25. RITORNO AL PASSATO
Is this the place we
used to love?
Is this the place that
I’ve been dreaming of?
– Somewhere We Only Know,
Keane –
Erano
ripartite che l’alba non
era ancora del tutto sbocciata nel mattino.
Stracci
di nuvole andavano
addensandosi contro lo sfondo azzurro polvere del cielo e
l’aria era pervasa da
un’elettricità che faceva presagire tempeste
all’orizzonte. Forse su a Norden,
se la temperatura non era scesa ancora, stava già nevicando.
A
Regan non piaceva viaggiare con
Soile: taciturna e schiva, la sua presenza era quasi trascurabile. Non
fosse
stato per la necessità che aveva di essere protetta, avrebbe
fatto volentieri a
meno di lei. Le mancava terribilmente la compagnia degli altri, i
battibecchi
con Lucius, il calore dei sorrisi miti di Shin, l’affetto
gioioso di Eleonora,
le ore piacevoli trascorse con i ragazzi Edelberg a preoccuparsi solo
di non
alzare troppo la voce tra una risata e l’altra. Stranamente,
le mancavano
persino Anneli e i suoi musi lunghi, i suoi modi seriosi. In fin dei
conti, a
loro bizzarro modo, ormai erano amiche.
Un
tocco sulla spalla la riportò
al presente.
–
Siamo arrivate. –
Non
si era nemmeno accorta che la
barca si era fermata. Malice, avvolta da capo a piedi in un mantello
grigio, il
cappuccio sollevato a gettarle dense ombre sul volto, le aveva
accompagnate fin
lì, il massimo che le era concesso.
La
Foresta d’Acqua si esauriva in
un contorno paludoso che veniva gradualmente riassorbito dai prati
circostanti,
tramutandosi in terreno solido sul quale le greggi pascolavano oziose.
Dovevano
uscire dai confini della foresta per potersi allontanare con la magia.
I villici
sostenevano che erano gli spiriti guardiani che custodivano il luogo a
inibire
i poteri di chi vi entrava, ma Regan adesso sapeva che la
verità era un’altra:
era tutto opera di Soile. Più la conosceva, più
si sentiva confusa verso quella
donna e intimidita dalla vastità del suo potere. Troppo bella, troppo potente, troppo in vista,
proprio come aveva
detto Prince, ed era solo la superficie. Ciò che si celava
al di sotto di essa
era impossibile indovinarlo. Lady Leljen era così: luce
vestita di ombre.
Scesero
dalla barca e
ringraziarono Malice. L’ultimo sguardo che la donna rivolse
loro era di
tristezza mista a rassegnazione.
–
Abbiate cura di voi. –
Poi
riprese la lunga asta sottile
con cui aveva spinto la barca fin lì e si
allontanò senza guardarsi indietro.
Regan
e Soile erano sole di
fronte a una distesa di pascoli verdeggianti del tutto privi di
insediamenti
civili di alcun tipo. Erano almeno a un giorno di cammino dal villaggio
più
vicino e per chiunque la distanza avrebbe rappresentato una seria
difficoltà.
Naturalmente così non era per Soile.
–
Cosa facciamo adesso? –
Gli
occhi glaciali di Soile, a
cui quel giorno le nuvole livide conferivano sfumature bluastre,
sondarono
l’orizzonte fosco, assottigliandosi appena. Tutto era
tranquillo e tutto ciò che
si poteva udire era il canto degli uccelli che si aggiravano nella zona
in
cerca di cibo.
–
Prima di fare qualunque cosa,
voglio accertarmi che non ci sia nessuno di pericoloso nei paraggi.
–
Seguendo
il suo sguardo verso
ovest, a Regan parve di avvertire qualcosa, come una forza magnetica
che si
sprigionava da un punto circoscritto e le scorreva sulla pelle con la
delicatezza di una pioggia di petali e l’intensità
sorda di un’onda che si
propagava nel vuoto.
Giorno
dopo giorno, Regan aveva
imparato a riconoscere l’energia della natura da quella delle
persone, quando
la percepiva, e stavolta apparteneva a una persona.
–
Cosa c’è da quella parte? –
–
Il Tempio della Luna – rispose
Soile, fissando esattamente il punto in cui si concentrava
l’energia che avvertiva
lei. – Proprio in cima alla collina. –
C’era
un bosco, in cima alla
collina, e una cascata che tagliava il tutto a metà, ma in
mezzo a tutto ciò
Regan non riusciva a vedere niente che potesse assomigliare
all’imponente
tempio noto per essere il più importante del Mondo Occulto.
–
Non sforzare la vista. Il
tempio è visibile solo a chi paga il pedaggio. –
Nella
sua memoria sciupata non
c’erano tracce di conoscenze a quel proposito. Derian veniva
da una famiglia
che si era costruita da sola la sua modesta fortuna e da sola si era
rovinata e
tutto ciò che le aveva trasmesso riguardo al culto della
Madre era che i suoi
erano tra quella gente che si limitava a seguirne gli insegnamenti,
senza
disturbarsi a trascinarsi fino ai luoghi sacri una o più
volte l’anno. Il
Solstizio d’Inverno era passato da poco e prima di esso molti
dovevano essersi
recati al Tempio della Luna in pellegrinaggio per ricevere la
benedizione in
vista del nuovo anno in arrivo.
–
Proviene dal tempio l’energia
che sento? –
Per
un attimo soltanto, Soile la
guardò come se avesse appena detto che il cielo stava
prendendo fuoco.
–
Sì. Quella che senti è l’aura
di Geira, la Somma Sacerdotessa – le spiegò poi,
subito ricomposta, poi le
porse la mano.
Regan
la prese.
–
Dove andiamo? – chiese, ben
consocia di ciò che quel gesto comportava.
–
A cercare Lucius e Shin. –
Soile
le strinse la mano e chiuse
gli occhi.
Il
cuore di Regan ebbe a malapena
il tempo di contrarsi, pungolato dalla speranza, poi la terra le
mancò sotto i
piedi e tutto divenne nero.
Un
sole rosso era sorto quella
mattina attraverso la coltre di nubi cineree.
Un
pessimo auspicio che si era
spalancato su due occhi appena riaperti e li aveva feriti con quella
luce
terribile, inondando la stanza di bagliori sanguigni simili a lame
attraverso
le tre feritoie, alte e strettissime, che fungevano da finestra. Prima
ancora
di aver preso coscienza del proprio risveglio da un sonno agitato,
Angina
avvertì un senso di vuoto attorno al collo.
Il
gesto di portarsi una mano
alla gola era stato spontaneo e del tutto automatico, perché
lì dove ora
posavano le sue dita tremanti era solita giacere la preziosissima
chiave che
rappresentava l’unica via di accesso alle Stanze Segrete che
il covo dei suoi
ancestori custodiva da intere generazioni.
Benché
fosse rimasta sconvolta di
trovare la propria pelle completamente nuda, non ebbe bisogno di
interrogarsi a
lungo su cosa potesse essere successo. Lo aveva sentito subito, anche
se
dapprima non ci aveva fatto caso, quell’odore familiare di
erba bruciata e di
giunchiglia che per nulla al mondo avrebbe potuto confondere, e
quell’inconfondibile associazione la ferì come
nient’altro avrebbe potuto.
Avrebbe
preferito essere
ingannata dal proprio padre, piuttosto che da lei.
Venena.
Si
alzò dal letto che le mani le
tremavano. Se per rabbia, timore e delusione, non lo sapeva nemmeno
lei. Forse
per tutti o nessuno di quei motivi.
Cercando
lucidità, si avvicinò
alla bacinella in cui ogni sera una della sue attendenti le versava
acqua di
fonte per la toeletta mattutina. Spinse in su le maniche della corta
tunica che
usava in vece di camicia da notte e si spruzzò il viso di
acqua fredda. Rimase
sentire le gocce che una a una le colavano sul petto e tra i capelli
sciolti e
si disse che era colpa sua, che se lo sarebbe dovuta aspettare. In
fondo,
conosceva Veneva forse meglio di sé stessa e aveva sempre
saputo che le sue
assidue ricerche non si sarebbero arrestate fino a che non avesse
raggiunto il
proprio scopo. Non erano i rischi ad affliggerla – Venena non
era il tipo da
sfruttare conoscenze preziose a proprio egoistico vantaggio –
quanto piuttosto
l’atto in sé: non la avrebbe mai creduta capace di
commettere qualcosa alle sue
spalle.
La
aveva cresciuta lei. La
piccola Venena Midnat era nata un cupo giorno di febbraio in una delle
centinaia di stanze del covo e, rimasta orfana di madre quando ancora
in fasce,
era stata cresciuta dal padre, illustre erborista, fino a che
quest’ultimo era
morto a causa di un tragico incidente. Angina era poco più
di un’adolescente,
all’epoca, e si era subito presa a cuore le sorti di quella
demone bambina
dall’aspetto così fragile. La aveva accolta sotto
la propria ala protettrice e
le aveva personalmente insegnato a combattere con le armi e, anche se
la
ragazza non aveva mai mostrato poteri magici degni di nota, aveva
indubbiamente
compensato la lacuna affinando sempre più le sue
abilità in campo botanico e
medico. Al fianco di Angina aveva girato tutto il Mondo Occulto e
alcune parti
del mondo degli umani, e aveva appreso molto più di quanto
un suo pari avrebbe
mai potuto apprendere su tutti i libri esistenti, e il legame che si
era andato
a creare tra loro andava ben oltre ciò che comunemente univa
un allievo al
proprio maestro.
Per
questo ora Angina, prima di
struggersi per la pugnalata alle spalle subita, voleva parlare con lei
e
conoscere l’esatta sua versione dei fatti. Ciò che
avrebbe fatto in seguito, lo
avrebbe deciso solo dopo aver giudicato ciò che voleva
sentire.
Non
andò a cercare Venena, né
parlò con nessuno dell’accaduto, nemmeno con suo
padre Vester. Si rintanò
invece nel suo studio privato, e lì attese che fosse Venena
stessa ad andarla a
cercare, perché sapeva che l’avrebbe fatto.
Un
mucchio di braci incandescenti
ardeva silenziosamente all’interno di un bacile al centro
della stanza, mentre
lei, assorta, sedeva alla scrivania di mogano intagliato in compagnia
di
nient’altro che i suoi pensieri.
L’attesa
non fu lunga: non era
neanche l’ottava mattutina quando all’esterno
udì dei passi rapidi che si
avvicinavano. La riconobbe da quel suono, dal modo in cui i tacchi
degli
stivali aggredivano la pietra nuda.
La
porta si spalancò di botto,
sbattendo contro il muro con un rumore assordante. Venena
entrò tempestosamente
con un grosso libro tra le braccia, il volto stravolto di chi aveva
perso molte
ore di sonno, ma acceso di un entusiasmo quasi folle. Una sola cosa la
tratteneva: la colpevolezza apertamente impressa negli occhi.
–
Ti stavo aspettando. –
–
Lo so – replicò l’altra a testa
alta. – E avrò la faccia tosta di implorare il tuo
perdono, dopo che avrò
finito di spiegarti perché l’ho fatto. –
Angina
si trattenne dal
sorriderle bonariamente. Lei poteva non saperlo, o non esserne sicura,
ma non
le avrebbe mai negato il perdono per una simile azione. Ad altri
avrebbe fatto
mozzare mani e lingua senza nemmeno ascoltare scuse, ma la coscienza di
Venena
era pura, non conosceva meschinità né tradimento,
e non avrebbe mai fatto
punire una semplice curiosità intellettuale, anche se
sfociava nell’ossessione.
–
Ecco – Venena gettò il libro
sulla scrivania. Alcuni fogli caddero a terra, ma non se ne
curò. – La risposta
a tutte le domande che tutti si stanno facendo. –
Angina
osservò meglio il libro:
la copertina nera era rovinata e lisa, antica, e il titolo impressovi
sopra era
a stento leggibile. Ciononostante lo riconobbe immediatamente. Nelle
mani
sbagliate, le conoscenze contenute in quelle pagine sarebbero potute
diventare
armi di mortale pericolosità. Era già
lì, quando i suoi antenati si erano
insediati nella città costruita nel ventre della montagna, e
di certo chi ne
era stato il precedente proprietario si era ben guardato dal lasciarlo
alla
portata di chiunque. Leggendolo, Angina aveva immediatamente capito il
perché.
Non
appena sollevò lo sguardo,
trovò Venena a scrutarla con immenso rammarico, che non
riusciva però a celare
una scintilla di compiacimento. Teneva qualcosa stretto nella mano
sinistra. La
aprì e lasciò cadere qualcosa, una piccola chiave
d’oro che giacque inerte
sopra al libro.
–
Perdonami, Gin. –
–
Perché non me l’hai chiesto?
– riuscì
soltanto a chiederle Angina.
–
Perché se tu me lo avessi
negato, ti saresti aspettata una mossa del genere da parte mia
– Venena la
occhieggiò mestamente. – Sono pronta ad addossarmi
ogni mia responsabilità per
quel che ho fatto, ma, devi credermi, ne è valsa la pena.
–
Angina
sorvolò di commentare la
parte sulla punizione che non le avrebbe mai inferto e si
concentrò invece su
quella più interessante:
–
Cosa intendi con “Ne è valsa la
pena”? –
L’espressione
dura della ragazza
si incrinò lievemente. Due minuscole incurvature arroganti
apparvero agli
angoli delle sue labbra.
–
So che cos’è Regan. –
C’era
una mappa delle Sette Terre
spiegata all’interno di un bacile di pietra che Regan fissava
stupefatta senza
riuscire a capire cosa ne avrebbero fatto.
Soile
l’aveva riportata a Kauneus
e da lì, una volta rientrate al palazzo, l’aveva
trascinata frettolosamente in
quella stanza bizzarra. Era di forma ottagonale, gli scaffali a ridosso
delle
pareti bianche avevano mensole punteggiate da fori del diametro di una
nocciola
lungo l’asse centrale, i quali fingevano da supporto a un
numero spropositato
di fiale di cristallo colme di una sostanza scura e viscosa che poteva
essere
solo sangue. Erano centinaia, un migliaio, forse, difficile a dirsi.
Al
centro della camera c’era il
bacile pieno d’acqua in cui riposava la mappa, appoggiato su
un supporto di
vetro che sembrava troppo fragile e sottile per sostenere tutto quel
peso.
Soile
si mosse con sicurezza tra
i ripiani e da punti differenti di essi trasse due fiale che
portò al bacile.
Su una di esse Regan lesse il nome di Lucius, sull’altra uno
che non conosceva.
Restò
a guardare incantata mentre
Soile toglieva con fare espero la ceralacca nera che sigillava le fiale
e, una
per volta, versava una goccia del loro contenuto nel recipiente.
–
Questo è lo strumento che la
Lega usa per tenere sotto controllo i propri membri –
rivelò poi a Regan,
precedendo la sua curiosità. – Soprattutto quelli
sospettati di tradimento. Se
vengono scoperti nel luogo sbagliato al momento sbagliato,
l’arresto è
immediato. Se con questo non riusciremo a individuare la posizione di
Lucius e
Shin, significa che si trovano in un luogo occultato da potentissimi
sigilli,
oppure… –
–
Che sono morti? – balbettò
Regan, improvvisamente preoccupata.
–
Ci avvaliamo di questo
incantesimo anche per recuperare i corpi dei caduti. Se non appaiono su
questa
mappa, può anche darsi che siano stati privati delle loro
Stelle per non essere
rintracciati. –
Per
qualche secondo l’acqua si
colorò di una vaghissima sfumatura di rosa, poi, con
lentezza esasperante, il
colore tornò a concentrarsi in due anelli distinti,
riacquisendo
progressivamente una densità impensabile. Le due gocce di
sangue erano quasi
solide, adesso, posate l’una affianco all’altra in
un punto preciso della
cartina. Sembravano quasi due gemme preziose.
Qualcosa
scattò nella mente di
Regan, un collegamento istantaneo che colse di sorpresa perfino lei.
–
Quest’incantesimo che avete
usato – disse, seppur tentennante. – Serve a
localizzare le Stelle, non è così?
Per questo tutti sono tenuti a portarne una. –
Se
Soile fu colpita da
quell’osservazione, non lo diede a vedere.
–
Non esattamente. Localizza la
Stella solo se essa è ancora indossata dal legittimo
proprietario. Il sangue è
la chiave di tutto: scorre nelle vene della persona, contraddistingue
indelebilmente la Stella e viene impiegato nell’incantesimo
per individuare la
combinazione dei primi due elementi. –
–
E se qualcuno si togliesse la
Stella? –
–
Sono previste gravi punizioni
per un membro che viene scoperto senza la sua Stella. Solo chi agisce
sotto
copertura è autorizzato a separarsene. –
Regan
era impressionata. I
livelli di controllo che la Lega aveva sui suoi sottoposti era vicino a
quel
che si sarebbe definito un regime schiavista: tutti erano marchiati,
censiti e
resi perennemente rintracciabili.
–
Lo facciamo per la tutela
dell’istituzione e del bene comune. Ci sono più di
tremila di membri nella
Lega, è difficile controllarli tutti direttamente. Una sola
spia può
compromettere l’intero sistema – precisò
Soile, probabilmente intuendo la sua
perplessità.
Regan
annuì, ma i suoi occhi
avevano appena notato un particolare che prima le era sfuggito: le due
gocce si
erano adagiate nei territori della Terra di Sonnerg.
Sotto
di essere era ancora
leggibile la scritta Aurin.
La
furia di Gerjen non si era
ancora placata. Sedeva di malumore in una bisca di basso borgo alla
periferia
di Medilana, con il volto coperto di graffi profondi e imbrattato di
sangue e
una bottiglia di liquore forte a diluirgli la bruciante umiliazione.
Mai, in
tutta la sua vita, aveva subìto un tale affronto. Nel
rievocare l’accaduto, la
sua mano destra, anch’essa disseminata di graffi, si
serrò con furia attorno al
boccale di ferro fino a incrinarne il fianco, in cui si aprì
una piccola
fessura da cui stillò una goccia di liquore nerastro.
Quelle maledette bestiacce…
Era
stato un gufo, grosso e
bruno, il Guardiano del giovane angelo dai capelli biondo candido. Gli
si era
avventato contro dal nulla, dimenando gli artigli affilati tra le sue
strida
bellicose. Non era riuscito a ferirlo seriamente, ma aveva fatto di
molto
peggio: gli aveva fatto perdere il controllo della situazione. E poi
dal nulla
era apparso quel mostricciattolo rosso che gli aveva strappato il
cristallo, e
lui si era sentito perduto.
Luciferus
era perfettamente in
grado di identificare la banda a cui il cristallo apparteneva, dato che
lui
stesso, un tempo, ne aveva posseduto uno identico, ma non era questo a
disturbare Gerjen. Del resto, era già un fatto noto che i
Ladri di Anime
fossero interessati sia a lui che alla ragazzina dai capelli rossi che
si portava
appresso, per vendetta nel primo caso, per avidità nel
secondo.
Ma
Lord Desmond era stato
adamantino in proposito: nessuno doveva mettere le mani sulla ragazza,
nuocerle
in alcun modo e, soprattutto, separarla da chi ora vigilava su di lei.
La ragione
dietro a tali raccomandazioni era rimasta segreta, e proprio questo
particolare
aveva indotto Gerjen a supporre che sotto ci fosse qualcosa. Tuttavia
non aveva
intenzione di mettersi contro l’esplicito volere del suo
miglior cliente.
Almeno finché non avrò
scoperto cosa sta nascondendo.
Era
un uomo sveglio, con un fiuto
infallibile per gli affari e le cose preziose, e fin dal primo momento
che
aveva percepito l’essenza della ragazza aveva saputo che lei
aveva un grande
valore. A quanto esso ammontasse esattamente, non era ancora in grado
di
stimarlo.
Al
momento la sua maggiore
preoccupazione era tornare dai suoi uomini e procurarsi un nuovo
cristallo. Ci
sarebbero voluti tempo e pazienza per riuscire a riempirlo degnamente,
ma era
una priorità assoluta. Lord Desmond avrebbe dovuto aspettare.
Lucius,
come sempre, aveva messo
da parte il buonsenso per lasciarsi guidare dall’istinto, ed
esso lo aveva
condotto ad Aurin, il luogo che fin dall’inizio avrebbero
dovuto raggiungere.
Ovunque fossero Soile e Regan, presunse che fosse il primo posto in cui
li
avrebbero cercati o si sarebbero fatte cercare. Gli era venuta una
mezza idea
di recarsi presso la Sede del Nucleo di Medilana, ma la consapevolezza
che
nell’esatto istante in cui lui avrebbe messo piede
là dentro Castalia l’avrebbe
saputo lo aveva fatto desistere. Agire alle spalle del Coordinatore
Generale e
andare di proposito a suscitare i suoi sospetti non sarebbe stato una
mossa
granché astuta.
Shin
fra l’altro era ancora
debole. Gli aveva preso qualcosa di dolce da mangiare per restituirgli
un po’
di vigore, ma era servito a poco: era un altro tipo di energia che gli
mancava
e per quella non c’erano rimedi che ne accelerassero il
ritorno. Bisognava
aspettare, e basta.
Sedevano
su una panca di legno
davanti alla bottega del fornaio, da cui proveniva un invitante profumo
di
pane.
–
Mi dispiace. Era molto tempo
che non praticavo qualcosa del genere – mormorò,
mentre Shin risposava a occhi
chiusi, il viso rivolto verso i pochi raggi di sole che filtravano tra
le
nuvole.
–
Intanto siamo salvi, ed è tutto
merito tuo. –
–
L’idea geniale l’hai avuta tu.
–
Shin
sorrise ma non replicò.
–
Pensi davvero che siano salve?
– chiese invece. Non aprì gli occhi, ma Lucius
intuì comunque la sua
preoccupazione, anche al di là del tono fermo.
–
Se fossi in pericolo, non c’è
persona che vorrei al mio fianco se non Soile –
dichiarò.
Il
sorriso di Shin si approfondì,
con una nota di malizia.
–
Questo anche se tu non fossi in
pericolo. –
Lucius
restò interdetto, ma per
un attimo soltanto. L’attimo dopo si stava già
rilassando in un’aperta risata.
–
La mia compagnia ti fa male,
amico mio. Stai diventando provocatorio come il sottoscritto.
–
–
Hai intenzione di metterle
subito al corrente di quello che abbiamo scoperto nei sotterranei?
–
–
No. – A Lucius la propria
risposta suonò più repentina e secca di quel che
avrebbe voluto. – Prima
concentriamoci su quello che possiamo scoprire qui, poi penseremo a
indagare
oltre. –
Il
più profondo desiderio di
Regan era ritrovare i suoi genitori e le sue radici, e non la avrebbe
distolta
da quest’obiettivo ora che c’era così
vicina.
Eppure…
–
Non sei ancora pronto a
separarti da lei, vero? –
Un’osservazione
come un dardo,
scoccata senza intenzione di colpire, ma che aveva sferzato
l’aria e trafitto Lucius
da parte a parte, aprendo uno squarcio di indesiderata consapevolezza.
Restò
così, chino sulle ginocchia, gli occhi sgranati sul vuoto
dell’aria polverosa
davanti a lui.
–
Mi piace prendermi cura delle
persone, lo sai, e nessuno aveva mai avuto bisogno di me come ne ha
avuto lei.
– Un sorriso gli affiorò sulla bocca. –
Forse ho sbagliato a permettere a me
stesso di affezionarmi tanto a lei. –
–
Non sarà comunque un addio.
Regan è in pericolo e non può fare a meno di te.
–
–
Di noi – corresse Lucius,
ma il suo momentaneo malumore era già
passato. Aveva ragione Shin: comunque andassero le cose, Regan non
avrebbe
potuto rimanere lì ad Aurin.
Osservò
la piazza e i suoi
passanti in cerca di elementi che potessero aiutare la ricerca, ma non
c’erano
donne dalla chioma vermiglia, e nessuno che finora avesse visto aveva
gli occhi
di un verde che ricordasse anche solo vagamente la tonalità
smeraldina di
quelli della sua amica. Aveva anche provato a chiedere un po’
in giro se
qualcuno si ricordasse di una bambina con quelle caratteristiche, ma
era stato
un buco nell’acqua: alcuni avevano semplicemente scosso la
testa, liquidandolo
con un “No, mi spiace” frettoloso, altri,
addirittura, erano inorriditi al
sentir nominare dei capelli del colore del sangue e si erano
allontananti
sciorinando scongiuri alla misericordia Madre.
Lucius
era del modesto parere che
avrebbero concluso ben poco: la gente locale aveva lineamenti troppo
duri e
ordinari da far pensare che qualcuno di loro intrattenesse parentele
anche
lontane con Regan. Forse i suoi genitori erano forestieri e avevano
lasciato il
villaggio, dopo aver perso la figlia.
Le
ipotesi si stavano succedendo
una dopo l’altra nella sua mente laboriosa, quando i suoi
occhi videro qualcosa
che lo fece scattare in piedi: dal Portale al centro della piazza erano
appena
uscite due figure femminili ammantate in due cappe identiche grigio
scuro. Non
era così che ricordava vestite le due donne che attendeva
lui, eppure bastò che
la più alta delle due muovesse un solo passo
perché in quel modo di camminare
lui potesse riconoscere l’incedere maestoso di Soile. Nemmeno
la più brava
delle imitatrici sarebbe riuscita a ricalcare così
perfettamente delle movenze
così caratteristiche.
–
Sono loro! – esclamò Shin,
trattenendo a stento il volume della voce.
Non
erano lontani. Regan li aveva
appena visti e stava già correndo verso di loro, un ciuffo
rosso che spuntava
da sotto il cappuccio calcato in testa fin oltre la fronte.
Felice
di rivederla sana e salva,
Lucius spalancò le braccia e lasciò che lei gli
si gettasse al collo,
stringendolo forte.
–
Lucius! Oh, meno male che state
bene! –
–
Cerbiattina! – rise lui,
ricambiando l’abbraccio. – Dovrei sgridarti, sai?
Potevamo essere due impostori
qualunque… –
Le
sue braccia stringevano lei,
ma i suoi occhi erano inchiodati su Soile, che si stava avvicinando
senza
alcuna fretta, priva di alcun segno di ferite, e lei
restituì lo sguardo, sulle
labbra qualcosa di simile a un sorriso, dolce e infinitamente triste al
tempo
stesso.
Quel
tipo di sorriso feriva
Lucius molto più dell’indifferenza.
–
Cosa ne è stato di voi? – gli
chiese Soile, appena Regan lo lasciò per andare ad
abbracciare Shin.
Si
spostarono in un angolo
isolato per riferirsi ciò che era accaduto alle due
metà del gruppo. Lucius
omise solo di riportare l’illuminazione che aveva avuto
dinnanzi alla porta con
l’incisione: avrebbe richiesto troppe spiegazioni e sollevato
troppi quesiti;
avrebbero avuto il tempo più tardi di discuterne.
Precisò subito, invece, che
la gente del villaggio si era dimostrata ben poco collaborativa verso i
suoi
tentativi di indagare, ma questo non bastò a demoralizzare
Regan.
–
Dobbiamo chiedere ai più
anziani – insisté, piccata. – Ci deve
pur essere un capo-villaggio che sappia
qualcosa di più! –
Non
avendo nulla da perdere,
decisero di accontentarla: Soile si recò personalmente dal
capo-villaggio,
mentre Lucius, Shin e Regan iniziarono a entrare nelle botteghe per
chiedere ai
proprietari, la cui età era abbastanza matura da implicare
che fossero già
adulti e ben consapevoli all’epoca in cui Regan, pressappoco,
era stata lì. Era
tradizione che le attività passassero di padre in figlio,
quindi le possibilità
di sbagliare erano poche: se nemmeno loro avessero saputo dir loro
qualcosa,
non sarebbe rimasto che arrendersi.
Era
quasi mezzogiorno quando
Lucius, uscendo dallo spaccio del birraio, ammise che era tutta fatica
inutile.
Regan e Shin erano dal lato opposto della piazza e conversavano con un
uomo
calvo e panciuto che scuoteva il capo con aria desolata.
–
Cerchi mele su rami di pesco,
ragazzo. –
Lucius
si guardò intorno,
cercando da dove fosse provenuta quella vocina sottile e rauca, e vide
che
c’era una vecchietta seduta davanti alla porticina di una
casa lì accanto. Era
piccola ma robusta, anche se ricurva, con capelli bianchissimi raccolti
in una
treccia sottile che le circondava tutta la testa.
–
Chiedo scusa? –
La
vecchia lasciò da parte i suoi
ricami e si tirò in piedi a fatica, appoggiandosi a un
nodoso bastone scuro.
–
Non conosci questo detto? Non
bisogna perdere tempo a cercare una cosa dove è impossibile
trovarla. –
–
Voi sapete qualcosa che loro
non sanno? –
Gli
occhi ciechi della donna si
posarono su di lui, e Lucius percepì con assoluta chiarezza
che, anche se il
dono della vista la aveva abbandonata, era in grado di vedere il mondo
oltre le
barriere materiali. Proprio come lui.
La
vecchia sorrise ridanciana.
–
Sei proprio un figlio dell’alta
società. Saranno quarant’anni che nessuno mi
dà del Voi. –
–
Le mie origini non sono più
nobili delle vostre, signora, credetemi. Ho solo avuto la fortuna di
incontrare
persone che hanno avuto il buon cuore di aiutarmi – fece
Lucius, con tutto il
garbo possibile. Non era falsa modestia: tutto ciò che lui
era, lo doveva a
Soile e a chi, come lei, aveva avuto fiducia in lui, concedendogli
un’altra
possibilità. Lui, da solo, non sarebbe mai stato niente.
–
Il mio nome è Verle, giovanotto
– lo redarguì la donna, come se la infastidisse
che le fosse riservata tanta
rispettosità.
Lui
sorrise e si inchino per
porgerle il suo saluto, anche se lei non lo poteva vedere.
–
Il mio è Lucius. –
–
Io posso dirti ciò che vuoi
sapere sulla tua amica dai capelli rossi, Lucius. –
Lui
non capì immediatamente cosa
stonasse in quella frase, fino a che la donna non alzò gli
occhi su di lui.
Sottolineare l’ovvio era più che stupido, ma non
sapeva che altro dire:
–
Perdonate il poco tatto, ma…
voi siete cieca. –
–
Oh, sì. Da un paio di decadi. –
–
Allora come sapete che lei ha i
capelli rossi? –
Era
una domanda inutile, anche
perché i capelli di Regan erano ben nascosti dentro al
cappuccio.
A
meno che non avesse
semplicemente riconosciuto lei.
–
Chiama i tuoi amici e venite
dentro, Lucius. Non è il caso di discuterne qui fuori.
–
La
casa della vecchia Verle era
stata una piccola locanda, ai suoi tempi, e ancora ne conservava il
vago odore
di cibi speziati e legna riarsa dal fuoco. Gli interni,
però, sembravano un
dipinto impallidito dal sole, consumati dal tempo e
dall’inattività: il legno
chiaro del mobilio era sbiadito e in alcuni punti scheggiato, cuscini
che una
volta dovevano essere stati di un cotone morbido dalle tinte sgargianti
adesso
erano lisi e scoloriti, flaccidi come sacchi svuotati, le tendine di
merletto
alle finestre erano bianche e pulite, ma i supporti in metallo su cui
correvano
erano intaccati dalla ruggine. Tegami, paioli e pentole di rame
tappezzavano la
parete sopra il lavello, quasi tutti anneriti fino a perdere del tutto
la loro
lucentezza, e Regan si rese conto che nulla di tutto ciò le
ricordava alcunché.
C’era una sola cosa, in quella grande cucina, che le era
familiare: la
fragranza intensa e corroborante della tisana che l’anziana
donna aveva messo
in infusione in una vecchia teiera sbeccata. Le faceva venire in mente
carezze
e abbracci caldi, e dentro di lei era un profumo di sicurezza.
Sedevano
tutti intorno al tavolo
quadrato, Regan e Shin ai lati della vecchia, Soile di fronte.
Nonostante gli
fosse stata offerta un’altra sedia, Lucius aveva preferito
rimanere in piedi.
Stava accanto alla finestra e guardava fuori, pensieroso. Al di
là del vetro,
il sole d’oro brillava lugubremente in cima al Portale.
Verle
si era offerta si preparare
loro qualcosa da mangiare, data l’ora, ma nessuno di loro
aveva fame: la sola
cosa per la quale si trovavano lì era sapere.
–
Sono passati così tanti anni,
ormai – esordì la donna, la voce così
ruvida che sembrava grattarle in gola.
Guardava Regan negli occhi, come se potesse vederla davvero.
– Trentatré, per
la precisione. Il giorno della Morte del Sole si portò via
anche te, assieme
alla luce. –
Shin
ebbe un piccolo sussulto
nell’udire quel particolare, ma non osò
interrompere.
–
La vista non mi aveva ancora
abbandonata, all’epoca. L’ultimo ricordo che ho di
te era uno scricciolo alto
poco più di un braccio che trotterellava instabile tra un
mobile e l’altro. I
tuoi occhi erano di un verde spaventoso, per chi conosce il significato
di quel
colore, ma erano così limpidi e innocenti che dubitavo
qualcuno potesse averne
veramente timore. –
Verle
sorrise, gli occhi velati
di commozione.
–
Avvicinati, bambina, fatti
guardare. –
Regan
non capì quella richiesta
fino a che la donna non sollevò le mani verso di lei. Allora
si sporse in
avanti e lasciò che Verle la vedesse
a modo suo. Le dita rugose e ossute percorsero il suo viso come un dito
avrebbe
seguito le parole di una pagina di lettura, costruendo frasi, periodi e
interi
passaggi.
Quando
la donna riabbassò le
mani, due lacrime le stavano sgorgando dagli occhi.
–
Sei uguale a lei – commentò con
una punta di nostalgia – Identica, sì. –
–
Lei chi? –
–
Tua madre, mia cara. –
–
Mia madre? – balbettò Regan,
sconvolta. Il cuore la balzò in gola, gonfio e grave di
speranza.
Verle
annuì e congiunse le mani
davanti a sé, abbassando il mento.
–
Una ragazza bella e fine come
non se ne vedono qui. E il giovane che era con lei era un vero
gentiluomo.
Dissero di essere una coppia di giovani sposi provenienti dalle
campagne
dell’Est e io finsi di crederci. –
Questo
suscitò l’interesse di
Lucius, che finalmente si voltò, la fronte corrugata:
–
Fingeste? –
Lo
sguardo della vecchia lo trovò
senza fatica, come seguendo una traiettoria precisa.
–
Qualche straccio buttato
addosso non fa di un nobile un contadino –
affermò, e i suoi occhi ciechi si
spostarono per un momento su Soile. – E loro erano
così raffinati e istruiti
che non avrebbero ingannato un sasso. Furono molto rispettosi ed
educati con
me, quando giunsero qui, chiedendo asilo, e questo mi persuase ad
aiutarli. Tua
madre, in segno di riconoscenza, mi diede in dono questa.
– La mano grinzosa
della vecchia salì a sfiorare una catenella di oro puro da
cui pendeva un
piccolo ciondolo a forma di cuore minuziosamente lavorato. –
Offrii loro un
alloggio in casa mia. Lei mi aiutava con la locanda, lui era un bravo
armaiolo,
trovò subito un impiego dal fabbro. –
–
Come potete essere così sicura
che fossero i miei genitori? – volle sapere Regan, accorata.
Non aveva nessuna
intenzione di illudersi per niente, anche se in fondo sapeva che era
già troppo
tardi.
–
Tua madre era già incinta
quando arrivò qui. L’ho aiutata io a metterti al
mondo e non potrei confondere
la tua aura tra altre migliaia. –
Regan
si sentiva sull’orlo della
follia. C’era così tante cose che avrebbe voluto
chiedere, dubbi che avrebbe
voluto risolvere…
Alla
fine si costrinse a
scegliere una domanda sola, la più importante:
–
Voi sapete dove si trovano,
adesso? Mia madre e mio padre… lo sapete? –
Verle
questa volta non la guardò.
In qualche modo, Regan sapeva che significato avesse quel contatto
negato, e il
suo sangue congelò nelle vene prima ancora che la vecchia
pronunciasse la
risposta che lei già presagiva.
–
Sono morti lo stesso giorno
infausto in cui sei scomparsa tu. –
Una
fitta di sincero dolore aveva
scosso quelle parole terribili, ripercuotendosi come uno spietato colpo
di
frusta sull’animo impreparato di Regan. Per qualche motivo,
si era sempre
voluta convincere che fossero ancora vivi, sebbene in realtà
nulla avrebbe
potuto indurla a farlo.
Non
pianse, perché non poteva
piangere qualcuno di cui non si ricordava, che non ricordava di aver
amato, e
non ebbe alcuna delle reazioni che forse gli altri si aspettavano da
lei.
Rimase
composta, equilibrata, e
tutto ciò che si concesse fu una lacrima silenziosa che
cadde sul tavolo senza
alcun rumore.
Lucius
la guardò incerto, come a
chiederle se avesse bisogno di qualcosa, anche solo un gesto di
conforto, ma,
pur senza parlare, gli disse di non preoccuparsi.
–
Ricordate i loro nomi? – indagò
quindi lui, rivolgendosi a Verle.
Questa
prese la teiera fumante e
versò la tisana in una tazza, che sospinse in avanti verso
Regan, al quale la
accettò senza però toccarla. L’odore
intenso, però, le salì alle narici e
lenì,
seppur solo in piccola parte, il suo tormento interiore. Le
ricordò di ore
insonni, di coperte calde profumate di bucato fresco, di ninnananne
sussurrate
nel cuore della notte.
Casa e famiglia.
–
Si presentarono come Jarlath e
Hel. Ma una volta ho sentito che lui la chiamava Aranel. –
–
Aranel, avete detto? – esclamò
Shin, sgranando gli occhi mentre scambiava uno sguardo stupito con
Regan.
–
Questo nome vi dice qualcosa? –
chiese Verle.
–
È il nome con cui quell’anziana
signora ha chiamato Regan al mercato di Cittanuova. –
–
La serva dei Dresden – ricordò
Lucius, improvvisamente teso, la fronte corrugata.
–
Aranel è il nome della sola
figlia che Lady Fabel sia riuscita a dare a Lord Herne Dresden.
Scomparve nel
nulla una parecchi anni fa, senza lasciare traccia – disse
Soile, pallidissima
in volto, ma tranquilla come sempre.
–
Le date coinciderebbero. –
A
Regan il nome di quel Lord
rammentò qualcosa. Qualcosa che le era stato detto da uno
sconosciuto al ballo
del Solstizio d’Inverno.
–
Le somiglio tanto che due
persone mi hanno scambiata per lei – mormorò, il
sangue che pompava sempre più
forte nelle sue vene. Dunque non era stata solo la sua immaginazione a
ritrarre
sua madre identica a lei: era davvero così. La ricordava
davvero, e
presumibilmente avrebbe dovuto ricordare suo padre altrettanto bene.
Ma allora… perché vedo Prince?
–
State dicendo che Regan
potrebbe essere la sola erede dei Dresden? – intervenne Shin,
d’un tratto
agitato.
Calò
il silenzio per pochi
secondi. Tutti fissavano Regan, tranne Shin, e lei avrebbe preferito
essere del
tutto ignorata.
–
Non è tutto – aggiunse infine
Lucius asciutto, scambiando un’occhiata obliqua con Soile.
–
Spiegati meglio – lo esortò
Regan, trepidante di morbosa curiosità.
Lui
era come pietrificato,
immobile e smorto alla luce cupa che lo investiva attraverso la
finestra.
–
Non posso – dichiarò, scuro e
impassibile. – È un Segreto. –
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A/N:
ecco
qua, ce l’ho fatta finalmente a
pubblicare anche l’ottavo capitolo! Come giustamente avete
notato anche voi,
siamo quasi alla fine e i nodi stanno venendo al pettine, alla buonora.
Non tutti,
però, perché altrimenti non avrebbe senso
continuare la storia, giusto? J
Lascio a voi i commenti e le
osservazioni, sapete che li leggo sempre con grande piacere!
Infine,
vorrei
anche spendere due parole per chi mi ha fatto il regalo di recensire lo
scorso
capitolo:
Ariana_Silente:
come
si suol dire, a mali estremi, estremi rimedi,
no? J
Era necessario che qualcuno osasse perché si facesse un
po’ di luce
sulla faccenda! Ti ringrazio tantissimo per essere sempre presente e
soprattutto per i complimenti!
Emilie91:
sono
felice che tu abbia colto la doppia
essenza di Regan, ossia l’adulta e la bambina che convivono
nella stessa
persona e non riescono a conciliarsi. È un particolare per
me molto importante
e mi fa piacere che tu lo abbia notato. Su Soile
c’è ancora tantissimo da
svelare, ma purtroppo, essendo questa storia concepita in 5 diversi
grandi
capitoli, la sua vita e i suoi segreti verranno a galla un
po’ più avanti,
quindi per adesso bisogna accontentarsi della superficie. Intanto
grazie di
tutto, ti posso assicurare che mi sono fatta una buona idea di quanto
ti possa
piacere la storia. J
LovelyAndy:
cavoli…
hai quasi centrato in pieno il
punto della situazione! :O Sono molto, molto grata a te e a tutti gli
altri per
i costanti incoraggiamenti e ammetto che la voglia di inviare il
manoscritto a
qualche casa editrice è tanto, ma è tanta anche
l’ansia e lo è anche la paura.
Insomma, dovrei proprio farmi coraggio! Prima o poi, lo prometto, ci
proverò!
Rosa
Blu: grazie
infinte! J
Spero davvero che coloro a cui un
giorno invierò la storia la pensino come te!
Milou_:
sì,
Innocence è quasi giunta alla fine,
ma si tratta solo della fine di questo grande capitolo,
perché la storia in sé è
ancora mooolto lunga e sto già scrivendone la seconda parte,
quindi non ti
preoccupare! ;) Vedo che anche tu hai capito molte cose, e mi fa
piacere, così
come mi fa piacere che tu abbia rivalutato Soile, a cui sono molto
affezionata,
anche se per adesso il suo personaggio resta sommariamente antipatico.
In sostanza,
grazie!
OdeToSolitude:
non
so bene cosa rispondere ai tuoi
complimenti, perché mi sono sentita arrossire e gonfiare di
orgoglio come un
piccolo pavone. J
Sono anche lieta di ricordarti nello
stile due scrittrici di successo come la Rowling, che amo
indicibilmente, e la
Troisi, che ho moderatamente apprezzato, sebbene io trovi che la sua
tecninca
una certa carenza di sentimento ed emozione. Ancora più
piacere mi fa che il
tuo preferito sia Shin, non perché io preferisca lui a
Lucius o vice versa, ma perché
sono perfettamente consapevole che Shin è un personaggio
maschile molto più
difficile da apprezzare. Sarò ben lieta, inoltre, di
annoverarti tra gli
shipper Shin/Regan (accoppiata da qualcuno affettuosamente battezzata
Shigan,
ma non farò nomi :D) e anche a te, come a tutti i fan di
Lucius/Regan, auguro
una buona fortuna. ;) Ti ringrazio molto per i messaggi privati, fra
l’altro,
sentiti libera di scrivermi quanto e quando vuoi, sono sempre
disponibile a
rispondere a qualsiasi tipo di domanda. J
_squerez:
il
tuo commento è stato finora uno di
quelli che più mi hanno lusingata, perché mi ha
ricordato molto il mio stesso
entusiasmo verso certe storie lette proprio qui su EFP. Mi ha fatto
sorridere
(e inorgoglire oltre ogni dire) che tu abbia apprezzato la storia al
punto tale
da volerla consigliare a un’amica, per finire a discuterne
con lei e a fare
congetture… ti dirò, questo è proprio
il mio sogno: che la gente che legge le
mie storie si senta come io mi sento leggendo altre storie, e si faccia
domande, e costruisca aspettative e speranze, si innamori di un certo
personaggio, eccetera. Questo per me sarebbe in assoluto il
raggiungimento
della piena realizzazione di scrittrice. Lascio al tempo e allo
svolgersi della
storia il duro compito di definire la sorte della vostra scommessa,
anche se
ovviamente ne conosco già l’esito, ma non voglio
rovinare niente a nessuno. ;)
Ringrazia tanto anche la tua amica, spero che entrambe continuerete a
seguirmi
e parlarmi delle vostre opinioni. J
In
conclusione
estrema, un estratto dal prossimo capitolo:
– Regan mi ha parlato di certi suoi
incubi, nei quali rivive il momento
in cui sua madre e suo padre morirono, e suo padre ha il volto
di… – proseguì
Lucius, e i suoi occhi si sollevarono su un altro paio
d’occhi ben precisi. –
Prince. –
Sbalordito, Prince arretrò di un passo
come se questo potesse mettere
distanza tra lui e l’idea imbarazzante di apparire nei sogni
di una ragazzina
in veste di suo genitore.
– Suvvia, è solo un sogno!
Tristan è troppo giovane, non potrebbe mai…
E comunque cosa c’entra, adesso? –
protestò Lord Edelberg.
– Non ti viene in mente nessuno che possa
corrispondere alla
descrizione? – gli disse Lucius, le sopracciglia inarcate.
– Qualcuno che
somigli a Prince abbastanza da poter essere scambiato per lui, ma anche
abbastanza adulto da poter essere il padre di una ragazza
dell’età di Regan?
Non voglio credere che tu non possa arrivarci, amico mio. –
Regan guardava Prince, sbigottito e a disagio, e si
chiedeva dove
volesse arrivare Lucius. Che cosa c’entravano gli Edelberg
con i suoi genitori?
– Padre, di cosa sta parlando?
– si intromise Anneli, ma Lord Edelberg
la interruppe con un gesto brusco.