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Autore: patronustrip    12/12/2011    5 recensioni
#1 classificata al contest “A caccia di spaccio” del gruppo Cercando chi da la roba alla Rowling (Team Harry/Hermione).
Tre capitoli.
Fermati per un secondo a pensare quanto sia magnifico un non finito. Rifletti quanto la finitezza rispecchi la morte. Pensaci bene quando ti poni domande sul tuo amore, sulla tua vita, e sulla donna che ami. Quando ti chiedi il perché di tante cose, e ti senti solo un peso.
Pensaci, davvero. Pensaci.
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Titolo: Non finito
Team: Dobby
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger
Rating: Giallo
Prompts: Passione, Tuffarsi/Immergersi nell'acqua, Divano



Non finito
atto 1 [Passione]

Si poteva udire come un rombo di tuono attutito dalle nubi.
Saltava da una parete all’altra, in quella soffitta antica e di un polveroso affascinate. Il legno intorno – il cui profumo inebriava sempre i suoi sensi, facendolo sentire a casa ogni qualvolta mettesse piede oltre l’ultimo gradino scricchiolante – lo accoglieva, il suono, piacevolmente, e lui si lasciava cullare per un po’ e poi, come un figlio con la madre, sapeva di dover tornare alla propria vita.
E allora convergeva, in un così dolce sentimento, dritto e soffice sui timpani di Harry.
E Harry era sempre combattuto dal chiudere gli occhi per l’esaltante ascoltare.
Milioni di cianfrusaglie in quella soffitta, un paio di finestre sporche e Londra cupa e grigia in lontananza, cielo bianco in attesa di pioggia. Le grandi travi sopra di loro erano come coperte. Calde.
Ma non aveva bisogno di guardarsi intorno, perché conosceva ogni angolo di quel piccolo paradiso terrestre.
I suoi occhi, come ogni volta, erano concentrati solo sui movimenti lievi, di spazzole piccole e intinte di colore.
Di punte di grafite sdrucciolanti polvere, o tempere acquose, pastose, rosse di passione.
Mani lisce e mai esitanti, macchiate.
Era ipnotizzante.
La tela era ruvida e ogni pennellata evocava un suono. Rabbrividiva, perché le setole bianche raschiavano la superficie e le sentiva su di sé. La pelle d’oca, come se lo stessero toccando.
E faceva sempre più fatica a tener gli occhi aperti.
Si ricordava il primo giorno. La prima tela. I primi colori scelti insieme. Cerchi qualcosa di rilassante, una piccola passione che la spinga a rilassarsi e a sfogare le sue macchie interiori. Aveva detto lui, il dottore.
Disturbo post-traumatico.
Ogni singolo giorno della vita di Harry era un sentirsi in colpa.
Ma, ehi, se c’è qualcuno che può superare tutto quanto a testa alta e con classe e grazia più di una regina, beh, quella è sicuramente
«Hermione».
Parlò con voce roca e più bassa che poteva. Non voleva disturbare quel pennello. Ma quello si fermò comunque.
Harry strinse i pugni dentro le tasche rovinate della sua giacca pesante. Le mani fredde come se stesse morendo, palmi sudati. I piedi inchiodati nelle assi scricchiolanti, un metro o più da lei.
Hermione si mosse impercettibilmente sullo sgabello, incrociando le gambe più strette, avvolte in quei fuseaux di cotone. Le sue linee così delicate, era un mondo a parte per lui. Un’isola, un atollo su cui fuggire. Morire, disperso.
Vide l’impercettibile distanza di quel pennello sospeso sulla tela. E gli occhi di lei immobili.
Le spalle sollevarsi infine in un grande respiro. Tornare a dipingere.
Hermione diceva che non erano belli. Diceva che non riusciva mai a tirare fuori i suoi pensieri esattamente come erano cuciti nella sua mente.
E Harry allora pensava che forse tirava fuori i suoi di pensieri, perché si adattavano così bene alle sue membra stanche e spossate, ai suoi ricordi nuovi e vecchi. Per Harry quei dipinti erano meravigliosi.
Era solita dipingere tantissimi paesaggi, lei diceva: nessuna angoscia emotiva riflessa nei volti delle case o degli alberi. Mi danno pace.
Capiva cosa intendeva, ma era sempre così stupito nell’ascoltare la perfezione dei suoi gesti, e delle sue parole nel descrivere sentimenti che lui, sì, aveva, ma diciamocela tutta, non sarebbe mai riuscito a tirare fuori una frase del genere neanche con il vocabolario accanto.  
Hermione era così perfetta.
«Ti amo».
Ancora la voce tenue e profonda, così da graffiargli la gola. Deglutì, e continuò a fissarla. Dritto negli occhi, osservando il movimento fulmineo delle sue ciglia a quelle parole. Sperando si voltasse.
Hermione abbassò lo sguardo e un sorriso triste le dipinse il viso. Strinse il pennello fra le dita macchiate, che andò giù col polso a posarsi sulla coscia, in sosta.
Alzò gli occhi castani su di lui.
«Anche io ti amo, Harry».
Un tempo infinito passato a fissarsi.
Harry avrebbe voluto dirle milioni di cose, vomitare parole a raffica, inginocchiarsi e morire lì, per lei.
Ti amo più della mia stessa vita, non partirei mai, lo sai, mi dispiace Hermione. Ma lei aveva già detto di smettere di scusarsi, non c’era nulla di cui scusarsi. Era il suo lavoro. Era un Auror. Aveva doveri, obblighi.
Missioni.
Solo dodici ore alla partenza. E lui stava lì, in piedi in quella soffitta costruita da Dio solo per lei e le sue frustrazioni, a macchiare di rancore e guerra la sua pace interiore. Che uomo terribile era. A lei avrebbe solo portato dolore, perché Hermione lo amava?
Avrebbe potuto amare Ron. Avrebbe vissuto in una casa rossa, allegra, con bambini e nonni, cene in famiglia e natali passati cantando.
Non accanto un uomo soldato. Che dopo aver vissuto tutta la sua vita nella guerra, stava gettandosi in un’altra. Un uomo che aveva preso la sua vita insostenibile e l’aveva catapultata sopra la donna che amava, irrimediabilmente in notti di sonno agitato e incubi. In pianti disperati e di cui si fa finta, il giorno dopo, che mai siano accaduti. In notti buie accoccolati l’uno all’altra, a sentire i battiti del cuore per consolarsi e sapere che si è ancora vivi.
E fissò quegli occhi così stanchi ma pieni solo per lui. Lei capiva. Lei capiva sempre tutto. Non avevano mai davvero litigato per questo, quando lui si presentò un giorno con il foglio di chiamata fra le mani.
La Somalia era così lontana.
E lei, lei così perfetta, lei così paziente. Aveva capito.
Hermione capiva sempre.
Harry deglutì. Gli occhi ancora puntati su quelle pozze castane. E se fosse stata l’ultima volta che l’avesse vista?
Oh, lui aveva visto la morte. Ma che Dio lo perdonasse, con tutti gli sforzi che poteva fare non riusciva ad immaginarsi nessun paradiso senza Hermione.
Perfino l’inferno sarebbe stato un paradiso, con Hermione.
Undici ore e mezza alla partenza.
Fissò il pennello sulla punta delle dita di lei. Immobile e in attesa. Poi di nuovo quegli occhi.
Oh.
Lacrime.
No. No, Dio. Questo no, ti prego.
Hermione si morse le labbra e abbassò lo sguardo cercando di trattenersi. Sapeva che dentro di sé stava maledicendosi, colpevolizzandosi per essere stata debole.
Amore mio, tu non sarai mai debole. Pensò Harry.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non si poteva dire nulla.
Tolse le mani dalle tasche, ora calde, e si avvicinò a lei, gli scarponi pesanti sul pavimento.
Il fruscio nuovo della pioggia tenue su Londra, fuori dalla finestra, sul tetto sopra di loro. Coperte calde.
Le prese la testa fra le mani, il suo palmo copriva tutta la sua guancia, ormai umida. E la sentì poggiarsi al suo ventre, strofinandovi il viso, trattenendo singhiozzi.
Harry chiuse gli occhi, e sentiva solo la pioggia e l’odore del legno e il profumo di Hermione e della trementina. I capelli sotto le sue dita e il calore del suo viso poggiato contro di sé.
Hermione strinse la mano, tirandolo più vicino. Le unghia strusciare sul tessuto ruvido.
Harry respirò a fondo.
Quante cose  non c’erano più da dirsi. Parole ormai consumate.
Io ti … farò in modo di sentirti ogni giorno. Parlerò con Kingsley, gli chiederò di poterti chiamare con la metro polvere ogni giorno. Ogni giorno.
Mi mancherai come l’aria, Hermione. Ti amo da morire.
Tornerò … tornerò vivo te lo giuro, io non morirò se non accanto a te, un giorno d’estate, vecchio e scemo – risata- e l’ultima cosa che vedrò sarà il tuo bellissimo, bellissimo viso.
Te lo prometto.
Ed era il turno di lei, di piangere e svegliarsi la notte più spesso del solito.
Urlando il suo nome, immaginandolo morto chissà dove, smembrato e con gli occhi spalancati. E niente che potesse aiutarla con i suoi problemi. Perché Harry, al solito, era un’aggravante e mai la cura.
… poteva avere, Ron.
Deglutì ancora.
Si chinò su di lei, ginocchia al pavimento e posò la fronte sulla sua. Piangeva in singhiozzi lenti e controllati.
E lui non asciugò le sue lacrime, perché aveva bisogno di piangere, Hermione. Ne aveva tanto bisogno.
I suoi occhi caddero sulla mano di lei. Il pennello ormai imbrattato sui fuseaux.
Un sorriso da chissà dove sui suoi lineamenti. Si voltò di nuovo verso di lei, le prese una mano.
«Amo vederti dipingere.» Hermione tirò su col naso e alzò di poco gli occhi al cielo, asciugandosi malamente con il dorso dell’altra mano e la manica della felpa stinta, quelle lacrime insistenti.
«Oh Harry …» Rispose a voce roca, un “lo so, amore, me lo dici sempre”.
Il suo sorriso si allargò «Promettimi che quando tornerò ci saranno centinaia di quadri ad aspettarmi».
Hermione deglutì e lo fissò, gli occhi rossi, le guance accaldate. Sbuffò una risata triste.
«Centinaia?» Domandò, un po’ scettica.
Harry annuì. «Sì, centinaia.» Si avvicinò baciandola delicatamente. Hermione prese quel bacio, lo prese come acqua per l’assetato.
Harry strinse la sua mano mentre si allontanava, il legno del pennello ruvido sotto i polpastrelli.
Aprì la bocca, fissando le setole umide e colorate, una frase gli morì in gola. Un’idea strana ma poi neanche tanto.
Alzò gli occhi su di lei. Non si accorse neanche del sorriso pensieroso sul suo volto, mentre toglieva la giacca, e tirava via anche la maglietta bianca. Hermione lo fissò asciugandosi i resti delle lacrime, stranita ma attenta.
Harry si portò una mano incerta sul petto nudo, ancora in ginocchio di fronte a lei. Sfiorò la propria pelle calda con le dita e poi finalmente poggiò il palmo pieno, come se avesse avuto paura a sentire il proprio battito.
L’altra mano su quella di lei, carezzava il palmo col pollice e la fissava incerto.
Poi di nuovo sugli occhi di Hermione, un sorriso «Io amo quando dipingi».
Un sospiro stupito e poi comprensivo. E quegli occhi castani avrebbero potuto ucciderlo.
Hermione gli accarezzò il viso, e lui chiuse gli occhi al contatto, appoggiandosi a quel palmo caldissimo e profumato di trementina, grafite, Hermione. E sussultare quando il pennello umido toccò il suo collo, e poi scese lento disegnando mondi.
Harry aprì gli occhi e incontrò quelli umidi e in lacrime silenziose, di Hermione.




Ormai mi conoscete, non c'è molto da dire e siete abituati anche alle mie stranezze.
Vado a postare il prossimo capitolo.
  
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