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Autore: Fiore di Giada    07/03/2024    2 recensioni
Ad un tratto, da una strada laterale , apparve un motociclista, in sella ad una Ducati rossa.
Genzo sbarrò gli occhi, sorpreso. Impallidì.
Poi, strinse le mani sul volante e premette il piede sul freno. No, doveva impedire una tragedia!
L’auto, tuttavia, non si fermò e investì la Ducati.
La moto cadde e il corpo del motociclista venne sbalzato a diversi metri di distanza.
L’energia dell’impatto piegò il metallo del paraurti e il parabrezza, con un forte scricchiolio, si infranse.
Il braccio destro del giovane si piegò in un angolo innaturale e l’osso squarciò la pelle.
Poco dopo, l’atleta nipponico si accasciò sul volante, quasi privo di conoscenza. Era dunque finita?
Sarebbero morti insieme?
La BMW, con un lungo, fastidioso stridio, si fermò, lasciando lunghi solchi sull'asfalto, simili a nere ferite.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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A passo rapido, Karl entrò nel cimitero di Monaco di Baviera, stringendo tra le mani un mazzo di orchidee bianche.
Diverse persone, di ogni etnia, sesso ed età percorrevano il sepolcreto e, di tanto in tanto, si fermavano davanti alle tombe.
Il giovane, di tanto in tanto, si fermava e lanciava sguardi inquieti, ora a destra, ora a sinistra. Con la partenza di Genzo, gli idioti avevano attenuato le loro intemperanze..
Tuttavia, l'ansia non era scomparsa.
Si passò una mano sulla fronte e un debole sospiro fuggì dalle sue labbra. Genzo, in Romania, si stava riprendendo.
Ma tale notizia, pur moderatamente positiva, non alleviava la sua amarezza.
E i suoi compagni condividevano questo sentimento.
Non è giusto. Lui non dovrebbe stare recluso., pensò. Andrei era stato generoso e gli aveva permesso di mantenere un contatto con Genzo.
Ma il suo posto non era in quel villaggio rumeno.
Si avvicinò ad una croce marmorea, ricoperta di fiori policromi, dai quali si spandevano profumi ora delicati, ora forti.
Su di essa, in caratteri dorati, risaltava la seguente scritta:

Andrea Schumann
7/12/1982 – 20/6/2007
Il Fato ci ha divisi
ma nulla può la morte contro la forza dirompente dell'amore.
Anche noi, presto, supereremo quella barriera
e un giorno ci rivedremo.

Karl si inginocchiò e, con garbo, posò il mazzo di orchidee a poca distanza dalla lapide.
– Mi dispiace per quello che ti è accaduto, anche se non ci siamo mai conosciuti. Nessuno merita quello che hai passato tu. – mormorò.
Fissò lo sguardo sull'epitaffio e un amaro sorriso sollevò le sue labbra. Quelle parole vibravano d'amore.
Capiva la dilaniante pena dei familiari di Andreas Schumann.
Allungò il braccio verso la pietra tombale, poi lo abbassò. No, non poteva sfiorare quella pietra.
Quel gesto, così affettuoso, apparteneva alla sua famiglia, che piangeva la sua tragica morte.
– Genzo, però, non ha nessuna colpa. Ha cercato di soccorrerti, anche se era ferito. – continuò.
Strinse il pugno e, a stento, frenò un'imprecazione. Che senso aveva un simile monologo?
Quel giovane sfortunato non poteva rispondergli.
Per alcuni istanti, rimase immobile, poi girò le spalle e si allontanò.
Ad un tratto, si fermò, si girò e lanciò brevi sguardi ora a destra, ora a sinistra. Non sapeva perché, ma sentiva qualcuno dietro di sé.
Si passò una mano tra i capelli biondi e un debole sospiro sgorgò dalle sue labbra. Forse, il trauma aveva acuito la sua sensibilità.
Ma non poteva cedere alla paura.

Diverso tempo dopo, l’auto si fermò davanti al campo di allenamento della nazionale tedesca.
Prese il suo borsone, scese e vi si avviò.
I giocatori, sotto lo sguardo vigile di Mike Gildo, si allenavano e correvano attorno al campo.
‒ Che cosa è successo? ‒ domandò il tecnico.
‒ Chiedo scusa per il ritardo. Ma dovevo fare una cosa che avevo rimandato da troppo tempo. ‒ spiegò il centravanti, serio.
L’allenatore corrugò le sopracciglia, poi annuì.
‒ Va bene. Vai a cambiarti. ‒

Diverso tempo dopo, un vigilante entrò nel campo e si avvicinò all’allenatore.
Questi, con un cenno della testa, annuì, poi prese il suo fischietto e soffiò.
Un lungo trillo risuonò nell’aria e i giocatori cessarono di allenarsi e si avvicinarono.
‒ Che succede? ‒ domandò Karl, stupito.
Per alcuni istanti, il vigilante tacque.
‒ Vi ricordate la sorella di quel ragazzo investito da Wakabayashi? Ecco… E’ qui. E vorrebbe parlarvi. ‒ spiegò.
Con un gesto stizzito, Hermann si schiaffeggiò la fronte con la mano.
‒ Che cazzo vuole? Non le basta che cosa è successo a Genzo? ‒ ringhiò, irritato.
Diversi giocatori, quasi accordandosi con le parole del mediano, cominciarono a parlare tra loro.
Con un gesto della mano, il tecnico invitò i giovani a tacere.
‒ Per me, lei non dovrebbe essere qui, ma Schneider e Kaltz sono i più coinvolti nella vicenda. Però, vi consiglio di non agire impulsivamente. ‒ affermò.
‒ A mio parere, non deve entrare in campo. Ma tu cosa ne pensi, Karl? ‒ domandò il mediano.
Per alcuni istanti, il giovane attaccante tacque e rifletté.
‒ Lasciamola entrare. Diamole il beneficio del dubbio. ‒

Poco dopo, Hilda entrò nel campo di allenamento.
‒ Benvenuta, signorina Schumann. Cosa possiamo fare per lei? ‒ chiese Karl, serio.
A quella domanda, la ragazza si strinse le mani e sbarrò gli occhi.
‒ Vorrei parlare con Wakabayashi. Sa dove posso trovarlo? ‒ domandò, il tono fermo.
D’istinto, Hermann avanzò d’un passo, ma Karl, con un gesto pacato del braccio, lo bloccò.
‒ Signorina, non è qui. E non sappiamo dove sia. ‒ affermò lui, deciso.
Lo sguardo di Hilda si adombrò e una ruga attraversò la sua fronte.
– Poi, non pensate che abbia sofferto abbastanza? – la interrogò, il tono vibrante d'una nota tagliente. Comprendeva la pena dei familiari di quel ragazzo sfortunato, ma non era riuscito a contenere la rabbia.
A quella domanda, Hilda sbarrò gli occhi e alzò le mani.
– Mi avete frainteso. Io non voglio accusarlo di nulla, anzi. Voglio chiedergli scusa, a nome dei miei genitori e del mio povero fratello. – spiegò lei.
Gli sguardi dei giocatori, perplessi, si fissarono sulla giovane.
– Perché questa scelta? – chiese Reiner, la fronte aggrottata.
Per alcuni istanti, Hilda tacque, come intimorita dall'imponente portiere.
– Per mio fratello, rinunciare a qualcosa di amato per proteggere qualcuno era un segno di generosità. Un campione annoiato non avrebbe mai fatto quello che ha fatto Wakabayashi. Mi dispiace di non averlo capito prima. – spiegò.
E’ sincera., si disse Karl. Aveva vinto il suo nervosismo, pur di perseguire il suo obiettivo e non aveva distolto lo sguardo né da lui, né da Bauer.
‒ Beh, meglio tardi che mai. ‒ commentò Hermann, il tono ironico.
Lo sguardo della giovane, ad un tratto, si indurì e strinse il pugno.
– Poi, pochi sono interessati alla tragedia di mio fratello. Vogliono avere un motivo per sfogare la loro stupidità. E la nostra famiglia non merita questo. – spiegò ancora.
‒ Signorina, le sue intenzioni sono lodevoli, ma Genzo, ora, non riuscirebbe a parlarle. E ne comprenderà il motivo. ‒ affermò Karl. Era felice del cambiamento di idee della sorella di Andreas Schumann, ma come avrebbe potuto influire sulla condizione del suo compagno?
‒ Ma non si può nemmeno aspettare che lui cambi idea spontaneamente. ‒ intervenne ad un tratto Reiner.
Perplessi, si voltarono verso il portiere.
‒ Che cosa intendi dire? ‒ domandò Hermann.
Il gigante incrociò le braccia sul petto e roteò gli occhi, seccato.
‒ Per me, avete fatto male a non parlare con i suoi compagni di nazionale. Loro devono sapere la verità. ‒ affermò, secco.
Hilda, stupita, sbarrò gli occhi e scrutò la squadra, quasi cercasse conferme alle parole del portiere.
Karl ed Hermann, per alcuni istanti, rifletterono. Forse, le parole di Bauer non erano insensate.
Ma come avrebbero potuto aiutare il loro compagno?

‒ Posso fare qualcosa per rimediare? ‒ domandò Hilda, dispiaciuta.
Un mezzo sorriso sollevò le labbra di Karl. Ricordava bene lo sguardo d’odio che lei, al processo, aveva loro rivolto.
Le sue intenzioni, pur nobili, l’avrebbero portata a compiere atti avventati.
‒ Sì, può fare una cosa. Non agisca d’impulso. Potremmo avere bisogno di lei. ‒ spiegò lui.
Lei, per alcuni istanti, tacque, poi annuì.
Poi, aprì la borsa, prese un blocchetto di appunti e una penna e vi scarabocchiò sopra.
‒ Mi affiderò a voi, dato che conoscete meglio Wakabayashi. Però, chiedo di essere informata su quello che fate. ‒ disse.
D’istinto, Karl annuì e prese il numero di telefono.
‒ Grazie per non avermi mandato via. Ah, Schneider, vi ringrazio per le orchidee. Sono fiori meravigliosi. ‒ affermò.
Il giocatore sbarrò gli occhi e un debole rossore velò le sue guance.
‒ Si figuri. ‒

Qualche tempo dopo, Hilda salutò i giocatori, volse le spalle al campo e si allontanò.
‒ Schneider, lei ti ha ringraziato. Perché? ‒ chiese l’allenatore.
Di nuovo, il centravanti tacque. Il ringraziamento di Hilda confermava la bontà delle sue opinioni, ma non riusciva a non sentirsi a disagio.
‒ Sei andato al cimitero e hai deposto dei fiori sulla tomba di quel ragazzo. Perché non lo dici? Non hai ammazzato cento persone a colpi d’ascia. ‒ intervenne Hermann.
A quell’osservazione, Karl gli scoccò un’occhiata irritata. A volte, odiava l’inopportunità del suo compagno di squadra.
Un mezzo sorriso sollevò le labbra dell’allenatore e posò la mano sulla spalla del centravanti.
‒ Kaltz ha ragione. Non hai nulla da nascondere. Lei ha apprezzato il tuo gesto. ‒
Per alcuni istanti, il giovane meditò sulle parole del tecnico, poi annuì.
‒ Forse, ha ragione. ‒
Poco dopo, ripresero gli allenamenti.

P.S.: bene, qualcosa comincia a muoversi.
La sorella di Andreas spero si sia mostrata intelligente. Vorrebbe chiedere scusa a Genzo, ma non può e si rende disponibile per aiutare i ragazzi a toglierlo dal suo esilio rumeno.
Ho usato l’allenatore della Germania nel manga del 1981 (non ricordo se appare anche nell’anime). Viene detto che è “un ottimo leader” e ho cercato di dargli un po’ di testa. (anche perché, nel manga, gli allenatori lasciano un WTF perenne).

   
 
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