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Autore: titania76    22/12/2011    10 recensioni
La vita di Shion Hayes, giovane uomo d'affari di successo, viene rivoluzionata da un messaggio che non può ignorare e al quale non può sottrarsi; viene così attirato a un appuntamento in un luogo fuori mano, in un freddo e lugubre pomeriggio autunnale. Qualcuno dal suo passato, che pensava di aver cancellato per sempre, torna nella sua vita e lo fa nella maniera più inaspettata e indelebile.
Anni dopo, l'infinita catena degli eventi innescata quel lontano giorno, sconvolge la quotidianità di una tranquilla e serena famiglia americana, portandola a cambiamenti radicali e allontanandola dalla propria casa e dalla propria città.
Quello stesso destino che in passato ha tolto, nel presente dona di nuovo.
La giovane Caroline Miller, da sempre sogna di tornare alla sua natia Boston; un incontro casuale e drammatico le dà la spinta decisiva per realizzare il suo desiderio. Ed è proprio a Boston, quando meno se lo aspetta, che incontra Saga.
Il colpo di fulmine è reciproco, ma fin da subito niente è facile per loro.
Ombre provenienti dal passato di entrambi sembrano spingerli in una direzione dove segreti e omissioni rischiano di spezzare per sempre il loro legame. Saranno in grado di resistere e rimanere assieme?
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Aries Shion, Capricorn Shura, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Sagittarius Aiolos
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legacy'
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Questa storia è totalmente dedicata a Manichan, che da diverso tempo non era più in grado di leggerla, né di darmi i suoi preziosi consigli e opinioni, o anche solo allietarmi con le sue battute, nel corso della stesura degli ultimi capitoli.
P
urtroppo, non ha potuto vedere la conclusione di questa lunga storia.




*****




Autunno 1983
Una fastidiosa foschia stava scendendo, veloce e silenziosa, a formare il solito velo di triste grigiore che la faceva da padrone in quell'autunno. Sembrava un'entità superiore che si divertiva ad avviluppare ogni cosa con il suo sottile e impalpabile manto, rendendosi a tratti più densa e a tratti più lieve e mistica. Cortine biancastre rendevano ancora più lugubre quel luogo tanto inconsueto per un appuntamento.
Il deposito dei treni non era nulla di più che un tratto di stazione in disuso e isolato dal resto, con tronconi di binari arrugginiti sui quali erano state dimenticate locomotive obsolete e vagoni inutilizzabili. In breve tempo, quel luogo era divenuto il territori di gang locali per lo spaccio e qualche resa dei conti.
Non erano ancora le quattro del pomeriggio e quella giornata stava già virando verso la notte, pesate e dall'atmosfera mortifera, con tutto quel biancore che aleggiava immobile. Fra le sue pieghe, un lontano eco di passi si stava facendo strada. Come colonna sonora, cigolii metallici creati da sporadiche folate di vento, e il gracchiare di un corvo, appollaiato su un vecchio traliccio ormai privo dei cavi dell'alta tensione.
Quei passi, dapprima calmi, diventarono via via più affrettati e agitati. Un respiro affannoso, teso, poi ancora solo passi di una figura misteriosa che si stringeva in un lungo cappotto grigio di lana. Il suo viso era avvolto da una sciarpa di cashmere scura e in testa un borsalino a celarne quasi del tutto le fattezze. I suoi occhi erano febbrili e acuti, scrutavano tutt'attorno a lui. L'andatura era svelta, ma resa incerta e irregolare dal pietrisco della massicciata che scricchiolava e faceva affondare un poco i suoi piedi a ogni passo, rendendo il tutto più faticoso.
L'uomo si guardò attorno con circospezione, girandosi spesso a osservare dietro di sé; il cuore gli batteva forte per la tensione. Rimuginava in continuazione sul perché avesse accetto di essere lì quel giorno.
Il prolungato fischio di un treno in lontananza, che in quel momento entrava in stazione, lo fece sobbalzare.
«Maledizione!» si lasciò sfuggire fra i denti in un sibilo roco, ancora con il cuore in gola.
Istintivamente si mise una mano nella tasca, afferrando e stringendo un oggetto dalla superficie fredda e metallica che gli diede un momentaneo senso di sicurezza. Si concesse un minuto, poi rilassò i muscoli delle spalle e riprese il suo percorso attraverso la nebbia, fermandosi infine nei pressi di un palo, sottile e basso, innestato nel cemento del marciapiede, sul quale era fissata una scatola metallica, di quelle per le chiamate di emergenza.
Si abbassò la sciarpa dal viso e scrutò i paraggi, strizzando gli occhi per cercare di vedere un poco attraverso la nebbia che nel frattempo si era inspessita. Dalla tasca interna estrasse il portasigarette in argento. Prese una sigaretta e se la mise subito in bocca. Le sue labbra tremavano ed erano livide dal freddo pungente, nonostante la sciarpa. Dalla tasca destra del cappotto recuperò l'accendino, anch'esso in argento. Provò due, o tre volte, prima di riuscire ad accenderla. Fece un tiro, poi un altro e un altro ancora, fino a terminarla; senza riuscire a godere dell'effetto calmante della nicotina. Anzi, lo rese ancora più nervoso.
«Che diavolo ci faccio ancora qui?» si chiese, fumando un'altra sigaretta, con la pressante idea nella testa di girare i tacchi e tornarsene da dove era venuto.
Buttò a terra il mozzicone accanto all'altro già schiacciato. Il tempo sembrava non passare mai.
Le istruzioni che aveva ricevuto nel suo ufficio di New York erano state chiare: una volta arrivato al deposito dei treni avrebbe dovuto raggiungere a piedi quel punto specifico e attendere. Ma per quanto tempo?
Fumò nervosamente altre due sigarette, nell'attesa che qualcuno si facesse vivo. I suoi occhi non si fermavano mai, scrutando ogni ombra, scattando a ogni rumore.
Rabbrividì, nonostante il pesante e caldo cappotto che indossava. Quel freddo incipiente della sera iniziava a insinuarglisi fin dentro le ossa; ma, ancor più del freddo, a infastidirlo era l'irritazione che gli attanagliava lo stomaco per quella lunga attesa.
Sussultò nel sentire alle sue spalle lo squillo del telefono di servizio. Fissò lo sguardo sulla scatola metallica. Lasciò suonare diverse volte prima di decidersi ad aprire lo sportellino ammaccato e arrugginito e afferrare la cornetta. Titubò ancora qualche istante. Poi, se l'appoggiò all'orecchio.
«Benarrivato. Hai avuto difficoltà a trovare il posto?» chiese una voce all'altro capo della linea.
«Perché mi hai fatto venire in questo postaccio? Perché proprio a Springfield?»
«Perché è a metà strada. È un terreno neutrale dove le loro mani non possono arrivare», rispose con tono pacato la voce misteriosa.
«Non mi piace perdere il mio tempo in questo modo! Dove sei, perché non ti sei presentato?» disse l'uomo in grigio, irritato. Si guardò attorno ancora una volta, ma non vide nessuno.
«Non te la prendere in questo modo, fa male alla salute», lo canzonò la voce. Fece una pausa. Attraverso il microfono del telefono si sentirono alcuni colpi di tosse e un rantolo. «Ti ho lasciato qualcosa nel gabbiotto di controllo, qualche metro più avanti. Spero apprezzerai il regalo.»
«Non voglio niente da te!» esclamò l’uomo, pronto a concludere la conversazione.
«Mi fido di te.»
A quelle semplici parole, la rabbia dell'uomo in grigio tentennò. Era stato un colpo a tradimento. Provò a replicare, ma sentì un click dall'altra parte della linea: la comunicazione era stata interrotta.
«Pronto? Pronto?» gridò, senza ricevere risposta.
Scagliò via la cornetta del telefono con uno scatto rabbioso, soffocando un'imprecazione; e rimase a fissarla penzolare dal filo, a pochi centimetri da terra. Fece un respiro profondo, per recuperare la calma. Gli era stato detto di guardare nel gabbiotto. La struttura era a pochi metri da lui: fatta di ferro, legno e vetro. Vi entrò a passo svelto, ma a una prima occhiata non vi era nulla di strano. Poi, abbassando lo sguardo, vide uno scatolone ficcato sotto la consolle di controllo. Era grosso, quasi interamente occupato da una pesante coperta di lana. Lo fissò a lungo prima di accovacciarsi e tirarlo fuori.
«Il regalo...» mormorò sarcastico.
Era tutto il giorno che aveva una brutta sensazione. Non avrebbe dovuto farsi immischiare in quella faccenda, ma rimanersene a New York, a farsi gli affari suoi. Nessuno lo obbligava a continuare quella farsa. Sarebbe stato semplice lavarsene le mani, fare finta di nulla, perché se avesse alzato quella coperta era sicuro che la sua vita sarebbe cambiata radicalmente.
Indugiò per qualche secondo: senza rendersene conto si ritrovò ipnotizzato dal desiderio di scoprire cosa ci fosse dentro. Quando alla fine si decise, sgranò gli occhi.
Uscì all'aria gelida e umida: il suo viso era tirato. La nebbia si era fatta più scura e fitta.
Fece qualche passo, sperava che prima o poi l'altro trovasse il coraggio di mostrarsi, ma in cuor suo non ci credeva. Continuò a camminare avanti e indietro per diversi minuti, a capo chino, fumando una sigaretta dopo l'altra. Raramente si era trovato nella posizione di non sapere cosa fare e quella sembrava proprio una di quelle. Si guardò indietro, verso il gabbiotto. Vi rientrò dopo aver buttato a terra l'ultimo mozzicone. Afferrò la cornetta del telefono della consolle e, dopo aver preso la linea esterna, fece una breve telefonata, dal tono decisamente perentorio.
«Metti in auto quello che c'è dentro e poi andiamocene da qui», ordinò al suo autista, arrivato una manciata di minuti dopo la telefonata. Schiacciò l'ennesima sigaretta con la punta della scarpa. «Sul sedile posteriore. E usa molta cautela», specificò, bloccandolo per un braccio.
Il vecchio annuì. Si tolse il cappello, adagiandolo sul sedile davanti ed eseguì senza fare domande.
«Se posso permettermi, signore», esordì il vecchio, con voce pacata e paterna, una volta ripartiti. «Che cosa...» provò a domandare, subito però frenò la lingua, notando dallo specchietto retrovisore lo sguardo accigliato del suo giovane padrone che fissava la strada dal finestrino.
«È il ricordo di un'amante senza coraggio. È questo che diremo, una volta tornati a casa, se ci chiederanno qualcosa», rispose Shion Hayes, togliendosi il cappello e allentando la sciarpa.
«Strano modo di farglielo avere, se posso permettermi», osservò l'autista. La conversazione non ebbe più seguito. Sempre dallo specchietto, osservò come l'altro si stesse ormai estraniando.

******

Profondi e cupi occhi verdi, velati di immensa tristezza, erano rimasti a osservare lo svolgersi del destino. Era stata una visione difficile da sostenere per lui, attraverso la nebbia irregolare che si divertiva a creare ora una barriera impenetrabile, ora un velo leggero. Il suo cuore era pesante. Rimase lì, nel suo nascondiglio, non troppo vicino, ma neanche troppo lontano dal punto dell'appuntamento, finché non fu tutto tranquillo. Diede ancora qualche violento colpo di tosse, sputando sangue ai suoi piedi, ansimando e appoggiandosi con la fronte alla parete del vagone merci, stringendo nella mano il cellulare.
Sorrise amaro quando vide l'auto allontanarsi; fece un sospiro stanco e rassegnato, ma anche liberatorio: gli era costato molto, ma sapeva di aver preso la decisione giusta. Si tolse gli occhiali e, molto delicatamente, pulì le lenti tonde, racchiuse da una sottile e sobria montatura d'oro.
Fece un altro respiro profondo, per ritrovare la determinazione che aveva dovuto imparare a tirare fuori in quegli ultimi mesi. Distrusse il cellulare e scese dal vagone, stringendosi nel cappotto e alzando il bavero. Il vento gelido lo colse di sorpresa. Si girò per un'ultima volta nella direzione presa dall'auto, mormorando fra sé e sé poche parole incomprensibili, forse in una lingua straniera. Poi, si incamminò nella direzione opposta.







Note del capitolo:
Ebbene sì, c'è una piccolissima nota. La perplessità che potrebbe sorgere alla fine della lettura di questo prologo è: Come è possibile che ci possano essere i telefoni cellulari nel 1983? Non so voi, ma a me questa perplessità è venuta alla fine della stesura di questo prologo. Ebbene, sono andata a controllare e guarda la fortuna, proprio nel 1983 la Motorola ha prodotto il suo primo modello di telefono cellulare, anche se non era per così dire molto discreto nelle sue dimensioni, se lo paragoniamo a quelli di oggi.


   
 
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