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Autore: ClaudiaSwan    29/07/2010    8 recensioni
Chi si piace ha senza dubbio una vita stupenda
Chi si piace sa affrontare i problemi per quello che sono
senza inveire contro gli dei sospettando un certo accanimento nel loro
infierire.
Chi si piace sa come guardare alla vita.
Per questo la vita delle ragazze bionde con i vestiti rossi
è perfetta.Essere bionde già le esonera dal difficile compito di creare
un cliché attorno alla loro persona.
Partono avvantaggiate.
Samantha Butler è una giornalista. Un'insicura, cinica e
solitaria giornalista che si barrica dietro le sue strampalate teorie,
nate a cura delle delusioni subite. Samantha ha un parere su tutto,
una teoria su tutto e soprattutto su tutti.
In particolare su William Musterson, il suo dirimpettaio, alias "il
poltergeist". Ma tutte le sue trovate saranno costrette a cadere nel
momento esatto in cui Will le dimostrerà quanto il suo modo di
guardare il mondo sia del tutto superficiale ed errato.
Perchè se guardi il mondo con gli occhi della delusione e del pregiudizio, nulla potrà mai andare per il meglio.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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DRAMMATICAMENTE ME
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 Drammaticamente me

 



Ci sono vite che sembrano perfette.
Sono piene di divertimento, di avventura, di colpi di scena… sono vite di persone che hanno sempre una storia da raccontare, che hanno sempre qualche problema che si risolverà per il meglio… magari con un bacio sotto la pioggia dopo una giornata andata storta.
Ci sono vite che sono fatte per essere invidiate.
Come quella di quella ragazza bionda che alza un braccio per fermare un taxi a pochi metri da me.
Il suo elegante trench di burberry le svolazza attorno alle gambe perfette, slanciate ed eleganti, dritte e coperte di pelle d’alabastro su costosi tacchi alti. Anche i capelli sono perfetti, onde color del grano setose e sistemate in un raffinato chignon.
Ha un vestito rosso.
Le bionde con un vestito rosso per me sono sempre state il massimo.
Le ho sempre guardate con ammirazione, come se fossero delle creature soprannaturali che magari nascono da un battito di mani o da una risata… come le fate.
Non camminano. Ondeggiano.
Non ridono. Cantano.
Non sono volgarmente sexy. Sono sensuali.
Sono perfette, aggraziate, educate, con quel velo di cinismo che esalta l’alterigia che sembra un accessorio fatto apposta per andare con i vestiti rossi.
Ci va sfacciataggine per mettere un abito di quel colore. Ci va sicurezza, ci va tanta autostima perché quando indossi un capo carminio sai che sarai notata.
Sai che non potrai confonderti con la moquette del pavimento, perché… solo chi ha altrettanta dose di autostima e sospetto di onnipotenza ha una moquette rossa fuori dalle sale di un cinema.
Sai che avrai gli occhi addosso.
E per indossare anche quegli sguardi come fossero un abito devi piacerti.
Chi si piace ha senza dubbio una vita stupenda.
Chi si piace sa affrontare i problemi per quello che sono senza inveire contro gli dei sospettando un certo accanimento nel loro infierire.
Chi si piace sa come guardare alla vita.
Per questo la vita delle ragazze bionde con i vestiti rossi è perfetta.
Essere bionde già le esonera dal difficile compito di creare un cliché attorno alla loro persona (gli uomini preferisco le bionde, no?). Partono avvantaggiate.
- fammi indovinare. Stai guardando… la biondona con il vestito rosso che sta salendo in taxi-
- No. Non sto guardando la biondona con il vestito rosso. Sto guardando la perfezione che sale su un taxi-
- ancora con questa assurda teoria?-
- non è una teoria assurda -
- si che lo è -
- le mie teorie non sono assurde -
- si che lo sono -
- ehi! Tu sei una mia teoria-
- infatti io sono assurdo. Sono finto!-
- piantala di chiacchierare. È arrivato l’autobus e se salgo rispondendo alle tue frecciate penseranno che sono pazza -
- ma tu sei pazza -
E forse non ha tutti i torti.
Non mi sono ancora presentata. Sono Sam… cioè, Samantha. Samantha Butler. Ma preferisco Sam.
E la deliziosa vocina che mi ha dato della pazza appartiene a… Sam. Sam e basta.
In teoria ora dovrei spiegarvi anche chi è Sam, ma credo che se lo facessi mi dareste della svitata perché… Sam è…
Ecco… Sam… è…
Sam …è… un uomo.
Un uomo… pieno di qualità.
È bellissimo, atletico, simpatico, intelligente… gli piace la musica classica, gli piace andare a teatro, adora il vino rosso e detesta la birra. Ama fare passeggiate a cavallo e viaggi culturali. Ha viaggiato per l’Europa e conosce ben cinque lingue.
Di professione fa… il mantenuto.
E si. Il mantenuto.
In pratica fa la spalla su cui piangere, la fantasia erotica nei momenti di solitudine, la mia coscienza e il mio consulente di moda. Tecnicamente, però, è un mantenuto. Da me.
No, non che sia letteralmente mantenuto, nel senso di…
Però è un mantenuto. Da me. Dalla mia fantasia.
Perché Sam… è finto. Come ha detto lui.
Ecco, Sam è il frutto di un’altra delle mie teorie. Forse la più brillante e la più intelligente che la mia mente abbia mai partorito.
Dopo una serie – molto modesta – di relazioni appena iniziate e subito finite, all’età di ventotto anni ho capito che l’unica relazione stabile, felice e soddisfacente che una donna può avere è solo quella con l’uomo dei suoi sogni.
E Sam è appunto questo: il frutto dei miei sogni.
Infatti è una persona dolce, educata, gentile, sarcastica al punto giusto… quanto basta per risultare simpatico in modo non stereotipato. È sempre chiaro e coerente. Non fa mai niente tanto per fare e soprattutto, cosa che amo tanto in lui, è fedele.
È un sogno. Perché uomini così non esistono.
È una realtà che ormai ho imparato ad accettare e prima lo fanno anche le altre e meglio sarà.
Devono fare una scelta, insomma. Stare assieme a degli ammassi di cellule umanoidi collegate tra loro in un modo che risulterà sempre imperfetto, oppure amare di più sé stesse e stare sole.
A prima vista la seconda possibilità può apparire triste ma…sono certa che prima o poi si ritroverebbero a darmi ragione.
La signorina in rosso, senza alcun dubbio, avrà una serie infinita di amanti – veri – ma avrà anche il buon senso di capire che fuori dal letto gli uomini sono inutili.
Una fonte inesauribile di guai e problemi. Inutili.
Buoni solo a spezzarti il cuore.
E non è che ho basato le mie conclusioni solo sulla mia modesta esperienza. Lo vedo tutti i giorni.
Londra è senza ombra di dubbio una delle città più vive d’Europa. E come tutte le città vive offre una vasta gamma di esempi da studiare, analizzare, capire e afferrare.
Io scrivo.
Passo gran parte del mio tempo seduta alle fermate dell’autobus a osservare la gente. E voi non avete la minima idea delle perle di saggezza che si raccolgono alle fermate degli autobus!
È il posto dove la gente da il meglio di sé, a mio modesto avviso.
Si, perché niente, e dico niente, tira fuori il vero carattere delle persone come il servizio pubblico di trasporti. Niente.
Schiere di persone estranee che diventano improvvisamente parenti, o almeno amici di vecchia data, nel momento in cui si trovano accumunate dal fatto di essere assolutamente indignate per il mal funzionamento delle linee di trasporto pubbliche.
Ragazzi chiusi dietro il rumore dei loro auricolari che si guardano, si osservano da lontano, si amano senza avere il coraggio di parlarsi mai.
Signore anziane che raccontano la loro storia al primo estraneo che le ascolti con interesse mentre le aiuta con le buste della spesa.
Donne esasperate che organizzano come meglio possono la loro giornata tra una chiamata e l’altra.
Uomini in giacca e cravatta che si prendono troppo sul serio per prendere in considerazione l’idea di rivolgere la parola all’emo che gli chiede qualche spicciolo per un caffè.
Storie. Ci  sono tante storie alle fermate degli autobus.
Spesso mi sento molto Kerry di Sex and the city, perché anche io, come lei, curo una rubrica su un giornale.
Solo che io non mi occupo di… sesso, ma di rapporti interpersonali che… contemplano anche la fase prima … quella che, in teoria, dovrebbe precedere il sesso. Anzi, ecco mi occupo soprattutto di quella parte.
Mi occupo di persone. Si… di persone.
Scrivo di persone. Analizzo comportamenti, situazioni… a volte rispondo alle lettere dei miei lettori se presentano qualche spunto interessante per un articolo.
E teoricamente cerco anche di scrivere il best seller che mi spalancherà le porte del successo e dell’immortalità, ma questo è un tasto su cui al momento preferisco stendere un velo pietoso ( e rassegnato).
Il tutto nel mio ufficio personale: il mio monolocale.
Il mio disordinato, caotico e luminoso… monolocale.
Siamo solo io, il mio portatile e le mie teorie assurde. Che però funzionano e mi consentono di fare la spesa tutti i giorni, checché ne dica Sam. E Sam può dire tutto quello che vuole, perché tanto sa di essere un fantasma e di venire “ripescato dalla scatola della pazzia” solo quando ho bisogno di lui.
Si lo so. Sono un’opportunista. Ma a che serve un uomo immaginario se non a esaudire i miei desideri come e quando – soprattutto quando – voglio? Se ne avessi voluto uno che mi stesse sempre tra i piedi me ne sarei trovata uno vero!
Cos’altro dire di me?
Come scrissi su un articolo a proposito degli incontri in rete, la domanda ricorrente che sembra racchiudere il problema esistenziale delle persone è “come sei fisicamente?”
Lo so che non dovrei sorprendermi più di tanto perché ormai si sa che “la bellezza interiore” è… come dire?...
È come rispondere a un’amica che ti chiede se il ragazzo che hai intenzione di presentarle è carino, “ma guarda… è un tipo. Molto simpatico, comunque”
Cioè vale a dire che è brutto, probabilmente grasso e quasi certamente con l’alitosi o qualche strana e incurabile forma di diarrea verbale.
In sintesi, la bellezza interiore è una gran cazzata.
Quindi forza. Conformandomi alla massa e dando alla gente quello che la gente vuole, confesso di essere quello che appunto si dice “un tipo”.
Grassa… diciamo nella norma. Fianchi un po’ morbidi che mi danno sempre problemi. Le felpe larghe e sformate sono le mie migliori alleate nella lotta alle “maniglie dell’amore”, che però io chiamo “maniglioni antipanico” nei momenti di crudele autodisfattismo che di tanto in tanto colgono anche me.
Brutta…
Brutta… diciamo… che ai miei occhi io mi sono sempre vista come almeno “carina”, ma che le cattiverie dei bambini all’asilo, alle elementari e sì… anche alle medie, hanno indotto nella mia persona un certo senso di inadeguatezza. Sicché in confronto alle mie amiche e alla maggior parte del genere femminile, mi sento davvero orrenda e assolutamente incapace di ispirare attrazione in un uomo.
Avere gli occhi chiari a contrasto con i miei capelli castano scuro mi salva relativamente. Il tratto somatico di fondo resta del tutto insoccorribile così come anche i capelli ingestibili.
Per quanto riguarda la diarrea verbale… il mio curriculum parla da sé. Sono una scrittrice, una giornalista. La diarrea verbale fa parte del mio mestiere, praticamente.
Devo anche dirvi del mio carattere? Mi basta una parola: cinica.
E con questo la mia presentazione volge al termine. Mi fermo qui giusto per evitare di aggiungere elementi che starebbero tanto bene in una pagina di annunci personali, che tra parentesi disprezzo.
Vi risparmio la mia teoria sugli annunci personali perché sarebbe una cosa troppo lunga e complessa. La meditazione sui punti fondamentali è stata stancante per me, figuriamoci per voi.
In ogni caso eccomi qui.
E questo che sto per presentarvi, invece – tempo di scendere dall’autobus e prendere le chiavi di casa – è il mio fantastico appartamento.
Un monolocale all’ ultimo piano, senza ascensore. Minuscolo, certo, ma con un tetto che ha una vista fantastica sul Tower Bridge.
Quando scelsi casa, uscita finalmente dal marasma delle feste universitarie che infestavano i corridoi del dormitorio impedendomi di dormire, presi questa qui principalmente per questo tetto.
È qui che vengo a scrivere.
È il mio posto magico.
Il tramonto sul ponte è uno spettacolo che mi toglie il fiato ogni sera di più. E non importa che il cielo sia terso, nuvoloso, tempestoso. È comunque un panorama mozzafiato.
È il mio panorama mozzafiato.
Ho il mio accesso riservato e la corrente elettrica.
Per renderlo un pochino meno impersonale e anonimo ho aggiunto anche dei geranei, ma, sbadata come sono, mi dimentico sempre di innaffiarli, sicchè tutto quello che ne resta è un macabro stelo secco, monumento commemorativo alla mia pigrizia.
Anche se piccolo e a volte scomodo, il mio appartamento mi piace.
Le sue scarse dimensioni lo fanno somigliare molto a una tana, un bugigattolo disordinato, tappezzato di tende colorate che fanno da porte e calzini sparsi qua e là sul pavimento. Ma a me va bene così.
Non lo scambierei per nessun altro appartamento nell’intera Londra, nemmeno per le stanze private della regina Elisabetta a Buckingham Palace.
Ovviamente mi riferisco all’interno del mio appartamento, compreso il tetto. Tutto ciò che sta dietro il mio portoncino blindato blu scuro. A tutto quello che sta dietro quella porta non rinuncerei mai.
Perché se invece dovessi barattare il pianerottolo antistante… un pensierino ce lo farei.
Non che il mio pianerottolo sia chissà quale antro oscuro e terrificante. Il linoleum verde acido del pavimento e le pareti color crema, macchiate qua e là dalle strisciate dei passanti, non sono nulla di così originale nei condomini di Londra.
Ma di certo non tutti i condomini di Londra possono vantare un autentico poltergeist tra le loro mura.
I poltergeist, in tedesco “fantasmi rumorosi”, sono gli spettri più seccanti che esistano poiché il loro diletto è infastidire la gente alle ore più assurde della notte. E farsi ovviamente un baffo del regolamento condominiale che vieta gli schiamazzi, la lordura, l’inciviltà e comportamenti poco consoni al buon costume nelle aree comuni dell’edificio.
Come nella tradizione dei migliori fantasmi, il poltergeist in questione vive in soffitta, ergo è il mio dirimpettaio qui all’ultimo piano.
Ecco lui, lui… è stato il motivo scatenante della nascita di Sam. Osservando lui e il suo habitat naturale ho capito quanto non valga la pena perdere tempo dietro agli uomini.
In questo caso potrei anche dire che William Musterson, così si chiama lo spirito ostile che abita l’appartamento di fronte al mio, abbia la paternità del mio Sam, ma dargli tutto questo merito non avrebbe comunque senso perché sarebbe sprecato almeno quanto dargli credito di essere una brava persona.
Sto appunto infilando le chiavi nella toppa per entrare, che il suddetto interessante soggetto (interessante quanto un caso clinico misterioso, s’intende) fa la sua comparsa trionfale, barcollando e cercando a tentoni l’interruttore della luce.
Non lo degno nemmeno di un’occhiata, sino a che il rumore di quello che mi pare sia una bottiglia rotta mi fa alzare gli occhi al cielo.
- Ops - dice ridacchiando e chinandosi a riprendere la cassa di birra che aveva fatto cadere a terra nel maldestro tentativo di cacciarsi una mano in tasca.
- per fortuna non si è rotto niente- continua mentre sento le sue chiavi sferragliare e la serratura girare per poi aprirsi.
Ignorandolo come mio solito, sto per entrare in casa mia quando il poltergeist manifesta ancora una volta la sua presenza.
- ehi Sam…!-
- Samatha! Mi chiamo Samantha!- ribatto acida, voltandomi giusto per amor di cortesia a sentire cosa mai abbia a che spartire lo spettro con me.
- si, scusa… hai ragione… Samantha - borbotta imbarazzato cercando di afferrare meglio la cassa di birra che ha risollevato da terra.
- che vuoi?-
- io e Dag diamo una festa qua a casa nostra stasera. Ti va di venirci?-
Il mio sopracciglio cinico che svetta verso l’alto è una risposta più che sufficiente. No.
E il mio chiudergli la porta in faccia sta per “mai nella vita”.
Si, si… lo so. Sono l’anticortesia fatta a persona quando mi ci metto, ma non è colpa mia se già solo incrociarlo per le scale mi irrita.
Non che il poltergeist mi abbia mai personalmente offesa in qualche modo. Anche volendo, gli ho dato talmente poche possibilità che non sarebbe comunque riuscito a offendermi più di quanto non abbia mai fatto io.
È quello che rappresenta che mi infastidisce.
Belloccio, aspetto trasandato, con un viavai continuo di ragazze che entrano ed escono dalla porta di casa sua e di quel povero ragazzo che è costretto a spartire l’ossigeno di casa con lui.
La sua professione?
Gestire un sito internet, sul cui contenuto immagino sia meglio sorvolare. Il massimo del fancazzismo.
Lui accorpa in sé tutte le caratteristiche del mio uomo idealmente odiato.
Il classico tipo figo, bello e dannato che fa crollare a terra come pere cotte tutte le donne che incontrano per caso la sua scia.
Lo odio.
O forse non odio lui.
L’idea di lui sicuramente si. Forse perché i pochi ragazzi che ho avuto erano esattamente come lui, o almeno… ambivano ad essere come lui e quindi, nel tentativo di imparare la tecnica, diventavano stronzi e maldestri il doppio dell’originale.
In ogni caso, non lo reggo. E questo mi sembra sia ormai un punto chiaro nella mia vita.
Stare alla larga dai tipi come William Musterson è la promessa che mi sono fatta nel momento in cui ho deciso che l’unico uomo nella mia vita sarebbe stato Sam.
Più precisamente, l’ho giurato a me stessa dopo l’ennesima delusione amorosa della mia vita, intrecciata con tale David che credeva che trattare le donne come una salvietta usa e getta fosse il massimo dell’essere fighi.
David era un potenziale William. Così come lo sono stati Christian, Darren e Connor. Poi c’è stato Mike, che era un William a tutti gli effetti.
Sfogare il mio odio per il paradigma della specie, mi aiuta a incanalare la rabbia e la delusione e, se proprio vogliamo, il mio vicino è anche la conferma della mia teoria, motivo della sopravvivenza di Sam.
Un uomo finto vale cento e una volta un uomo vero.
Chiusa la porta di casa alle mie spalle, come al solito passo i primi cinque minuti ad osservare la desolazione della camera che ho di fronte. Sarebbe davvero ora che mi decidessi a dare una sistemata. O per lo meno… a raccogliere da terra i vestiti sporchi, metterli in un sacco e andare in una lavanderia.
Si, credo che domani lo farò. Andare in lavanderia, intendo.
Per ora tutto quello che ho in mente di fare è togliermi la giacca, andare al telefono, scorrere con l’indice il menu del ristorante cinese dietro l’angolo che ormai ho incollato alla parete, e ordinare la mia cena.
I vantaggi dell’essere single ed abitare da sola sono soprattutto questi due: metti a posto quando ne hai voglia e puoi anche mangiare cinese due sere di fila senza che nessuno abbia niente da dire.
Mentre aspetto che la mia ordinazione arrivi, raccolgo tutta la buona volontà di cui sono in possesso (poca) e raccatto da terra la sfilza di magliette, pantaloni e calzini che sono disseminati per la stanza, facendoli magicamente sparire in un borsone da palestra che lascio cadere vicino alla porta, pronto per il viaggio misterioso che intraprenderà nel fantastico mondo dei detersivi domani mattina.
Giusto per convincermi ancora un po’ di più a trovare la voglia di andare a fare il bucato domani, penso al film “quaranta giorni e quaranta notti”. In una lavanderia è nato un amore, ergo… deve essere senz’altro un magnifico punto d’osservazione e di ispirazione per le mie teorie.
A volerci proprio trovare un lato positivo nel buttare due ore della propria giornata, direi che è l’unico che mi possa convincere ad accettare il sacrificio.
Una ventina di minuti dopo la mia chiamata, ecco che finalmente mi consegnano la mia cena e mentre apro la porta per ricevere la consegna, noto con disgusto che la festa che sta per cominciare a casa dello spiritello rompiscatole è un toga party.
L’essere è lì, in piedi su una sedia vestito di lenzuola ad appendere ghirlande colorate dal lampadario alla porta aperta. Pettorali al vento, corona d’alloro in testa, un vero Marcantonio.
Peccato le ciabatte infradito al posto dei calzari che mi rovinano l’effetto senatore… avrei potuto anche perdonarlo se non avesse avuto ai piedi quelle orrende infradito blu ai piedi.
- Samantha, sicura che non…-
La porta che gli ho nuovamente chiuso in faccia non mi ha permesso di sentire di cosa di preciso dovrei essere sicura, ma posso immaginarlo.
Si, William. Sono sicura di voler stare a casa piuttosto che trovarmi sbronza sul divano di casa tua a osservare gente che si passa una canna e tira da un narghilè. Ma grazie per l’invito, sarà per la prossima volta.
E in più ho di meglio da fare, stasera.
Faccio una doccia veloce e, prendendo al volo il cartone dei miei spaghetti di soia, afferro anche il portatile.
Niente articoli a cui pensare, niente amici con cui uscire, niente mamme da chiamare… spazio per scrivere.
Come ogni volta, apro con venerazione il mio portatile e lo accendo, osservando tra un boccone di spaghetti e l’altro lo schermo che si colora.
La mia mente già inizia a volare, impaziente che tutte le applicazioni si aprano, per poter dar sfogo a tutti i suoi pensieri, che si accumulano veloci come ogni volta. Veloci e tutti insieme.
Trame, personaggi, situazioni, luoghi profumi… tutto nella mia testa.
Apro ansiosa la cartella in cui tengo i miei scritti e recupero il file di quello che dovrebbe essere il mio romanzo.
Ed eccomi di nuovo ferma. Immobile.
Centoventi fogli word. Carattere Times New Roman grandezza 12. Margine tre centimetri.
Come ogni sera, finisco per osservare, leggere e rileggere ancora quello che ho scritto. Ma tutto si blocca qui.
La mia testa è un fiume in piena di idee ma le mie mani… le mie mani sono pesanti sulla tastiera.
È come se le mie dita non riconoscessero più i tasti su cui in genere corrono veloci.
È come se fosse solo la mia mente a voler scrivere quella storia.
Leggo e rileggo, per ritrovare il filo e al massimo riesco ad aggiungere una riga in un’intera ora.
E come tutte le sere, chiudo quel file già titolato e apro una pagina bianca, su cui inizio a battere veloce gli appunti presi mentalmente nella giornata per il mio prossimo articolo.
Forse dovrei iniziare ad accettare il fatto che scrivere storie, se non addirittura romanzi, non è più per me. Che la mia ispirazione sia volata via. Che nonostante nella mia adolescenza io abbia scritto quaderni e quaderni di storie, la mia creatività sia ormai esaurita.
Forse dovrei smetterla di insistere con questa storia del libro e dedicarmi solo ai brevi articoli del settimanale.
Chissà però perché considerare questa strada risulta molto più doloroso dell’accettare che Sam, il mio uomo immaginario, sia l’unica persona che potrà mai rendermi felice.
 



ECCOMI QUI, UN'ALTRA VOLTA.
A CHI MI LEGGE PER LA PRIMA VOLTA: BENVENUTI.
A CHI GIA' MI CONOSCE: BENTORNATI!
LO SO CHE AVEVO IN MENTE ALTRI PROGETTI, ANCHE BELLI SOSTANZIOSI, MA PROPRIO MI MANCA L'ISPIRAZIONE PER SCRIVERE QUELLE STORIE.
GUARDANDO COMMEDIE SU COMMEDIE ( E SOPRATTUTTO QUEL GRAN FIGO DI GERARD BUTLER), IN QUESTI GIORNI MI E' VENUTA IN MENTE QUESTA STORIA, CHE NON DOVREBBE ESSERE POI COSì LUNGA.
SUL TEMPO DEL POST DEI CAPITOLI... NON POSSO DIRVI NULLA, CONSIDERANDO ANCHE CHE IL 6 IO PARTO PER DUE SETTIMANE E APPENA TORNO SARO' CON LA TESTA SUI LIBRI DA MANE A SERA... MA PROMETTO DI FARE IL POSSIBILE PER NON FARVI ATTENDERE TROPPO.
SPERO CHE IL PRIMO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO E CHE VI ABBIA INTRIGATO QUEL TANTO CHE BASTA PER CONTINUARE A SEGUIRE LA STORIA.
SE INVECE COSì NON è SONO ANCHE DISPOSTA A SOTTOPORMI IN SILENZIO AL LANCIO DI POMODORI, UOVA E QUANT'ALTRO. PROMETTO CHE NON PROTESTERO'.

UN BACIO A TUTTI E GRAZIE, IN OGNI CASO, PER ESSERE PASSATI DI QUA A DARE UNA SBIRCIATINA ALLA MIA STORIA :)

PS: COME AL SOLITO ECCO I LINK PER L'ABBIGLIAMENTO DEI PERSONAGGI.

SAMANTHA

WILLIAM
CASA DI SAMANTHA


 

   
 
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