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Autore: _Trixie_    29/05/2011    1 recensioni
I Black mi ripudiarono, ripudiarono Sirius il Traditore, votato a cause scialbe come la giustizia, la cavalleria, la fiducia. Divenni lo sporco Grifondoro.
Ma questo non era ancora successo quando la rividi, dopo molto tempo.
[...]Bellatrix, la primogenita altera, elegante, splendida.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Bellatrix Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Più contesti
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She, who always seems so happy in a crowd
Whose eyes can be so private and so proud
No one’s allowed to see them when they cry
She maybe the love that cannot hope to last
May come to me from shadows in the past
That I remember ‘till the day I die

Lei, che sempre sembra così felice tra la folla
Di cui gli occhi possono essere così privati e così orgogliosi
A nessuno è permesso vederli quando piangono
Lei può essere l’amore che non può sperare di durare
Può venire da me dalle ombre del passato
Che ricorderò fino al giorno in cui morirò

(She - Elvis Costello)


Anche quella piacevole estate finì, portandosi via gli ultimi momenti felici passati con Bellatrix.
Il primo settembre iniziammo entrambi il primo anno ad Hogwarts. Eravamo al settimo cielo: lontani dalla famiglia, soli io e lei.
Occupammo un intero scompartimento del treno di Hogwarts. La cosa fu possibile grazie al nostro cognome che, scoprimmo ben presto, incuteva un certo timore e rispetto.
All’arrivo al castello ci accolse la professoressa McGranitt, che ci guidò nella Sala Grande e ordinò tutti gli allievi del primo anno in ordine alfabetico. Fino a quel momento era stata l’unica a non dimostrare quel rispetto reverenziale nei nostri confronti. La mia reazione fu di ammirazione e curiosità, Bella invece mi sembrò indispettita.
La lunga coda di bambini fece il suo ingresso nella maestosa Sala Grande, dove gli altri studenti erano già seduti, impazienti e affamati.
Mentre procedevo tra i lunghi tavoli gremiti di studenti, sentii tutti gli sguardi puntati su di me. Provai un leggero fastidio. Bella invece sembrava trovarsi a proprio agio tra la folla, sembrava che non le importasse degli sguardi di centinaia di studenti, come non le importava del loro giudizio.
Lei era una Black, portava il nome di una stella, cosa avrebbe dovuto temere?!
Davanti al tavolo degli insegnati c’era un basso sgabello di legno, su cui era appoggiato un malconcio cappello. Mi avevano parlato di quel cappello, era il Cappello Parlante, che decideva in quale casa di Hogwarts avresti passato quei sette anni di scuola: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero o Serpeverde.
Davanti a noi c’erano pochi studenti e ben presto la professoressa McGranitt chiamò “Bellatrix, Black”. Bellatrix scattò in avanti per sedersi sullo sgabello e calarsi sulla testa il Cappello, così come avevano fatto tutti gli altri prima di lei.
Il Cappello Parlante sfiorò appena i lucenti ricci corvini di Bella e urlò “Serpeverde!”
La casa verde e argento esplose in urla di gioia. Era naturale che un Balck finisse a Serpeverde, ma era comunque motivo di vanto. Sirius si accigliò. I pregi dei Serpeverde erano l’ambizione, la determinazione e l’astuzia. Ma era anche la casa dove la purezza di sangue era più importante di ogni altra cosa.
La McGranitt chiamò lo studente successivo “Sirius, Black”. sentire pronunciare il mio nome mi riscosse dai miei pensieri e sedetti al posto appena lasciato libero da Bella.



Incrociai lo sguardo di mia cugina, seduta tra i Serpeverde, accanto un posto vuoto, per me.
Il Cappello Parlante venne posato sulla mia testa, seguirono attimi di silenzio.
Davanti a me, solo il sorriso di Bella.
Avrei voluto raggiungerla, sedermi vicino a lei, dimostrarle che ancora una volta non l’avrei abbandonata.
Poi pensai che Serpeverde non la casa adatta a me, che rappresentava tutto ciò da cui volevo fuggire.
Ma Bella era là ad attendermi, per abbracciarmi e sorridermi come piaceva a me, con la prospettiva di passare sette anni insieme.
Era là ad attendermi con le sua ridicole idee sulla purezza di sangue.
Il Cappello Parlante urlò.
“Grifondoro!”
Sulla sala calò il silenzio.
Un Black. Un Grifondoro. Un Traditore.
Non distolsi i miei occhi da quelli di Bellatrix: vidi tutte le sue certezze, le sue illusioni, i suoi sogni infrangersi e andare in pezzi. Ricambiò il mio sguardo di scuse con uno di gelido disprezzo. Seppi con certezza che avrebbe voluto piangere, urlare e disperarsi come mai in tutta la sua vita.
Ma ovviamente non se lo permise, rimase seduta composta, apparentemente impassibile alla sentenza del Cappello Parlante che per lei era sentenza di morte “Grifondoro!”
I suoi occhi tornarono impenetrabili, privati e orgogliosi.
Finalmente il tavolo di Grifondoro esplose in grida di giubilo.
Fui costretto a distogliere il viso da quello perfetto di mia cugina e venni accolto dal tavolo rosso e oro come un fratello, o un amico che non vedevano da anni.
Ero amareggiato, ma per la prima volta in tutta la mia vita, mi sentii a casa.
Accolto, accettato, libero.



Bellatrix fu la ragione che mi spinse ad infrangere le regole della scuola per la prima volta.
Volevo parlarle, confidarle i miei pensieri, le mie ragioni, ottenere il suo perdono.
Subito dopo il banchetto venni condotto nel dormitorio di Grifondoro, ma vi rimasi per pochi minuti. Scesi di corsa le scale, tornando all’ingresso della Sala Grande, giusto in tempo per vedere un Prefetto di Serpeverde che conduceva i nuovi studenti nella loro sala comune.
Li seguii silenzioso, nascondendomi dietro le colonne e spiando Bella che conversava con degli studenti più grandi.
Scoprii che per entrare nella loro sala comune bisognava attraversare un muro nei sotterranei e prestai attenzione alla parola d’ordine. Poi, sempre silenziosamente, tornai nel mio dormitorio. Mi coricai con tutti gli altri, dopo aver parlato del più e del meno, con apparente noncuranza. In realtà non aspettavo altro che il castello cadesse nel sonno, per raggiungere Bellatrix.
Finalmente, potei scivolare giù dal letto e poi dalla torre di Grifondoro fino ai sotterranei di Serpeverde. Appena entrato notai che era pieno di teschi e altri manufatti non proprio allegri. Tirai un sospiro di sollievo, avevo temuto che qualcuno fosse ancora sveglio e allora sarebbero stati guai.
Trovai velocemente la strada per i dormitori, ma dietro la prima porta che aprii vidi solo ragazzi addormentati. Con la seconda ebbi più fortuna: erano ragazze.
Una di loro stava piangendo silenziosamente, con le tende del letto a baldacchino tirate.
Con una stretta al cuore riconobbi quei singhiozzi. Era Bellatrix.  
Lei dovette sentire la porta aprirsi, perché tacque immediatamente e rimase in ascolto.
Sussurrai il suo nome.
Mi riconobbe. Mi intimò di andarmene.
Non le prestai ascolto, mi avvicinai a lei e mi sedetti sul letto dopo aver scostato le tende.
Alla flebile luce della luna, notai che si era asciugata gli occhi, ma che erano ancora arrossati. Glielo feci notare.
-Hai gli occhi rossi. Hai pianto-
-Ti sbagli, sono stanca. Vattene, lurido traditore, o mi metto a urlare-
-Ascoltami prima, per favore-
Bella non rispose, continuando a guardarmi con quegli occhi neri carichi di odio e disprezzo.
Decisi di continuare.
-Non ha importanza la Casa cui apparteniamo. Le nostre ideologie non devono influire minimamente sul nostro rapporto. Sei sempre mia cugina-
-Tu non sei mio cugino. Mi ha promesso che non mi avresti mai lasciata, che mi avresti protetta. Io mi sono fidata, che ingenua! Che stupida! Mi hai mentito, mi hai deluso. Tu per me sei morto!-
Quel suo bisbiglio mi trapassò il cuore da parte a parte.



Bella si girò malamente e io capii che non c’era più nulla da fare, che l’avevo persa per sempre, a causa dei miei ideali.
In fondo avrei dovuto saperlo.
Ma i miei sogni erano ancora interamente fatti di lei. Il mio sogno era ed è lei.
La mia chimera, la mia stella, la mia Bellatrix.
Mia? Non era più mia e, forse, non lo era mai stata.
Ma l’amavo, l’amavo ardentemente e l’amo tutt’oggi.
Lei è quel tipo di amore privo di ogni purezza o innocenza.
E’ quel tipo di amore che diventa dipendenza e bisogno.
E’ quel tipo di amore che non ha alcuna speranza di durare, ma che si rivela un’eterna dannazione.



Tornai nel dormitorio di Grifondoro trascinando i piedi. Tornai nel mio morbido letto a baldacchino e piansi, come stava facendo Bella.
Mi addormentai solo dopo molto tempo, o forse solo dopo qualche minuto, sopraffatto dal dolore di averla persa.
La sognai per tutta la notte, anzi, la ricordai per tutta la notte.
Ricordai ogni Natale passato insieme a Grimmauld Place. Ogni cena, ogni matrimonio cui entrambi eravamo stati costretti a partecipare, vestiti da damerini e obbligati a comportarci come tali. Ogni gioco che avevamo condiviso. Ogni sorriso che mi aveva regalato. Ogni sguardo che ci aveva legato.
Ricordai quelle ultime due estati. Gli sguazzi nel ruscello, i litigi con Andromeda, la decisione del nostro matrimonio. Quel matrimonio che non era ancora stato celebrato, ma che già apparteneva al passato.
Bellatrix tornava da me da quelle ombre sfiorite. Ero sicuro che non l’avrei dimenticata fino al giorno della mia morte.

Fino ad oggi infatti, non l’ho dimenticata.
 

   
 
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