Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Lady Vibeke    08/03/2011    7 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3. LA CITTÁ-GIOIELLO

 

The more you see, the less you know
The less you find out as you go
I knew much more then than I do now

– City Of Blinding Lights, U2 –

 

 

Erano sbucati al centro di una piazza di vastità impressionante. All’inizio Regan aveva creduto che fosse costruita interamente in scintillante pietra bianca, ma le ci era voluto ben poco per capire di essersi sbagliata: tutto era bianco e luccicante per il semplice fatto che era ricoperto interamente di neve.

– Benvenuta a Kauneus, cerbiattina! – proclamò Lucius, spalancando le braccia ­– Illustre capitale di Norden. La Città-Gioiello. –

Non ci voleva una gran fantasia per intuire le motivazione che avevano fatto guadagnare alla città quel degno appellativo. La Terra di Norden era stata un reame, secoli prima, come la altre sei Terre, e durante quell’epoca aveva guadagnato prestigio e ricchezze per la sapiente amministrazione della famiglia di reggenza dell’epoca, e in seguito, anche dopo l’abolizione della Monarchia, la sua storica capitale aveva sempre conservato il suo antico splendore.

C’era una fontana  rotonda su tre piani, ghiacciata, nel mezzo dell’estesa area quadrata su cui si affacciavano palazzi alti e riccamente decorati, sfoggio di uno sfarzo moderato da una certa dignitosa sobrietà, e quelli erano davvero fatti di candida, pregiata pietra lunare. Dietro alle loro finestre tremolavano luci calde e invitanti, velate da tendaggi che celavano gli interni alla curiosità dei passanti. Sulle colonnine ritorte delle ampie balconate campeggiavano i blasoni spruzzati di bianco delle famiglie residenti, orlati di pompose nappe d’oro e d’argento.

Il luogo era un crocevia di quattro grossi viali che si fondevano, adorni di lampioni finemente lavorati, in un unico perimetro attorno alla piazza – Piazza del Vecchio Regno, come indicava l’iscrizione sul fianco della fontana.

Pochi, frettolosi viandanti si attardavano ancora per strada, stringendosi nei pesanti mantelli fino al mento. Le brezze fredde delle terre più a sud non erano niente a confronto del pungente vento gelido di Norden e lo sbalzo di temperatura che avevano incontrato da Corterra a lì metteva bene in chiaro quanto fosse stata lungimirante Angina nel donarle quel mantello.

Fu più forte di lei: come percorsa una scarica di elettricità, si accovacciò a terra e affondò una mano nel vaporoso strato di neve. Le dita si piegarono, artigliandosi sopra la polvere di ghiaccio, che le andò sotto le unghie, facendola rabbrividire, ma fu un brivido meraviglioso, perché la fece sentire straordinariamente viva.

Si tirò su con il palmo bagnato e arrossato, l’orlo del mantello spolverato di bianco. Lucius  ridacchiava.

– Dalla tua reazione, mi verrebbe da pensare che tu non abbia mai visto la neve in vita tua. –

Regan si accostò la mano al viso. Gocce di ghiaccio disciolto le bagnarono la guancia.

– Non ne sono sicura. Conoscevo questa sensazione, ma… era imprecisa, come il ricordo di un sogno… –

Non era una spiegazione granché sensata, ma non avrebbe saputo come altro esprimere ciò che aveva provato nel toccare quello straordinario cuscino gelato.

Una lussuosa carrozza laccata di nero sollevava piccoli spruzzi di neve giungendo cauta dal fondo della via, due lanterne vetrate a rischiarare la sagoma scura del vetturino abbarbicato a cassetta in una nuvola di vapore. Regan intravide uno stemma nero affisso sul lato, al centro del battente: su un fondo blu scuro, una spada ricamata in fili argentati era conficcata verticalmente nel fianco di un monte innevato.

– Credo sia il caso di tirare su il cappuccio – le bisbigliò Lucius all’orecchio, proprio mentre la carrozza, passando, rallentava man mano che si approssimava a loro.

– Hey, Lucius! –

Un viso chiaro si era affacciato alla finestrella. Era un ragazzo con occhi neri quanto la vettura su cui viaggiava, una folta chioma scura che solleticava zigomi alti e affilati, sensuali labbra sottili dischiuse quel tanto che bastava per lasciar intravedere a stento il bianco degli incisivi. Sembrava avere all’incirca la stessa età di Lucius, ma si intuiva tra i suoi lineamenti cesellati una maturità che lasciava intendere che dovesse avere qualche anno di più. Al suo collo, seminascosta dal bavero del mantello e dalla camicia di seta bianca, si poteva scorgere lo stesso pendente che portava anche Lucius.

– Lord Edelberg – Lucius accompagnò il classico saluto con un inchino che a Regan parve tutt’altro che ossequioso. – Che piacere vedervi. ­–

Il modo di conversare di Lucius era un intrecciarsi di sorrisi spensierati e inflessioni divertite, come se nulla meritasse una seria considerazione da parte sua.

La bocca del ragazzo si piegò in un mezzo sorriso divertito.

– Chi è questa graziosa straniera? –

I suoi occhi, perle di luce nera, cercarono quelli di Regan, ma lei chinò la testa, celandosi dietro all’ombra che il cappuccio gettava sul suo volto.

– Non farmi domande a cui non posso rispondere, vecchio mio. Ti assicuro che ti sarà data risposta entro breve da chi di dovere. –

I due si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi Lucius fece fare a Regan un passo avanti.

– Regan, permettimi di presentarti Lord Tristan Edelberg IV. Prince, per gli amici, ossia quasi nessuno. –

– Il tuo senso dell’umorismo lascia a desiderare, ultimamente – sogghignò l’altro. – Piacere di fare la vostra conoscenza, Regan. –

Aveva speso un’occhiata incuriosita all’abbigliamento inconsueto di lei, ben poco consono all’ambiente elegante cittadino, ma, se aveva avuto osservazioni in merito, le aveva tenute per sé, e di questo Lucius parve essergli particolarmente grato.

– Piacere mio. –

Non sapendo come rivolgersi a lui, Regan improvvisò un goffo inchino.

– Vi serve un passaggio a casa? –

Accettarono senza falsi scrupoli.

All’interno la carrozza era spaziosa e arredata alla stregua di un salottino: le morbide imbottiture sei sedili erano rivestite di velluto rosso e fu un vero piacere prendervi posto. Quattro lumi a olio rischiaravano l’altrimenti cupa cabina, rendendo visibili gli arabeschi della tappezzeria di seta.

– Galvorn, sai dove andare – disse Prince a voce alta, richiamando il cocchiere.

– Sì, signore – rispose questi, e la carrozza partì.

Kauneus rifulgeva di luce anche nella densità delle ombre della sera. Bastava un nonnulla: anche il più lieve bagliore della più piccola fonte luminosa veniva catturato dal kival, il marmo delle cave dei monti di Norden, che si diceva benedetto dalla Madre per via della sua capacità di catturare anche i raggi di luce più minuscoli durante il giorno e restituirli in mille splendidi riflessi dopo il crepuscolo. Il centro della città era quasi interamente costruito in questo materiale, dai lastricati delle strade alle facciate dei palazzi e degli edifici alle statue che li abbellivano.

Era da togliere il fiato, percorrere per quelle vie.

Lucius, che le stava seduto accanto, teneva le mani in tasca, e aveva lo sguardo perso nel vuoto al di fuori del finestrino. Era ora di cena: gli abitanti dei palazzi dovevano essere già tutti a tavola, chi riunito in una sala da pranzo a consumare un lauto banchetto, chi rifugiato in qualche taverna a fare baldoria con gli amici.

Prince, da gentiluomo qual era, evitò di fissarla e preferì dedicare la propria attenzione alle pozzanghere d’acqua che si erano formate sul pavimento, riverberando luci e ombre come acquerelli annacquati ai suoi piedi. Bello e altero, come un vero principe.

Il ritmico rumore crocchiante degli zoccoli dei cavalli sulla strada, su cui la neve non era riuscita ad attecchire a causa dei frequenti passaggi, cullava Regan come una ninnananna, appesantendo le sue palpebre. L’infuso che le aveva fatto bere Venena aveva perso i suoi effetti ormai da un paio d’ore e si era lasciato dietro una rinnovata mollezza. Chiuse un istante gli occhi, abbandonata al comodo poggiatesta del sedile, e desiderò un letto caldo in cui distendersi e arrendersi alla stanchezza. Aveva fame, ma l’urgenza del sonno era più pesante. Non seppe dire se si fosse addormentata veramente o se avesse solo perso la cognizione del tempo; la carrozza si era già fermata quando la voce di Lucius la risvegliò:

– Capolinea, cerbiattina. –

La aiutò a scendere, sostenendola quando il mantello se si attorcigliò tra le gambe, facendola inciampare, infine si fermò a ringraziare l’amico.

– È stato un piacere – si schermì Prince.

– Ora è meglio che porti Regan a riposare. È stata una lunga giornata. –

– Devo quindi presumere che un invito a cena a casa Edelberg sarebbe del tutto vano? –

– Per questa sera, temo di sì – Lucius gli sorrise con gratitudine e prese Regan sotto al proprio braccio. – Porta ai tuoi i miei saluti. –

Prince annuì sapientemente, come se dietro a quella semplice frase ce ne fossero mille altre più significative.

– Lo farò. Buona serata, Lucius – Prince riservò un cenno di riguardo per Regan.. – Madame. –

Un colpo di nocche al pannello di legno che lo separava dal vetturino, e questi spronò i cavalli, ripartendo per la loro strada, di ritorno verso la città. Lo stesso fecero lei e Lucius.

Avevano raggiunto la periferia della città, dove i quartieri si facevano radi e  le case più modeste e distanti tra loro. Un gufo bubolava arcigno sul ramo di una robusta quercia che incombeva sopra di loro. Il latrato di qualche cane, in lontananza, si perdeva del fischio del vento, che spazzava rapido l’ultimo tratto di pianura prima delle foreste di conifere, ora ammantata di un nitido candore. I tronchi degli alberi brillavano di una patina argentata che li faceva sembrare appositamente addobbati per qualche festività. Non doveva mancare poi molto al Solstizio d’Inverno.

Non era come in centro: lì la notte era nera e impenetrabile, e nemmeno la limpida stellata che accompagnava la luna piena riusciva a mitigarla.

Lucius inspirò a pieni polmoni, le braccia spalancate e la testa riversa all’indietro, un’espressione di pace e felicità impressa in faccia.

– Finalmente! – esclamò, beato. – Ti dirò, non speravo che sarei potuto tornare così presto. –

C’erano solo due casupole nei pressi, fatte di legno e pietre, una accanto all’altra, raccolte entro lo stesso muricciolo a secco. Il loro aspetto non era pretenzioso, ma sicuramente ispirava accoglienza. C’erano delle luci accese dietro alle finestre di quella di sinistra. Solo cercando di sbirciare dentro alle stanza, Regan si rese conto di un dettaglio stupefacente: lungo i davanzali e i ballatoi di entrambe le abitazioni prosperava un rigoglio di fiori di diverse specie e colori, ora chiusi in attesa che il sole risorgesse.

– Posticino delizioso, vero? –

Lucius la guardava aspettando un commento. All’improvviso si era animato di un entusiasmo incontenibile e Regan non poté fare altro che seguire la corrente.

– È casa tua? –

Lui sollevò le spalle.

– Diciamo che è il posto in cui vivo – disse, indicando quella di destra.

E casa tua allora dov’è? –

Un sospiro languido gli gonfiò il petto.

– Be’, come si dice: casa è dove è il cuore. Non è necessariamente un posto, un punto definito, no? – sussurrò, restando a fissare l’abitazione che aveva di fronte. I suoi occhi rispecchiavano il cielo e un’emozione forte a cui Regan non seppe dare un nome. – Penso che ciascuno di noi riesca a vedere la sua casa in cose diverse. Per alcuni è un tetto sopra la testa, per altri il luogo in cui abita la famiglia, per altri… – Un sorriso involontario gli scivolò sulla bocca, tingendola di qualcosa che ricordava la malinconia, ma dal retrogusto più dolce. – Altri trovano la loro casa in una persona, in una mano che ti accarezza, in un paio di occhi da incontrare dopo una lunga separazione. Sai – si girò verso di lei, abbassando lo sguardo con fare quasi divertito. – C’è chi in un paio di occhi ha trovato il mondo intero. ­­–

Un’immagine le divampò nella mente, un lampo fugace privo di trama e significato: due occhi scuri, venati di bronzo, che nascondevano quello che forse poteva essere il fantasma di un sorriso. Svanì in quell’istante stesso, così come era venuta, e Regan restò sola con il suo vuoto.

Quelle parole così belle e toccanti l’avevano gettata in uno strano sconforto. Più si cercava dentro, scavando nella nebbia e strappando ragnatele di confusione, più si convinceva che per lei non c’era mai stata nessuna casa. Era uno strano fenomeno quello che provava in certe occasioni, come quando era uscita dal covo di Angina e si era ritrovata circondata dalla natura, o come poco prima, quando aveva toccato la neve: conosceva la sensazione, sebbene non ricordasse di averla sperimentata, eppure questa acquisiva concretezza solo dopo averla vissuta, come se il suo precedente conoscerla fosse solo il banale risultato di una descrizione imprecisa a opera di qualcun altro.

– Su, vieni. –

Lucius le afferrò un polso, ormai già proiettato verso mete mentali che lei avrebbe scoperto solo a momenti. La condusse alla porta della casa con le luci accese e bussò, un sorriso sgargiante che gli andava da un orecchio all’altro, come un soldato che rientrava a casa dopo lunghi anni di guerra.

Si sentirono dei passi provenire dall’interno, voci sommesse che si parlavano. Un attimo dopo, la porta si aprì.

La donna che apparve sull’uscio era giovane e di una bellezza florida e fresca che poteva appartenere soltanto a un essere umano. Il viso pulito, un ovale perfetto, era rischiarato da un’evidente gioia, così come gli occhi, grandi e grigi, orlati da ciglia scure.

Da qualche parte, giù, nel profondo, una parte sconosciuta del cuore di Regan gemette.

– Lucius! Oh, santo cielo, che bella sorpresa! –

Una cascata di capelli bruni piovve sulle spalle di Lucius, mentre la donna si gettava tra le sue braccia per stringerlo a sé.

– Eleonora. –

C’era un tale amore in quel tono che la neve si sarebbe potuta sciogliere da un momento all’altro, vittima di un calore che nemmeno il sole stesso avrebbe potuto eguagliare.

Eleonora, ripeté Regan tra sé. Dunque non aveva preso un colossale abbaglio: quella che aveva davanti era davvero un’umana. Il che era quantomeno bizzarro, dato che i soli umani che solitamente avevano occasione di calpestare il suolo delle Sette Terre erano quelli presi in consegna dalla Lega, in seguito a qualche abuso ad opera di criminali Occulti in cerca di fonti di guadagno alternative.

Finalmente, dopo un abbraccio che durò molto più di quanto necessario, Lucius si ricordò di lei e la presentò all’umana:

– Eleonora, lei è Regan. Sarà nostra ospite per un po’. Regan, Eleonora. –

– Lieta di fare la tua conoscenza – Eleonora le prese una mano tra le sue e gliela strinse.

– Si saluta così, nel suo mondo – spiegò Lucius a Regan, che aveva già fatto due più due da sola.

Eleonora li fece entrare e Regan si sentì accogliere da un buonissimo profumo di torta alle mele.

All’interno la casa era esattamente come Regan la aveva immaginata: colori caldi di legno e scoppiettii di camino acceso, trapunte di pezze colorate ripiegate accuratamente un po’ ovunque, un paio drappeggiate disordinatamente sopra un sofà nella sala circolare che faceva da anticamera.

– Siete arrivati giusto in tempo per la cena. Stavamo preparando la tavola. –

Il plurale si spiegò non appena fecero ingresso in cucina: un bambino che non poteva avere più di dodici anni – non sei, come un bambino umano, perché la sua era una palese natura di demone – era intento a disporre delle posate accanto ai due piatti che già aveva sistemato sulla tavola imbandita. A parte la zazzera bionda, era in tutto e per tutto identico a Eleonora.

– E questo bravo ometto è il nostro piccolo Calien – annunciò Lucius, indicandolo.

Appena lo vide, il bambino abbandonò la propria occupazione per saltargli precipitosamente al collo con l’euforia di un figlio che ritrovava il padre.

Regan scacciò via come mosche moleste i pruriginosi interrogativi che la scena le suscitò e si obbligò a concentrarsi sulla tavola: scorse un cestino di pane fresco con accanto una zuppiera fumante dall’invitante aroma di spezie e verdure stufate, e una serie di tortini di riso e patate impilati in un vassoio da portata. L’appetito si risvegliò nel suo stomaco.

– Accomodati, Regan, non fare complimenti! –

Eleonora la spinse gentilmente verso una delle sedie e la fece sistemare.

Consumarono insieme tre squisite portate, dividendosi porzioni esigue, dato che Eleonora non aveva atteso ospiti per cena, ma il pane di segale e la torta di mele ancora calda supplirono egregiamente alla mancata abbondanza del resto del pasto.

Regan conobbe così Eleonora Ferrante, figlia di duchi di un reame delle terre degli umani, e suo figlio Calien, che scoprì essere figlio di un demone. La loro storia era triste, piena di incomprensioni e separazioni dolorose. Eleonora aveva solo diciannove anni quando aveva conosciuto Hermes, giovane demone che una notte, durante una pattuglia, la aveva sentita gridare in un vicolo e la aveva strappata alle grinfie di quattro malviventi appena prima che questi riuscissero a metterle le mani addosso. Da quella volta, ogni notte il demone tornava a farle visita, e non portava scuse con sé, se non la voglia di rivederla. Da lì, il passo verso l’amore era stato breve, e presto Eleonora si era resa conto di aspettare un bambino. Una notte, dopo un breve periodo di assenza, Hermes tornò a cercarla, ma lei non c’era più. I suoi genitori, ciechi timorati di Dio, avevano preso molto male la sua storia d’amore con la loro unica figlia, e avevano dunque deciso di ripudiare la ragazza e rinchiuderla in un convento a espiare i suoi peccati. Hermes, da quel giorno, non la rivide mai più, né conobbe mai suo figlio. Lucius lo conobbe durante una missione per conto della Lega: riverso a terra con gli occhi vitrei, bianco come un cencio, ma incredibilmente ancora vivo. Qualcuno aveva tentato di rubargli l’anima, ma aveva compiuto un’opera alquanto maldestra, e lo aveva lasciato lì, ad agonizzare attendendo la fine. Non era stato in grado di parlare, ma Lucius gli aveva letto negli occhi una preghiera, e nella sua mente aveva trovato Eleonora. Compresa quale fosse la supplica che quell’estraneo gli stava urlando in silenzio, gli promise che ci avrebbe pensato lui. Un secondo dopo, Hermes spirò.

– Quando finalmente riuscii a trovare Eleonora, fu difficile spiegarle la situazione – stava raccontando Lucius, nostalgico, un bicchiere di sidro di mele cotogne in mano, comodamente sprofondato in una poltrona dall’alto schienale.

Finita la cena, si erano spostati nel salottino che faceva da anticamera alla cucina e ora sedevano davanti al fuoco, godendone il tepore. Il piccolo Calien, accoccolato in grembo alla madre, dormiva profondamente.

– All’epoca lavoravo coma cameriera in un’osteria di basso borgo – ricordò Eleonora, lo sguardo distante, perso in affanni fortunatamente remoti. – Ero fuggita dal convento subito dopo aver partorito, perché temevo che mi avrebbero portato via il mio bambino. Ero costretta a spostarmi spesso, perché lui cresceva più lentamente dei suoi coetanei, la gente lo avrebbe guardato con sospetto, e io non volevo che gli fosse fatto del male. –

Accarezzò con una tenerezza dolorosa il visetto tondo del figlio, salendo tra i capelli, e un sorriso la colorò di serenità.

– Quando Lucius venne da me, capii subito che cos’era. Capii anche che era successo qualcosa a Hermes. –

Un cesto di noci, nocciole e mandorle dolci occupava il tavolino su cui si andò a posare il suo sguardo, e qualche candela profumata di cannella gli bruciava intorno. Seduta a terra dal lato opposto, le gambe piegate al petto, Regan ascoltava rapita, assorbendo con inconsapevole avidità i meravigliosi gesti materni di Eleonora.

– Mi disse che non potevo rimanere lì, che non saremmo stati al sicuro. Mi fidai all’istante della bontà nei suoi occhi. –

Lei e Lucius si sorrisero. Regan comprese di aver avuto la medesima fiducia istintiva verso di lui.

– Mi fece raccogliere le poche cose che avevo e ci portò qui, in questo posto splendido, e da allora ha sempre avuto cura di noi. –

– Incredibile che siano già passati dieci anni – sospirò lui.

Regan provava una stima sempre maggiore verso Lucius: fin dal primo momento aveva intuito che fosse una brava persona, degno di fiducia, ma ogni istante se ne convinceva di più, e nuove prove consolidavano il suo valore.

– Era solo un ragazzino – continuò Eleonora. – Ma sapeva il fatto suo. Ha avuto del fegato a portarsi a casa da un giorno all’altro una ragazza sola con un bambino. –

– Sciocchezze – Lucius sventolò una mano con noncuranza. – In tutte le Sette Terre non ho ancora avuto modo di incontrare una cuoca brava come te, né così avvenente. È stato tutto un mio guadagno. –

Le gettò un’occhiata sorniona. Lei rise.

– Sei un vile adulatore. –

A Regan piaceva ascoltarli. Chiacchieravano con confidenza, in un’intimità calorosa che sapeva di lenzuola pulite, latte e biscotti la mattina, abbracci e carezze prima di andare a dormire. Forse non erano esattamente una famiglia, ma senza alcun dubbio qualcosa che ci andava molto vicino.

Si lasciò viziare da quell’atmosfera, coccolata da un benessere di riflesso che la faceva sentire protetta, al sicuro.

– Ho il sospetto che la mia cerbiattina abbia bisogno di una bella dormita. –

Lambita dalla voce premurosa di Lucius, Regan aprì gli occhi, non senza una certa fatica. Non si era nemmeno accorta di essersi appisolata.

– Avanti, bella addormentata, andiamo, o mi toccherà portarti a letto in braccio. A meno che non sia esattamente questo il tuo scopo. –

Regan abbozzò un sorrisino ironico.

– Può darsi. –

Quella che avrebbe dovuto essere una replica ad effetto contro una deliberata provocazione, fu disgraziatamente rovinata da uno sbadiglio inopportuno. Lasciò che Lucius la tirasse su di peso, senza alcuna fatica, come se fosse stata una piuma, e si sfregò gli occhi appesantiti dal sonno. Era stata una giornata interminabile, troppo ricca di eventi per una che si era risvegliata, senza un passato, la mattina stessa.

Prima di andare, Lucius aiutò Eleonora a portare Calien di sopra per metterlo a letto. Eleonora scomparve per un minuto in un’altra stanza, riemergendone con una pila di biancheria pulita, che consegnò a Regan.

– C’è anche una camicia da notte. Se ti servisse qualsiasi altra cosa, basta che tu venga a bussare, d’accordo? –

– Grazie –  biascicò Regan, commossa.

Lei e Lucius diedero la buonanotte, poi uscirono all’aria glaciale della notte. Era un piccolo trauma, dopo aver trascorso ore intere nella confortevole ospitalità della casa di Eleonora, ma durò poco: Lucius aprì in fretta la porta dell’altra casa. Non era chiusa a chiave. Dentro era identica all’altra, altrettanto pulita e calda, solo con un aspetto molto meno vissuto. Lucius non doveva passarci molto tempo. Bastò uno schiocco delle dita – che Regan sospettò essere puramente scenografico – perché tutte le lampade della casa si accendessero di colpo.

– Be’, eccoci qui. Benvenuta nella mia umile dimora, madamigella. –

Il profumo, lì, era di legno e fiori secchi. Regan ne vide una dozzina di mazzi che pendevano da una trave nel salotto: rose, soprattutto, ma anche fiori di campo, girasoli, peonie, lavanda. Erano bellissimi, alcuni più scoloriti di altri, ma tutti perfettamente conservati. Era uno spettacolo di natura morta che le risultò immensamente triste.

Stava per domandare se si trovassero lì per un motivo particolare, ma Lucius le fece cenno di seguirlo su per la stretta scala di legno:

– Vieni, ti mostro la tua stanza. –

Il piano di sopra, come quello della casa di Eleonora, consisteva in un corridoio su cui si affacciavano tre porte: due camere da letto e una stanza da bagno.

– La mia stanza è questa qui – Lucius indicò la porta sulla destra, poi aprì quella dirimpetta. – E qui starai tu. So che non è granché – aggiunse a mo’ di scuse. – Purtroppo sono un tipo poco casalingo. –

Ma, alla luce di luna che entrava dall’ampia finestra accanto a lei, Regan la trovò perfetta: il pavimento era quasi integralmente nascosto da un tappeto quadrato decorato a motivi geometrici; un letto grande stava a ridosso della parete di fronte a lei, coperto da un lenzuolo bianco. Accanto a esso, un cassettone ospitava uno specchio ovale orientabile e un candeliere a cinque braccia. Sul lato opposto della camera, un caminetto era incassato nel muro, sormontata da una mensola massiccia.

All’improvviso Regan si sentì un’intrusa. Lucius non aveva doveri verso di lei, nessuno lo obbligava a farsi carico di lei e del suo benessere, della sua sicurezza, e lei non aveva alcun modo di ricambiare la sua ospitalità.

Non aveva niente.

– Mi dispiace darti tanto disturbo. –

Per tutta risposta, Lucius le arruffò i capelli.

– Il letto è già pronto, basta solo che tu sposti il lenzuolo – le disse poi, come non l’avesse sentita. – Fa’ come se fossi a casa tua, intesi? Io vado a prendere qualche coperta e un po’ di legna per il camino. –

Regan si strinse al petto il fagotto affidatole da Eleonora, piena di riconoscenza.

– Grazie… di tutto. –

– Sei una gradita ospite, credimi. –

Le fece piacere sentirselo dire, soprattutto perché il suo tono prometteva sincerità.

Rimasta sola, raccolse il lenzuolo e lo ripiegò con cura, appoggiandolo sul cassettone, poi si svestì. La parte più complicata fu slacciare il bustino: lacci intrecciati e annodati tra loro, così ingarbugliati per le sue mani inesperte che le venne voglia di cercare delle forbici per tagliarli. Alla fine, dopo che fu miracolosamente riuscita a districarli, le sembrò di alleggerirsi di diversi chili. I suoi polmoni raddoppiarono di capacità, senza quell’aggeggio infernale. Sentendosi leggera come una libellula, Regan si sbarazzò di tutti i vestiti e li gettò alla rinfusa su una sedia in un angolo e si infilò la camicia da notte. Non era come quella che si era trovata indosso quella mattina, risvegliandosi. Anche questa era di lana, ma lavorata in modo finissimo, che rendeva il tessuto liscio e soffice. Era bella, orlata di merletti, con la scollatura arricciata da un nastrino che la chiudeva al centro con una piccola asola.

Si avvicinò allo specchio e si sciolse lentamente i capelli, sistemandoseli con le mani; vide che la treccia li aveva fatti diventare mossi e ondosi, soprattutto verso le punte. Lo sguardo le cadde sul candeliere: Lucius si era scordato di accenderglielo. Le candele erano nuove, gli stoppini ancora bianchi, intatti dalla morsa del fuoco. Sarebbe bastato così poco per farvi divampare delle fiammelle…

Qualcosa le formicolò nelle vene, solleticandole le dita, la schiena, la nuca. Fissò la candela centrale con insistenza, focalizzandosi proprio al centro di essa, perché era lì che sarebbe dovuto comparire il fuoco. Una scintilla sola sarebbe bastata. Una sola. L’immagine era ben nitida nella sua mente come un’allucinazione. Le sembrava quasi di vederlo davvero: una rapida, violenta, bollente esplosione di fuoco.

Fuoco.

E fuoco fu.

Regan trasalì nel vedere quell’unica lingua dorata sprigionarsi dal nulla proprio sotto ai suoi occhi. Stupefatta e orgogliosa al contempo, si dedicò anche alle altre quattro candele, e ciascuna si accese mansueta. Gocce più copiose stillarono dalla sua sottile spaccatura recondita.

– Siete presentabile, milady? –

– Sì – fiatò, senza riuscire a smettere di ammirare incredula il proprio modesto, straordinario operato.

Lucius entrò. Con la coda dell’occhio Regan notò che portava delle coperte sotto a un braccio e un fascio di legna nell’altro. Guardò prima lei, poi le candele accese, poi di nuovo lei, e infine si avvicinò, sorpreso quanto lei.

– Credevo non fossi in grado di farlo. –

– Lo credevo anch’io. Cioè, non ci riuscivo davvero, quando eravamo nello studio di Castalia. Non so perché adesso ce l’abbia fatta. –

– È un buon segno, comunque – si complimentò lui. Le lasciò le coperte ai piedi del letto e accatastò i ciocchi dentro al focolare.

– Sapresti accendere anche questo? –

– Malfidente! –

Forte del successo avuto con il candelabro, Regan non esitò a raccogliere la sfida: come prima, cercò di visualizzare quanto intenzionata a fare accadere, poi si concentrò a fondo, ricalcando esattamente il medesimo procedimento. Tutto ciò a cui portò uno sforzo non trascurabile fu solo un principio di mal di testa e qualche refolo di fumo che saliva ozioso dalla legna.

Lucius scoppiò a ridere:

– Non strapazziamo troppo la tua salute, oggi hai anche fatto abbastanza. Lascia fare a me –

Un’occhiata fu sufficiente, e la legna già crepitava dietro a uno scudo di rame.

– Ottimo – Lucius valutò la stanza girando su sé stesso. – Penso non manchi nulla di fondamentale. C’è qualcos’altro che ti potrebbe servire? –

– Direi di no – sospirò lei. Si lasciò cadere a peso morto sul letto, esausta. Sedette a gambe incrociate e il suo pensiero vagò al futuro, facendola sentire in trappola: alle sua spalle c’era un ponte crollato verso un passato che forse non avrebbe mai più raggiunto; davanti aveva solo incertezze, dubbi da risolvere, speranze forse vane da rincorrere. La sua vita era in mano ad altre persone: spettava a degli estranei ricostruire la sua storia, trovare le sue radici, raccontarle chi era stata, e chi conosceva, se mai, poi, ne fossero stati in grado.

– Regan ­­– Lucius le sedette accanto con un’inconsueta compostezza e si passò la lingua tra le labbra, incerto. – So che non dev’essere piacevole ritrovarsi senza una memoria su cui poggiare i piedi, ma ti prometto che farò tutto quanto in mio potere per aiutarti. Ci sarà pur qualcuno, là fuori, che sappia dirci chi sei. –

– E se invece non ci fosse? ­Se io non dovessi riuscire a ricordare? –

– In tal caso dovresti semplicemente accettarlo e ricostruirti una vita. A volte ricominciare da zero è meglio di quanto ci si possa immaginare. Cancellare il tutto il mosaico e ridisporre i tasselli in un disegno completamente nuovo… non è sempre un male. –

Qualcosa che vibrò nella sua voce disse a Regan che non si trattava di un’osservazione casuale.

– Parli per esperienza? –

Il ghiaccio dello sguardo di Lucius scivolò su di lei in una tacita ammissione, procurandole un brivido.

– Ci sono cose che non si possono cancellare – disse. – Il massimo che puoi fare è accartocciarle e nasconderle in fondo a un cassetto, e pregare che nessuno le trovi mai. –

Regan non gli chiese altro, perché sentiva che non era il momento. Quel frammento di confessione non era lì per essere snodato, ma solo per dimostrarle che Lucius voleva davvero stabilire un rapporto con lei.

– Perché lo stai facendo? – gli chiese nel silenzio. La trapunta sotto ai suoi piedi nudi profumava di bucato.

– Facendo cosa? –

Regan non si lasciò ingannare tal tono ignaro.

– Tutto questo. Mi hai portato a casa tua, mi terrai tra i piedi per chissà quanto tempo... –

– Ti darò la stessa risposta che è fu data a me a suo tempo, per questa stessa domanda: siamo sempre responsabili delle vite che salviamo. –

Regan annuì debolmente.

– Sì, certo. –

Non sapeva perché fosse così delusa. Dopotutto, non c’erano molte altre motivazioni che potessero spingere qualcuno a farsi carico di un’emerita estranea.

– Con questo non voglio dire che ti sto aiutando perché mi sento in dovere di farlo – specificò immediatamente Lucius, forse intuendo il corso dei pensieri di lei. – Lo voglio fare, e basta. –

– Non sai nemmeno chi sono. Non lo so nemmeno io. –

Per Lucius, però, la cosa sembrava non avere la benché minima importanza.

– Non sono le memorie a fare di noi ciò che siamo, ma le esperienze vissute. Cosa importa, poi, se non te ne rammenti? Resti comunque sviluppata su quelle stesse fondamenta. Il passato è passato: non ritornerà, e l’impronta che ha lasciato dentro di te non è cambiata. Un quadro non perde bellezza solo perché la mano che l’ha dipinto muore. –

Regan dovette riconoscergli un notevole talento dialettico. Ci sapeva fare con le persone, anche nelle situazioni più complesse: sapeva sempre cosa dire e come, modulando opportunamente la voce a seconda dell’interlocutore e del livello del dialogo. Era una cosa che aveva già notato nel vederlo interagire con Castalia.

– Adesso è meglio che tu ti metta a dormire – le disse, alzandosi. – Buonanotte, cerbiattina. Ci vediamo domattina a colazione. –

Obbediente, lei fu più che felice di infilarsi sotto le coperte e tirarsele fino al mento. Anche se il materasso non fosse stato così comodo e le lenzuola così profumate, era certa che avrebbe riposato benissimo.

– Buonanotte, Lucius. –

Lui si fermò a tirarle le tende sui raggi di luna e spense le candele, poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle con un suono secco.

Fuori, la foresta cantava la sua melodia con la cadenza tipica di una terra profumata di freddo e magia. Immersa nel buio totale, protetta dalla semplice certezza che Lucius sarebbe stato lì vicino, Regan poté finalmente chiudere gli occhi e lasciarsi sprofondare nell’abbraccio del sonno.

Quella notte sognò lievi cascate di fili di rame e squarci di sangue su candida pelle.

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Lady Vibeke