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Autore: nainai    06/12/2010    6 recensioni
Anno Zero. Punto di principio della Fine o di un nuovo inizio. A chi resta il compito di deciderlo? Anno Zero, in contrapposizione ad un futuristico "1984", perchè il futuro è scritto oggi ed è stato determinato dalle scelte di ieri.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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-Promettimi che lo porteremo con noi!
-Certo. E poi ci avvolgeremo dentro il corpo di qualche ferito per usarlo come barella improvvisata. Matt, andiamo a fare la guerra, non ad un festival rock!
-Ma potremmo appenderlo alla porta dell’Abbazia e…
-Matt, non porteremo con noi il tuo dannato striscione.
-…sei una stronza, Sym.
 
“E poi la pioggia scioglierà ogni cosa…”
 
-Se questa dovesse essere la fine del mondo?
Aveva riso. I capelli di Brian gli facevano il solletico contro il braccio, Matt aveva abbassato d’istinto una mano a carezzarli distrattamente e non gli sarebbe sembrato eccessivamente strano sentire l’altro fare le fusa.
-Sono cose più adatte a me, da dire, che a te!
L’osservazione non era piaciuta a Brian. Aveva storto il naso e Matthew gli aveva letto negli occhi, ora sollevati ad incontrare il suo sguardo, che quella domanda era molto più seria di quanto avesse voluto credere.
-Io ci penso a come morirò, Matthew, come tutti.
Chiedersi se fosse stato profetico o se, più facilmente, già allora avesse previsto l’evolversi di una situazione che stava cambiando troppo in fretta era inutile allo stato dei fatti. Che Brian avesse immaginato o meno il modo in cui se ne sarebbe andato, c’era di certo che era stato lui a programmarlo. Avere qualcosa – qualcuno – da incolpare che non fosse lui o Alex, sebbene mero strumento, era consolante e Matthew preferiva aggrapparsi a quel pensiero con tutte le proprie energie mentre camminava lento per le strade bagnate dalla pioggia del coprifuoco.
Notte inoltrata, quasi l’alba, passeggiare per Londra a quell’ora significava aspettare solo di essere arrestati dalla polizia, uccisi da qualche balordo o etichettati come membri della Resistenza ed ammazzati a vista dai cani sciolti del Governo. L’unica cosa che lo impensieriva era la prospettiva che, in quel caso, non sarebbe riuscito ad arrivare al luogo dell’appuntamento.
Aveva tradito tutto per riuscirci. Aveva abbandonato una causa che non gli era mai veramente appartenuta; aveva lasciato gli amici di sempre, quelli coinvolti per forza in una battaglia non loro, a morire da soli; aveva rinnegato sé stesso, la propria musica, i propri ideali. Tutto quello che voleva, nel fuggire come un ladro dallo stesso rifugio che lo aveva ospitato per un anno e mezzo, era cancellare in un’alba personale, l’alba di rivolta e martirio che tutti i suoi compagni avrebbero combattuto.
L’immagine scolorita dell’edificio, scuro contro un cielo plumbeo, e scheletrico con le sue finestre rotte ed i pilastri scarnificati di cemento, fu accolta come una benedizione. Matthew premette con noncuranza la mano contro il fianco del cappotto, avvertendo nella tasca la consistenza rassicurante della pistola, poi allungò il passo e sparì sotto il primo porticato.
 
Ogni singolo abitante di questa città, che come noi voglia far sentire la propria voce a chi ci governa senza essere stato eletto e ci soffoca senza averne il diritto, dovrà accendere questa Radio!
Nelle strade di Londra si rincorrevano il battere ritmico delle suole di gomma contro l’asfalto e il ticchettio basso della pioggia acida.
Ogni singolo individuo di questa città, che voglia unire la propria voce alla nostra, dovrà alzare il volume!
La voce di Urban Symphony si infrangeva e rifrangeva contro i muri e le finestre. Non importava contare quante di quelle fossero state aperte, per ogni varco tra Londra ed i suoi abitanti una radio accesa trasmetteva lo stesso messaggio.
Ogni singola persona di questa città, che voglia ricominciare a definirsi tale, dovrà scendere in piazza adesso e tornare ad essere libera! Qualunque sia il prezzo da pagare!
Le note si riversarono fuori dalle finestre.
Ed i passi divennero corsa.
 
L’uomo aveva il viso scavato, la pelle si tendeva sulle guance e sugli zigomi e rughe profonde segnavano la fronte. Gli occhi erano l’unico accenno di vita in un’espressione incolore, due punti neri, due buchi. Che si fissavano contro i suoi con forza.
-E così sei venuto.- Esordio banale…- Matthew James Bellamy.
Ma si poteva anche fare di peggio.
Avanzò fino a trovarsi sotto una delle finestre. Un chiarore pallido scendeva dai profili dei palazzi intorno e scivolava attraverso le crepe nei muri. Matt si fermò alla luce, così che l’altro potesse osservarlo come lui stava già facendo.
-Io però non ho un nome da darti.- osservò stringato.
Fu il primo a stupirsi, piacevolmente, di come la propria voce fosse suonata controllata e calma.
-Né ti interessa darmene uno.- concluse per lui l'uomo.
Il modo sicuro con cui si muoveva, senza badare a lui, certo di non doversi aspettare nessun pericolo, bastava da solo a fargli sentire un gelo freddo lungo la spina dorsale. Non era certo di come sarebbe andata a finire ed anche nella sua testa - dove tutto avrebbe dovuto essere chiaro, almeno nelle aspettative - le cose si accavallavano in una confusione eccessiva, lasciandolo preda di così tante sensazioni tutte assieme che era inutile anche provare a districarcisi.
Il punto, si disse pigramente, era “salvare perlomeno le apparenze”.
Per questo rimase immobile. L'uomo gli si avvicinò lentamente, dandogli tutto il tempo di reagire e senza neppure guardarlo in viso mentre lo faceva e parlava.
-Sapevo che lo avresti fatto. Non poteva essere diversamente del resto, tu vuoi vendicarti.
-E tu vuoi uccidermi.
-Oh! niente di tanto banale.- confessò l'altro, con un sorriso a mezzo ed uno sguardo sbilenco. Si fermò, tra loro, adesso, c'erano meno di due metri, potevano parlarsi senza alzare la voce ma il vuoto attorno riempiva comunque di echi il cielo di Londra, grigio attraverso le fessure del palazzo.- A te piace Orwell, non è vero?- Non aspettò una risposta che sapevano entrambi non sarebbe arrivata. L'uomo continuò, mani basse e visibili, lontane dalle tasche del giaccone lungo, di pelle, che portava sul completo scuro. Era anacronistico, assurdo...orwelliano, appunto - Allora non ti sarà difficile capire quello che sto per dirti. Perché vedi, non sono gli uomini - esordì sollevando un dito e scandendo con quello l'enfasi del proprio monologo. Si concesse perfino una pausa ad effetto! - a fare la storia.- concluse - Sono le idee a cambiare il mondo.- sentenziò - Gli uomini nascono, crescono e muoiono; ma le idee nascono, infettano tutto e si propagano. E poi piegano la realtà al proprio dictat e diventano legge prima ancora che tu abbia potuto assimilarle completamente.
Davanti al mutismo che ricadde immobile in mezzo a loro, l'uomo si accordò il lusso di squadrarlo. Uno sguardo breve ma la cui intensità bastò a bruciargli la pelle di una sensazione sgradevole di marciume. Dovette frenare l'istinto di pulirsi il risvolto del cappotto e rimase invece fermo, schiacciando la mano contro il calcio della pistola in fondo alla tasca.
-E' per questo che io non voglio ucciderti.- riprese l'uomo, paziente come se stesse discutendo con un bambino.- Creerei solo un altro martire da aggiungere ad una lista fin troppo lunga e destinata a diventarlo ancora di più, e lascerei alle tue idee il tempo di cementarsi nelle coscienze collettive con la forza di una lapide a sigillarne l'eternità. Matthew James Bellamy, la voce della Resistenza!- proclamò accompagnando quel titolo con un gesto teatrale di presentazione.- No, da morto vali troppo.- sfiatò.
-Allora cosa vuoi?
Lui lo guardò, lo soppesò con gli occhi, valutando l'ammasso di ossa e pelle che era sempre stato.
-Cambiare il mondo.- rispose come se fosse ovvio, inarcando le sopracciglia in un accenno di stupore educato.
Riprese a passeggiare in modo lento ed ostentato, sembrava farlo apposta ad offrirgli la schiena nuda e forse era proprio quella consapevolezza ad impedire a Matthew di fare ciò per cui era lì. Lo seguì con lo sguardo mentre gli girava attorno in un cerchio simile a quello di una fiera, eppure era lui ad essere “armato” al momento...
-E tu, Bellamy? Non sei qui per distruggerci o non saresti venuto. No, tu sei qui per la tua personalissima vendetta – ribadì asciutto - e vedi, è proprio questo che intendevo: non sono le persone, sono le idee.
-Le mie idee le conoscete.
-Le tue idee sono bugie.- Poche sillabe a formare la sua condanna. Matthew pensò a come dovevano essersi sentiti Dominic e Chris, quella mattina, nello scoprire che era scomparso e che aveva lasciato loro solo due frasi stringate di scuse con cui mandarli al macello.- Niente di quello che la Resistenza proclama ti appartiene.
-Secondo me abbiamo parlato anche troppo.- sibilò Matt estraendo l'arma dalla tasca del cappotto.
Fu un secondo e nient'altro, una mano che si abbatteva contro il suo polso, l'arma volò via dalle dita ed uno sparo riecheggiò nell'aria sfondandogli lo stomaco con la forza di quel suono.
 
Nel grigio sfumato di mille toni con cui Londra copriva le proprie strade, Eliza aveva il colore di una morte caritatevole.
In piazza una folla chiassosa di manifestanti reggeva striscioni contro le cariche della polizia, alle loro spalle, da tutte le strade di accesso, un fiume in piena di individui sciamava con le intenzioni più disparate seguendo il flusso di una musica ossessiva e cattiva.
Eliza si fermò all'imboccatura della strada e guardò avanti. Un sorriso le illuminò il viso di una gioia primordiale e violenta, sollevò la canna della pistola sopra la testa e la puntò.
-The war is overdue.- recitò.
 
Matt si ritrovò a boccheggiare, piegato sulle ginocchia, prendendo fiato contro il pavimento sudicio. Il calcio non lo aveva neppure visto arrivare, l'uomo si era mosso con l'efficienza di un militare ben addestrato, centrandolo in pieno stomaco come un proiettile.
-Pensavi davvero che sarebbe stato così facile? - chiese con gentilezza adesso.- Andiamo! cosa sei tu, Bellamy? Un ex teppistello, un mollaccione troppo ricco cresciuto nella bambagia, una patetica imitazione di rivoluzionario a buon mercato?!- elencò asciutto. Matthew sollevò lo sguardo ad incontrare il suo.- La verità è che non sei proprio niente.- scandì breve l'uomo- Hai cessato di esistere il giorno stesso in cui Brian Molko ha cessato di respirare.
-L'ho pensato anche io.- sussurrò di rimando, sollevandosi lentamente per raddrizzarsi sulla schiena e poi sulle gambe instabili. Si sentiva senza forze, arrivare fin lì era stato già dare tutto quello che possedeva e non sapeva quanto di lui rimanesse per completare ciò che si era ripromesso - Quando ho saputo, sentito davvero che Brian aveva smesso di esistere, di respirare, come hai detto tu. L'ho pensato anche io. Mi sono chiesto perché io, invece, stessi ancora respirando, perché mi stessi muovendo quando non avevo un obiettivo da far raggiungere alle mie gambe. Senza Brian non avevo un cazzo di niente, eppure continuavo a muovermi, una parola dopo l'altra, seguendo le note di una canzone che non mi andava neppure di ascoltare. Ma ora sono qui, probabilmente Brian mi darebbe del coglione, non si è fatto ammazzare perché io potessi sanare le mie ferite nel sangue di una vendetta che forse non riuscirò neppure ad ottenere. Eppure, esattamente come Brian che è morto per quello che credeva giusto, allo stesso modo io sono qui ora, davanti all'uomo che l'ha ucciso, come qualcuno che non ha più niente da perdere, come il più pericoloso dei coglioni.
-…pericoloso?
Un rumore sordo, il suono di dieci…cento…mille…passi tutti uguali e tutti fatti nello stesso istante. Matthew non ebbe bisogno di voltarsi per sapere di essere circondato. Le sicure delle armi scattarono tutte assieme con una precisione che aveva dell’incredibile.
-Tu non ha neppure idea di cosa voglia dire “pericoloso”.- lo derise l’uomo.
-Forse no,- concesse Matt con un sorriso stanco – ma ora sei tu ad illuderti se credi che sarà così facile.
 
Nella confusione Eliza volteggiava come una farfalla, i suoi colori dissipavano la folla in una marea uniforme di grigio e sangue e lei diventava l’unica cosa concreta su cui fermare lo sguardo.
Fu per questo che Dominic guardò verso di lei. E poi si voltò attorno, prendendosi il tempo di una pausa che sapeva di irrealtà nel furore che imperversava attorno a loro.
Matthew li aveva abbandonati.
Chris era scomparso.
Eliza era lontana.
Vide uomini in divisa nera fare irruzione nella piazza, percorsero le medesime strade che loro avevano percorso, bloccandogli qualsiasi via di fuga da quel campo di battaglia. Westminster sembrava così distante da essere irraggiungibile e la realtà stava reclamando il proprio pagamento.
 
Matthew gli si scagliò contro. Stavolta fu l’uomo a non prevedere quella mossa, semplicemente credendo che si sarebbe limitato a farsi ammazzare, si tirò indietro troppo lentamente ed il pugno dell’altro lo colpì alla mascella, stordendolo a sufficienza perché Matt potesse superarlo di un balzo, recuperare la pistola e dileguarsi verso le scale che portavano ai piani superiori.
-Non sparate!- sentì urlare mentre attaccava la prima rampa, sentendo già il fiato pesante per la paura e l’adrenalina in corpo.- Mi serve vivo, quel bastardo! Prendetelo!
Irruppe in un salone enorme, finestre a tutta parete, ingabbiate da intelaiature di ferro arrugginito e corroso dall’acido, inondavano lo spazio di luce mentre l’alba esplodeva all’orizzonte e la pioggia cessava di scolare dai tetti. Per un istante, in cui riuscì a cancellare perfino l’eco dei passi in corsa dei suoi inseguitori, Matthew pensò che quello doveva essere il paradiso. Uno spazio senza confini si apriva attorno a lui, vuoto e riecheggiante di luce e di calore, al centro del pavimento spoglio ricoperto di calcinacci, proprio davanti alla finestra, un pianoforte a coda sembrava essere stato lasciato lì apposta ad aspettarlo. Aveva una linea impossibile, come un’astronave atterrata sulla Terra in tempi immemori e dimenticata da alieni che avevano preso sembianze umane e scelto una mortalità terrena. La laccatura nera, incredibilmente intatta nonostante il tempo e l’incuria, era talmente lucida da sembrare plastica su cui si aprisse un cuore rosso, pompante e vivo, le corde che si tendevano sembravano altrettante vene o nervi pronti al balzo ed il piede di metallo era massiccio e saldo.
Non si accorse nemmeno di essersi mosso verso quell’oggetto, spinto da qualcosa di talmente irrazionale da trascendere del tutto il terrore, la rabbia e la violenza di quel momento. Quando sentì i passi alle proprie spalle arrestarsi in uno scalpiccio disomogeneo, tornò alla realtà con uno scossone doloroso che lo indusse a voltarsi di scatto e serrare le dita attorno all’arma, di nuovo consapevole di sé e degli altri. Puntò la pistola al viso dell’uomo nello stesso momento in cui lui faceva altrettanto.
La presenza silenziosa del pianoforte era così reale che Matt si voltò a sincerarsi che fosse immobile come lo aveva lasciato perché in quel momento, lì dentro, aveva la convinzione che potesse prendere vita e decidere liberamente.
Il suo passo verso il Paradiso.
L’uomo se ne accorse.
-Sei sciocco, Bellamy!- sfiatò, rancoroso. Per Matt fu una vittoria già apprendere di essere riuscito ad incrinare quella patina di perfetto controllo che l’altro aveva sfoggiato fino a quel momento.- Dovresti quantomeno ascoltare quello che ti sto offrendo!
-Tu mi staresti offrendo qualcosa?!- sbuffò Matthew con un mezzo sorriso, divertito e disperato assieme.
-Certo! In fin dei conti, potresti tornare a suonare.- affermò l’uomo, riacquistando forza e vigore man mano che parlava.- Non è sempre stata quella l’unica cosa importante? Niente più mezzucci ed inganni, ma musica vera. Potresti fare tutto quello che hai sempre voluto e farlo alla luce del giorno. Ricominceresti a vivere…Tutto quello che ti chiediamo in cambio è un compromesso.
Quella parola gli rimbalzò addosso come un insulto, già a pelle avvertiva quanto fosse sbagliata.
-…che diavolo stai dicendo…?- sussurrò strozzato, rinserrando ancora di più la stretta attorno alla pistola.
-Non vogliamo nemmeno che tu rinneghi del tutto la tua decisione di contestare il sistema, ma solo che tu lo faccia ponderando meglio le tue scelte.- spiegò l’altro, variando ancora la voce in una ragionevolezza insinuante.- Una contestazione mirata, calibrata ed efficace, una valvola di sfogo per ragazzini che non sono ancora in grado di valutare da sé e necessitano di un indirizzo di pensiero. Mi sembra un buon compromesso… Ed in cambio, potresti permettere che questa giornata di massacro si concluda con un bilancio migliore.
L’arma nella mano di Matthew tremò.
-Credevi davvero che non lo sapessimo?- indagò l’uomo, fingendosi sorpreso - Sono mesi che conosciamo con esattezza ciò che si è preparata a fare la Resistenza, aspettiamo pazientemente che veniate allo scoperto…abbiamo pianificato tutto.- affermò stringato- Però tu potresti evitare un mucchio di morti inutili. I tuoi amici non ci interessano, Matthew, vivi o morti non fanno differenza per noi.- Lasciò il tempo che quelle parole scivolassero a colmare la distanza che li separava, poi affondò con precisione chirurgica.- Davvero non vuoi che Dom e Chris si salvino? Lasceremo liberi voi e tutte le vostre famiglie, Kelly, i suoi figli…pensaci. Sarebbe stato questo che Brian avrebbe voluto ottenere con la propria morte.
Sapeva anche questo! Matt sentì le braccia cedere, sollevò l’arma prima che ricadesse inerte contro il fianco, lasciando che lo stupore attonito che lo pervadeva trasparisse nel suo sguardo smarrito. All’improvviso non era così importante restare saldi.
L’uomo sorrise davanti a lui. Appariva quasi paterno nel farlo, mosse due passi in avanti e non sembrava così minaccioso come era stato all’inizio. Matt voltò lo sguardo al pianoforte. Era ancora lì, silenzioso, e lui pensò che avrebbe tanto voluto avere il tempo per sfiorarne i tasti, prendersi la briga di scoprire se anche la sua voce era aliena, straniera, e parlava di galassie lontane altri mondi. Ed altre vite.
Quando tornò a voltarsi verso l’uomo, puntò nuovamente la pistola davanti a sé.
-Non so cosa Brian volesse. Non ha avuto la decenza di dirmelo.- ritorse incolore.
-…non essere stupido!- sibilò l’uomo bloccandosi di colpo.- Se anche mi uccidi, non uscirai di qui se non trascinato in catene!- osservò accennando agli uomini disposti dietro di loro.
Matthew si strinse nelle spalle.
-Però tu sarai morto.- ribatté.
La risata educata dell’uomo era il suono più sinistro che potesse riempire una mattina così bella…
-Te l’ho già spiegato, Bellamy, non sono gli uomini. Sono le idee.
“…è vero, Matthew. Tutto quello che possono farti, è ucciderti”.
Si voltò ancora verso il pianoforte.
Un sorriso sbilenco ma sincero gli tirò il volto e tutta quella pesantezza opprimente che sentiva al petto si dissipò con la luce di un’alba incredibile. Pensò che perfino la pioggia acida poteva avere un suo profumo e che questo potesse essere bellissimo, ché l’odore di umido e di terra che saliva tutto intorno era il sottofondo più piacevole di una musica che suonava solo nella sua testa. Il pianoforte non era affatto silenzioso. Il suo cuore di corde e nervi pompava aria e la trasformava in note e non c’era alcun bisogno di sfiorare i tasti per sentire la voce di altri mondi provenire dal fondo dell’anima.
-Hai ragione. Winston c’è arrivato troppo tardi.- ridacchiò.
Quando sollevò lo sguardo ritrovò l’espressione dell’uomo, perplessa, che lo studiava con un’attenzione nuova. Lasciò cadere a terra l’arma e lo vide rilassarsi, abbassando la propria e sorridendo apertamente in risposta al suo sorriso.
Peccato che non avesse capito affatto.
Il pianoforte era più leggero di quello che pensava, rotolò sulle proprie ruote acquistando velocità in una confusione crescente di grida, rumore metallico e scricchiolii di legno e corde. Nell’impatto contro la finestra un fiume straripante di accordi aritmici pervase l’aria coprendo ogni cosa in un frastuono che gli sembrò la musica più bella mai ascoltata. Quello strumento aveva la voce limpida di un angelo di metallo.
-Non sparate, idioti!
Matthew non si voltò. Corse dietro la scia del pianoforte, nella stessa corsa che avrebbe fatto su una scala immaginaria di note. La finestra si spalancò davanti a lui mentre il pianoforte si schiantava al suolo, quattro piani più in basso, trasformandosi in una pioggia di schegge di legno.
Il rimbombo fuori tempo della voce dell’uomo gli fece storcere il naso…
-Sei un pazzo, Bellamy, hai condannato tutti loro!
…odiava le disarmonie.
“E’ strano, Matthew, sai che io le amo, invece.”
“Tu ed io non facciamo la stessa musica, Brian. Fortunatamente.”
Il suolo si portò via anche quel pensiero.
 
Si svegliò di soprassalto.
Un sudore gelato gli ghiacciava la schiena, il fiato corto ed affannato. Tirò un respiro profondo, portandosi la mano all’altezza del petto per sentire il cuore battere impazzito sotto le dita, artigliò la maglia fino a sformarla e staccarla a forza dalla pelle sudata. Era vivo.
Lentamente la sua coscienza prese atto dello spazio che lo circondava. La stanza era in penombra ma i mobili di legno chiaro gli erano familiari ed era steso su un letto che conosceva, avvolto in un profumo che non avrebbe potuto scordare nemmeno in un milione di anni. Dalla porta aperta proveniva la luce di una giornata chiara ed il rumore di sottofondo, attutito e quasi impalpabile, di un televisore acceso.
Un tonfo leggero alla sua sinistra lo fece trasalire. Matthew si voltò di scatto, intuendo la figura scura che si avvicinava attraverso il materasso. Per poco non si mise ad urlare.
-…Aristotele.- sfiatò.
Il grosso gatto tigrato miagolò basso in risposta, zampettando verso di lui in un ronfare morbido e rilassante. Matt chiuse gli occhi e lasciò che l’animale lo raggiungesse e gli si strusciasse contro il braccio in cerca di una carezza.
-Non sono mai stato così felice di vederti, bestiaccia.- mormorò acconsentendo a carezzargli il testone e grattargli dietro le orecchie.
Il gatto miagolò ancora. Matt scostò di lato le coperte e mise i piedi a terra, osservando distrattamente Aristotele sedersi al suo posto e prendere a pulirsi il muso scrupolosamente. Quando Matthew si diresse alla porta, il gatto gli andò dietro con un altro balzo sordo ed elegante.
Come aveva intuito, un mattino soleggiato lo accolse con entusiasmo mentre attraversava il corridoio; le finestre gigantesche, a pannelli, lasciavano piovere dentro il mondo intero e mai come quel giorno Matt si sentì grato di una simile scelta architettonica. La cucina era in fondo al corridoio, attraversò la soglia ed il profumo del the lo investì. Era a casa.
Si fermò all’ingresso. Certo che l’altro, che gli dava le spalle e guardava assorto lo schermo della TV appesa sulla parete opposta, non lo avesse nemmeno sentito arrivare. Voleva prendersi il tempo necessario a realizzare che era stato solo un sogno e che non sarebbe successo davvero. Voleva prendersi tutto il tempo necessario per ricominciare a vivere.
Aristotele miagolò insoddisfatto, trotterellando fin sotto la sedia di Brian e puntandogli addosso uno sguardo pretenzioso non appena lo ebbe raggiunto. Il bruno si chinò a fissarlo con espressione perplessa, realizzando la sua presenza con uno sbuffo.
-E tu che ci fai qui? – lo interrogò- La tua padrona ha di nuovo lasciato aperta la porta dell’abbaino, eh?
Per tutta risposta, il gatto miagolò e si sedette in attesa.
-…immagino che tu voglia mangiare.- realizzò Brian, inarcando un sopracciglio in un’espressione così buffa che Matt non poté evitarsi di ridere.
Così lui si voltò.
-Buongiorno anche a te!- commentò quando si rese conto che Matthew doveva starlo spiando già da un po’.
Prima che Brian capisse anche cosa stava succedendo se lo ritrovò addosso, che lo stringeva freneticamente e sembrava volerlo divorare in un solo bacio. Ricambiò impacciato, spingendolo via quando quasi soffocò.
-Che diavolo ti prende?!- indagò, prendendo fiato in modo esagerato.
Matt non lo lasciava, entrambi si strattonavano per la maglietta, l’uno nel tentativo di trascinarsi addosso l’altro, che si difendeva strenuamente in una lotta scherzosa che fece ridere Matthew.
-Sono felice di vederti!- esclamò allegramente.
-Oh, sì, questo è chiaro. Ma siccome è solo da sei ore che non ci vediamo…
-Ho fatto un brutto sogno.- confessò Matt, liberandolo.
Brian fece altrettanto, fissandolo poi con aria interrogativa mentre Matt girava attorno al tavolo in direzione della cucina.
-Il the è nel bollitore.- lo direzionò – Che sogno?
Matt recuperò una tazza da sopra il lavello ed il bollitore dalla cucina, appoggiandosi al mobile mentre si versava da bere.
-Tu morivi.- affermò stringato.
Brian sbuffò per nulla impensierito.
-Non è nei programmi, al momento.- ritorse sarcastico.
-Invece, eri proprio tu a programmarlo.
-Cielo! e perché accidenti avrei dovuto fare una cosa così stupida?!
-Per salvare me.
Gli si sedette davanti, dall’altro lato del tavolo, e Brian lo osservò prendere una sorsata dalla tazza.
-Ma morire per salvarti non avrebbe senso,- sdrammatizzò – tu non puoi vivere senza di me!
Matthew ridacchiò.
-Infatti.- ammise semplicemente.- Vedi di ricordartelo la prossima volta.
Brian liquidò la cosa come una sciocchezza, agitando la mano a scrollarla lontana da entrambi, e sollevò di nuovo il viso verso lo schermo.
Matt lanciò all’apparecchio un’occhiata distratta e tornò a sorseggiare il the.
-Dicono qualcosa di interessante?
-Mh. Pare che ci siano stati un altro paio di attentati stanotte.- raccontò Brian giocherellando con la propria tazza sul ripiano di legno – Stanno discutendo l’ipotesi di varare delle leggi di protezione nazionale. Una cosa tipo “pugno di ferro per fare fronte all’emergenza”. Non penso che ne verrà fuori niente di buono.
Quando Matthew posò la tazza sul tavolo, questo produsse un’unica nota, un suono caldo. Rassicurante.
 
“Anno Zero”
MEM 2010
 
Nota di fine capitolo della Nai:
 
Terzo ed ultimo capitolo.
Ed io vorrei riempirvi di parole - sul serio - per dirvi quanto vi ringrazio per il calore stupendo con cui avete accolto questa storia. Perchè onestamente non me lo aspettavo e mi sembrava, tanto per cambiare, una delle mie solite elucubrazioni prive di senso.
Ed invece, vedere l'affetto che le avete rivolto e la profondità con cui avete commentato i suoi passaggi...beh, sì, mi ha fatto un piacere tale che meriterebbe davvero un milione di parole per dirvi «grazie».
 
Ma dovrete perdonarmi, stasera, perchè non ce le ho proprio un milione di parole.
Non ce le ho per nessuno. Ma ho solo uno stupido cuoricino che batte, tutto rotto. E le ragioni sono stupide, tranquilli, niente che non si riaggiusti da sè ma solo un pò di fatica, graffi ed ammaccature in più.
Quindi scusatemi, ma fingiamo che vi abbia detto un milione di volte grazie. Perchè è solo merito vostro ed è tutta vostra.
MEM
  
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