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Autore: Lady Vibeke    20/06/2011    5 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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17. L’ALTRO SEGRETO DI LUCIUS

 

Forgive me for what I have been
Forgive me my sins

– The Truth Beneath The Rose, Within Temptation –

 

 

– Ebbene, come procedono le cose con la tua protetta? La sua memoria ha fatto progressi? –

Lucius si era messo a proprio agio nello scranno, a sottintendere con la sua solita, rischiosa insolenza che si trovava lì per una pura e semplice gentile concessione della sua presenza.

Dall’altra parte della scrivania, gli occhi severi di Castalia lo soppesavano attentamente in attesa di una risposta, ma lui era troppo impegnato a fissare le punte infangate dei propri stivali con il solo scopo di darle sui nervi per darle retta.

Alle spalle di Castalia, a sorvegliare la scena come un avvoltoio, stava una giovane guardia che lo sogguardava con disgusto, le mani giunte dietro la schiena, eretto e composto come una statua. Lucius sospettava che si trovasse lì in qualità di semplice testimone della conversazione. Castalia in genere se ne procurava uno quando subodorava possibili menzogne in arrivo, e quindi, nel caso di colloqui con Lucius, sempre. L’ultima volta c’era stato Shin, ma non era stata una scelta saggia: erano troppo amici, loro due, e la signora Coordinatore Generale doveva essersene avveduta, nel frattempo, dato che aveva disposto diversamente la situazione. Shin, infatti, era fuori ad aspettare assieme a Regan che l’interrogatorio di Lucius, fatto passare per aggiornamento, terminasse e concedesse loro di ritornare alle loro indagini.

Erano stati richiamati a Medilana il giorno dopo il loro arrivo a Lumbar, probabilmente perché alla Sede Centrale era giunta notizia che si fossero recati in un luogo di dubbio interesse culturale. Dopotutto, tanto peggiore era la fama di certe località, tanto più intensa era la presenza sotto copertura della Lega.

– Lucius – la voce impostata di Castalia vibrò pericolosamente. – Non abusare della mia pazienza. Ho questioni urgenti di cui occuparmi: ho quarantotto salme, nell’obitorio, che attendono un’autopsia, e altre sette presso il Nucleo di Radislav, quindi ti sarei grata se almeno tu mi semplificassi le cose. –

Qualcosa in quello che aveva detto carpì l’attenzione di Lucius.

– Le quarantotto salme sono quelle dei cadaveri recuperati alla Corte, giusto? – ragionò, e la donna annuì. – Le altre non mi risultavano. –

Castalia si compiacque di vedere che ci fosse qualcosa di lui non era al corrente.

– Sono fuggiaschi sopravvissuti al crollo. Si nascondevano in un rifugio sotterraneo dalle parti di Helgard. –

Lucius collegò subito la notizia con quanto gli aveva detto Soile durante il ballo in merito a una sua breve permanenza a Mauercast per questioni importanti.

– Radislav e Soile hanno elaborato un’ottima tattica di stanamento – proseguì infatti Castalia, e sembrò provare un piacere perverso nel ricordargli di quella collaborazione. – Purtroppo però gli uomini incaricati dell’operazione hanno avuto seri guai a causa di un imprevisto. –

– In che senso? –

L’espressione grave e tesa che si aggiunse alla risposta gli provocò un brivido freddo dietro al collo.

– I loro dardi avvelenati non hanno sortito effetti. Hanno perso un uomo durante una lotta corpo a corpo non pianificata. –

Lucius ebbe un terribile tuffo al cuore.

 

 

– Cosa credi che gli stiano facendo, là dentro? –

– Nulla di che. A Lucius piace tirare un po’ la corda, con Castalia. La starà facendo arrabbiare, come al solito. –

Regan era stupita dalla leggerezza con cui Shin parlava della sfrontatezza di Lucius verso un superiore. Che Lucius fosse un irriverente poco disposto a prendere sul serio l’autorità, ormai lo aveva capito anche lei, ma aveva creduto che Shin fosse più ligio a certe incombenze gerarchiche.

– So cosa stai pensando – le disse con un sorriso. – Io non sono esuberante come lui, ma abbiamo una cosa in comune: non amiamo gli abusi di potere, e, mi rincresce dirlo, spesso Castalia si lascia prendere la mano dalla sua posizione. Lucius in fondo non ha nessun vincolo diretto verso la Lega, quindi non è tenuto a rispondere alla sua autorità. Lo fa semplicemente perché gli piace farsi desiderare. –

Erano nella stessa posizione della prima volta che avevano atteso lì fuori insieme: gomito a gomito di fronte alla finestra, solo che stavolta non c’era la sera a farsi ammirare, ma una giornata fiacca e uggiosa.

– Benché gli piaccia essere una celebrità, non è una cosa che ha cercato lui. –

– E tu? Il membro più giovane della storia della Lega… tu non sei una celebrità? –

Gli occhi neri di Shin osservavano vacui il vento che danzava tra gli alberi spogli, sollevando turbini foglie da terra.

– Io sono un caso a sé stante. Sono fermamente convinto che Castalia mi abbia voluto nella Lega con lo scopo principale di tenermi sotto controllo, e secondariamente per sfruttare le mie capacità a proprio vantaggio. Io ero poco più che un bambino, ero solo, e stravedevo per le imprese di Lucius, e così acconsentii – la sua mano salì a sfiorare la Stella che gli pendeva poco più sotto delle clavicole. – Volevo solo essere utile, fare del mio meglio per aiutare chi potevo… non riuscivo a rendermi conto dei secondi fini di chi mi aveva offerto una tale opportunità. Se non altro adesso posso aiutare te. –

Si voltò verso di lei e le sorrise.

Regan realizzò che doveva la sua vita e il suo benessere anche a lui, che non aveva alcun dovere verso di lei, e pensò, vergognandosene, che al posto suo e di Lucius lei non era sicura sarebbe riuscita a rischiare tanto per qualcuno che nemmeno conosceva.

– Shin, posso farti una domanda? L’ho chiesto a Lucius e lui ancora non mi ha voluto rispondere. –

Si guardarono negli occhi e il silenzio di Shin fece da tacito consenso.

– Perché state facendo tutto questo per me? –

Le labbra di Shin si incurvarono dolcemente.

– Spetta a Lucius darti le sue motivazioni, ma a mio nome ti posso dire che so cosa si prova a sentirsi completamente soli al mondo, e se in qualche modo potrò aiutarti a ritrovare quello che hai perso, ne sarò lieto. –

Lo disse in modo così semplice e sincero che le parole colarono dentro come miele caldo a rasserenare ansie che prudevano alle mani che lei si torceva in grembo. Diversamente da Lucius, un’incognita torbida e fumosa, Shin le appariva trasparente e incorrotto da artifici di qualunque tipo, un’arma bianca che sapeva colpire e affondare senza ferire.

Grata della sua semplice presenza, regalo che già più di una volta si era dimostrato inestimabile, Regan gli si accostò un po’ più vicina e, timidamente, sfiorò le proprie dita contro le sue.

Bastò a provocarle la solita scarica di dolore capillare che si diffuse come una folgore dentro di lei, ma non le importò. Shin guardò in giù, stupito, ma lei gli sorrise, perché glielo doveva, ed era il minimo che potesse fare.

– Grazie. –

 

 

Lucius lasciò l’ufficio di Castalia circa venti minuti dopo che ci era entrato ed esibiva un’espressione così tronfia che Regan dovette mordersi la nocca di una mano per non ridere al pensiero di come potesse esserne uscita Castalia Reis da quella conversazione.

Lasciarono il palazzo della Sede Centrale e uscirono sulle strade ordinate e vivaci della capitale di Corterra. I carretti di dolciumi degli ambulanti erano assediate da adulti e piccini, che acquistavano ciambelle e cialde per compensare il grigiore del pomeriggio, e nelle botteghe e nei negozi c’era un viavai sorprendente di clienti e curiosi. Come a Cittanuova, i passanti erano di ogni provenienza e condizione sociale, ma lì tutto era a un livello più elevato, a partire dalla stessa sorveglianza: uomini in uniforme, infatti, pattugliavano le vie armati di tutto punto.

Mentre si dirigevano verso la piazza per prendere il Portale e tornare a Lumbar, Shin prese da parte Lucius e gli sussurrò qualcosa all’orecchio; Lucius rimase immobile per un momento, poi annuì e gli toccò appena la spalla, come a volerlo ringraziare di qualcosa.

Regan rimase a bocca aperta quando Shin le gettò uno sguardo fugace mentre le voltava le spalle e si allontanava.

– Dove sta andando? – domandò, allarmata. – È successo qualcosa? –

Lucius le cinse le spalle con un braccio e la guidò verso una panchina nei pressi di una grande fontana, dove la pregò di sedersi.

– Suppongo di essere stato abbastanza maleducato, con te, non è così? –

Regan non aveva idea di che cosa stesse parlando.

– È giusto che tu sappia come io sono diventato quello che sono, e soprattutto perché – sospirò lui. Il cuore di Regan prese a battere più forte. – Credo che quest’altro mio Segreto risponderà a più o meno tutti i tuoi legittimi interrogativi su di me, e sappi che non sono molti a conoscere quanto sto per raccontarti. –

La rassegnazione si mescolava a una strana forma di sollievo in quella frase stentata che gli uscì dalle labbra con il sapore dell’impotente accettazione verso un’imminente condanna.

– È una storia piuttosto lunga, sai, e avrei preferito raccontartela in altre circostanze. Magari seduti in una taverna davanti a una bella zuppa calda, ma in effetti, ripensandoci, non sarebbe stato consigliabile. –

Si interruppe, concedendosi un momento per riordinare le idee. Quando riprese il suo tono era più serio.

– Sono nato in una famiglia di agricoltori delle campagne di Sonnerg, e sono l’unico figlio che mia madre riuscì a dare a mio padre. Fui battezzato Luciferus – e la sua bocca si contorse in una smorfia di repulsione. – A dispetto della cattiva fama che quel nome portava, poiché il suo significato, portatore di luce, è considerato benaugurale, anche se alla fine non ebbe gli effetti sperati, per me come per il Lucifero delle leggende. – Penso tu comprenda il perché io abbia preferito cambiare, una volta entrato nella Lega. –

Si inumidì le labbra secche, i capelli neri mossi dal vento leggero che spirava da Nord.

– Non eravamo poveri, ma nemmeno abbastanza benestanti da poterci dedicare ad altro che alle coltivazioni. Sono cresciuto giocando da solo nei prati vicino a casa, ed è così che ho scoperto di cosa ero capace. Gli altri piccoli demoni giocavano a deviare i corsi d’acqua e ad accendere fuocherelli con i rami secchi, mentre io facevo crescere interi boschetti e conoscevo i pensieri di tutto il villaggio. Ero in grado di vedere l’anima delle persone attraverso i loro occhi, di capire quanto grande fosse l’energia che la Madre aveva donato loro. Ma ai miei non interessavano le mie doti; volevano solo che io imparassi a sfruttarle per coltivare i campi e accudire le bestie. Avrei voluto entrare alla Domus Aurea; anche se ne avevo solo sentito parlare, sapevo che era quello il posto in cui sarei dovuto stare, ma naturalmente non mi avrebbero mai ammesso. Trent’anni fa non era come oggi: dovevi essere raccomandato da qualcuno che contasse o avere un mucchio di soldi, per entrare, anche se eri estremamente dotato, e io non ero nessuno. A Talua, il mio villaggio, ero guardato con sospetto. Mi consideravano un ragazzo potenzialmente pericoloso, visto quello che facevo, e per questo i miei genitori avevano sempre fatto di tutto per scoraggiarmi dall’esercitarmi, e non volevo morire in gabbia, quando la Madre mi aveva fatto dono di ali tanto straordinarie. Scappai di casa che ero poco più che un bambino, ma logicamente non avevo nulla con cui mantenermi, né sapevo veramente cosa volessi fare della mia vita. Una cosa però la sapevo: non sarei tornato indietro. –

Regan ascoltava in silenzio. Le riusciva difficile credere che qualcuno potesse rinunciare alla propria famiglia solo per rincorrere un capriccio, soprattutto in età così giovane, ma forse certe cose erano scontate, per chi era abituato ad averle.

– So cosa stai pensando, cerbiattina, ma temo che il tuo stupore sia solo appena cominciato. Spero che la tua opinione di me non precipiti troppo, quando avrò finito. –

Regan non ebbe modo di rassicurarlo, di dirgli che nulla che lui le potesse raccontare avrebbe mai potuto cambiare ciò che lei pensava di lui, o in qualche modo sminuire la sua stima. Lucius riprese prima che lei potesse trovare la forza di aprir bocca.

– Quando raggiunsi la capitale della mia Terra, mi sembrò di avere la strada spianata davanti. Mi sentivo chissà chi, a vagare da solo per Vihrea, ma la verità è che ero solo un ragazzino troppo tronfio e stupido per capire che non c’era alcuna possibilità che quell’avventura che mi ero andato a cercare potesse concludersi positivamente. Solo pochi giorni dopo la fuga da casa, decisi di andare a cercare fortuna a Medilana e lì finii per incrociare il cammino del soggetto peggiore in cui si possa incappare. –

Per qualche ragione, Regan sapeva già di chi si trattasse.

– Gerjen, il Ladro di Anime? –

– Proprio lui. Più giovane, molto meno potente di oggi, ma già parecchio popolare tra quelli della sua risma. Riconobbe subito il mio dono, fiutò la rarità del mio grande potenziale, e decise di prendermi con sé. Accettai senza rifletterci troppo, allettato dalle sue promesse di grandi insegnamenti e ricchezze. Le mantenne, non posso negarlo, e mi rincresce ammettere che buona parte dei miei attuali poteri si sono sviluppati grazie a lui, ma in quegli anni che passai al suo fianco affrontai cose che mi segnarono per sempre, dentro e fuori. Non si diventa Ladri di Anime dall’oggi al domani. Almeno non quando si tratta di gente ai livelli di Gerjen. Ci sono prove da superare, per dimostrare di possedere un’adeguata competenza, e la spietatezza necessaria. Gerjen era molto ingolosito dalle mie capacità, ma non poteva arrischiarsi a prendere con sé un ragazzino smidollato. Mi chiese fino a che punto ero disposto ad arrivare per imparare a diventare il migliore, e io ero così sciocco e ambizioso che non mi feci scrupoli. Gerjen non ebbe alcuna pietà di me, anche se ero poco più che un bambino: mi sottopose a torture inumane allo scopo di temprare il mio spirito, di innalzare la soglia del dolore, cosicché, se un giorno per disgrazia fossi stato catturato, sarei stato pronto a resistere a qualunque mezzo di estorsione. Penso che credesse che non sarei mai riuscito a sopportarlo. Quando invece vide che resistevo, nonostante fossi ormai ridotto a qualcosa di appena più vivo di un fantasma, decise che ero degno di essere dei suoi.  

Lei capì che alludeva alle cicatrici che aveva sparse sul corpo, ma non solo. Lucius lasciò a lei il beneficio di immaginare in cosa consistessero esattamente quelle torture che le avevano provocate.

– Sono sempre stato considerato un mezzo prodigio e una mezza delusione, tra i Ladri di Anime. I miei… colleghi… non capivano come un ragazzo talentuoso come me si lasciasse limitare da sciocchi scrupoli morali. Ho ucciso molte persone, Regan – sospirò, con una dolenza che le arrivò dritta nelle vene. – E di questo mi vergognerò fino alla mia morte, ma mi sono sempre limitato a prendermi la vita di malfattori, traditori, ladri, e gente ritenevo fosse solo un bene eliminare. Questo non giustifica le mie azioni, ma mi sono sempre aggrappato al pensiero che se non altro non ho mai preso la vita di un innocente. –

Ora si spiegava quello scambio di battute che c’era stato con Castalia, giorni addietro.

“È solo una ragazzina.”

“Lo eri anche tu.”

A Regan sfuggì una lacrima. Sentiva quanto lui soffrisse nel rievocare per lei quei ricordi lontani e l’empatia agiva impietosa su di lei, premendole sulla gola.

– Provi disgusto per me, adesso? –

Il tangibile dispiacere che fece vacillare la voce di Lucius le parlò di un legame in cui non avrebbe mai nemmeno osato sperare. Lo abbracciò d’istinto.

– No – mormorò, tremula. Tirò su con il naso e lo strinse più forte. – Non potrei mai. –

– Non ero nemmeno maggiorenne quando fui arrestato. Io e i miei compagni ci eravamo imbattuti in una pattuglia della Lega. Ero rimasto ferito. Mi lasciarono lì, a vedermela da solo, e fui catturato dalla figlia del Coordinatore di Norden di allora. Fu proprio lei a chiedere che mi fosse concessa una grazia. Di norma per i Ladri di Anime è prevista la pena di morte senza nemmeno il diritto di processo. Lei venne a parlare con me nella mia cella. Volle sapere tutto di me e dei motivi che potevamo avermi spinto a diventare quello che ero. Per la prima volta in vita mia raccontai di me stesso in assoluta sincerità, e a una persona del tutto estranea. Non so perché decise di credermi, ma lo fece. Disse che si fidava di me. Si fece garante della mia buona condotta e si addossò la piena responsabilità delle mie azioni, senza nemmeno conoscermi, e in quel modo mi salvò la vita. La sua impeccabile reputazione bastò a convincere il Consiglio a concedermi una possibilità. Non so cosa le fece rischiare tanto per me, ma le devo tutto. Quel giorno stesso le giurai eterna fedeltà. – Lucius si voltò a guardarla intensamente. – Lei si prese cura di me, proprio come sto facendo io con te. Se non mi avesse aiutato, adesso sarei già tornato alla Madre da un pezzo, e non nel modo più piacevole. –

Il suo tono era cambiato, in quell’ultima parte. Da aspro di rimorso si era ammorbidito, trasformandosi via via in uno scorrere fluido che aveva lo stesso sapore di un sorriso.

Regan non aveva bisogno di chiedere chi fosse quella lei a cui lui si riferiva. Non era difficile indovinarlo. C’era una sola donna che lei conoscesse che corrispondeva a quella descrizione, e per un attimo dovette ammettere di esserle grata per quello che aveva fatto per Lucius. Questo però non cambiava i sentimenti di avversione che Soile le suscitava, e niente al mondo avrebbe potuto. E nel frattempo si torturava nell’incertezza, sforzandosi di individuare un confine tra la riconoscenza che lui provava per quella donna e la soglia di un tipo di attaccamento diverso, quello più temibile.

Se mai ne sia esistito uno. Sei la sua sia mai stata semplice gratitudine.

Lucius le appoggiò il mento sopra la testa e lei sentì la sua mandibola contrarsi mentre deglutiva.

– Ero solo e spacciato, e una sola persona ha fatto la differenza, per me – le disse. – Mi piace pensare che potrei essere stato quello che ha fatto la differenza per te. –

Regan si stringeva a lui e si sentiva coinvolta nella profonda emozione che quel ricordo gli aveva portato a galla negli occhi.

– L’hai fatto. Sarei già morta, se non fosse stato per te. –

E poi pensò a quanto gli voleva bene, sorprendendo sé stessa mentre il suo cuore si stringeva nel timore. Era possibile sentirsi già così profondamente legati a una persona, conoscendola da solo poche settimane?

L’affetto che trapelava dall’espressione vagamente malinconica con cui lui la stava osservando le diceva di sì.

Rimasero in silenzio per un po’, abbracciati, fino a che Lucius reputò di averle lasciato il tempo sufficiente di elaborare tutto quanto, e quindi la fece alzare e le porse un fazzoletto di lino per asciugarsi il viso.

– Adesso sarà meglio andare a cercare Shin e tornare a Lumbar prima che faccia buio. Domani ci aspetta una gita interessante. –

 

 

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A/N: ecco, il capitolo che tutti aspettavate. :) Banale? Forse. Ma è solo la punta dell’iceberg, per il momento. Scommetto che però sono sorte altre domande, nel frattempo. ;)

Ringrazio chi ha letto lo scorso capitolo e ha aggiunto la storia tra i preferiti, e in particolare chi ha recensito lo scorso capitolo:

Salamanca Tree Hiddle: è quando leggo commenti come il tuo che penso che forse prima o poi sarò davvero una scrittrice “di fama”. Vorrei davvero che chi ha il potere di realizzare i miei sogni, un giorno, possa pensare le stesse cose che hai detto tu. Grazie mille.

LovelyAndy: Shin non può “leggere” i sogni di chiunque, infatti è lui stesso piuttosto stupito quando si rende conto di cosa gli è appena successo. In risposta all’altra domanda, ti posso solo dire che Regan è nata con i capelli rossi e che quello che vede nei suoi sogni sarà spiegato, prima o poi. ;)

 Milou_: stessa risposta per te: Shin non può percepire i sogni della gente, normalmente, e lui stesso non si spiega né come possa essere accaduto questa volta, e nemmeno come sia possibile che lui senta familiare una voce che nemmeno lei sa bene a chi appartenga. Ti posso anzi dire che questo è uno dei misteri che non troverà risposta entro la fine di Innocence, ma si risolverà invece più in là, in uno dei libri successivi (se mai vedranno la luce ^^). Per quel che riguarda Aranel… resta sintonizzata e vedrai. ;)

 Iloveworld: ti ringrazio molto per tutti i complimenti! Prometto che appena avrò un po’ di tempo leggerò la tua storia e cercherò di darti qualche consiglio che possa sembrarmi utile. J

 

Ora vi lascio. Spero abbiate gradito. J Le recensioni sono sempre accolte a braccia aperte, l’unico “stipendio” che un’autrice amatoriale possa sperare di ricevere, quindi… grazie in anticipo!

 

Ma prima di chiudere, un assaggio del prossimo capitolo:

 

Era un angelo giovane, poco più maturo di Lucius, di carnagione pallida e lineamenti leggeri ed equilibrati, e anche se gli occhi erano chiusi, le sembrava quasi di intravederli, specchi di ambra scura, furbi e amichevoli. Vide che le sue braccia erano deturpate da una lunga fila di spesse cicatrici orizzontali lungo il tracciato che normalmente avrebbero segnato le vene, alcune completamente guarite, altre ancora incrostate di sangue. Era come se per mesi – o forse addirittura anni – fosse stato seviziato più e più volte da mani di precisione chirurgica. Una sola ferita era diversa: uno squarcio netto e ancora rosso nell’addome, profondo e spesso. Non aveva nemmeno avuto il tempo di rimarginarsi, segno che gli era stato inflitto appena prima che morisse. Probabilmente, anzi, era stato proprio quello a ucciderlo.

Fu quella riflessione a scuoterle la memoria. Cortine di oscurità si scostarono nella sua mente, denudando sprazzi di ricordi che le permisero di costruire qualcosa di tangibile.

Era lui. Era lo sconosciuto dai lunghi capelli ramati che così spesso le appariva in sogno.

 

   
 
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