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Autore: gaccia    13/09/2011    21 recensioni
Cosa può spingere un giovane uomo, sano ed attraente, ad affittare una moglie?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Eccomi! Sono tornata!

Ecco cosa capita a scrivere i capitoli a pezzi invece che in ordine: volevo fare una cosa e invece mi è venuto tutto diverso. Questo capitolo risulta diviso in due parti. Avrei potuto postare due capitoli distinti, in quanto si prestavano, ma ho fretta di arrivare a Miami, come voi, quindi ho preferito aggiungere anche una seconda parte in modo di dedicare il prossimo capitolo alla destinazione.

Ringrazio con immensa commozione e una lacrimuccia, le recensioni (27, mio record assoluto) e chi ha messo la storia nei preferiti, ricordati e seguiti (dei quali sono arrivata a 154, il massimo per me, sogno mostruosamente proibito, oltre a ben 47 preferiti e 16 ricordati) e tutti i lettori silenziosi (complessivamente più di 700 accessi l’ultimo capitolo postato). Non so se merito tanta attenzione ma vi ringrazio di tutto cuore e spero di non deludervi nel proseguo della storia.

Adesso vi lascio a questo capitolo fiume, dalla gestazione lunga e complicata, Buona Lettura

 

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La mattina dopo mi svegliai senza alcun incidente. Ancora con gli occhi chiusi tastai l’altro lato del letto, tanto per verificare se Morfeo se ne era andato. Avevo sognato cose inenarrabili quella notte. Un marito nuovo e undici mesi di astinenza mi stavano facendo saltare gli ormoni e questo era altamente pericoloso.

Dovevo trovare una soluzione. Scartando la prima ipotesi di violentare il mio novello sposo, visto le implicazioni che potevano nascere da questa faccenda, sospirai e indirizzai la mia mente alla seconda ipotesi: auto soddisfazione. Il tradimento non era contemplato nei miei pensieri, anche se palpare un petto o un paio di natiche sode sarebbe stato sicuramente meglio.

Avevo appena iniziato a toccarmi il seno con una mano, mentre con l’altra scendevo verso le mie mutandine, quando il cellulare squillò sadico.

«Merda!» protestai, mentre mi allungavo per prendere l’infernale aggeggio e rispondere.

«Bella, ci sei? Oh bene sei sveglia. Devi venire qui subito. Oggi abbiamo un sacco di cose da fare e preparare per la tua partenza. Sbrigati. Ciao, cara». Rosalie? Credo di si! Mi chiesi se avrebbe avuto nulla da ridire se le avessi chiesto una prestazione sessuale, tanto per togliermi l’insoddisfazione che stava montando tra le mie gambe. Ripetei «Merda!». L’avevo sempre trovata una esclamazione così pittorica, profumata e con un certo spessore culturale, in fin dei conti, se l’aveva usata un generale di Napoleone, chi ero io per schifarla? E poi quando ci vuole ci vuole!

Mi alzai e mi preparai per l’incontro con Rose.

Preparai la portantina per il mio piccolo a quattro zampe ed iniziai a rincorrerlo per tutta la casa, che tra parentesi, non era neanche grande. Riuscii ad acciuffarlo dopo due tazze, una cornice, un quadro, due tende e un pezzo del divano fatti a pezzi. Un tornado avrebbe fatto molti meno danni.

«Rose, micetto, sei stato proprio cattivone con la tua mamma, che ti vuole tanto bene» a giudicare dai miagolii furiosi, dai soffi e dalle unghie che mostrava non credo che in quel momento l’affetto fosse reciproco.

Una maglietta larga e dei jeans furono sufficienti per consentirmi di uscire con la portantina e il borsone con gli oggetti del mio caro amico a quattro zampe. Cominciavo subito con il trasloco dell’elemento più importante. Poi avrei provveduto a tutto il resto.

Questa volta il portiere di Rosalie, mi guardò con aria schifata. O aveva trovato una donna, o ero proprio messa male quella mattina.

Optai per l’indifferenza, che mi guardasse o meno non erano problemi o affari miei.

«Bella, finalmente! COSA E’ QUELLO!» l’acuto della mia amica fece tremare i vetri dell’appartamento e credo anche quelli del piano di sotto.

«Ti ho detto che ti portavo Rose» risposi pacata «Dove lo metto?»

«Di sicuro non qui! CLAIREEEEEEEEEE!» ma che fine aveva fatto la sua educazione? Neanche uno strillone dei giornali urlava in quel modo. Rischiavo il mal di testa di primo mattino (le 10 e trenta per la cronaca, cioè l’alba per me da quando non lavoravo)

La stangona anoressica arrivò di corsa, in bilico sui trampoli stellari. Ok adesso la mia già precaria autostima poteva andare a farsi friggere.

«Prendi il gatto e toglilo di torno, deve stare ad almeno 2 stanze lontano da me. Trattalo bene! È della nostra cara Bella, che non ha la minima considerazione per la mia allergia!» ma cosa aveva mangiato quella mattina a colazione? Latte scaduto? Troppo poco, qui centrava anche lo yogurt avariato e l’olio di ricino.

«Adesso che abbiamo risolto il caso di Tope…» disse

«Rose! Il gatto si chiama Rose, proprio come te! Non è difficile» interruppi leggermente esasperata, adesso però basta!

«Va bene, ROSE. OK?» concesse. Ricominciò con un tono più dolce.

«Scusami ma questa mattina e ieri sera è successo di tutto ed ho dovuto stare alzata buona parte della notte per risolvere alcuni problemi. Adesso sono un pochino stanca» in effetti i suoi occhi erano un po’ marcati e la pelle appariva visibilmente tirata ma faceva comunque la sua splendida figura, proprio come me a giudicare dal portiere (e questo era sarcasmo).

«Va bene. Adesso dimmi perché mi hai chiamato con tutta questa urgenza» ritornai al problema principale.

«La ragione è una sola: Abiti» rispose telegrafica Rosalie.

 

Perché ci fosse tutta quella fretta e quell’ansia racchiuse in una sola parola, non lo seppi mai. Rosalie possedeva un guardaroba grande quanto l’archivio notarile di stato, perché agitarsi?

«Prima di tutto! Destinazione Miami, quindi Florida. Uhm… caldo, sole, luglio e agosto».

«Quando finirai di elencare le cose più ovvie, chiamami» risposi sbadigliando ed accomodandomi sulla poltrona che mi aveva fatto cenno di avvicinarmi con il bracciolo.

Avevo le allucinazioni da sonno, dovevo vergognarmi?

«Stavo solo ragionando a voce alta. Dunque, dobbiamo portare vestiti per otto settimane. Quindi ci saranno otto venerdì, sabati e domeniche e anche giovedì non si sa mai» elencò Rosalie assorta

«Anche otto lunedì, martedì e mercoledì se è per quello» risposi ridendo.

«Io pensavo a quanti abiti per la sera dovevi portare, però hai ragione. Non è il caso di fossilizzarsi sono sui fine settimana».

«Sei pazza? Vuoi rifilarmi sessanta abiti da sera?» adesso mi sentivo come una rana: con gli occhi fuori dalle orbite.

«Veramente pensavo più a trentacinque, però se pensi che non siano sufficienti…» mi guardò come se aspettasse davvero una risposta affermativa.

«Rosalie. Sai chi sono? Ti ricordi come mi chiamo? Hai battuto la testa tra ieri e oggi?» ero preoccupata. Se non mettevo un freno a questa aliena, mi sarei ritrovata la sua stanza stipata nelle mie valigie, pardon, bauli.

«Dai Bella. Stavo scherzando. Certo avrai bisogno di alcuni abiti per tutte le occasioni, ma non credo che ti picchierà qualcuno se, per una determinata occasione, tu andassi a comperare quanto necessario. Ti ho consegnato le carte apposta, in ogni caso non ti riempirei mai solo di vestiti da sera…» e guardando la mia faccia con la mascella cascante, iniziò a ridere, tanto da arrivare alle lacrime.

Me l’aveva fatta un’altra volta.

«Direi che una decina di abiti da sera sia più che sufficiente, poi ci vorranno degli abiti da cocktail e alcune cose meno eleganti, costumi, prendisole, vestaglie di seta, negligé, biancheria intima un pochino più ricercata della tua di cotone…» però stava lo stesso elencando un guardaroba. La interruppi piccata.

«Cos’hai contro la mia biancheria?».

«Assolutamente nulla, se la mettesse mia nonna. Per mia madre avrei già qualche cosa da ridire, per te… te la vieto assolutamente.» rispose puntandomi il dito contro.

«Non devo fare pubblicità alla tua impresa, Rosalie».

«Ma devi fare pubblicità a te stessa. Potresti trovare un nuovo amico interessante a Miami, che ne sai?» mi disse ammiccando.

«Ti rammento che sono legalmente sposata. E sei stata tu a mettermi in questa situazione» la accusai

«Certo. Ma sei sposata con una data di scadenza. Nulla vieta di guardarsi intorno. Basta che ti lanci dopo aver avuto l’annullamento. A meno che… non ti interessi il nuovo marito». Sempre più stronza la ragazza. Se questi erano gli amici, chi aveva bisogno dei nemici?

«Non ho alcuna intenzione di farmi trascinare in qualche cosa con Edward. Lui è un cliente e io devo recitare una parte. Sentimenti o cose personali non hanno nulla a che fare con tutto questo» adesso ero seria. Mi piaceva Edward, era un ragazzo affascinante, ma se avessi mischiato il lavoro con il piacere, sicuramente avrei perso un pezzo del mio cuore.

Potevo essere una ragazza allegra, che voleva divertirsi, ma non ero stupida.

«Non ti volevo mettere pressione addosso. Scusami. Torniamo ai vestiti?» propose conciliante il  mio capo.

Sorrisi ed annuii. Potevo anche essere asociale, non vestirmi in maniera decente, ma anche io amavo i vestiti, ninnoli, scarpe e ammennicoli vari, come ogni donna che si rispetti (e chi dice di no, mente spudoratamente), poi, che addosso a me, facessero tutto un altro effetto, che i tacchi mi piacessero meno che non in vetrina nei negozi, che trovassi la parola comodo esattamente l’inverso della parola moda… beh, quello era un altro paio di maniche (tanto per rimanere in tema sartoriale).

 

«Claire! Il numero di telefono di Cullen!» Quella casa era enorme a giudicare dalla potenza che Rosalie usava per chiamare la sua segretaria.

«Eccolo Miss» deferente, la “modella anoressica” portò la cartellina personale di Edward, con il numero di cellulare scritto sotto l’intestazione.

Rosalie digitò il numero sul suo cordless ed attese la risposta, tappandosi il naso.

«Pronto? Signor Cullen? La Blue Hale! … come?... No, no, tutto ok. Ho telefonato solo per sapere l’indirizzo della vostra residenza a Miami, per inviare gli effetti della signorina Isabella… esatto… Può ripetere?... perfetto. La ringrazio e mi scusi per il disturbo… sì, confermato per domani. Buona giornata a lei» e, chiudendo la telefonata, tolse le dita dal naso.

Ero paonazza nel trattenere le risate, che scoppiarono fragorose, non appena mi guardò in faccia.

«Eri davvero bellissima. Che voce sexy» dissi ridendo

«Me lo hanno detto in molti» rispose ridendo anche lei. Mi aveva detto che cercava di non comparire, ma arrivare a contraffare la voce al telefono… era quasi paranoico e molto comico.

Una volta decisi i vestiti, questi volarono letteralmente nei bauli, disposti in bell’ordine, piegati con amorevole cura dalle sapienti mani di Rosalie. Sembrava che non avesse fatto altro nella sua vita, se non preparare valigie, usando la tecnica tetris in 3D: era tutto incastrato in maniera perfetta.

La parte relativa all’abbigliamento notturno e l’intimo, mi fece arrossire in maniera quasi infantile.

C’erano di quei completi da dichiarare illegali, talmente trasparenti da essere inesistenti, qualsiasi uomo, o presunto tale, non avrebbe resistito a tanto spettacolo

«Ma non dovevo evitare la seduzione di qualche esemplare maschile?» domandai prendendo in mano un perizoma color pesca.

«Non credo che questi siano più sfrontati della tua maglietta. Perché usi ancora la groviera, vero?» effettivamente la mia maglietta con i buchi era molto di più di un vedo non vedo, era piuttosto: vedo molto e immagino poco. Annuii.

«Evita di portartela dietro» mi ordinò Rosalie, senza dilungarsi in altri commenti. Insomma, era vecchia, rotta, ma mica puzzava. Annuii nuovamente, incrociando le dita dietro la schiena.

«E non incrociare le dita» ma aveva delle telecamere nascoste? Sospirai sconfitta ed annuii nuovamente, niente groviera. Sigh! Chissà se sarei riuscita a dormire lo stesso con addosso solo quelle sottovesti di seta?

Finalmente i bauli furono riempiti. Due immensi bauli, pieni di tutto quanto necessario per passare due mesi tra spiagge, feste e relax, facevano bella mostra di se al centro della stanza-guardaroba.

«Adesso operazione trucchi, creme e acconciature, bigiotteria e scarpe» annunciò Rosalie, aprendo il terzo baule, un pochino più piccolo dei precedenti di circa cinque centimetri di altezza, profondità e larghezza uguali. Dov’era più piccolo? Personalmente era enorme, esattamente come gli altri due.

Ormai non mi chiedeva più nulla, si limitava a fare domande retoriche alle quali rispondeva da sola andando avanti e indietro per la stanza.

Mi ricordava una figura dei cartoni animati quando corre, si distingue il corpo, le braccia ma non si vedono più le gambe. Spostava talmente tanta aria passando, che il condizionatore era diventato superfluo.

«E con questo abbiamo finito!» annunciò trionfante. Aveva scalato l’Everest, vinto la medaglia d’oro ai mondiali di atletica e preso l’Oscar come miglior attrice, tutto in una volta sola. Non credevo che i miei bagagli le avrebbero fatto questo effetto.

Tra un baule e l’altro ci eravamo concesse un tramezzino, ma adesso, con una giornata faticosa alle spalle, come questa, avevamo bisogno di rifocillarci in modo adeguato.

«Cena fuori?» propose Rosalie.

«A spese tue? Sono a disposizione!» risposi.

Usufruii nuovamente del guardaroba di Rosalie e, tirate a lustro, uscimmo per una cena tra amiche, con l’intento di divertirci senza pensieri. Proprio quello di cui avevo bisogno.

Andammo in un ristorantino fuori mano, intimo e discreto e mangiammo divinamente.

A metà serata, mi sembrò di riconoscere Edward, ma mi diedi della pazza. Era un bel giovane, ma mancavano barba e capelli lunghi, non poteva essere lui.

Rosalie mi riportò a casa presto: «Domani mattina alle 10 hai l’aereo per Miami. Mi raccomando, un’ora prima in aeroporto. Ti telefonerò per controllarti. Per i vestiti ho lasciato volontariamente fuori i jeans e le magliette. Prendine qualcuna. Tre al massimo e altrettanti jeans! Non di più, se no ti metteresti solo quelli»

«Posso prendere le scarpe da ginnastica?» chiesi ridendo.

«Solo un paio. E adesso vai a dormire e fatti bella, altrimenti tuo marito chiederà subito il divorzio» e mi spinse fuori l’abitacolo.

«Abbi cura del mio Rose!» urlai mentre la macchina sgommava via. Una mano mi fece un gesto non meglio comprensibile e sperai, per il mio piccolo batuffolo, che fosse una rassicurazione.

 

Quella notte mi addormentai subito e profondamente. A parte un paio di vestiti che cercarono di mangiarmi, non feci altri incontri, e alla mattina mi svegliai veramente fresca e riposata e alle 8 e venti ero già pronta e vestita, ovviamente con la mia t-shirt bianca senza scritte strane (linda, pulita, anonima, in una parola, perfetta) e i miei jeans leggermente sbrindellati sul fondo, aderenti sino al ginocchio, splendido esempio di stile anni settanta, se non fosse per la vita leggermente bassa.

Spazzolai i miei capelli, con cura, lasciandoli sciolti sulle spalle, in morbide onde.

Preparai il borsone con i miei effetti personali, un paio di cambi, scarpe e abbigliamento concesso da Rosalie, incluso, ovviamente, groviera. Magari riuscivo a metterla lo stesso.

Alle otto e mezza in punto, il mio cellulare cominciò a suonare come un ossesso. Sicuramente era Rosalie con la sveglia che mi aveva promesso.

«Pronto?... Si capo! Sono pronta e stavo per uscire» dissi con il cellulare in bilico, sostenendo borsa, borsone e chiavi di casa. Sentii un clacson suonare, con un antipatico effetto stereo al mio orecchio. Che palle! Era venuta a prendermi!

Neanche mia madre si era mai comportata così con me. Anzi, non si era comportata affatto.

«Buongiorno giovane! Il sole splende, la vita ti sorride e tuo marito ti aspetta all’aeroporto per partire alla volta della vostra luna di miele» Ma quanta energia aveva? Io tutta quella gioia non la stavo provando affatto. Poi, luna di miele? Con la famiglia? Avrei divorziato solo per una proposta del genere, figuriamoci accettarla. Solo per quello, non ero credibile come novella sposina.

«Ciao» bofonchiai  accomodandomi sul sedile confortevole della ferrari. Ormai conoscevo più questa macchina che la mia. (e su questo caliamo un pietosissimo velo, non nominerò neanche la marca, basti sapere che era entrata di diritto nella categoria delle auto storiche, cioè quelle che hanno più di trenta anni dall’immatricolazione ed era culo e camicia con la ruggine).

Rosalie mi guardò nuovamente ma evitò di esprimere ulteriori commenti. Intelligente la ragazza! Avviò l’auto e in men che non si dica, arrivammo all’aeroporto, esattamente un’ora e dieci minuti prima della partenza ufficiale.

«Posso lasciarti qui? O devo accompagnarti dentro come una bambina?» chiese Rosalie sorridendomi.

«No, mammina, tranquilla. Adesso entro e parto felice e contenta con il mio nuovo maritino» risposi leggermente sarcastica. O era paura quella che sentivo adesso?

«Non devi preoccuparti. Andrà tutto bene, lo sento. Questo viaggio ti cambierà la vita in meglio e sono felice di essere stata io a procurartelo» mi rincuorò rassicurante.

«Ne sei assolutamente sicura?» mi sentivo sull’orlo di una crisi di panico.

«Assolutamente? No. Diciamo che mi sento molto ottimista». E con quelle parole, mi aprì lo sportello della ferrari e spinse fuori me e il borsone.

«Ciao, Bella! Divertiti e non fare strage di cuori!» gridò Rosalie prima di scomparire dalla mia vista.

«Sì, come no? Strage di cuori! Neanche fossi una regina!» borbottai.

«Regina magari no. Ma hai tutte le potenzialità per diventare un killer del cuore di tanti maschietti» mi bisbigliò una voce all’orecchio.

Sorrisi. Ormai conoscevo quella voce calda e bassa, che era capace di far venire i brividi a una statua di ghiaccio. Mi voltai e…

«Edw… ma lei chi è? Mi scusi sto aspettando una persona» e così dicendo mi allontanai rigida. Insomma, abbordata così, all’aeroporto, appena scesa dalla macchina.

Certo, era un bel ragazzo, con quei capelli un pochino lunghi, disordinati ad arte, di un colore indefinibile, tra il castano e il rosso. E quegli occhi verdi… come il mio Morfeo… e niente barba…

«Bella, scusami…» cercò di dire. Mi voltai e spalancai gli occhi. Sarebbero anche potuti schizzare fuori dalle orbite per lo stupore di quello che vedevo in quel momento.

Edward era davanti a me in tutto il suo splendore. Ma che dico, magnificenza era il termine più adatto. Si stava grattando la nuca imbarazzato e mi guardava con uno guardo timoroso. Si era tagliato i capelli lasciandoli un pochino più lunghi sul capo e aveva tagliato la barba, tutto quel cespuglio che lo nascondeva agli occhi del mondo.

E ne era uscito un adone! Chi cavolo glielo aveva detto di mascherarsi così prima? 

«Allora? Che ne pensi?» aveva capito che l’avevo riconosciuto.

«E… f… a… s…» risposi sconclusionata.

«Isabella? Stai bene?» si avvicinò  guardandomi preoccupato.

Certo che stavo bene! Che credeva? Dovevo solo connettere il cervello al resto del corpo e la cosa era fatta! Sarei riuscita nuovamente a pronunciare una frase in senso compiuto e non sentirmi così deficiente come ora.

«Sì… sì sto bene. Scusami deve essere stato un calo di zuccheri», già, zuccheri nel sangue e ormoni da tutte le altre parti! Le mani mi prudevano dalla voglia di toccare quella zazzera sulla testa, che si ritrovava ora. A occhio, sembrava morbidissima.

Mi ero di nuovo persa nell’ammirazione minuziosa del suo cambiamento e non mi ero accorta di aver portato la mano sulla sua guancia, sino a quando non me la coprì con la sua richiamandomi alla realtà

«Bella, ti ho chiesto cosa ne pensi? Sto bene o stavo meglio prima?» mi richiese.

«No. Cioè sì.» decisamente il mio cervello era ancora in vacanza.

«Ecco. Lo sapevo, meglio capelli lunghi e barba. Mi era sembrato che preferissi così ma evidentemente ho capito male… aveva ragione Jes…» adesso stava farneticando qualche cosa di stupido, lo sentivo e mi svegliai del tutto.

«Non dire stronzate! Sei semplicemente stupendo! Dovevi toglierti quei peli superflui molto tempo fa» dichiarai puntandogli il dito sul petto.

Mi accorsi in quel momento che indossava una semplice maglietta blu e un paio di jeans azzurri, uno stile casual che indossava con la stessa eleganza della giacca. Era davvero perfetto.

«Stai bene vestito così. Non ti avevo mai visto con un abbigliamento più… come dire? informale» sorrisi maliziosa indicandolo.

«Anche tu stai bene in versione sportiva» mi rispose ammiccando.

Adesso però stavamo diventando troppo melensi e le mie guancie si tinsero di un tenue rossore, e non era fard.

«Hai solo quel borsone?» chiese. Santo ragazzo, intelligente al punto giusto, tanto da cambiare diplomaticamente argomento per evitare ulteriori imbarazzi.

Nel frattempo ci eravamo recati verso l’imbarco ed attendevamo la chiamata per il nostro volo.

«Sì, ho solo questo. Il resto è stato spedito direttamente a Miami. L’agenzia mi ha fornito addirittura tre bauli tra vestiti, scarpe e ninnoli vari» risi vedendo la sua faccia spaventata.

«Sei una maniaca della moda?» cosa nascondeva la sua voce tremante?

«Decisamente no. Mi piacciono i bei vestiti e tutto quanto è moda, ma non sono schiava dello shopping, ne del voler apparire a tutti i costi. Su su! Respira tranquillo» e risi più forte. A vedere come stava iper ventilando, direi che era veramente terrorizzato.

«Scusami. È che mia sorella è una stilista di moda e sono cresciuto insieme a questa ossessionata, tanto che detesto qualsiasi cosa abbia a che fare con i vestiti» mi rispose spiegandomi la sua reazione.

«Da come ti vesti, però, non si direbbe. Voglio dire, non ti metti certo degli stracci addosso» mi aveva sorpreso. L’avevo visto sempre impeccabile, da dove arrivava quel gusto? Forse era una cosa innata, genetica, considerando la sorella.

«Mia madre e mia sorella vengono a casa mia ogni quattro mesi e mi forniscono il guardaroba con quello che serve, così io evito lo shopping» mi spiega.

«E come fai a misurare i vestiti se ti vanno bene?» chiesi curiosa. Se una giacca fa difetto, non puoi accorgertene dopo mesi dall’acquisto.

«Mia sorella Alice, utilizza il suo fidanzato. Abbiamo la stessa corporatura, la stessa taglia, addirittura la stessa età. È come se fossimo gemelli» spiegò ridendo. Un pochino pigro però.

In quel momento annunciarono l’imbarco per il nostro volo e noi ci alzammo dalle poltroncine di attesa. Stavo per raccogliere il mio borsone quando Edward mi bloccò il polso fermandomi e facendomi voltare verso di lui.

«Aspetta! Prima di salire sull’aereo dobbiamo fare una cosa» e tirò fuori dalla tasca dei jeans, una scatoletta lunga. Capii subito: le fedi. Prese la mia mano sinistra, l’anello e me lo infilò al dito.

«Isabella Swan, con questo anello io ti sposo, in nome del contratto prematrimoniale, del contratto di matrimonio, della mia famiglia asfissiante e… del sogno» sorrisi divertita e presi il suo anello e la sua mano sinistra.

«Edward Cullen, con questo anello io ti sposo, in nome del contratto con l’agenzia, della mia amica che mi ha spinto, o meglio cacciato, in questa avventura, di queste che per me saranno delle vacanze, almeno spero e… del sogno che voglio fare mio» e gli infilai il cerchietto d’oro all’anulare.

«Dovremmo baciarci?» chiese tra l’ironico e l’imbarazzato.

«Credo di si» risposi diventando rossa.

Ci guardavamo e i minuti passavano senza che ci muovessimo.

«Oh Cristo! Tanto dovremo farlo davanti agli altri, tanto vale fare pratica» esclamò e con decisione mi prese tra le braccia, chinò la sua testa verso di me e si impossessò delle mie labbra.

Oh Dio! Sono in paradiso! Un brivido di puro piacere mi percorse la spina dorsale! I miei trasmettitori neurali stavano facendo gli straordinari! Le sue labbra schiacciavano, vezzeggiavano, massaggiavano le mie, da prima con forza, poi sempre più con dolcezza come ad assaporare sino in fondo quel contatto. Le mie braccia non rispondevano più ai comandi del cervello. Sentii vagamente i suoi capelli tra le mie mani e in un angolo della mia mente mi chiesi come erano arrivate sin lì. Mi strinsi al suo corpo, non che ce ne fosse bisogno, visto che lui faceva altrettanto con le sue braccia.

Mi adattai perfettamente alla sua forma e giuro, stavo così comoda che non mi sarei più staccata.

«Ehm ehm! Giovani d’oggi! Che vergogna!» borbottò una signora attempata che era seduta vicino.

Rimanemmo abbracciati e lentamente staccammo le labbra. Vidi distintamente lo stupore nei suoi occhi, prima che li chiudesse e appoggiasse la sua fronte sulla mia, aprendo la sua bocca a un sorriso malizioso.

«Baci molto bene pesciolina, sei sicura che non sia il tuo lavoro?»

Risi e staccai le mie braccia da lui tirandogli uno scappellotto sul braccio mentre anche lui rideva e cercava di scansarsi.

«Ti ho già detto che non è il mio lavoro. E per la cronaca io sono un’insegnante. Ho preso l’abilitazione e sto cercando una cattedra per il prossimo anno scolastico» risposi.

Ci avviammo alla partenza.

«Così sei una maestra. Ma non lavoravi come impiegata?» già, lui non sapeva del mio nuovo indirizzo lavorativo!

«Ti avevo detto che mi avevano licenziata. Ho cercato di crearmi altre possibilità e ho sostenuto l’esame di abilitazione all’insegnamento» risposi mentre salivamo sull’aereo

«Capito. E adesso cosa insegneresti?» chiese curioso.

«Mi sono laureata in lettere, quindi cerco una cattedra in materie umanistiche. Letteratura sarebbe l’ideale».

L’hostess ci accompagnò ai nostri posti in prima classe. Mi accomodai sul morbido sedile, sospirando di piacere. Non ero abituata a queste cose e decisi di godermele sino in fondo.

«Quindi ti piace leggere» non era una domanda e mi limitai ad annuire.

«Uhm, a guardarti bene, direi che il tuo ideale di libro non è il genere di fantascienza, eviti l’horror, puoi apprezzare i gialli e il genere di avventura, i saggi sono letti solo se su determinati argomenti, ma quello che adori di più è il romanzo, romantico preferibilmente, impazzisci per i classici e almeno una volta all’anno leggi Orgoglio e pregiudizio. Ho indovinato?» mi chiese sogghignando, avvicinandosi pericolosamente al mio viso.

I miei occhi scesero sulle sue labbra, così vicine, e ripensai al bacio di poco prima, diventando di un bel colore rosso peperone sulla faccia.

«Forse» risposi ambigua cercando di darmi un tono. Cacchio! Neanche mi conoscesse da quando avevo due anni. Aveva fatto un’analisi così perfetta sui miei gusti da mettermi in agitazione. Che mi avesse spiato? Nah, ridicolo.

«Direi che ho indovinato, allora» si sistemò sulla sua poltrona con una faccia soddisfatta.

«Oooooh. E va bene. Hai indovinato. Sono così trasparente?» ammisi sconfitta.

«No. Sei mia moglie, chi potrebbe conoscerti meglio di me? Sei la luce dei miei occhi» rispose ridendo sbattendo le ciglia.

«Stupido» borbottai facendogli il verso.

Sentii il rollio dei motori e i sobbalzi dell’aereo intento al decollo. Automaticamente arpionai la sua mano e la strinsi. Lui intrecciò le dita con le mie.

«Tranquilla, ci sono io» bisbigliò rilassandosi sul sedile accanto al mio.

Cercai di imitarlo e, grazie anche al contatto tra le nostre mani, mi sentii decisamente meglio.

Non era poi tanto male volare, per lo meno, non in prima classe. Con tutti i comfort possibili, offerti da hostess disponibilissime, soprattutto con il mio maritino, che rivolgeva sorrisi assassini come se fossero caramelle.

«La smetti di fare il cascamorto? Sei quasi patetico!» ringhiai all’ennesimo sguardo lascivo che gli lanciò la passeggera vicino a noi. Non bastavano le hostess, pure le altre donne.

Sembrava una calamita per il sesso femminile.

«Ma che ho fatto? Ho solo ringraziato per il caffè. Non è colpa mia se la ragazza si è presa una cotta» si giustificò agitando le mani.

«Non mi riferivo a quella. Ma a quella lì» indicai con il dito le possibili pantere che erano rimaste affascinate dall’esemplare seduto accanto a me.

«Stellina, sei gelosa per caso?» mi chiese sogghignando e baciando il palmo della mia mano, guardandomi negli occhi.

«Ma neanche per idea, biscottino. Tanto so che ami solo me» e mi avvicinai baciandogli la guancia, sorridendo, a totale beneficio della nostra vicina.

«Allora facciamo altra pratica» sussurrò attirandomi di più a se, fino a posare le sue labbra sulle mie per un bacio veloce ma intenso. Quasi mi girava la testa.

«Direi che la nostra vicina si è girata schifata e le hostess stanno piangendo la mia perdita… sei soddisfatta adesso?» mi soffiò nell’orecchio mentre mi stringeva in un caldo abbraccio. Mi misi a ridere.

«Sei un grande attore» ammisi.

«E chi ti dice che abbia recitato?».

 

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Angolino mio:

“Chi ti dice che abbia recitato?” una frase del genere detta da un Edward del genere ed io svengo tra le sue braccia! Nei primi intenti non doveva esserci il secondo bacio, come non dovevano esserci gli attentati delle assistenti di volo (all’italiana), trovo ridicolo questo fatto che basta guardare qualcuno per sospirare come delle ventole, ma questa scena si è scritta da sola, lui quasi inconsapevole, lei gelosa e lui che la bacia e le dice che non ha recitato!

Adesso tranquilli, non precipitiamo le cose: non ci sono ulteriori avvicinamenti in vista… forse.  

Prima atterriamo a Miami e vediamo cosa succede da quelle parti, magari ci sono ancora tante cose interessanti e divertenti da leggere.

 

Questa storia la voglio fare per benino, quindi posterò il prossimo capitolo non prima di una settimana, sempre se è pronto. In caso contrario vi avviserò.

 

Ho scoperto con Sakura, che  piace molto avere il titolo del prossimo capitolo, è un po’ come uno spoiler, quindi, se avrò le idee chiare, farò così anche qui.

Oggi ho le idee chiare, quindi vi annuncio ufficialmente che il prossimo capitolo si intitolerà: Doccia fredda.

Vi do un indizio: è una doccia in senso figurato.

 

Permettetemi ora, un poco di pubblicità sulle mie storie

Grazie a Valli (la mia personal trainer informatica, delle quale consiglio le storie per una scarica di adrenalina, sono forti e fanno discutere) sono riuscita a fare i collegamenti. Doppia Hola per me!

[Sakura – Fiore di ciliegio]  in corso,  racconto storico, romantico, avventura, la storia di Bella dalla natia Irlanda a partire dal 1884 portata dal destino, in giro per mezzo mondo.

[Ciao Edwardina]  in corso, racconto comico, una scommessa costringe Edward a frequentare il liceo per due mesi vestito da donna.

[Si dice – In Vino Veritas]  in corso,  racconto  generale romantico, una sfida tra una Bella ricca e viziata che vuole l’azienda vinicola di Edward

[Boy e girl – scambio d’identità] conclusa,  racconto comico romantico, scambio di corpi, un Edward nel corpo di Bella alle prese con i problemi femminili e Bella viceversa, alle prese con i problemi maschili e un obbiettivo .

[Acqua che cade] conclusa,  mini fic. racconto misterioso, fantasy, Bella adora la particolare pioggia di Forks, che sembra mandata apposta per lei.

[Prima di essere un pensiero]  one shot  commedia fantasy, cosa potevano essere i nostri eroi, prima di essere concepiti? Questa potrebbe essere la risposta.

[Un colpo sul retro] one shot  commedia, una giornata particolare, dove quattro ragazze senza pensieri vogliono solo divertirsi.

 

Grazie per l’attenzione e

baciotti

Grazia

 

  
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