Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: L_Fy    12/07/2011    2 recensioni
....Per me, le vacanze estive erano semplicemente Cresta del Gallo, con le sue terrazze ripide, con l’odore di bosco che filtrava dalle finestre la mattina, con il blu del lago a salutare in lontananza… e perché no, con la torretta di Villa Lazzari che svettava vicina, complice della mia solitudine poiché solo io potevo vederla e condividerne la solitaria bellezza.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nihil inimicus quam sibi ipse
(Cicerone)

L’estate era arrivata di gran carriera con scoppiettanti giornate piene di sole e notti placide e serene. La vita a Cresta del Gallo aveva preso binari quasi normali tra litigi fraterni, gite giornaliere al lago, serate in gelateria… e chiacchierate di nascosto alla fonte con Tobia Lazzari. Con enorme sollievo, mi ero accorta che la mia naturale riservatezza non gli dispiaceva, anzi sembrava contento di condividere “il nostro piccolo segreto idrico”, come l’aveva ironicamente battezzato. Non che quei brevi incontri giornalieri alla fonte fossero veramente eccitanti: io e Tobia chiacchieravamo semplicemente del più e del meno, scambiandoci opinioni sui più svariati argomenti. La sua cultura in ogni campo era di una vastità impressionante: non c’era libro che gli citassi che non avesse già letto, non c’era argomento che non sapesse affrontare con perfetta cognizione di causa… in più occasioni sfoggiò addirittura qualche frase in latino e greco dimostrando di conoscerli alla perfezione, senza contare altre lingue straniere che ogni tanto usava con la stessa indifferente familiarità dell’italiano.
“Quella scuola svizzera per ricconi che frequenti deve essere davvero buona.” gli dissi un giorno con aria vagamente invidiosa: in verità, non avevo mai incontrato un coetaneo istruito come lui e della mia cultura superiore mi ero sempre fatta un vanto segreto.
Tobia si strinse nelle spalle con un sorriso quasi triste.
“Davvero buona e davvero noiosa” sospirò “Dopo un po’, sembra che non ci sia più niente da imparare.”
“Hai un ventaglio infinito di possibilità” gli dissi con sincera ammirazione “Cosa hai deciso di fare dopo la scuola?”
Tobia si guardò le mani pensieroso ancora avvolto da quell’aura di tristezza.
“Chi lo sa” mormorò lanciandomi un breve sguardo cauto “Francamente, Lena, sarebbe meglio che non mi facessi queste domande. Mi deprimono.”
Chissà perché le sue parole mi irritarono.
“Ci sono tanti ragazzi che si deprimono per i motivi opposti ai tuoi” sbottai acida “C’è gente che sogna di poter fare certe cose ma non ne ha i mezzi.”
Tobia non se la prese: mi sorrise gentile e comprensivo.
“Tu sei una di queste?” mi chiese incuriosito.
Tentennai sulla risposta: non mi andava molto di svelare i miei segreti.
“Bè, sì” risposi riluttante “La mia famiglia campa con lo stipendio da insegnante dei miei genitori e con tre figlie a carico non è una passeggiata. Oltretutto, il ramo che vorrei seguire io è parecchio dispendioso.”
“E che ramo sarebbe?” domandò Tobia.
“Ricerca” risposi infervorandomi mio malgrado “Chimica e biologia sono le mie materie preferite, ma anche fisica nucleare è affascinante… il mio sogno è di arrivare al Cern di Ginevra.”
Arrossii vistosamente: non avevo mai confessato a nessuno le mie ambizioni che alla fine, in confronto con le infinite possibilità di Tobia Lazzari, sembravano quasi modeste. Tobia mi guardava attentamente in viso con una strana espressione negli occhi.
“Sembri così… entusiasta.” mormorò sottovoce.
“Lo sono” ammisi con una punta di vergogna “Che diavolo di sogni sarebbero se non fossero entusiasmanti?”
Tobia non sorrise: aveva di nuovo quell’ombra malinconica che gli oscurava il viso.
“Io non ho più sogni entusiasmanti” scandì con precisione “Invidio molto i tuoi.”
La sua affermazione mi fece ridere ma mi irritò anche.
“Oh, già” lo canzonai semiseria “Il povero bambino ricco che non trova più gli stimoli giusti perché ha già tutto. Che noia, che tedio la vita di voi divini! Scommetto che stai per piangere: vuoi dei Kleenex o ti soffi il naso nelle banconote da cento Euro?”
Tobia nascose un sorriso dietro a un finto sguardo addolorato.
“Tu mi ferisci.” si lamentò mentre io recuperavo il mio bottiglione d’acqua.
“Per così poco” lo canzonai “Domani porto il cilicio chiodato, così vedi cosa vuol dire essere davvero feriti.”
Il sorriso di Tobia si smorzò appena.
“Domani non ci sarò” dichiarò con voce neutrale “Vado con Ruggero a fare un giro in barca a vela.”
Non mi sfuggì il fatto che chiamasse suo padre per nome: noblesse oblige?
“Che sfortuna” sogghignai velenosa “I tediosi privilegi del povero bambino ricco.”
“Ne farei volentieri a meno” si imbronciò Tobia “Mi dispiace rinunciare al nostro appuntamento. Parlare con te è molto più divertente della barca a vela.”
Fece una smorfia simpatica mentre io affogavo nell’imbarazzo.
“Io invece andrò a fare un giro sul lago col materassino vinto coi punti del supermercato” mi affrettai a dire per cambiare atmosfera “Non so se hai presente il supermercato… quell’esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare dove noi poveri villici procacciamo il nutrimento…”
“Mi sembra di averne visto qualcuno, sì” sorrise Tobia di nuovo di buonumore “Ovviamente, solo dall’esterno.”
“Ovviamente” approvai avviandomi per tornare a casa “Buona vela allora domani.”
“E tu buon materassino” rispose Tobia “Però attenta ai pescecani.”
Chissà perché, sull’ultima frase sembrava molto serio.
*    *       *
Il mattino dopo il cielo era plumbeo, pieno di nuvole grasse e minacciose. Avevo già scartato la possibilità di scendere al lago quel pomeriggio per due ottimi motivi: primo, il tempo che prometteva temporali; il secondo per colpa di Filippo. Da giorni il mio amico sembrava intenzionato a “portare la nostra amicizia a un altro livello”, secondo l’entusiastico parere di Rossella. Lei e Marco sembravano prossimi alla dirittura d’arrivo, anche se erano ancora alle prese con una schermaglia relativamente banale, e probabilmente la solleticava l’idea di uscire a quattro, noi due sorelle e i due fratelli. Ovviamente, tr ame e Filippo non c’era storia, ma molto egoisticamente mi dispiaceva tagliare subito le gambe ai voli pindarici di Rossella perché avrei dovuto darle delle spiegazioni. Per liquidare mia sorella, un semplice “non è il mio tipo” non era sufficiente: mi avrebbe tormentato finché non le avessi parlato di Tobia, e io non volevo assolutamente rendere pubblica la nostra amicizia. Posto che fossimo amici: ancora non lo avevo capito bene. Tobia mi era simpatico ed era sicuramente un interlocutore vivace e attento, nonostante le zone d’ombra e la titubanza ad affrontare certi discorsi a mio parere assolutamente innocenti. Sembrava anche trarre piacere dalla mia compagnia e spesso faceva velate allusioni a questo fatto, ma mai una volta aveva accennato un benché minimo avvicinamento “fisico”. La cosa, al momento, mi andava più che bene, anche se sconcertava e mortificava un po’ il mio ego. D’altra parte, non avevo ancora capito se volevo piacergli davvero o no: ero lusingata dalle sue attenzioni, come da quelle di Filippo, ma sospettavo fosse più per un’egoistica questione di autostima che per vera attrazione fisica.
Comunque, visto che quel giorno non avrei incontrato Tobia alla fonte, non persi nemmeno tempo a curare il mio aspetto: mi avviai per il sentiero con i capelli legati a coda di cavallo, una maglietta residuato bellico della Rinascente, pantaloncini gialli da giardino d’infanzia e ciabatte infradito. Quando arrivai alla fonte e misi il bottiglione sotto la fonte, analizzai il riflesso della mia immagine sullo specchio d’acqua della vasca.
“Che orrore” gorgogliai facendomi le boccacce “Sembro il mostro della laguna.”
“Personalmente ho visto anche di peggio.” disse forte e chiara una voce dietro le mie spalle, facendomi quasi finire dentro la vasca con un penoso sobbalzo.
Mi girai di scatto, la mano sul petto a fermare il cuore come un’eroina vittoriana: Saverio Lazzari se ne stava comodamente appoggiato a un folto larice, impeccabilmente vestito di bianco come un guru indiano, arrogante e altezzoso ma anche vagamente divertito. La sorpresa improvvisa mi aveva fatto saltare il cuore in gola e le parole mi uscirono di bocca prima che potessi controllarle.
“Che ci fai qui?” chiesi con voce sferzante alzando il mento per aria: quando vedevo Saverio, invariabilmente mi mettevo sulla difensiva.
Lui non sembrò sorpreso dal mio comportamento: si strinse nelle spalle e un guizzo non proprio ostile gli animò gli occhi verdi.
“Ho controllato al Catasto i confini di proprietà” buttò lì con noncuranza studiandosi con cura le unghie della mano destra “A quanto pare questa meravigliosa e ambita fonte di acqua sorgiva si trova sul terreno dei Lazzari e non su quello della famiglia Mercati.”
Sentii il cuore precipitare di nuovo nei piedi mentre il sangue spariva dal mio viso per confluire tutto nello stomaco.
“Non è vero.” dichiarai con estrema sicurezza, e intanto già mi dibattevo alla ricerca delle parole giuste per uscire da quell’infelice situazione. Sorprendentemente, però, Saverio sorrise con gli occhi che scintillavano di malizia.
“Infatti non è vero” sogghignò “Ma il pensiero di vedere il dubbio attraversare la tua faccia era troppo divertente. Non ho resistito.”
Rimasi impietrita sul posto. Al momento, non sapevo se fosse più forte il sollievo o l’istinto omicida, quindi propesi per un oltraggiato silenzio.
“A mia discolpa, posso garantirti che la mia non era una bugia completa” aggiunse in fretta con voce di nuovo arrogante “Tra il terreno dei Lazzari e quello dei Mercati c’è una striscia di terreno demaniale. Questa fonte non è né mia né tua: in fin dei conti potremmo anche concludere che si trova in territorio neutrale.”
Lo osservai guardinga mentre cercavo di elaborare le sue parole e la sua espressione: entrambe non sembravano ostili, ma nemmeno amichevoli.
“Sbaglio o c’è un sottile doppio senso nelle tue parole?” domandai cauta.
Lo sguardo che mi lanciò Saverio, a metà tra il contrito e l’ammirato, mi scosse in maniera fastidiosa.
“Tobia l’aveva detto che eri sveglia.” mormorò come tra sé e sé.
Il pensiero di Tobia e Saverio Lazzari che parlavano di me mi gettò in una profonda crisi asmatica: per uscirne decisi di arrabbiarmi.
“Vediamo se ho capito bene” ringhiai incrociando bellicosamente le braccia “Tu non approvi affatto che il tuo prezioso fratellino faccia amicizia con una esponente del basso volgo, ma finché la cosa rimane circoscritta a questo metro quadrato di bosco, sei disposto a concedere la tua augusta benedizione. Giusto?”
Saverio smise di rimanere mollemente appoggiato al tronco d’albero per finirmi improvvisamente davanti con uno scatto rapido e aggraziato prima ancora di rendermi conto che si fosse mosso.
“Sei sveglia” scandì con malcelata rabbia repressa “Ma sei anche incredibilmente…”
Si bloccò come per cercare la parola giusta. Io, chissà per quale benedetta combinazione astrale, ero ancora immobile e lo guardavo a muso duro, apparentemente solida; in realtà ero caduta in una specie di ovattata trance immersa nella quale valutavo allarmata che Saverio era troppo vicino, che la sua presenza era troppo invadente… e che il suo profumo era troppo, troppo buono.
“Irritante.” concluse alla fine lui, riportandomi bruscamente alla realtà.
Feci un passo indietro, cozzando contro la vasca e svegliandomi dalla mia trance apparente.
“Bè, nemmeno tu mi piaci.” ribattei con voce molto acuta: quasi automaticamente le mie mani recuperarono il bottiglione e voltai le spalle a Saverio, felice di poter finalmente darmela a gambe.
“Ho detto che sei irritante, non che non mi piaci.” specificò alle mie spalle la voce di Saverio, evidentemente divertita.
Mi girai a guardarlo di striscio, furente senza nemmeno sapere bene perché.
“Allora lo dico io” risposi con forza “Non mi piaci. Sei un incredibile snob e oltre che irritante sei anche borioso. Non ho bisogno della tua approvazione per fare quello che mi va di fare, quindi se voglio parlare con Tobia ci parlo anche senza il tuo benestare in carta da bollo. E non c’è nemmeno bisogno che cerchi di evitarmi, in paese o per strada perché tanto sarò io a cercare di evitare te il più possibile. Ossequi, signor Lazzari.”
Gli girai le spalle impettita e marciai via il più velocemente possibile. Dopo qualche metro, quando fui sicura che non mi avrebbe seguito per mollarmi due sonore sberle come punizione per la mia maleducazione, potei ricominciare a respirare quasi normalmente. Non avevo proprio idea di cosa mi fosse accaduto: non ero mai stata così villana in tutta la mia vita e per reazione tremavo come una foglia. Arrivai a casa quasi di slancio sentendo addosso molto più freddo di quanto le condizioni meteorologiche facessero supporre.
“Che faccia!” sghignazzò Sabrina quando entrai in cucina e mollai il bottiglione sul ripiano “Che è successo, nel bosco hai visto un fantasma?”
Non le risposi, ovviamente, ma mi sentivo malissimo. Il fatto che Saverio a mio parere se la fosse cercata non mi consolava.
Forse fu per quell’assurdo e inopportuno senso di colpa che decisi di scendere al lago quel pomeriggio.
*    *       *
“Fossi in te rimarrei a casa” mi aveva avvertito nonna Rosa con saggezza “Il tempo promette pioggia e sai bene che oggi i tuoi vanno a fare la spesa in città: se inizia a piovere, ti tocca tornare su da sola.”
“Lo so, nonna” risposi sforzandomi di sembrare allegra “Metterò l’impermeabile sopra il costume da bagno.”
Rossella, già spaparanzata in posizione orizzontale sul suo letto, mi diede della pazza scatenata e non mi concesse nemmeno l’uso del motorino. Così io e la fedele bicicletta anteguerra del nonno scivolammo giù al lago sfidando il cielo sempre più plumbeo. Non sapevo bene perché mi comportassi così: forse perché la mia indole irrimediabilmente virtuosa non poteva sopportare l’idea di essersi comportata in modo così meschino. O forse, e questa ipotesi sembrava molto più vicina alla verità, volevo incontrare Saverio Lazzari per dimostrargli che in realtà non ero quel mostro di maleducazione che mi ero dimostrata. Infatti andai direttamente al molo dove i Lazzari avevano l’attracco per le loro imbarcazioni. L’acqua del lago era grigia e minacciosa quasi come il cielo e il vento sferzava aghi di aria fredda sotto la mia camicia di cotone. Ovviamente, nessuno dei Lazzari si presentò: in compenso vidi da lontano la figura dinoccolata di Filippo che mi cercava, ben avvolto in una giacca impermeabile col cappuccio alzato. Proprio mentre i primi goccioloni di pioggia iniziavano a scendere, scappai via come una lepre vigliacca cercando di non attirare la sua attenzione. Arrancavo su per la strada che portava a casa mia quando il temporale si scatenò in tutta la sua magnificenza: nel giro di qualche secondo mi trovai bagnata come un pulcino, ghiacciata fino al midollo e furibonda con me stessa per la mia plateale mancanza di materia grigia. Cosa pensavo di ottenere andando allo sbaraglio sul molo quando avrei avuto comunque una possibilità su cento di incontrare Saverio? Perché diavolo, soprattutto, avevo tutta quella smania di incontrarlo? Istinti omicidi o istinti suicidi?
Dopo pochi metri di inutili elucubrazioni dovetti scendere dalla bici e spingerla su per la salita. Le raffiche di vento e pioggia erano fortissime, tremavo dal freddo ed ero pericolosamente vicina a lasciare libero sfogo a lacrime di autocommiserazione, quando sentii il familiare rombo di un motore in rapido avvicinamento. Piena di speranza mi fermai sul ciglio della strada alzando una mano in alto, pregando con tutto il cuore che mamma e papà avessero miracolosamente fatto la spesa a tempo record. Invece, con mia cocente delusione, la macchina che sbucò dalla curva era la Maserati nera dei Lazzari. Sperai con fervore che al volante ci fosse Tobia, o Ruggero Lazzari o l’autista di famiglia o Jack lo Squartatore, insomma, chiunque ma non Saverio Lazzari: invece era proprio lui. La mia mano alzata si abbassò di colpo mentre l’auto mi sfrecciava davanti: rapido come un’ombra, mi sembrò quasi di cogliere il sogghigno del guidatore attraverso il finestrino rigato di pioggia. La frustrazione mi colse allo stomaco, riportandomi pericolosamente vicina alle lacrime.
“Stronzo!” esclamai non proprio sottovoce alla macchina in rapido allontanamento.
Ero sicura che non si sarebbe mai fermato quindi rimasi completamente di sasso quando la macchina inchiodò di colpo a cinquanta metri da me e tornò indietro in brusca retromarcia. Il finestrino laterale si abbassò elegantemente, mostrandomi la faccia furibonda di Saverio Lazzari.
“Hai detto qualcosa?” domandò con voce vibrante e occhi lampeggianti.
Di norma mi sarei scusata balbettando, e il primo istinto fu proprio quello: poi però, complice la pioggia scrosciante e il livore che mi covava dentro da giorni, trovai la forza per stamparmi un’espressione sorpresa e anche vagamente offesa sul viso.
“Certo che no.” mentii con una meravigliosa faccia tosta.
“Ho visto le tue labbra muoversi.” specificò Saverio sempre più cupo e arrabbiato.
“Stavo canticchiando.” ringhiai di rimando, sostenendo altezzosa il suo sguardo.
I suoi occhi guizzarono: se non fossi stata tanto arrabbiata, avrei giurato che fosse un lampo divertito.
“Vuoi un passaggio?” domandò maligno sorvolando benignamente sui miei capelli completamente bagnati e sulla camicetta ghiacciata incollata al corpo. Sapeva che mi sarei fatta tagliare una gamba piuttosto che accettare. Aprii la bocca per rifiutare con sferzante alterigia quando mi cadde l’occhio suoi costosi sedili di pelle nera della Maserati.
“Sì, grazie” risposi svelta “Ma devo caricare la bicicletta.”
Prima ancora che Saverio potesse protestare, avevo aperto la portiera posteriore della macchina e in qualche maniera avevo infilato la bicicletta nell’ampio spazio tra i sedili. Osservai con maligna esultanza i baffi di fango che la vecchia bici aveva lasciato sui sedili e sui tappetini lindi, prima di chiudere la portiera e di sedermi svelta sul sedile anteriore di fianco a Saverio. Non mi azzardai a lanciargli un’occhiata, ma le ondate di riprovazione che arrivavano da quel bel profilo patrizio non avevano bisogno di parole: sogghignai sotto i baffi mentre lui partiva in sgommata senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. L’abitacolo dell’automobile era di una semplicità e di una raffinatezza sconvolgenti: abituata alla Multipla di papà e alla sua guida pirata, non mi sembrava nemmeno di andare alla velocità che segnava il tachimetro. Mi appoggiai al sedile, massaggiandomi le braccia con le mani: la pioggia a Cresta del Gallo, riusciva a essere incredibilmente fredda e io mi accorsi in quel momento che stavo battendo i denti.
“Hai freddo?” domandò Saverio lanciandomi uno sguardo corrucciato.
“Sì” risposi sprezzante continuando a massaggiarmi le braccia “Maledette perturbazioni svizzere.”
La mia frase aveva un palese doppio senso ma Saverio glissò con eleganza: accese il riscaldamento e dopo pochi secondi un soffio di paradisiaca aria calda mi avvolse come un bozzolo. Smisi si tremare e feci un sospiro di sollievo.
“Che ti è saltato in mente di scendere al lago con quei nuvoloni che minacciavano pioggia?” domandò Saverio stizzito “Dovevi immaginarlo che avrebbe iniziato a piovere.”
Il suo tono saccente mi fece imbestialire ancora di più, quasi come la vergognosa consapevolezza che ero scesa al lago nell’assurda speranza di incontrare proprio lui.
“Dovevo incontrarmi con qualcuno.” buttai lì altezzosa. Bè, non era una bugia: piuttosto, una mezza verità.
“Chi, il figlio del macellaio?” chiese lui con blanda curiosità “Non mi sembra il tuo tipo.”
Ovviamente, il suo commento mi fece infuriare: avevamo scambiato al massimo due parole, anzi, mi aveva insultato con al massimo due parole, e già pretendeva di sapere quale fosse il mio tipo? Non andavo bene per Tobia, non andavo bene per Filippo, insomma, mi stava praticamente dando del relitto umano?!
“Non credo che mi conoscerai mai abbastanza per sapere qual è il mio tipo.” risposi piccata.
Lui mi lanciò uno sguardo sbilenco, rapidissimo e scintillante di ironia.
“Giusto.” rispose con enfasi.
Cadde un silenzio non proprio ostile: la Maserati scivolava via rombando sulla strada e io mi guardai intorno.
“E’ molto bella questa macchina.” dissi, maledicendomi subito dopo per essere stata involontariamente gentile.
“Grazie” rispose Saverio con quella sua bella voce bassa “E’ di Ruggero. Scommetto che sarà felicissimo di vedere come la tua bicicletta gli ha rovinato i sedili posteriori.”
Mi rivolse un breve sogghigno mentre io diventavo di colpo molle come cera fusa.
“Cavolo, mi dispiace” dissi sincera “Pensavo che la macchina fosse tua.”
Il sogghigno che gli scoppiò sul viso stemperò gli ultimi residui di irritazione.
“Oh, adesso si spiega tutto.” ammiccò intrigante mentre io arrossivo mio malgrado come una camionetta dei pompieri.
Si stava divertendo un mondo alle mie spalle e io non potevo fare a meno di essere furiosa.
“La tua automobile com’è?” domandai innervosita: potevo sempre farle scoppiare una gomma o qualcosa del genere se l’avessi vista passare.
“Ho una Golf” rispose divertito “Hai intenzione di caricare la bicicletta anche sulla mia?”
“Forse” risposi aggressiva “Hanno detto che pioverà spesso quest’estate. Fermati qui, grazie.”
L’auto si fermò dolcemente subito prima di imboccare il viale ghiaioso di casa di nonna Rosa. Saverio si girò a guardarmi inarcando le sopracciglia.
“Qui?” domandò sorpreso.
Decisi di scendere il più velocemente possibile: non potevo sopportare quella sua espressione altezzosa, i suoi occhi verdi e ostili mi mandavano in confusione e il suo profumo, che avevo sentito così chiaramente quel giorno alla fonte e che mi stava avvolgendo lentamente, mi metteva l’ansia. Eppure rimasi lì, aggrottata, bagnata come un pulcino a gocciolare sul sedile di pelle come se mi ci si fossero incollate le cosce.
“Perché qui?” mi chiese con voce più morbida: probabilmente aveva dedotto dal mio mutismo che fossi una mezza ritardata mentale.
“Non mi va che i miei mi vedano.” sbottai distogliendo veloce lo sguardo.
“E perché non ti va?” domandò ancora lui: sembrava davvero curioso. La mia mano sulla maniglia tentennò.
“La mia famiglia fa troppe domande.” ammisi controvoglia.
“E non vuoi dire loro che sei salita in macchina con me?” insistette: sembrava sinceramente sorpreso, ma non per questo mi arrabbiai di meno.
“Mi dispiace addolorare così il tuo ego” ribattei piccata “Ma è proprio così; non ho voglia di spiegare ai miei familiari perché ho accettato un passaggio da un perfetto stronzo.”
Ero stata volontariamente volgare e antipatica e lui, secondo i miei calcoli, avrebbe dovuto arrabbiarsi, invece sembrava divertito.
“Accidenti” ammise con titubante ammirazione “Confesso che ti avevo sottovalutata.”
Perché diavolo mi sorrideva, adesso? Era incredibilmente bello quando sorrideva: più di Tobia, più di un dipinto di Raffaello… sembrava un maledetto angelo, o un diavolo diabolicamente bello, o un misto dei due. Rimasi a guardarlo con espressione ebete mentre qualcosa di soffocante e rovente mi impediva la respirazione e mi incendiava le orecchie.
“Sei una continua sorpresa.” continuò lui mentre il sorriso si smorzava. Mi guardò negli occhi apertamente senza la solita cattiveria, con reticente curiosità e ancora più reticente ammirazione.
Tremai.
“Non scendi?” chiese amabilmente.
Non risposi: non ci sarei proprio riuscita, mi ero dimenticata come si faceva a parlare. Aprii in fretta la portiera e mi catapultai giù. Prima che lui potesse pensare che mi aspettavo aiuto per scaricare la bicicletta, l’avevo già tirata fuori dal sedile posteriore, strappandomi i muscoli del braccio destro nello sforzo. Fuori pioveva ancora a dirotto, ma la mia pelle era diventata insensibile. Irritata e spaventata, rimandai i perché a quando fossi rimasta prudentemente sola. Il finestrino del passeggero scivolò di nuovo silenziosamente giù e il viso di Saverio comparve sorridente e perfettamente asciutto.
“Sicura di non volere che uno stronzo ti dia un passaggio fin davanti casa?” domandò con allusiva allegria.
Mi impedii a stento di fargli un gestaccio.
“Sicura” risposi con un ringhio iniziando a spingere la bici davanti a me “Arrivederci.”
Stronzo, aggiunsi tra me e me. Lui sembrò intuirlo perché rise di nuovo.
“Una continua sorpresa.” ripeté tirando su il finestrino e sparendo silenziosamente dietro la curva.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: L_Fy