Buona mattina,pomeriggio o sera a tutti! Dipende da quando leggerete queste righe. Ho deciso di scrivere questa storia perché volevo rendere onore a questo splendido videogioco che mi ha fatto e mi sta facendo divertire come una matta, mia sorella è riuscita a dire che sono ormai kingdom hearts dipendente… va beh punti di vista… oddio dov’è il mio joystick?! Devo far fuori sephiroth!!! Emh scusate… nel corso del racconto saranno presenti anche altri personaggi di final fantasy rispettivamente ff VII e X, mi scuso fin da ora se ci fossero delle imprecisioni nel luoghi del VII ma non avendocelo (tragedia!!!) non lo conosco bene, mi sono informata il più possibile e ho pure visto il film ma non si sa mai…. Abbiamo un piccolo spoiler su quattro personaggi di kingdom hearts 2 niente che vi potrebbe rovinare la sorpresa se volete saperne di più contattatemi… non saranno presenti personaggi disney, mi dispiace per chi c’era affezionato ma è andata così… anche se winnie the pooh mi sarebbe piaciuto incastrarlo che carino!!! Ok torniamo seri! Rassicuro tutti dicendo che la storia è già bella che conclusa quindi il finale è assicurato!!! Ma per farvi soffrire lo divido in capitoli che pubblicherò man mano… ora vi lascio stare almeno fino al terzo capitolo…. By by!!!!
Alla mia migliore amica, Vera (sorellona) per ringraziarla di tutte le volte che mi ascolta e per essermi sempre vicina nonostante la lontananza! Ti voglio un universo di bene!
Capitolo 1: Destiny
Presi una sigaretta dal mio pacchetto di malboro la misi tra le labbra e cercai nelle tasche dei jeans l’accendino.
Lo presi e lo portai alla bocca accendendo la sigaretta, leggeri fili di fumo evanescenti si levavano davanti ai miei occhi.
- ehi dovresti smetterla! Non lo leggi sui pacchetti cosa c’è scritto? Il fumo porta il cancro ai polmoni!! Vuoi morire già così giovane?- sorrise.
Mi cadde la sigaretta, ora il fumo spariva non appena usciva dall’estremità a contatto con il terreno freddo e duro.
Guardavo davanti a me, il cielo diventare più chiaro man mano che l’alba avanzava.
Risi sguaiatamente per i giochi che ancora la mia mente mi faceva a distanza di tempo.
Mph.. già … alla fine… invece di me la morte ha portato via te Karin…
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- cosa te ne frega a te mh?- risposi
- come cosa me ne frega?! Non voglio che il mio migliore amico mi lasci!!-
mi guardò per un attimo tentando di assumere l’espressione più seria possibile, poi scoppiò, ridendo irrefrenabilmente.
Quando faceva così era ancora più bella e dolce.
Karin: piccoli occhi color smeraldo, capelli lunghi lisci castani rossicci, un sorriso da far sciogliere la neve tanto era solare, con quel suo maglione rosso sopra i pantaloni stretti in vita e un buffo berretto con un pom pom in cima.
Smise di ridere e mi guardò. I suoi occhi riflettevano un ragazzo di 15 anni, alto, snello, coi capelli castani quasi biondi arruffati e gli occhi blu mare con indosso una felpa abbondante per il suo fisico e un paio di jeans slavati.
Io come al solito la guardai con indifferenza.
- freddo come sempre… Questo tempo ti si addice!- disse producendo piccoli nuvOlette di vapore dalla bocca.
si sedette vicino a me salendo sulla balaustra del ponte, in mezzo al giardino che si trovava in centro a tokio.
- hai bucato di nuovo eh Sora?- mi chiese anche se più che una domanda era un dato di fatto.
- Almeno ho saltato due ore inutili di diritto…- risposi dando l’ultima boccata alla sigaretta e poi buttandola a terra.
Karin mi guardò male, poi scese e con la punta della sua scarpa da ginnastica spense il mozzicone.
- sei senza speranze…. Mi chiedo ancora come faccio ad esserti amica…- disse riflettendo
- nessuno te l’ha chiesto in più i tuoi non mi sembrano molto felici che tu mi frequenti, l’ultima volta che tua madre mi ha visto mi ha guardato come fossi una merda.-
- ma piantala è solo che loro non ti conoscono tutto qui…- rispose risedendosi
- e se mi conoscessero pensi che cambierebbero idea?- le chiesi sarcastico
- non si può mai dire…-
tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un kitkat e lo aprì. Ne staccò un pezzo e me lo porse, in quell’istante mi venne in mente la prima volta che lei mi rivolse la parola.
Eravamo alle elementari, io ero un bambino chiuso come poi sono stato sempre nella mia vita. Un giorno mentre facevamo l’intervallo Karin si avvicinò, e senza che io le dicessi niente si sedette vicino a me e mi porse un pezzo di kitkat che nonostante il mio carattere schivo accettai.
Forse perché ero rimasto stupito dal suo comportamento, gli altri bambini non mi parlavano mai, in un certo modo avevano paura di me, invece lei no, ha compiuto quel gesto con una spontaneità tipica solo dei bambini. Ma non è stato solo un momento, da allora lei mi è sempre stata vicino, è diventata mia amica, la mia unica amica e qualcos’altro di più in futuro.
I suoi genitori non sono mai stati contenti che la loro bambina frequentasse un tipo come me.
Dopo pochi mesi da quel giorno nel parco, ci siamo messi insieme:
- perché hai picchiato quel ragazzo?- mi chiese guardandomi tra il preoccupato e l’incazzato mentre mi premeva il ghiaccio senza troppi complimenti sul livido scuro che era comparso appena sopra l’occhio.
- Non sono affari tuoi…- le risposi seccato, non riuscendo a nascondere una smorfia di dolore mentre lei premeva sul bozzo.
- Ottimo! allora se non sono affari miei posso anche tornare alle mie lezioni invece di stare qui a prendermi cura di te!-
Lasciò cadere il ghiaccio sulla mia gamba che si raggelò all’istante nonostante il caldo del sole di maggio che filtrava dalle finestre dell’infermeria.
- è solo che…- dissi
- è solo che?- mi incoraggiò lei fermandosi e riavvicinandosi a me.
- ……………..-
- allora?- incalzò piantandomi il suo viso a cinque centimetri dal mio.
- Faceva degli apprezzamenti poco graditi su di te… e così ho deciso di farlo smettere-
Il suo viso si illuminò e come sempre senza alcun preavviso mi abbracciò.
Sentii il mio viso infiammarsi. Poi mi lasciò.
- allora non sei così freddo!- rise ma la risata durò poco perché la baciai.
Non so cosa mi prese, ma lo feci e dato che lei non mi disse niente ne durante ne dopo da allora fummo una coppia fissa. E il mio carattere cominciò a guarire dall’oscurità in cui era sempre stato.
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- dai Sora vieni qui!!!!-
- uff…..-
nonostante la poca voglia, mi avvicinai facendomi largo tra il fiume di persone che si spostava avanti e indietro da una giostra all’altra.
Arrivai ad un tiro a segno di quelli con le pistole laser. Karin mi guardava speranzosa.
- allora che c’è?- le chiesi
lei per tutta risposta si girò indicando un enorme maialino rosa.
- non è bellissimo?-
- beh dipende dai punti di vista se ti piacciono le cose da bambini…- risposi
- haaaa sei il solito! a tutti piacciono i peluche!- mi disse imbronciata, io la guardai di traverso e lei sospirò
- ok tutti a parte te…-
- vuole fare un regalo alla sua bella ragazza?- mi domandò il giostraio straniero sorridendo da dietro il bancone.
- Quanto costa?- chiesi io.
- 2 yen al tiro i colpi a disposizione sono tre per volta.- mi rispose
- e quanti punti devo fare per prendere quel maiale?-
- almeno cento punti –
ciò voleva dire che dovevo beccare il centro per almeno due volte e visto che avevo i soldi solo per una possibilità e non avendo mai provato prima, non ero sicuro di riuscirci, ma comunque decisi di provarci.
- va bene.-
gli porsi i due yen che mi erano rimasti in tasca. Presi il fucile mi appoggiai con i gomiti sul bancone e presi la mira.
Il primo colpo andò a vuoto, sentii Karin trattenere il respiro. So che a mio avviso era una cosa di scarsa importanza ma per lei era esattamente l’opposto, che dovevo farci? era fatta così. Mi concentrai di più e premetti il grilletto, il colpo andò a segno come quello successivo, era fatta!
Karin si mise a battere le mani. L’uomo prese l’enorme pupazzo e lo mise tra le braccia di lei, sorrideva ma io sapevo che era contrariato dal fatto che io avessi vinto.
Ci allontanammo.
- grazie mille!!!- mi disse e poi mi abbracciò, sentivo il pupazzo premere sul mio addome.
- sei un ottimo tiratore- mi baciò.
La riportai a casa, i suoi quella sera non c’erano, erano andati via per lavoro e sarebbero tornati l’indomani. La accompagnai fin sotto la porta di casa. Lei aprì il portone e poi mi guardò.
- che fai non entri?- sorrise.
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il sole filtrava pigro tra le tapparelle illuminando a strisce il copriletto. Gli occhi si abituarono a quella luce sfumata, accarezzavo i capelli morbidi di Karin, che ancora dormiva appoggiata al mio petto. Il suo respiro era regolare, il viso disteso e sereno. Mi mossi e lei aprì piano gli occhi.
Si girò di lato stropicciandosi le palpebre, più bella che mai.
- mhh che ore sono?- mi chiese insonnolita.
- Sono le sette.-
Il mio dolce pensiero di rimanere ancora lì per un po’ di tempo svanì. Infatti Karin si alzò di scatto portandosi via il lenzuolo per coprirsi, a differenza di me…
- che c’è?- le chiesi mentre cercavo i boxer per rimettermeli, li trovai appena sotto il letto.
- che c’è?! C’è che i miei arriveranno tra qualche minuto!- esclamò lei agitatissima rimettendosi i pantaloni e riabbottonandosi la camicetta.
Capii che forse era veramente il caso di darsi una mossa, la madre era innocua ma il padre era un omone ben piantato e non mi sarebbe piaciuto trovarmelo di fronte a mo di rinoceronte pronto alla carica.
Mi rinfilai i vestiti il più velocemente possibile. Karin mi prese per mano mettendomi alla porta.
- stanno chiamando l’ascensore! presto ci vediamo oggi! Scendi per la scale.- mi disse in fretta ma senza rinunciare a darmi un "lungo" bacio che io assaporai fino in fondo, poi mi fiondai giù per le scale appena in tempo per sentire il rumore cigolante dell’ascensore che si apriva.
I giorni passavano e il nostro rapporto si approfondiva sempre di più (come se già non lo fosse stato) , ma purtroppo quella serenità era destinata a durare ben poco.
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- Karin forza dobbiamo andare-
- sì un attimo solo e ho finito!- mi rispose lei dall’altra stanza.
Tamburellavo le dita impaziente sul tavolo della sala da pranzo in casa di lei. Dovevamo andare ad una festa organizzata per il mio compleanno. Io di amici non ne avevo, ma lei aveva ingaggiato (ma io direi costretto) i suoi compagni a venire al party, che si teneva nella villa di Karin appena fuori da Tokyo, sul mare. E naturalmente come d’obbligo lei non era ancora pronta. Guardai l’orologio. Le nove. Finalmente la porta della camera si aprì e ne uscì. era come dire? quasi luminosa.
Indossava un paio di pantaloni bianchi con una cintura di pelle spessa, un top nero con un grande ricamo sul davanti, sopra una giacca di jeans blu scuro e un paio di scarpe a punta marroni. I capelli erano sciolti sulle spalle.
- allora come sto?- chiese facendo un giro su se stessa.
- Direi benissimo- non mi sbilancia più di tanto.
- Beh allora vuol dire che mi vorresti saltare addosso se rispondi così….- rispose strizzandomi l’occhio.
- Basta con la scemenze siamo in ritardo.-
- Hai ragione andiamo, il taxi è arrivato? –
- Si da un bel po’….-
Salimmo sul taxi, ci voleva almeno mezzora per arrivare alla villa.
Dovevamo risalire la costa, perché la casa si trovava sopra una scogliera. La strada era buia ma poco trafficata se non fosse stato per quell’unico camion.
Stavamo risalendo, quando a folle velocità da dietro una curva due fari accecanti invasero la strada.
Fu un attimo non ci fu neppure il tempo di urlare….. lo schianto….. la macchina che si accartocciava e veniva sbalzata via….. il buio.
Mi risvegliai all’ospedale. Ero sdraiato su una barella. Mi tirai a sedere passandomi una mano sulla fronte e scoprendomi il sangue che colava. Mi guardai in giro, i medici si affrettavano intorno ad un altro lettino. Scesi avvicinandomi, un’infermiera mi fermò.
- ragazzo sarebbe meglio che rimanessi seduto.- mi disse
- io sto benissimo!- risposi
- sei rimasto illeso nello schianto, ma potresti avere delle lesioni interne.- provò a spiegarmi.
- La ragazza che era con me dov’è?- domandai con un senso di malessere che mi prendeva al pensiero della risposta, e difatti…
Lo sguardo della donna si fece addolorato quasi come se fosse lei in quel momento al posto mio.
Mi indicò la stanza di fronte.
Senza dire nulla strattonai il braccio dalla presa e mi precipitai nella camera, non ascoltando le parole della donna che mi diceva che solo i parenti potavano entrare.
Aprii la porta. Dentro c’erano due medici, Karin era sdraiata sul lettino, una macchina di fianco a lei dava il segnale del battito cardiaco che sembrava dover scomparire da un momento all’altro.
Uno dei due si girò verso di me.
- come sta?!- chiesi prima che quello potesse dire qualsiasi cosa.
- Lei è un parente?-
Ma i medici perché invece di rispondere alle domande ne pongono sempre altre? Non lo ascoltai.
- devo sapere come sta!!- urlai
il medico sospirò. – mi dispiace ma non c’è nulla da fare ha un emorragia interna dove noi non possiamo operare è solo questione di ore.-
in quell’istante il mondo mi crollò addosso. Non mi disperai, e come potevo esprimere il dolore che mi stava lacerando l’anima? Né urlando né piangendo avrei potuto fare qualcosa… non dissi "non è possibile" in un certo modo accettai il fatto. Mi avvicinai al letto, i medici scuotendo la testa in segno di lutto lasciarono la stanza per chiamare i familiari.
La testa di Karin era fasciata. Le presi la mano. Stetti lì per almeno due ore guardandola, sapendo che ogni minuto poteva essere l’ultimo. I suoi genitori non arrivavano, mi aveva detto che erano andati via come tempo prima per lavoro.
Le accarezzai la testa e lei aprì gli occhi come quella mattina, che sembrava appartenere ad un altro mondo.
- Sora… - mugolò
- sono qui Karin!-
mi guardò, sorrise ma una fitta di dolore lo trasformò in una smorfia.
- stai calma andrà tutto bene.- mentii… e lei se ne accorse.
- No non è vero… ma non ho paura.-
Dopo tutto in quella situazione lei era la più forte di tutti.
- vado a chiamare i dottori.- feci per alzarmi ma lei mi trattenne.
- No, non è necessario ormai….- allungò una mano e la mise dietro al mio collo tirandomi verso di lei.
Mi chinai e la baciai, bacio morbido, fluido… l’ultimo quello per sempre. Mi sollevai.
I suoi occhi si stavano chiudendo ma la mano stringeva ancora.
- scusami Sora ma ora sono molto stanca, vorrei riposare… sii allegro ok?-
così come se si stesse addormentando chiuse gli occhi, nel viso quell’espressione ancora serena. La presa si allentò, la macchina iniziò il suo lungo fischio, che mi avvisava che quella era stata l’ultima volta che le potei parlare. Non sentii poco dopo l’arrivo dei medici che mi chiedevano cosa era successo. che domanda era? È morta no? e non sentii neppure le urla della madre quando entrò nella camera. Per me fu come un sogno, come se mi risvegliai giorni dopo al suo funerale. Poi i giorni si susseguirono e dopo due anni mi riportarono qui… su questo ponte dove tanti momenti erano passati.
Il giorno del mio compleanno è il giorno che per me è dannato, gli spettri di quella sera si fanno più vividi e chiari.
Domani è il giorno, domani tornerò qui e ricorderò quegli avvenimenti.
Ma qualcos’altro successe in quel domani qualcosa che ora verrà raccontato.