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Autore: Argorit    11/03/2011    7 recensioni
Meliandra, la principessa del regno di Ader, viene mandata da suo padre a compiere una missione essenziale per la sopravvivenza del popolo. Ad accompagnarla, Farin, un giovane mercenario, potente, spietato e dall'oscuro passato.
Insieme, dovranno salvare il loro mondo dalla minaccia di un essere millenario, una creatura fatta di odio e da esso alimentata.
Ma ce la faranno?
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[Cit]
-Andrà mai via?- chiese Meliandra, fissandosi le mani ancora grondanti d'acqua gelida.
Farin la guardò a lungo, con attenzione. Sapeva cosa avrebbe dovuto risponderle, ma se l'avesse fatto, di quella ragazza non sarebbe rimasto che un guscio vuoto, un mero simulacro di quella che sarebbe potuta essere una magnifica regina.
Quindi, suo malgrado, si chinò su di lei, la avvolse con proprio mantello e le sussurrò -No, non lo farà. Solo gli stolti credono che il tempo lenisca ogni ferita-
-Ma allora cosa devo fare? Come posso convivere con questo? Io non sono forte come te, io non posso andare semplicemente avanti, dimenticando quello che è successo!-
Il ragazzo le rivolse il sorriso più gentile che poteva. -Allora combatti ancora, perchè il dolore che provi ora non sia vano-
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                            ANNUNCIO
                                                                                                                 Regno di Ader. Rublia. Anno 1859.
 
La stanza era immersa nella penombra. Le candele, ridotte allo stoppino, stentavano ad illuminare l’oscurità. Al centro dell’ambiente vi era un grande tavolo di legno, ingombro di carte, libri e rotoli di pergamena. Ad una sua estremità, intento a consultare delle mappe, era seduto un uomo. Di quasi cinquant’anni, aveva una corporatura ancora invidiabile, con muscoli possenti e tonici, temprati e mantenuti dai costanti allenamenti a cui si sottoponeva, che risaltavano sotto la tunica di stoffa leggera che aveva indosso. I lunghi capelli striati di grigio scendevano liberi e disordinati fino alle spalle, incorniciando un viso dai lineamenti duri e autoritari e due penetranti occhi nocciola.
Scorse una serie di rapporti di confine, sospirando sconsolato.
« Non vi è dunque altro modo, amico mio?» Chiese all’uomo alla sua destra: un vecchio alto e dinoccolato.
«Temo di no maestà. Questa è l’unica possibilità che il fato ci ha concesso.»
Il re sospirò nuovamente «Mi risulta comunque difficile affidare una missione di tale importanza alla mia unica figlia, spero che questo lo capirai.»
Il consigliere lo squadrò da capo a piede, sperando di fargli capire quale assurdità avesse appena detto. «Maestà, conosco quella ragazza dal giorno in cui è nata, e la sua sorte mi è cara tanto quanto lo è per voi. Anch’io preferirei evitare di farle correre questo rischio, ma bisogna anteporre il bene del regno ai nostri sentimenti; inoltre, anche se all’apparenza può non sembrare, la principessa è una delle maghe più dotate del regno, e sono sicuro che tornerà sana e salva.»
«Lo spero.» Sussurrò il re: non era la forza della figlia a preoccuparlo. «Ora però mandala a chiamare.» Il consigliere annuì e dette istruzioni ad un servo. Dopo neanche cinque minuti di attesa le porte della stanza si aprirono, lasciando entrare la ragazza. Il re si riempì gli occhi di quella visione: amava sua figlia e lei, come per ricompensarlo per tutto l’affetto ricevuto, diveniva ogni giorno più bella.
Quella sera indossava una semplice tunica di seta verde, del colore dell’erba fresca, mantenuta aderente al corpo da una cintura legata poco sotto il seno florido. I capelli, neri e setosi, le scendevano dolcemente fino alla vita sottile, danzando intorno alla sua esile figura ad ogni movimento. Un cerchietto d’argento le ornava il capo, impedendo che la chioma le finisse davanti agli splendidi occhi blu profondo. Le leggere scarpe di tela volteggiavano aggraziate sulla pietra del pavimento senza produrre alcun rumore. Un sorriso, venato da una nota di preoccupazione vista l’ora tarda a cui era stata convocata, le illuminava i lineamenti delicati del volto.
«Buonasera padre.» Sussurrò la giovane, mantenendosi ad una certa distanza dal sovrano. « E buonasera anche a voi zio Nahir.» Disse rivolta al consigliere.
«Buonasera a te Meliandra.» La salutò il re. «Non restare lì, avvicinati.» La principessa rimase sorpresa di quello strappo alla consuetudine, che voleva una distanza minima dal monarca di almeno due metri. Questa regola valeva anche per i membri della famiglia reale e della corte, ad eccezione della regina e del consigliere prediletto. La ragazza, tuttavia, si affrettò ad ubbidire, sedendosi accanto al padre.
«Per caso hai avuto notizia di quei villaggi di confine distrutti dai banditi?» Meliandra storse la bocca e annuì. Le era stato riferito che alcuni villaggi erano stati attaccati e rasi completamente al suolo. In nessun caso erano stati trovati sopravvissuti, e sia i cadaveri sia le macerie erano stati dati alle fiamme, come a voler eliminare ogni traccia del proprio passaggio. La gente mormorava che probabilmente si trattava di una nuova banda di predoni, come ne stavano spuntando molte di recente.
La voce profonda del re interruppe le sue rimembranze. «Non si è trattato di banditi.»
La principessa alzò la testa di scatto, stupita. «E di cosa allora?
«Quei villaggi sono stati distrutti dall’esercito reale di Ansha, il regno con cui confiniamo a Ovest.» Fu come se l’uomo le avesse dato un pugno alla bocca dello stomaco. Meliandra si accasciò per un istante sulla sedia, inerte.
«Ci hanno dichiarato guerra?» Mormorò.
Il re scosse la testa. «No. Per il momento stanno tentando di non farsi scoprire.»
«Per quale motivo re Atren ha impartito simili ordini? Non è mai stato un uomo bellicoso.»
«Re Atren è morto due settimane fa: assassinato. Ad aver impartito questi ordini è stato con ogni probabilità suo figlio, Alner.»
«Ma perché?» Sbottò la ragazza, esasperata dalla reticenza del padre. Aveva capito che sapeva qualcosa, glielo leggeva negli occhi.
L’uomo emise un ultimo, sfinito sospiro, e disse alla figlia tutto ciò che sapeva. La vide perdere progressivamente colore, fino a diventare pallida come un cadavere, cosa che preoccupò non poco il re.
«So che ti sembra impossibile, e anch’io, se potessi, non ti caricherei di un simile fardello. Ma non temere, non sarai sola» Disse il monarca per tranquillizzarla.
«Avrò dei compagni?» Chiese la ragazza, tentando di riprendersi. Non voleva apparire debole di fronte al padre.
«Uno.» Intervenne Nahir. «Un mercenario di Ansha che gode di una certa fama anche qui da noi.»
«Perché prendersi il disturbo di assoldare un mercenario? Potrei farmi accompagnare da un membro del nostro esercito.» Stentava a comprendere il motivo di una scelta così rischiosa. Certo, capiva perché suo padre volesse che fosse accompagnata da un guerriero esperto, ma perché un mercenario? Avrebbe potuto tradirla, se qualcuno gli avesse offerto più soldi di quanti non facesse lei. Quelle persone pensavano solo al proprio tornaconto. Decise tuttavia di attendere la risposta del padre, prima di contestarlo.
«Perché quel mercenario e la tua metà.»Ribatté secco il re. Meliandra spalancò la bocca in una muta espressione di stupore.
«Capisco.» Mormorò accarezzandosi la mano sinistra, sul cui dorso un tatuaggio azzurro disegnava un arabesco incompleto sulla sua candida e delicata pelle.
«Partirai domattina all’alba, e ti recherai ad Ansha. A Zavren, la capitale, per l’esattezza. Lì troverai il mercenario, gli darai le informazioni che riterrai necessarie e contratterai il suo prezzo. Se necessario, hai il mio permesso per prosciugare la sala del tesoro.»
«Ora, però, andate a salutare vostra madre.» Disse Nahir, inserendosi nella conversazione.
La giovane annuì, fece un leggero inchino e se ne andò.
Certa di non essere più esposta agli occhi di nessuno si appoggiò alla parete, respirando pesantemente nel tentativo di frenare le lacrime. Non voleva e non poteva mostrarsi debole. Era una principessa, e come tale era suo dovere essere forte e salda nelle azioni e nelle decisioni; il popolo in lei doveva vedere una guida e un esempio, non una pavida ragazzina spaventata dal futuro che le si prospettava.
Con grande sforzo sgombrò la mente, calmandosi quel tanto che bastava per non tremare, e si avviò verso le stanze di sua madre. Camminava spedita, salutando garbatamente, ma in modo conciso, i pochi servitori che ancora si aggiravano per i corridoi del castello, occupati da chissà quali incombenze.
Quando le guardie la videro arrivare si fecero da parte con un riverente inchino, permettendole l’accesso alla camera da letto della madre. L’interno era identico a quello che ci si sarebbe aspettati di trovare nella stanza di una bambina: le pareti erano dipinte di un rosa leggero; la mobilia era completamente sommersa da pupazzi di ogni forma e dimensione, sparpagliati alla rinfusa senza nessun senso logico. Il grande letto a baldacchino che torreggiava imponente ad un lato della camera era sfatto, con le lenzuola gettate a terra.
Sua madre era seduta su una grande poltrona di velluto. In mano stringeva un orsetto di pezza, che carezzava con la cura che sarebbe stata riservata ad un neonato. Al vedere la figlia gli occhi le si illuminarono. Mise da parte il bambolotto e le corse incontro, abbracciandola felice.
«Ciao mamma.» Sussurrò la ragazza all’orecchio della donna.
La regina la squadrò con curiosità e preoccupazione. I grandi occhi blu, identici a quelli della figlia, la osservavano attentamente. «Hai paura di qualcosa Mel?»
«No, non preoccuparti.» La rassicurò lei. «Sono solo venuta a salutarti.»
«Vai via?» Piagnucolò lei. Due lacrimoni le spuntarono agli angoli degli occhi.
La principessa sorrise mesta. Due anni prima la donna era stata vittima di una grave malattia. Per salvarla erano stati chiamati a corte i migliori guaritori del regno e, seppur con difficoltà, la sua vita era stata salvata, ma il prezzo da pagare era stato alto: il morbo si era portato via una parte di lei, lasciandola con la mentalità di una bambina.
«Si, devo andare, ma tornerò presto.» La consolò la giovane, carezzandole con dolcezza i corti capelli rossi. La donna, tuttavia, non pareva convinta, ma la figlia sapeva come farle riacquistare il buon umore. «E magari» Disse con un mezzo sorriso.«se, e ripeto se, farai la brava mentre non ci sono, potrei anche decidere di portarti un regalino.»
Il volto della donna si rasserenò. «Allora ti devo dire una cosa.»
Meliandra la guardò incuriosita. «Cosa?»
«Il tuo futuro è accanto alla luce.»
La giovane inarcò un sopracciglio. «Che vuol dire?»
«Non lo so! So solo che te lo dovevo dire.» Trillò lei con un sorriso smagliante prima di tornare a dedicarsi al suo pupazzo.
Meliandra la baciò sul capo e se ne andò: aveva molto da fare prima dell’alba.
 


voooooooooooooooooiiiii!!!!!!!! Come vi va la vita gente? (Ti presenti dopo due settimane e questo è tutto quello che hai da dire!?Nd Voi incazzati come caimani stitici per il mio mastodontico ritardo.)
*Si inchina conficcando il capo nel suolo* Chiedo scusaaaaa*Piange* ma tra l'interrogazione di filosofia sui sofisti e socrate, letteratura italiana e greca, matematica e scienze trovavo a stento il tempo per andare al bagno. D'ora in avanti cercherò di essere il più puntuale possibile, ma non garantisco nulla. Il liceo classico è duroT_T. Ora vi saluto, e attendo i vostri commenti, buoni o negativi che siano.
P.S. In questo commento ho inserito una piccola citazione, chi mi sa dire qual'è e da dove viene?

  
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