corrente del numero di conto su cui Albert versava del denaro per Harriet e le sue figlie. Dice che non avrà problemi ad aiutarla, ma non vuole più vederla, né vuole che qualcuno possa rintracciarlo. Lo so, non mi crederete, ma ho iniziato a chiedermi se...»
«Se Phil si è affrettato a darsi alla macchia perché in realtà è stato lui a uccidere Albert» azzardò Rebecca. «Potrebbe avergli manomesso la macchina e...»
Samuel scosse la testa.
«Quello che dici potrebbe avere un senso, ma perché avrebbe dovuto affrettarsi a sparire dalla circolazione, se la morte di Wilkerson era stata archiviata come incidente?»
Rebecca parve riflettere per qualche istante.
«Non saprei.»
«È questo il motivo per cui ho molte perplessità. Non abbiamo prove che Phil abbia scritto la lettera e, il fatto che l’abbia battuta a macchina, lascia intendere che l’autore potrebbe averlo fatto perché incapace di imitare la grafia di qualcun altro. La mia teoria è che Albert abbia ucciso il suo amico, dopo il loro incontro alla locanda, e che da allora si spacci per lui. Questo giustificherebbe il voler cambiare vita, il rifiutarsi di avere contatti con le persone che lo conoscevano e tutto il resto. Può darsi che Marissa sapesse qualcosa e che Albert si sia visto costretto a metterla a tacere.»
«Sì, ma perché mai Albert avrebbe ucciso Phil?» obiettò Rebecca. «Questo passaggio non mi è molto chiaro.»
«Non ne ho idea» fu costretto ad ammettere Samuel, «Ma l’idea che Albert abbia voluto prendersi la sua identità per poi appropriarsi della sua eredità non mi sembra così campata in aria.»
«Non mi sembra nemmeno una cosa normale» azzardò Anthony.
Samuel sbuffò.
«Non penso che uccidere qualcuno sia un comportamento normale, in tutti i casi, quindi non vedo di che cosa dovremmo stupirci. Quello di cui dovremmo sorprenderci è, casomai, che Kay fosse al corrente di tutto questo.»
O forse no, non c’era davvero da meravigliarsi.
Kay abitava da quelle parti, dopotutto. Magari aveva conosciuto Albert e Phil, oltre che Marissa, e aveva avuto dei sospetti fin dall’epoca, sfociati poi in una successiva conferma.
Samuel si prese la testa tra le mani.
Perché non si era mai chiesto fino in fondo che cosa si nascondesse nel passato di Kay, un passato che, fin dal giorno in cui l’aveva conosciuta, si era sempre rivelato maledettamente oscuro e pieno di buchi?

   
 
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