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Autore: Lady Vibeke    09/01/2012    4 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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25. RITORNO AL PASSATO

 

Is this the place we used to love?
Is this the place that I’ve been dreaming of?
– Somewhere We Only Know, Keane –

 

 

Erano ripartite che l’alba non era ancora del tutto sbocciata nel mattino.

Stracci di nuvole andavano addensandosi contro lo sfondo azzurro polvere del cielo e l’aria era pervasa da un’elettricità che faceva presagire tempeste all’orizzonte. Forse su a Norden, se la temperatura non era scesa ancora, stava già nevicando.

A Regan non piaceva viaggiare con Soile: taciturna e schiva, la sua presenza era quasi trascurabile. Non fosse stato per la necessità che aveva di essere protetta, avrebbe fatto volentieri a meno di lei. Le mancava terribilmente la compagnia degli altri, i battibecchi con Lucius, il calore dei sorrisi miti di Shin, l’affetto gioioso di Eleonora, le ore piacevoli trascorse con i ragazzi Edelberg a preoccuparsi solo di non alzare troppo la voce tra una risata e l’altra. Stranamente, le mancavano persino Anneli e i suoi musi lunghi, i suoi modi seriosi. In fin dei conti, a loro bizzarro modo, ormai erano amiche.

Un tocco sulla spalla la riportò al presente.

– Siamo arrivate. –

Non si era nemmeno accorta che la barca si era fermata. Malice, avvolta da capo a piedi in un mantello grigio, il cappuccio sollevato a gettarle dense ombre sul volto, le aveva accompagnate fin lì, il massimo che le era concesso.

La Foresta d’Acqua si esauriva in un contorno paludoso che veniva gradualmente riassorbito dai prati circostanti, tramutandosi in terreno solido sul quale le greggi pascolavano oziose. Dovevano uscire dai confini della foresta per potersi allontanare con la magia. I villici sostenevano che erano gli spiriti guardiani che custodivano il luogo a inibire i poteri di chi vi entrava, ma Regan adesso sapeva che la verità era un’altra: era tutto opera di Soile. Più la conosceva, più si sentiva confusa verso quella donna e intimidita dalla vastità del suo potere. Troppo bella, troppo potente, troppo in vista, proprio come aveva detto Prince, ed era solo la superficie. Ciò che si celava al di sotto di essa era impossibile indovinarlo. Lady Leljen era così: luce vestita di ombre.

Scesero dalla barca e ringraziarono Malice. L’ultimo sguardo che la donna rivolse loro era di tristezza mista a rassegnazione.

– Abbiate cura di voi. –

Poi riprese la lunga asta sottile con cui aveva spinto la barca fin lì e si allontanò senza guardarsi indietro.

Regan e Soile erano sole di fronte a una distesa di pascoli verdeggianti del tutto privi di insediamenti civili di alcun tipo. Erano almeno a un giorno di cammino dal villaggio più vicino e per chiunque la distanza avrebbe rappresentato una seria difficoltà. Naturalmente così non era per Soile.

– Cosa facciamo adesso? –

Gli occhi glaciali di Soile, a cui quel giorno le nuvole livide conferivano sfumature bluastre, sondarono l’orizzonte fosco, assottigliandosi appena. Tutto era tranquillo e tutto ciò che si poteva udire era il canto degli uccelli che si aggiravano nella zona in cerca di cibo.

– Prima di fare qualunque cosa, voglio accertarmi che non ci sia nessuno di pericoloso nei paraggi. –

Seguendo il suo sguardo verso ovest, a Regan parve di avvertire qualcosa, come una forza magnetica che si sprigionava da un punto circoscritto e le scorreva sulla pelle con la delicatezza di una pioggia di petali e l’intensità sorda di un’onda che si propagava nel vuoto.

Giorno dopo giorno, Regan aveva imparato a riconoscere l’energia della natura da quella delle persone, quando la percepiva, e stavolta apparteneva a una persona.

– Cosa c’è da quella parte? –

– Il Tempio della Luna – rispose Soile, fissando esattamente il punto in cui si concentrava l’energia che avvertiva lei. – Proprio in cima alla collina. –

C’era un bosco, in cima alla collina, e una cascata che tagliava il tutto a metà, ma in mezzo a tutto ciò Regan non riusciva a vedere niente che potesse assomigliare all’imponente tempio noto per essere il più importante del Mondo Occulto.

– Non sforzare la vista. Il tempio è visibile solo a chi paga il pedaggio. –

Nella sua memoria sciupata non c’erano tracce di conoscenze a quel proposito. Derian veniva da una famiglia che si era costruita da sola la sua modesta fortuna e da sola si era rovinata e tutto ciò che le aveva trasmesso riguardo al culto della Madre era che i suoi erano tra quella gente che si limitava a seguirne gli insegnamenti, senza disturbarsi a trascinarsi fino ai luoghi sacri una o più volte l’anno. Il Solstizio d’Inverno era passato da poco e prima di esso molti dovevano essersi recati al Tempio della Luna in pellegrinaggio per ricevere la benedizione in vista del nuovo anno in arrivo.

– Proviene dal tempio l’energia che sento? –

Per un attimo soltanto, Soile la guardò come se avesse appena detto che il cielo stava prendendo fuoco.

– Sì. Quella che senti è l’aura di Geira, la Somma Sacerdotessa – le spiegò poi, subito ricomposta, poi le porse la mano.

Regan la prese.

– Dove andiamo? – chiese, ben consocia di ciò che quel gesto comportava.

– A cercare Lucius e Shin. –

Soile le strinse la mano e chiuse gli occhi.

Il cuore di Regan ebbe a malapena il tempo di contrarsi, pungolato dalla speranza, poi la terra le mancò sotto i piedi e tutto divenne nero.

 

 

Un sole rosso era sorto quella mattina attraverso la coltre di nubi cineree.

Un pessimo auspicio che si era spalancato su due occhi appena riaperti e li aveva feriti con quella luce terribile, inondando la stanza di bagliori sanguigni simili a lame attraverso le tre feritoie, alte e strettissime, che fungevano da finestra. Prima ancora di aver preso coscienza del proprio risveglio da un sonno agitato, Angina avvertì un senso di vuoto attorno al collo.

Il gesto di portarsi una mano alla gola era stato spontaneo e del tutto automatico, perché lì dove ora posavano le sue dita tremanti era solita giacere la preziosissima chiave che rappresentava l’unica via di accesso alle Stanze Segrete che il covo dei suoi ancestori custodiva da intere generazioni.

Benché fosse rimasta sconvolta di trovare la propria pelle completamente nuda, non ebbe bisogno di interrogarsi a lungo su cosa potesse essere successo. Lo aveva sentito subito, anche se dapprima non ci aveva fatto caso, quell’odore familiare di erba bruciata e di giunchiglia che per nulla al mondo avrebbe potuto confondere, e quell’inconfondibile associazione la ferì come nient’altro avrebbe potuto.

Avrebbe preferito essere ingannata dal proprio padre, piuttosto che da lei.

Venena.

Si alzò dal letto che le mani le tremavano. Se per rabbia, timore e delusione, non lo sapeva nemmeno lei. Forse per tutti o nessuno di quei motivi.

Cercando lucidità, si avvicinò alla bacinella in cui ogni sera una della sue attendenti le versava acqua di fonte per la toeletta mattutina. Spinse in su le maniche della corta tunica che usava in vece di camicia da notte e si spruzzò il viso di acqua fredda. Rimase sentire le gocce che una a una le colavano sul petto e tra i capelli sciolti e si disse che era colpa sua, che se lo sarebbe dovuta aspettare. In fondo, conosceva Veneva forse meglio di sé stessa e aveva sempre saputo che le sue assidue ricerche non si sarebbero arrestate fino a che non avesse raggiunto il proprio scopo. Non erano i rischi ad affliggerla – Venena non era il tipo da sfruttare conoscenze preziose a proprio egoistico vantaggio – quanto piuttosto l’atto in sé: non la avrebbe mai creduta capace di commettere qualcosa alle sue spalle.

La aveva cresciuta lei. La piccola Venena Midnat era nata un cupo giorno di febbraio in una delle centinaia di stanze del covo e, rimasta orfana di madre quando ancora in fasce, era stata cresciuta dal padre, illustre erborista, fino a che quest’ultimo era morto a causa di un tragico incidente. Angina era poco più di un’adolescente, all’epoca, e si era subito presa a cuore le sorti di quella demone bambina dall’aspetto così fragile. La aveva accolta sotto la propria ala protettrice e le aveva personalmente insegnato a combattere con le armi e, anche se la ragazza non aveva mai mostrato poteri magici degni di nota, aveva indubbiamente compensato la lacuna affinando sempre più le sue abilità in campo botanico e medico. Al fianco di Angina aveva girato tutto il Mondo Occulto e alcune parti del mondo degli umani, e aveva appreso molto più di quanto un suo pari avrebbe mai potuto apprendere su tutti i libri esistenti, e il legame che si era andato a creare tra loro andava ben oltre ciò che comunemente univa un allievo al proprio maestro.

Per questo ora Angina, prima di struggersi per la pugnalata alle spalle subita, voleva parlare con lei e conoscere l’esatta sua versione dei fatti. Ciò che avrebbe fatto in seguito, lo avrebbe deciso solo dopo aver giudicato ciò che voleva sentire.

Non andò a cercare Venena, né parlò con nessuno dell’accaduto, nemmeno con suo padre Vester. Si rintanò invece nel suo studio privato, e lì attese che fosse Venena stessa ad andarla a cercare, perché sapeva che l’avrebbe fatto.

Un mucchio di braci incandescenti ardeva silenziosamente all’interno di un bacile al centro della stanza, mentre lei, assorta, sedeva alla scrivania di mogano intagliato in compagnia di nient’altro che i suoi pensieri.

L’attesa non fu lunga: non era neanche l’ottava mattutina quando all’esterno udì dei passi rapidi che si avvicinavano. La riconobbe da quel suono, dal modo in cui i tacchi degli stivali aggredivano la pietra nuda.

La porta si spalancò di botto, sbattendo contro il muro con un rumore assordante. Venena entrò tempestosamente con un grosso libro tra le braccia, il volto stravolto di chi aveva perso molte ore di sonno, ma acceso di un entusiasmo quasi folle. Una sola cosa la tratteneva: la colpevolezza apertamente impressa negli occhi.

– Ti stavo aspettando. –

– Lo so – replicò l’altra a testa alta. – E avrò la faccia tosta di implorare il tuo perdono, dopo che avrò finito di spiegarti perché l’ho fatto. –

Angina si trattenne dal sorriderle bonariamente. Lei poteva non saperlo, o non esserne sicura, ma non le avrebbe mai negato il perdono per una simile azione. Ad altri avrebbe fatto mozzare mani e lingua senza nemmeno ascoltare scuse, ma la coscienza di Venena era pura, non conosceva meschinità né tradimento, e non avrebbe mai fatto punire una semplice curiosità intellettuale, anche se sfociava nell’ossessione.

– Ecco – Venena gettò il libro sulla scrivania. Alcuni fogli caddero a terra, ma non se ne curò. – La risposta a tutte le domande che tutti si stanno facendo. –

Angina osservò meglio il libro: la copertina nera era rovinata e lisa, antica, e il titolo impressovi sopra era a stento leggibile. Ciononostante lo riconobbe immediatamente. Nelle mani sbagliate, le conoscenze contenute in quelle pagine sarebbero potute diventare armi di mortale pericolosità. Era già lì, quando i suoi antenati si erano insediati nella città costruita nel ventre della montagna, e di certo chi ne era stato il precedente proprietario si era ben guardato dal lasciarlo alla portata di chiunque. Leggendolo, Angina aveva immediatamente capito il perché.

Non appena sollevò lo sguardo, trovò Venena a scrutarla con immenso rammarico, che non riusciva però a celare una scintilla di compiacimento. Teneva qualcosa stretto nella mano sinistra. La aprì e lasciò cadere qualcosa, una piccola chiave d’oro che giacque inerte sopra al libro.

– Perdonami, Gin. –

– Perché non me l’hai chiesto? –  riuscì soltanto a chiederle Angina.

– Perché se tu me lo avessi negato, ti saresti aspettata una mossa del genere da parte mia – Venena la occhieggiò mestamente. – Sono pronta ad addossarmi ogni mia responsabilità per quel che ho fatto, ma, devi credermi, ne è valsa la pena. –

Angina sorvolò di commentare la parte sulla punizione che non le avrebbe mai inferto e si concentrò invece su quella più interessante:

– Cosa intendi con “Ne è valsa la pena”? –

L’espressione dura della ragazza si incrinò lievemente. Due minuscole incurvature arroganti apparvero agli angoli delle sue labbra.

– So che cos’è Regan. –

 

 

C’era una mappa delle Sette Terre spiegata all’interno di un bacile di pietra che Regan fissava stupefatta senza riuscire a capire cosa ne avrebbero fatto.

Soile l’aveva riportata a Kauneus e da lì, una volta rientrate al palazzo, l’aveva trascinata frettolosamente in quella stanza bizzarra. Era di forma ottagonale, gli scaffali a ridosso delle pareti bianche avevano mensole punteggiate da fori del diametro di una nocciola lungo l’asse centrale, i quali fingevano da supporto a un numero spropositato di fiale di cristallo colme di una sostanza scura e viscosa che poteva essere solo sangue. Erano centinaia, un migliaio, forse, difficile a dirsi.

Al centro della camera c’era il bacile pieno d’acqua in cui riposava la mappa, appoggiato su un supporto di vetro che sembrava troppo fragile e sottile per sostenere tutto quel peso.

Soile si mosse con sicurezza tra i ripiani e da punti differenti di essi trasse due fiale che portò al bacile. Su una di esse Regan lesse il nome di Lucius, sull’altra uno che non conosceva.

Restò a guardare incantata mentre Soile toglieva con fare espero la ceralacca nera che sigillava le fiale e, una per volta, versava una goccia del loro contenuto nel recipiente.

– Questo è lo strumento che la Lega usa per tenere sotto controllo i propri membri – rivelò poi a Regan, precedendo la sua curiosità. – Soprattutto quelli sospettati di tradimento. Se vengono scoperti nel luogo sbagliato al momento sbagliato, l’arresto è immediato. Se con questo non riusciremo a individuare la posizione di Lucius e Shin, significa che si trovano in un luogo occultato da potentissimi sigilli, oppure… –

– Che sono morti? – balbettò Regan, improvvisamente preoccupata.

– Ci avvaliamo di questo incantesimo anche per recuperare i corpi dei caduti. Se non appaiono su questa mappa, può anche darsi che siano stati privati delle loro Stelle per non essere rintracciati. –

Per qualche secondo l’acqua si colorò di una vaghissima sfumatura di rosa, poi, con lentezza esasperante, il colore tornò a concentrarsi in due anelli distinti, riacquisendo progressivamente una densità impensabile. Le due gocce di sangue erano quasi solide, adesso, posate l’una affianco all’altra in un punto preciso della cartina. Sembravano quasi due gemme preziose.

Qualcosa scattò nella mente di Regan, un collegamento istantaneo che colse di sorpresa perfino lei.

– Quest’incantesimo che avete usato – disse, seppur tentennante. – Serve a localizzare le Stelle, non è così? Per questo tutti sono tenuti a portarne una. –

Se Soile fu colpita da quell’osservazione, non lo diede a vedere.

– Non esattamente. Localizza la Stella solo se essa è ancora indossata dal legittimo proprietario. Il sangue è la chiave di tutto: scorre nelle vene della persona, contraddistingue indelebilmente la Stella e viene impiegato nell’incantesimo per individuare la combinazione dei primi due elementi. –

– E se qualcuno si togliesse la Stella? –

– Sono previste gravi punizioni per un membro che viene scoperto senza la sua Stella. Solo chi agisce sotto copertura è autorizzato a separarsene. –

Regan era impressionata. I livelli di controllo che la Lega aveva sui suoi sottoposti era vicino a quel che si sarebbe definito un regime schiavista: tutti erano marchiati, censiti e resi perennemente rintracciabili.

– Lo facciamo per la tutela dell’istituzione e del bene comune. Ci sono più di tremila di membri nella Lega, è difficile controllarli tutti direttamente. Una sola spia può compromettere l’intero sistema – precisò Soile, probabilmente intuendo la sua perplessità.

Regan annuì, ma i suoi occhi avevano appena notato un particolare che prima le era sfuggito: le due gocce si erano adagiate nei territori della Terra di Sonnerg.

Sotto di essere era ancora leggibile la scritta Aurin.

 

 

La furia di Gerjen non si era ancora placata. Sedeva di malumore in una bisca di basso borgo alla periferia di Medilana, con il volto coperto di graffi profondi e imbrattato di sangue e una bottiglia di liquore forte a diluirgli la bruciante umiliazione. Mai, in tutta la sua vita, aveva subìto un tale affronto. Nel rievocare l’accaduto, la sua mano destra, anch’essa disseminata di graffi, si serrò con furia attorno al boccale di ferro fino a incrinarne il fianco, in cui si aprì una piccola fessura da cui stillò una goccia di liquore nerastro.

Quelle maledette bestiacce…

Era stato un gufo, grosso e bruno, il Guardiano del giovane angelo dai capelli biondo candido. Gli si era avventato contro dal nulla, dimenando gli artigli affilati tra le sue strida bellicose. Non era riuscito a ferirlo seriamente, ma aveva fatto di molto peggio: gli aveva fatto perdere il controllo della situazione. E poi dal nulla era apparso quel mostricciattolo rosso che gli aveva strappato il cristallo, e lui si era sentito perduto.

Luciferus era perfettamente in grado di identificare la banda a cui il cristallo apparteneva, dato che lui stesso, un tempo, ne aveva posseduto uno identico, ma non era questo a disturbare Gerjen. Del resto, era già un fatto noto che i Ladri di Anime fossero interessati sia a lui che alla ragazzina dai capelli rossi che si portava appresso, per vendetta nel primo caso, per avidità nel secondo.

Ma Lord Desmond era stato adamantino in proposito: nessuno doveva mettere le mani sulla ragazza, nuocerle in alcun modo e, soprattutto, separarla da chi ora vigilava su di lei. La ragione dietro a tali raccomandazioni era rimasta segreta, e proprio questo particolare aveva indotto Gerjen a supporre che sotto ci fosse qualcosa. Tuttavia non aveva intenzione di mettersi contro l’esplicito volere del suo miglior cliente.

Almeno finché non avrò scoperto cosa sta nascondendo.

Era un uomo sveglio, con un fiuto infallibile per gli affari e le cose preziose, e fin dal primo momento che aveva percepito l’essenza della ragazza aveva saputo che lei aveva un grande valore. A quanto esso ammontasse esattamente, non era ancora in grado di stimarlo.

Al momento la sua maggiore preoccupazione era tornare dai suoi uomini e procurarsi un nuovo cristallo. Ci sarebbero voluti tempo e pazienza per riuscire a riempirlo degnamente, ma era una priorità assoluta. Lord Desmond avrebbe dovuto aspettare.

 

 

Lucius, come sempre, aveva messo da parte il buonsenso per lasciarsi guidare dall’istinto, ed esso lo aveva condotto ad Aurin, il luogo che fin dall’inizio avrebbero dovuto raggiungere. Ovunque fossero Soile e Regan, presunse che fosse il primo posto in cui li avrebbero cercati o si sarebbero fatte cercare. Gli era venuta una mezza idea di recarsi presso la Sede del Nucleo di Medilana, ma la consapevolezza che nell’esatto istante in cui lui avrebbe messo piede là dentro Castalia l’avrebbe saputo lo aveva fatto desistere. Agire alle spalle del Coordinatore Generale e andare di proposito a suscitare i suoi sospetti non sarebbe stato una mossa granché astuta.

Shin fra l’altro era ancora debole. Gli aveva preso qualcosa di dolce da mangiare per restituirgli un po’ di vigore, ma era servito a poco: era un altro tipo di energia che gli mancava e per quella non c’erano rimedi che ne accelerassero il ritorno. Bisognava aspettare, e basta.

Sedevano su una panca di legno davanti alla bottega del fornaio, da cui proveniva un invitante profumo di pane.

– Mi dispiace. Era molto tempo che non praticavo qualcosa del genere – mormorò, mentre Shin risposava a occhi chiusi, il viso rivolto verso i pochi raggi di sole che filtravano tra le nuvole.

– Intanto siamo salvi, ed è tutto merito tuo. –

– L’idea geniale l’hai avuta tu. –

Shin sorrise ma non replicò.

– Pensi davvero che siano salve? – chiese invece. Non aprì gli occhi, ma Lucius intuì comunque la sua preoccupazione, anche al di là del tono fermo.

– Se fossi in pericolo, non c’è persona che vorrei al mio fianco se non Soile – dichiarò.

Il sorriso di Shin si approfondì, con una nota di malizia.

– Questo anche se tu non fossi in pericolo. –

Lucius restò interdetto, ma per un attimo soltanto. L’attimo dopo si stava già rilassando in un’aperta risata.

– La mia compagnia ti fa male, amico mio. Stai diventando provocatorio come il sottoscritto. –

– Hai intenzione di metterle subito al corrente di quello che abbiamo scoperto nei sotterranei? –

– No. – A Lucius la propria risposta suonò più repentina e secca di quel che avrebbe voluto. – Prima concentriamoci su quello che possiamo scoprire qui, poi penseremo a indagare oltre. –

Il più profondo desiderio di Regan era ritrovare i suoi genitori e le sue radici, e non la avrebbe distolta da quest’obiettivo ora che c’era così vicina.

Eppure…

– Non sei ancora pronto a separarti da lei, vero? –

Un’osservazione come un dardo, scoccata senza intenzione di colpire, ma che aveva sferzato l’aria e trafitto Lucius da parte a parte, aprendo uno squarcio di indesiderata consapevolezza. Restò così, chino sulle ginocchia, gli occhi sgranati sul vuoto dell’aria polverosa davanti a lui.

– Mi piace prendermi cura delle persone, lo sai, e nessuno aveva mai avuto bisogno di me come ne ha avuto lei. – Un sorriso gli affiorò sulla bocca. – Forse ho sbagliato a permettere a me stesso di affezionarmi tanto a lei. –

– Non sarà comunque un addio. Regan è in pericolo e non può fare a meno di te. –

– Di noi – corresse Lucius, ma il suo momentaneo malumore era già passato. Aveva ragione Shin: comunque andassero le cose, Regan non avrebbe potuto rimanere lì ad Aurin.

Osservò la piazza e i suoi passanti in cerca di elementi che potessero aiutare la ricerca, ma non c’erano donne dalla chioma vermiglia, e nessuno che finora avesse visto aveva gli occhi di un verde che ricordasse anche solo vagamente la tonalità smeraldina di quelli della sua amica. Aveva anche provato a chiedere un po’ in giro se qualcuno si ricordasse di una bambina con quelle caratteristiche, ma era stato un buco nell’acqua: alcuni avevano semplicemente scosso la testa, liquidandolo con un “No, mi spiace” frettoloso, altri, addirittura, erano inorriditi al sentir nominare dei capelli del colore del sangue e si erano allontananti sciorinando scongiuri alla misericordia Madre.

Lucius era del modesto parere che avrebbero concluso ben poco: la gente locale aveva lineamenti troppo duri e ordinari da far pensare che qualcuno di loro intrattenesse parentele anche lontane con Regan. Forse i suoi genitori erano forestieri e avevano lasciato il villaggio, dopo aver perso la figlia.

Le ipotesi si stavano succedendo una dopo l’altra nella sua mente laboriosa, quando i suoi occhi videro qualcosa che lo fece scattare in piedi: dal Portale al centro della piazza erano appena uscite due figure femminili ammantate in due cappe identiche grigio scuro. Non era così che ricordava vestite le due donne che attendeva lui, eppure bastò che la più alta delle due muovesse un solo passo perché in quel modo di camminare lui potesse riconoscere l’incedere maestoso di Soile. Nemmeno la più brava delle imitatrici sarebbe riuscita a ricalcare così perfettamente delle movenze così caratteristiche.

– Sono loro! – esclamò Shin, trattenendo a stento il volume della voce.

Non erano lontani. Regan li aveva appena visti e stava già correndo verso di loro, un ciuffo rosso che spuntava da sotto il cappuccio calcato in testa fin oltre la fronte.

Felice di rivederla sana e salva, Lucius spalancò le braccia e lasciò che lei gli si gettasse al collo, stringendolo forte.

– Lucius! Oh, meno male che state bene! –

– Cerbiattina! – rise lui, ricambiando l’abbraccio. – Dovrei sgridarti, sai? Potevamo essere due impostori qualunque… –

Le sue braccia stringevano lei, ma i suoi occhi erano inchiodati su Soile, che si stava avvicinando senza alcuna fretta, priva di alcun segno di ferite, e lei restituì lo sguardo, sulle labbra qualcosa di simile a un sorriso, dolce e infinitamente triste al tempo stesso.

Quel tipo di sorriso feriva Lucius molto più dell’indifferenza.

– Cosa ne è stato di voi? – gli chiese Soile, appena Regan lo lasciò per andare ad abbracciare Shin.

Si spostarono in un angolo isolato per riferirsi ciò che era accaduto alle due metà del gruppo. Lucius omise solo di riportare l’illuminazione che aveva avuto dinnanzi alla porta con l’incisione: avrebbe richiesto troppe spiegazioni e sollevato troppi quesiti; avrebbero avuto il tempo più tardi di discuterne. Precisò subito, invece, che la gente del villaggio si era dimostrata ben poco collaborativa verso i suoi tentativi di indagare, ma questo non bastò a demoralizzare Regan.

– Dobbiamo chiedere ai più anziani – insisté, piccata. – Ci deve pur essere un capo-villaggio che sappia qualcosa di più! –

Non avendo nulla da perdere, decisero di accontentarla: Soile si recò personalmente dal capo-villaggio, mentre Lucius, Shin e Regan iniziarono a entrare nelle botteghe per chiedere ai proprietari, la cui età era abbastanza matura da implicare che fossero già adulti e ben consapevoli all’epoca in cui Regan, pressappoco, era stata lì. Era tradizione che le attività passassero di padre in figlio, quindi le possibilità di sbagliare erano poche: se nemmeno loro avessero saputo dir loro qualcosa, non sarebbe rimasto che arrendersi.

Era quasi mezzogiorno quando Lucius, uscendo dallo spaccio del birraio, ammise che era tutta fatica inutile. Regan e Shin erano dal lato opposto della piazza e conversavano con un uomo calvo e panciuto che scuoteva il capo con aria desolata.

– Cerchi mele su rami di pesco, ragazzo. –

Lucius si guardò intorno, cercando da dove fosse provenuta quella vocina sottile e rauca, e vide che c’era una vecchietta seduta davanti alla porticina di una casa lì accanto. Era piccola ma robusta, anche se ricurva, con capelli bianchissimi raccolti in una treccia sottile che le circondava tutta la testa.

– Chiedo scusa? –

La vecchia lasciò da parte i suoi ricami e si tirò in piedi a fatica, appoggiandosi a un nodoso bastone scuro.

– Non conosci questo detto? Non bisogna perdere tempo a cercare una cosa dove è impossibile trovarla. –

– Voi sapete qualcosa che loro non sanno? –

Gli occhi ciechi della donna si posarono su di lui, e Lucius percepì con assoluta chiarezza che, anche se il dono della vista la aveva abbandonata, era in grado di vedere il mondo oltre le barriere materiali. Proprio come lui.

La vecchia sorrise ridanciana.

– Sei proprio un figlio dell’alta società. Saranno quarant’anni che nessuno mi dà del Voi. –

– Le mie origini non sono più nobili delle vostre, signora, credetemi. Ho solo avuto la fortuna di incontrare persone che hanno avuto il buon cuore di aiutarmi – fece Lucius, con tutto il garbo possibile. Non era falsa modestia: tutto ciò che lui era, lo doveva a Soile e a chi, come lei, aveva avuto fiducia in lui, concedendogli un’altra possibilità. Lui, da solo, non sarebbe mai stato niente.

– Il mio nome è Verle, giovanotto – lo redarguì la donna, come se la infastidisse che le fosse riservata tanta rispettosità.

Lui sorrise e si inchino per porgerle il suo saluto, anche se lei non lo poteva vedere.

– Il mio è Lucius. –

– Io posso dirti ciò che vuoi sapere sulla tua amica dai capelli rossi, Lucius. –

Lui non capì immediatamente cosa stonasse in quella frase, fino a che la donna non alzò gli occhi su di lui. Sottolineare l’ovvio era più che stupido, ma non sapeva che altro dire:

– Perdonate il poco tatto, ma… voi siete cieca. –

– Oh, sì. Da un paio di decadi. –

– Allora come sapete che lei ha i capelli rossi? –

Era una domanda inutile, anche perché i capelli di Regan erano ben nascosti dentro al cappuccio.

A meno che non avesse semplicemente riconosciuto lei.

– Chiama i tuoi amici e venite dentro, Lucius. Non è il caso di discuterne qui fuori. –

 

 

La casa della vecchia Verle era stata una piccola locanda, ai suoi tempi, e ancora ne conservava il vago odore di cibi speziati e legna riarsa dal fuoco. Gli interni, però, sembravano un dipinto impallidito dal sole, consumati dal tempo e dall’inattività: il legno chiaro del mobilio era sbiadito e in alcuni punti scheggiato, cuscini che una volta dovevano essere stati di un cotone morbido dalle tinte sgargianti adesso erano lisi e scoloriti, flaccidi come sacchi svuotati, le tendine di merletto alle finestre erano bianche e pulite, ma i supporti in metallo su cui correvano erano intaccati dalla ruggine. Tegami, paioli e pentole di rame tappezzavano la parete sopra il lavello, quasi tutti anneriti fino a perdere del tutto la loro lucentezza, e Regan si rese conto che nulla di tutto ciò le ricordava alcunché. C’era una sola cosa, in quella grande cucina, che le era familiare: la fragranza intensa e corroborante della tisana che l’anziana donna aveva messo in infusione in una vecchia teiera sbeccata. Le faceva venire in mente carezze e abbracci caldi, e dentro di lei era un profumo di sicurezza.

Sedevano tutti intorno al tavolo quadrato, Regan e Shin ai lati della vecchia, Soile di fronte. Nonostante gli fosse stata offerta un’altra sedia, Lucius aveva preferito rimanere in piedi. Stava accanto alla finestra e guardava fuori, pensieroso. Al di là del vetro, il sole d’oro brillava lugubremente in cima al Portale.

Verle si era offerta si preparare loro qualcosa da mangiare, data l’ora, ma nessuno di loro aveva fame: la sola cosa per la quale si trovavano lì era sapere.

– Sono passati così tanti anni, ormai – esordì la donna, la voce così ruvida che sembrava grattarle in gola. Guardava Regan negli occhi, come se potesse vederla davvero. – Trentatré, per la precisione. Il giorno della Morte del Sole si portò via anche te, assieme alla luce. –

Shin ebbe un piccolo sussulto nell’udire quel particolare, ma non osò interrompere.

– La vista non mi aveva ancora abbandonata, all’epoca. L’ultimo ricordo che ho di te era uno scricciolo alto poco più di un braccio che trotterellava instabile tra un mobile e l’altro. I tuoi occhi erano di un verde spaventoso, per chi conosce il significato di quel colore, ma erano così limpidi e innocenti che dubitavo qualcuno potesse averne veramente timore. –

Verle sorrise, gli occhi velati di commozione.

– Avvicinati, bambina, fatti guardare. –

Regan non capì quella richiesta fino a che la donna non sollevò le mani verso di lei. Allora si sporse in avanti e lasciò che Verle la vedesse a modo suo. Le dita rugose e ossute percorsero il suo viso come un dito avrebbe seguito le parole di una pagina di lettura, costruendo frasi, periodi e interi passaggi.

Quando la donna riabbassò le mani, due lacrime le stavano sgorgando dagli occhi.

– Sei uguale a lei – commentò con una punta di nostalgia – Identica, sì. –

– Lei chi? –

– Tua madre, mia cara. –

– Mia madre? – balbettò Regan, sconvolta. Il cuore la balzò in gola, gonfio e grave di speranza.

Verle annuì e congiunse le mani davanti a sé, abbassando il mento.

– Una ragazza bella e fine come non se ne vedono qui. E il giovane che era con lei era un vero gentiluomo. Dissero di essere una coppia di giovani sposi provenienti dalle campagne dell’Est e io finsi di crederci. –

Questo suscitò l’interesse di Lucius, che finalmente si voltò, la fronte corrugata:

– Fingeste? –

Lo sguardo della vecchia lo trovò senza fatica, come seguendo una traiettoria precisa.

– Qualche straccio buttato addosso non fa di un nobile un contadino – affermò, e i suoi occhi ciechi si spostarono per un momento su Soile. – E loro erano così raffinati e istruiti che non avrebbero ingannato un sasso. Furono molto rispettosi ed educati con me, quando giunsero qui, chiedendo asilo, e questo mi persuase ad aiutarli. Tua madre, in segno di riconoscenza, mi diede in dono questa. ­­– La mano grinzosa della vecchia salì a sfiorare una catenella di oro puro da cui pendeva un piccolo ciondolo a forma di cuore minuziosamente lavorato. – Offrii loro un alloggio in casa mia. Lei mi aiutava con la locanda, lui era un bravo armaiolo, trovò subito un impiego dal fabbro. –

– Come potete essere così sicura che fossero i miei genitori? – volle sapere Regan, accorata. Non aveva nessuna intenzione di illudersi per niente, anche se in fondo sapeva che era già  troppo tardi.

– Tua madre era già incinta quando arrivò qui. L’ho aiutata io a metterti al mondo e non potrei confondere la tua aura tra altre migliaia. –

Regan si sentiva sull’orlo della follia. C’era così tante cose che avrebbe voluto chiedere, dubbi che avrebbe voluto risolvere…

Alla fine si costrinse a scegliere una domanda sola, la più importante:

– Voi sapete dove si trovano, adesso? Mia madre e mio padre… lo sapete? –

Verle questa volta non la guardò. In qualche modo, Regan sapeva che significato avesse quel contatto negato, e il suo sangue congelò nelle vene prima ancora che la vecchia pronunciasse la risposta che lei già presagiva.

– Sono morti lo stesso giorno infausto in cui sei scomparsa tu. –

Una fitta di sincero dolore aveva scosso quelle parole terribili, ripercuotendosi come uno spietato colpo di frusta sull’animo impreparato di Regan. Per qualche motivo, si era sempre voluta convincere che fossero ancora vivi, sebbene in realtà nulla avrebbe potuto indurla a farlo.

Non pianse, perché non poteva piangere qualcuno di cui non si ricordava, che non ricordava di aver amato, e non ebbe alcuna delle reazioni che forse gli altri si aspettavano da lei.

Rimase composta, equilibrata, e tutto ciò che si concesse fu una lacrima silenziosa che cadde sul tavolo senza alcun rumore.

Lucius la guardò incerto, come a chiederle se avesse bisogno di qualcosa, anche solo un gesto di conforto, ma, pur senza parlare, gli disse di non preoccuparsi.

– Ricordate i loro nomi? – indagò quindi lui, rivolgendosi a Verle.

Questa prese la teiera fumante e versò la tisana in una tazza, che sospinse in avanti verso Regan, al quale la accettò senza però toccarla. L’odore intenso, però, le salì alle narici e lenì, seppur solo in piccola parte, il suo tormento interiore. Le ricordò di ore insonni, di coperte calde profumate di bucato fresco, di ninnananne sussurrate nel cuore della notte.

Casa e famiglia.

– Si presentarono come Jarlath e Hel. Ma una volta ho sentito che lui la chiamava Aranel. –

– Aranel, avete detto? – esclamò Shin, sgranando gli occhi mentre scambiava uno sguardo stupito con Regan.

– Questo nome vi dice qualcosa? – chiese Verle.

– È il nome con cui quell’anziana signora ha chiamato Regan al mercato di Cittanuova. –

– La serva dei Dresden – ricordò Lucius, improvvisamente teso, la fronte corrugata.

– Aranel è il nome della sola figlia che Lady Fabel sia riuscita a dare a Lord Herne Dresden. Scomparve nel nulla una parecchi anni fa, senza lasciare traccia – disse Soile, pallidissima in volto, ma tranquilla come sempre.

– Le date coinciderebbero. –

A Regan il nome di quel Lord rammentò qualcosa. Qualcosa che le era stato detto da uno sconosciuto al ballo del Solstizio d’Inverno.

– Le somiglio tanto che due persone mi hanno scambiata per lei – mormorò, il sangue che pompava sempre più forte nelle sue vene. Dunque non era stata solo la sua immaginazione a ritrarre sua madre identica a lei: era davvero così. La ricordava davvero, e presumibilmente avrebbe dovuto ricordare suo padre altrettanto bene.

Ma allora… perché vedo Prince?

– State dicendo che Regan potrebbe essere la sola erede dei Dresden? – intervenne Shin, d’un tratto agitato.

Calò il silenzio per pochi secondi. Tutti fissavano Regan, tranne Shin, e lei avrebbe preferito essere del tutto ignorata.

– Non è tutto – aggiunse infine Lucius asciutto, scambiando un’occhiata obliqua con Soile.

– Spiegati meglio – lo esortò Regan, trepidante di morbosa curiosità.

Lui era come pietrificato, immobile e smorto alla luce cupa che lo investiva attraverso la finestra.

– Non posso – dichiarò, scuro e impassibile. – È un Segreto. –

 

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A/N: ecco qua, ce l’ho fatta finalmente a pubblicare anche l’ottavo capitolo! Come giustamente avete notato anche voi, siamo quasi alla fine e i nodi stanno venendo al pettine, alla buonora. Non tutti, però, perché altrimenti non avrebbe senso continuare la storia, giusto? J Lascio a voi i commenti e le osservazioni, sapete che li leggo sempre con grande piacere!

Infine, vorrei anche spendere due parole per chi mi ha fatto il regalo di recensire lo scorso capitolo:

Ariana_Silente: come si suol dire, a mali estremi, estremi rimedi, no? J Era necessario che qualcuno osasse perché si facesse un po’ di luce sulla faccenda! Ti ringrazio tantissimo per essere sempre presente e soprattutto per i complimenti!

Emilie91: sono felice che tu abbia colto la doppia essenza di Regan, ossia l’adulta e la bambina che convivono nella stessa persona e non riescono a conciliarsi. È un particolare per me molto importante e mi fa piacere che tu lo abbia notato. Su Soile c’è ancora tantissimo da svelare, ma purtroppo, essendo questa storia concepita in 5 diversi grandi capitoli, la sua vita e i suoi segreti verranno a galla un po’ più avanti, quindi per adesso bisogna accontentarsi della superficie. Intanto grazie di tutto, ti posso assicurare che mi sono fatta una buona idea di quanto ti possa piacere la storia. J

LovelyAndy: cavoli… hai quasi centrato in pieno il punto della situazione! :O Sono molto, molto grata a te e a tutti gli altri per i costanti incoraggiamenti e ammetto che la voglia di inviare il manoscritto a qualche casa editrice è tanto, ma è tanta anche l’ansia e lo è anche la paura. Insomma, dovrei proprio farmi coraggio! Prima o poi, lo prometto, ci proverò!

Rosa Blu: grazie infinte! J Spero davvero che coloro a cui un giorno invierò la storia la pensino come te!

Milou_: sì, Innocence è quasi giunta alla fine, ma si tratta solo della fine di questo grande capitolo, perché la storia in sé è ancora mooolto lunga e sto già scrivendone la seconda parte, quindi non ti preoccupare! ;) Vedo che anche tu hai capito molte cose, e mi fa piacere, così come mi fa piacere che tu abbia rivalutato Soile, a cui sono molto affezionata, anche se per adesso il suo personaggio resta sommariamente antipatico. In sostanza, grazie!

OdeToSolitude: non so bene cosa rispondere ai tuoi complimenti, perché mi sono sentita arrossire e gonfiare di orgoglio come un piccolo pavone. J Sono anche lieta di ricordarti nello stile due scrittrici di successo come la Rowling, che amo indicibilmente, e la Troisi, che ho moderatamente apprezzato, sebbene io trovi che la sua tecninca una certa carenza di sentimento ed emozione. Ancora più piacere mi fa che il tuo preferito sia Shin, non perché io preferisca lui a Lucius o vice versa, ma perché sono perfettamente consapevole che Shin è un personaggio maschile molto più difficile da apprezzare. Sarò ben lieta, inoltre, di annoverarti tra gli shipper Shin/Regan (accoppiata da qualcuno affettuosamente battezzata Shigan, ma non farò nomi :D) e anche a te, come a tutti i fan di Lucius/Regan, auguro una buona fortuna. ;) Ti ringrazio molto per i messaggi privati, fra l’altro, sentiti libera di scrivermi quanto e quando vuoi, sono sempre disponibile a rispondere a qualsiasi tipo di domanda. J

_squerez: il tuo commento è stato finora uno di quelli che più mi hanno lusingata, perché mi ha ricordato molto il mio stesso entusiasmo verso certe storie lette proprio qui su EFP. Mi ha fatto sorridere (e inorgoglire oltre ogni dire) che tu abbia apprezzato la storia al punto tale da volerla consigliare a un’amica, per finire a discuterne con lei e a fare congetture… ti dirò, questo è proprio il mio sogno: che la gente che legge le mie storie si senta come io mi sento leggendo altre storie, e si faccia domande, e costruisca aspettative e speranze, si innamori di un certo personaggio, eccetera. Questo per me sarebbe in assoluto il raggiungimento della piena realizzazione di scrittrice. Lascio al tempo e allo svolgersi della storia il duro compito di definire la sorte della vostra scommessa, anche se ovviamente ne conosco già l’esito, ma non voglio rovinare niente a nessuno. ;) Ringrazia tanto anche la tua amica, spero che entrambe continuerete a seguirmi e parlarmi delle vostre opinioni. J

 

In conclusione estrema, un estratto dal prossimo capitolo:

– Regan mi ha parlato di certi suoi incubi, nei quali rivive il momento in cui sua madre e suo padre morirono, e suo padre ha il volto di… – proseguì Lucius, e i suoi occhi si sollevarono su un altro paio d’occhi ben precisi. – Prince. –

Sbalordito, Prince arretrò di un passo come se questo potesse mettere distanza tra lui e l’idea imbarazzante di apparire nei sogni di una ragazzina in veste di suo genitore.

– Suvvia, è solo un sogno! Tristan è troppo giovane, non potrebbe mai… E comunque cosa c’entra, adesso? – protestò Lord Edelberg.

– Non ti viene in mente nessuno che possa corrispondere alla descrizione? – gli disse Lucius, le sopracciglia inarcate. – Qualcuno che somigli a Prince abbastanza da poter essere scambiato per lui, ma anche abbastanza adulto da poter essere il padre di una ragazza dell’età di Regan? Non voglio credere che tu non possa arrivarci, amico mio. –

Regan guardava Prince, sbigottito e a disagio, e si chiedeva dove volesse arrivare Lucius. Che cosa c’entravano gli Edelberg con i suoi genitori?

– Padre, di cosa sta parlando? – si intromise Anneli, ma Lord Edelberg la interruppe con un gesto brusco.

 

   
 
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