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Autore: drisinil    12/10/2023    1 recensioni
Questa è una raccolta di pezzi brevi e brevissimi per il writober, come palestra di scrittura. L'ambientazione è originale, come i personaggi.
Sullo sfondo c'è una relazione MM platonica fra adolescenti.
--> Tutte le storie di questa raccolta partecipano al Writober 2023 di Fanwriter.it
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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9 ottobre - ETEREO (è lo spazio fra noi che si annulla)


Etereo è una parola che non gli piace.

Fra gli effetti indesiderati della prossimità eccessiva con un secchione figlio di papà c’è la quantità di parole che lui usa e tu non hai mai sentito. Fra sapere di essere idiota e averne continua riprova, c’è una distanza che si può misusare solo in fastidio e imprecazioni.

Eterea, dice lui, è la danza, perché è immateriale e astratta come la perfezione, un punto verso cui tendere. Ora, questa è palesemente (parola nuova) una cazzata.

E non è che sia tanto facile spiegare perché una cazzata è una cazzata. Lo è e basta.

Comunque, ci ha provato.

Ecco un altro effetto molto indesiderato: quel tizio educato e condiscendente (altra parola nuova, che sta usando parecchio) ti fa venire voglia di esprimerti. Di comunicare con lui, di fare in modo che ti ascolti, che capisca quello che hai nella testa.

Non gli era mai successo, prima, che il bisogno di condividere qualcosa superasse lo sforzo, e il rischio, di farlo. Non vuole sapere perché.

E quindi ha provato a spiegarglielo, perché la danza non è eterea. 

Possono esserlo i fisici dei danzatori, e nemmeno quello è vero in modo profondo, perché una cosa potente come la danza non può nascere da un corpo inconsistente.

Gli ha spiegato che, all’opposto, non c’è niente di più concreto del movimento, di ossa e muscoli che forzano i propri limiti, che sfidano le catene del mondo: la gravità che ci inchioda al terreno, l’inerzia (parola nuova) che ci comprime nei nostri angusti (parola nuova) confini, la paura che sbriciola l’ostinazione e violenta la libertà (e ti toglie la dignità, facendoti cagare addosso mentre muori, ma queste sono parole vecchie e  non le ha dette).

La danza non è più eterea di quanto lo sia una legge della fisica o una lingua, che sembrano astratte ma poi fanno volare i razzi sui pianeti e trasformano le idee in azioni, il potenziale in atto.
La danza è resistenza, ribellione, espressione, grido. Nessuna di queste cose è immateriale, o effimera (parola nuovissima, che gli piace).

Non lo sa se lui ha capito.

Ha accolto quel discorso sconnesso (perché le frasi gli escono di bocca sempre molto meno chiare di quando le ha in testa) con un lungo silenzio.

Un buon silenzio, però. Fresco, leggero, senza giudizi lapidari, senza facili indulgenze, niente provocazioni o bugie, nemmeno quell’odioso, impercettibile ritrarsi, come il passo indietro che si fa per prepararsi a una fuga. Un silenzio raccolto, come una tenda sul tetto dove sono distesi, che intrappola un lembo di cielo e lascia filtrare solo rumori lontani e respiri.

Lo ha sentito muoversi, si è voltato sul fianco con un fruscio, consegnando al vento un’eco del suo profumo: di pulito, di sano, di sorrisi facili, di erba nuova che germoglia.
Può chiudere gli occhi e aspirarlo a fondo, al riparo del buio. Se esiste un paradiso, deve avere un odore simile.

«Hai ragione, sai? La danza non è eterea» ha sussurrato. Un sussurro con il potere di penetrazione di un proiettile e più o meno lo stesso effetto distruttivo.

Voleva rispondere con sarcasmo, ma non ci è riuscito.
Invece ha alzato il braccio, puntando l’indice verso una bolla di luce tremula.

«Altair» ha mormorato lui a voce bassissima, rispondendo a una domanda non formulata. È una cosa recente, questa, di intendersi con sempre meno parole. 

Così come è recente questo gioco, di navigare con le dita fra le stelle. Le ha sempre guardate con sospetto, così immobili e fredde, a mostrare direzioni che tanto non portavano da nessuna parte. Ora è diverso.

«Deneb» ha proseguito, seguendo il suo dito che disegna percorsi celesti.

«Arturo. Vega. Giove.» 

«Giove?»

«Il pianeta.»  

«Come sai che è un pianeta?»  

«La sua luce non trema. Perché non è la sua. Un pianeta è solo uno specchio. La luce delle stelle invece danza, come una fiammella. Vedi? È perché viene da dentro.»  

Le parole creano. A volte distruggono. È raro che facciano entrambe le cose insieme, ma è quello che succede questa volta.

Non sa nemmeno se vuole sorridere, si sente stanco e molle, si consegna indifeso al silenzio e si lascia scivolare verso il basso o forse verso l'alto.



«Sei sveglio?»

«Mn.»  

«Dimmi una cosa eterea.» 

Non è un ordine. Non è una domanda. Una richiesta, forse, l'ombra del riflesso di una provocazione, con i bordi ammorbiditi dai sussurri.

È vicino. Sente il respiro caldo soffiato sul collo a intermittenza.

In realtà, ha una risposta. Ce l’ha da subito, non deve nemmeno pensarci. Ma non potrebbe mai ridurla a una sequenza di parole.

Si prende il tempo di sentire la coperta ruvida sotto i polpastrelli, l’impronta del calore del sole che sale dalle mattonelle del lastrico, il frinire testardo dei grilli. Solo allora si volta e lo scruta nel buio. 

Tutto quello che riesce a vedere è una sagoma distesa supina, impastata dalla notte, il pomo d'adamo che si muove su e giù lungo la gola esposta.

Vorrebbe restare a guardarlo, così, per un tempo indefinito, ma deve ancora rispondere. Quindi il braccio di prima lo lascia scivolare fra loro, pochi centimetri, fino a sfiorargli le dita con le proprie. Molto più di un gesto casuale, non abbastanza per un'intenzione consapevole.

Etereo.

Il millimetro che manca è il frutto di una necessità irresistibile, come ricadere dopo un salto, come risolvere la sensibile sulla tonica alla fine di una frase musicale.

Le loro dita si toccano e quello è un contatto (parola vecchia, ma forse anche nuova). Il tipo di contatto che ti accende è ti fa tremare, per la luce che hai dentro.

Il silenzio è musica, le stelle stanno danzando.

 

   
 
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