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Autore: ethelincabbages    13/12/2010    15 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Capitolo 1
Prima di andare via
Chriseys Anne Granger. La targhetta col nome sul baule luccicava più del dovuto. Gli abiti, i libri, la bacchetta, e tutte le sue cianfrusaglie babbane erano sistemati con ordine rigoroso, pronti per la partenza. Opera di Hermione, ovviamente.
Da brava e ossessiva sorella maggiore aveva già organizzato tutto in vece sua: anche quell’anno, Chris avrebbe preso l’Espresso il primo settembre, avrebbe raggiunto Hogwarts, trascorrendo il suo sedicesimo anno di vita come era stato per il quindicesimo, e il quattordicesimo, e il tredicesimo, e così via. Ma quello, nel cuore di Chris, non sarebbe mai potuto essere un anno come gli altri.
Chris aveva appena detto addio al corpo freddo della sua mamma, non era ancora pronta a tornare alla vita di sempre. Solo sei mesi, questo il tempo che le era stato concesso per capire, per gestire la malattia e per affrontare la morte. Sei mesi di speranze flebili e paure, di oscillazioni estreme tra la voglia di mettere fine a tutto il dolore, e il bisogno di appigliarsi ai più piccoli e illusori segni di miglioramento.
Si alzò dal proprio letto e si trascinò verso la camera della madre: la stanza dove aveva esalato l’ultimo respiro e rivolto l’ultimo sguardo alle sue due bambine. Sembrava tutto così uguale: l’armadio bianco e lucido, la tv accanto alla foto di suo padre sulla cassettiera, i libri e la piccola croce greca sul comodino. Eppure lei mancava.
Ci aveva provato, Chris, con tutte le sue forze, a far sì che restasse in vita, sana. Aveva messo in gioco tutta se stessa - forse anche un po’ di più. E aveva perso. La ferita sul polso sembrava persino fare più male, ora. Se solo Hermione avesse saputo…
Aveva perso e ora non era rimasto niente. Nessun sorriso a metà, nessun rimprovero impaziente, nessun abbraccio di conforto. Se non quella voglia egoistica di averla ancora accanto, ancora per un minuto. Se non la veglia silenziosa, il caffè, e quella stanza bianca e vuota, con il letto rifatto. Ogni cosa in ordine. Tutto perfettamente in ordine, come se non fosse successo nulla.
Si costrinse a lasciare la camera da letto per raggiungere gli altri al piano di sotto. C’erano Hermione e Ron, Harry, Ginny, la signora e il signor Weasley; la seconda famiglia di sua sorella. Sempre così premurosi, così gentili, così scrupolosi e familiari. A Rose e Hugo era stato risparmiato lo strazio di assistere ai funerali, erano bambini ed erano rimasti alla Tana con lo zio George.
Erano sistemati da una parte o dall’altra del salotto, chi con una tazza in mano, chi con lo sguardo vuoto, chi appoggiato al muro con gli occhi stanchi. Sembravano tanti pesci in una boccia: ci si guardava in silenzio, senza riuscire a dire niente che avesse senso o che potesse alleviare il dolore.
Hermione giocherellava sul tavolo con la fede senza molta convinzione: il turbinio di energia che l’aveva travolta prima del funerale sembrava del tutto esaurito, sembrava svuotata. Ron la osservava preoccupato. Harry e Ginny, sul divano, si bisbigliavano qualcosa, e Arthur Weasley, seduto sulla poltrona di fronte il camino, si era appisolato. Fu la signora Weasley, impegnata nel mescolare magicamente qualcosa che pareva essere una grande pentola di cioccolato caldo, a notare la sua presenza.
“Chriseys! Vieni, cara.”
La ragazza si avvicinò agli altri e andò a sedersi sul divano accanto a Harry e Ginny. Hermione aveva alzato lo sguardo e aveva abbozzato un sorriso. A Chris parve di vedere in quel mezzo sorriso un messaggio solo per lei: adesso siamo io e te, bollicina.
Harry le passò un braccio sulle spalle, e Chris appoggiò la testa su quella di lui. Le piaceva lasciarsi abbracciare da Harry, era sempre caldo e protettivo. Era bravo a prendersi cura delle persone, Harry Potter.
E nonostante il taglio sull’avambraccio sinistro bruciasse più che mai, Chris resistette alle lacrime che minacciavano di sciogliersi sul viso.
Nessuno parlava. Quel silenzio faceva più male di tutto il resto: erano come pesci in una boccia incapaci di proferire parola.
“Hai preparato le tue cose per scuola?” le chiese Harry, infine. Anche lui era insofferente ai silenzi.
“Oh, ti pare che ne avessi bisogno? Ci ha pensato qualcun altro,” rispose annoiata e infastidita, adocchiando la sorella, “anche se avevo espresso chiaramente altre volontà.”
“Tornerai a Hogwarts, Chris,” Hermione intercettò la risposta di Harry prima che arrivasse. Cos’era? Si era finalmente svegliata? Il suo tono era calmo, di quella tranquillità pericolosa che non vuole ammettere repliche.
Chris si liberò dall’abbraccio di Harry, irritata dal tono della sorella. “Cosa ca-,” si fermò, mordendosi il labbro, prima di poter dire qualcosa che avrebbe offeso la sensibilità di gran parte dei presenti. “Non ho più niente da fare lì.” Non era una conversazione che avrebbe voluto tenere davanti a tutti quegli occhi.
“E cosa vorresti fare qui?” La logica. Il punto forte di Hermione Jean Granger-Weasley era la sua esasperante razionalità: trovava sempre il fallo nelle argomentazioni emotive della sorellina. A Chris bastava aver voglia di mollare tutto per farlo, a Hermione servivano le motivazioni.
“Forse dovreste parlarne dopo, con calma. Chriseys, prendi un po’ di cioccolata.” Come sempre Molly Weasley metteva le pezze dove colava l’acqua.

 
*

“Ehi,” Hermione si fermò sulla porta, non voleva urtare i sentimenti di Chriseys più del necessario. Chris, da parte sua, era stesa sul marmo gelido del pavimento, con le mani sotto la testa e gli auricolari nelle orecchie; teneva lo sguardo fisso sulle stelle di plastica, applicate sul soffitto fin da quando era piccina. “Ce la facciamo quella chiacchierata?”
“Non saprei, sei ancora della tua opinione?” rispose senza neanche alzare la testa.
“Ma mi senti con quegli aggeggi nelle orecchie?” Hermione si sedette ai piedi del letto e offrì una mano a Chris per tirarsi su.
“Sto ascoltando il mare,” spiegò, alzandosi e appollaiandosi accanto alla sorella.
“Il mare? C’è bisogno di metterlo nelle cuffie, il mare?”
“Beh,” scrollò le spalle, indicandole la visuale che concedeva la finestra della camera. Kensington Park Gardens in tutto il suo splendore tardo pomeridiano: gente affaccendata di qua e di là, auto, turisti persi per le viuzze londinesi e impiegati impazienti di poter tornare a casa.
“Ti manca?” chiese Hermione, cercando di incontrare gli occhi della sorellina. Ti manca il mare? Ti manca mamma? Una di quelle domande che sentiva l’esigenza di farle, anche se conosceva la risposta.
“Da morire.” La ragazza finalmente le concesse uno sguardo diretto. Era come guardarsi allo specchio: le stesse ciglia e sopracciglia, gli stessi occhi arrossati e stanchi, le stesse borse, causate dalla veglia e dalle ansie, le stesse lacrime non ancora asciugate, versate per troppo e da troppo poco tempo. Solo il colore differiva di poco, il nocciola degli occhi di Hermione, nello sguardo di Chriseys sfumava nel verde.
“Vieni?” propose, con un mezzo sorriso, porgendole la mano.
“Dove? E lasciamo Ron da solo?” protestò Chris.
“Ron? Non si accorgerà neppure della nostra assenza.” Senza finire la frase, afferrò il braccio della sorella, e la condusse nel turbinio della Materializzazione Congiunta.
Dover. Le Scogliere Bianche, dove il vento e il mare ti sconvolgono lo stomaco. Dove i gabbiani cantano a modo loro – urlano. Dove si accavallano ricordi e incertezze, e paure antiche. Terreno di speranze, terreno di conquista, terreno di sconfitta. Il tratto preferito di costa di poeti e turisti, e anche da Hermione.
“Oh, Merlino! Adesso vom-,” Chris iniziò a lamentarsi non appena poggiati piedi a terra, odiava la Materializzazione, ma non terminò la frase, colpita dall’immagine che le si parò davanti. “Quella è la…”
“Francia,” Hermione notò con soddisfazione, e un po’ di serenità in più, l’espressione di ammirazione sul viso di Chris. “Sembra così vicina.”
È così vicina!” Senza pensarci troppo, Chris si accovacciò a terra, continuando a fissare l’altra riva e l’oceano gorgogliante. Eccola, la sua musica.
Hermione si sistemò lentamente accanto alla sorellina, per un po’ si limitò a osservarla in silenzio. “Chrissie, perché non vuoi tornare a Hogwarts?” chiese.
“Non ce la faccio,” incominciò, “Io non… Non ho voglia di tornare a guardare le solite facce, come se non fosse successo niente. Farò… farò qualcosa. A Londra, a casa.” Sembrava aver paura di alzare gli occhi, e Hermione capì che forse non era poi così sicura di questa drastica decisione.
“Qualcosa? Questo è il tuo piano? Chris, non fare la sciocca, lo sai che non puoi… non ti lascerò a casa da sola.” Chris annuì. “E sai anche che posso obbligarti a tornare a scuola.” Annuì di nuovo. “Non costringermi a farlo.”
“E cosa proponi?” Finalmente Chriseys si voltò. “Che torni lì a far fermentare pozioni inutili, mentre tu chiudi a chiave la nostra infanzia e ci dimentichiamo il nostro passato?” Presto Hermione sarebbe tornata nella sua casa, forse l’indomani stesso, e la casa che aveva visto così tanto dei loro momenti di bambine, dei momenti felici coi loro genitori, quando erano ancora una famiglia unita, sarebbe rimasta abbandonata.
“La vita deve continuare, Chris.” Hermione mormorò il nome a metà voce. Come se non ci credesse neppure lei.
“Io non voglio dimenticare.” Tirò indietro il polso, portando la mano a protezione, mascherando appena una smorfia di dolore.
“Cos’hai?”
“Nulla,” fu l’evasiva risposta.
“Chrissie, ascoltami. Nessuno vuole dimenticare. Devi solo vivere. È questo che ci ha chiesto, vivere. Per lei. Per la tua musica.” Indicò vagamente l’aria che le circondava, la Francia dall’altra parte, i gabbiani, il mare.
Chris non rispose. Mosse leggermente l’indice, come per dirle di girarsi. Era un piccolo gesto di complicità, vecchio quanto il loro legame. Hermione si voltò come richiesto, e si appoggiarono schiena contro schiena.
“Quando sei stata in questo posto?” chiese la più piccola, lanciando sassolini in aria.
“Molti anni fa, quando cercavamo gli Horcrux.” Il termine Horcrux, come ogni riferimento a Lord Voldemort e alle guerre magiche, faceva sempre rabbrividire Chris. Hermione percepì il suo fremito. “Ancora paura di Vold-,”
“Non fare quel nome. Lo sai che non mi piace. È colpa tua e del tuo maritino, che vi divertivate a raccontare storie inquietanti a una bambina.”
“Hugo e Rose adorano sentire i racconti sulle nostre avventure.
“Hugo e Rose sono figli di Ron Weasley.” Hermione rise di cuore al tono usato da Chris nel pronunciare il nome di suo marito. “Forse un giorno mi piacerebbe ascoltare l’avventura che vi ha condotto qui. Forse.”
“Vorrei davvero che tornassi a Hogwarts,” sussurrò infine Hermione.
“Come Harry.”
“Come, scusa?”
“Vorrei davvero che tornassi a Hogwarts: le stesse parole che mi ha detto Harry prima di andare via stasera.”

 
Note: L’indirizzo di residenza della famiglia Granger non è noto nel canone. Nell’organizzazione di questa fanfiction, casa Granger si trova al numero 28 di Kensigton Park Gardens, nella zona di Notting Hill a Londra.
Chriseys, come Hermione d’altronde, è un nome di origine greca, significa ‘splendente come l’oro’ ed è omofono di Chryseis, Criseide, personaggio appartenente alla mitologia greca, come Hermione d’altronde.
   
 
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