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Autore: eldarion    15/03/2012    6 recensioni
Tsubasa e Sanae stanno per sposarsi. Sono felici. Tuttavia, la felicità a lungo sognata viene bruscamente spazzata via da una tragica fatalità.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!

Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!

 

 

 

Ritorno a casa

 

Il sole ormai alto la avvolse, accogliente, nella sua calda luce, la luce vera, quella limpida del giorno ormai nato. Era un’esperienza nuova, una sensazione mai provata da Kumiko. Mai, perchè mai, mai si era soffermata ad assaporare ciò che la circondava. 

Lei passava da un esperienza all'altra in un continuo divenire di persone e situazioni diverse, non aveva tempo nè voglia di soffermarsi sugli altri e sul mondo.

Lei non voleva pensare, vedere, sentire; aveva sempre preferito fermarsi alla superficie delle cose, senza scavare. Il farlo poteva essere doloroso, lasciarsi andare alle sensazioni poteva ferire e lei non voleva soffrire e poi...Poi con le lacrime bruciano gli occhi!

La sola volta che si era lasciata andare ai sentimenti, all'amore, all'amicizia, aveva combinato un gran pasticcio, era stata travolta dai sentimenti e per ricacciarli e affermare se stessa aveva finito col ferire irrimediabilmente Sanae e Tsubasa. 

Già...Tsubasa...Il suo unico capriccio mai soddisfatto, perché lei aveva sempre avuto tutto; l'aveva sempre avuta vinta fin da piccola, forse proprio allora era nata quella Kumiko che voleva tutto e tutti per sé. Lei voleva, voleva disperatamente, probabilmente quella era stata la sua prima frase "io voglio" non “vorrei”, “voglio”, voleva cose, persone, affetti e li aveva avuti senza dar mai nulla in cambio come fosse tutto dovuto...Perchè, quando si era generata quella Kumiko? Ci fu un tempo in cui era stata felice ma non lo ricordava. Era stata felice e serena, forse...E...Poi? 

Cosa accadde poi?...Poi...Accadde così, accadde e basta: il sogno si spezzò, lei si spezzò, il suo cuore andò in frantumi. Si risvegliò non più bambina e quando cresci devi metterti in gioco, nessuno ti protegge, non ci sono più mamma e papà che ti consolano dopo la caduta, devi imparare a camminare ed è meglio non sentire le ferite degli innumerevoli inciampi.

Meglio non sentire, meglio fuggire, meglio l'apparenza, l’assenza, il sonno dei sentimenti ricoperti di superficialità, luci, colori, sorrisi, feste e battute insulse.

Non aveva più amato, sentito, vissuto ma comunque la sofferenza era venuta a prenderla, ed era lì, al suo fianco. 

La paura, ingannatrice amica di sempre, le aveva portato quella nuova e fedele compagna di giochi. Non era servito a nulla farsi scudo con l'egoismo e l'apparenza perché alla fine non puoi nasconderti.

Ripensò con rammarico a tutto ciò che aveva perduto: quante cose si era persa, la luce del sole, il tepore dell'aria, il ruvido dei granelli di sabbia sulla pelle, la dolcezza dell'amicizia, la forza del perdono, il dolore pungente, la voglia di vivere.

Aveva vissuto una vita anestetizzata, forse era più corretto dire che ei aveva cercato di sopravvivere e mai di vivere, ora doveva imparare tutto, tutto quanto.

Strinse la lettera tra le dita, era un compito molto difficile da affrontare per lei, per una ragazza che, in fondo, si era sempre data un gran da fare per proteggersi dai sentimenti, nulla ne sapeva, si domandò se ce l’avrebbe fatta e in che modo. D'un tratto pensò che forse Tsubasa le aveva affidato un compito troppo difficile. Difficile ma non ingrato. Dopotutto lei, con quelle righe, portava amore, dolore certamente ma anche speranza e consolazione. 

Si toccò il petto. Il suo cuore, ancora inesperto e acerbo, batteva, non lo aveva mai ascoltato: batteva. 

Sorrise. 

Era molto bello scoprire di poter soffrire, amare, piangere ma era anche così strano affrontare tutto ciò, persino le cose belle potevano essere difficili, potevano essere tanto belle da farti scoppiare il cuore. 

Si fermò: era giunta al parcheggio. 

La macchina di Tsubasa era ancora là, la vernice verde brillava al sole, fece per avvicinarsi e salire poi si bloccò: non si sentiva in diritto di farlo. Il capitano l'aveva lasciata là quell'auto e là doveva restare. Era parte della vecchia vita, della vecchia vita che lui aveva lasciato andare e della vecchia vita che anche lei aveva lasciato indietro. Non si sarebbe voltata. Non avrebbe preso la macchina, non sarebbe tornata nell'appartamento del ragazzo, non avrebbe rifatto le valigie. Quello era il passato, lontano e zeppo di capricci e insoddisfazione. 

Strinse i pugni.

Era tutto finito, la vecchia lei non esisteva più e le sue valige erano vuote! 

Avrebbe riscritto la sua vita e la sua anima: niente più pretese e capricci, tutto avrebbe avuto un sapore nuovo, un nuovo colore, un nuovo entusiasmo, persino il suo lavoro avrebbe avuto una luce diversa e anche i suoi vestiti sarebbero stati altri. I panni della ragazza che è solo apparenza li aveva ormai riposti nell'armadio, il nero che aveva dentro stava sbiadendo lasciando spazio ad altri colori ancora indefiniti. Lei era una ragazza semplice, carina, con un cuore: non le serviva altro. 

Prese il cellulare e compose il numero che ben conosceva..

"Kumiko, tutto bene?..."

La voce ansiosa all'altro capo del filo la sorprese. 

Non lo aveva mai ascoltato veramente, non aveva mai fatto caso al tono della voce, esso cambiava: cambiava quando lui era allegro, quando era triste quando era preoccupato; esprimeva qualcosa...Non se ne era mai accorta...Mai...Quanta disattenzione si rimproverò la modella mentalmente...

"Kumiko ci sei?..."

"Ah...sì Roby scusa...Ero soprappensiero...Volevo dirti...Voglio tornare a casa, ho qualcosa da fare...Puoi fare a meno di me per un po' qui a Barcellona?...In fondo il lavoro è concluso e...Beh...Tu sai perché insistevo nel rimanere e, il motivo non esiste più..."

Lo disse con tranquillità, senza rabbia, né delusione o disappunto.

Subito Roby afferrò che era diversa: la voce squillante che le conosceva aveva acquisito una nota amara, più adulta, forse più consapevole. Era stupito: in quelle poche e frettolose parole per la prima volta Kumiko nominava casa sua; la menzionava con trasporto, con una nota nostalgica e dolce, l’indifferenza che le conosceva si era sciolta come neve al sole. Era cambiata...

"Ma certo, ti prenoto un volo per stasera e ti mando l'auto ma dove ti trovi?"

"Platia del Fangar... Roby!...Voglio salutarti prima di partire..." 

Un’altra cosa che lo stupì..,

"Certo ti aspetto, cara! A più tardi allora...ciao!"

Nemmeno Kumiko stessa sapeva spiegarsi come le fosse venuto in mente...Lei che desiderava salutare. 

Com'era stato bello e facile dire quelle poche parole, com'era bello avere qualcuno da salutare. 

Lei nn salutava mai nessuno, nemmeno la sua famiglia. Preferiva stare lontana da casa, entrare quando tutti dormivano e andarsene quanto tutti erano già fuori. Così era meno complicato. 

Lei nessuno voleva, nessuno accanto, nessuno da salutare, nessuno d'importante. Nessuno c'era per lei, nessuno da amare, nemmeno Tsubasa perché anche lui era un capriccio era parte della sua commedia amara. Forse si era impuntata su Tsubasa proprio perchè sapeva che mai lo avrebbe avuto veramente.

Lei non voleva nessuno e nessuno voleva lei perché...Era incostante, capricciosa, volitiva; arrivava sempre in ritardo per farsi notare, teneva le distanze, osservava con freddezza, voleva essere servita, ammirata, viziata.

Rabbrividì pensando che la vecchia Kumiko era stata terribile. Doveva essere stato orribile averla avuta accanto, quale ricordo conservavano di lei le persone? 

Tutti l'avevano sempre sopportata e accontentata nei suoi mille capricci. Scosse la testa.

Era finita, era un'altra: aveva cuore, finalmente ma...Ora? Ora che aveva cuore come l'avrebbero accolta? Qualcuno se ne sarebbe accorto? 

Ebbe improvvisamente paura. Certo non sarebbe stato facile cancellare tutto il nero, tutto il male e i continui errori.

L'auto arrivò. Salì, come una sonnambula persa nel sogno, osservò un ultima volta il vuoto paesaggio, lo osservò allontanarsi e improvvisamente capì che non voleva lasciarlo, era dentro di lei ormai, dentro, come dentro aveva sentimento ed emozioni che la legavano alle persone. Ora luoghi e persone erano dentro di lei, le lasciavano qualcosa, un'emozione, un ricordo, un'aspettativa ma, contrariamente a quanto aveva creduto, non si sentiva prigioniera. Quelle cose le appartenevano, era una dolce sensazione, ma...Poteva lei appartenere loro? Una volta di più sentì acutamente nel suo petto il dolore che aveva provocato a Tsubasa, Sanae e a coloro che li amavano. Ora li amava anche lei. Si accocolò sul sedile e si addormentò. Sognò una bambina persa in un'abbraccio di infinito amore. Ma la donna che l'abbracciava non aveva volto, eppure l'amava e amava anche tutti coloro che, senza volto sempre, la circondavano felici. 

Kumiko si svegliò di soprassalto, era già in aeroporto e, accanto a lei, Roby era lì per salutarla.

"Roby..."

Disse solamente a mezza voce.

Lui l'abbracciò "Torna presto cara!"

La voce dell'altoparlante pose fine al saluto tanto temuto da Kumiko: era l'ultima chiamata, e doveva affrettarsi. Si girò di scatto e corse velocemente verso la zona d'imbarco, si voltò solo un momento per un ultimo cenno di mano, sorrise e sparì al di là della barriera.

Meglio così, aveva molta paura di salutare, i saluti troppo lunghi doveva ancora imparare a gestirli ma niente male come inizio, si disse. Salì sull'aereo con un certo disagio, era l'ultima, era stata chiamata per nome, era in ritardo come sempre, come al solito, ma questa volta avrebbe voluto scomparire e non essere guardata.

Si accomodò velocemente al suo posto decisa a non dir nulla per tutto il viaggio e poi...Con chi avrebbe potuto parlare? 

Si appisolò nuovamente e nuovamente la bambina sconosciuta o dimenticata venne a visitare il suoi sogni. Eccola! Ma non era felice, non più. Nulla aveva intorno la piccola, solo buio e immobilità, le ombre nascondevano persone, cose, volti, ricordi, pensieri. Era sola la bambina, rannicchiata su una poltrona troppo grande per lei, si sentiva persa priva dell'abbraccio che desiderava...Piangeva...Era lei, Era lei! 

Kumiko si destò in preda all'angoscia, un'hostess le porse un bicchiere colmo d'acqua, lei lo prese sorridendo ma senza dire una parola. Era lei, lei come era stata, lei un tempo, un tempo lontano e dimenticato, una bambina amata e poi obliata. 

Era tornato, il suo primo lacerante dolore di bambina era tornato, fu là, là in quel lontano momento che presa dal timore del dolore, quello che ti spezza il cuore, aveva rinunciato a vivere e sentire consegnando il suo piccolo cuore alle ombre insensibili e fredde. Fu lì che si allontanò dalla vita...

"Nonna" mormorò piano.

Quanto le mancava, quanto le era mancata, Kumiko, la piccola Kumiko si era spenta quel giorno lontano con quella donna e aveva scordato il calore di quell'affetto e l'amore che aveva ricevuto, lo scordò e non lo volle mai più, faceva male. 

Sospirò. Quanto si era sbagliata! Non aveva compreso quanto invece potesse essere consolante la vicinanza di coloro che ami ed ora, cosa le restava? C'erano ancora? Aveva ancora una famiglia, la famiglia cha aveva evitato, denigrato, dimenticato? Ebbe paura, potevano anche non amarla più, in fondo, cosa aveva dato loro? 

Le interminabili ore di viaggio che la separavano da casa trascorsero con questo dubbio pungente nella mente: cosa avrebbe trovato a casa? Era ancora la sua casa?

Il viaggio terminò, Kumiko non ricordava esattamente come fosse stato, e nemmeno il sapore del cibo che aveva mangiato, aveva fatto tutto come un’automa e come tale si accingeva a raggiungere casa. Aveva le mani fredde e si sentiva tutta rigida con il cuore in gola, questa era la paura, quella vera, quella che hai quando puoi perdere tutto, tutto quanto, quella che certamente avevano provato Tsubasa e Sanae e che, sicuramente, provavano i loro genitori nell'esperienza della perdita.

Deglutì, forse lei non meritava di riavere una casa; ciononostante una volta scesa dal taxi si diresse proprio là. Si sentiva una perfetta estranea, si fermò dubbiosa dinanzi al campanello. 

“Forse non c'è nessuno"..

Pensò, e il pensiero la sollevò non poco per poi ripiombarla nello sconforto... 

"Ci risiamo Kumiko, coraggio!" si esortò. 

Pigiò il bottone nero del campanello di casa.

Sussultò. Una voce gioiosa dal videocitofono pronunciava il suo nome e subito dopo la porta si spalancava. 

Kumiko si sentiva un po’ confusa e mosse solo pochi passi lungo il vialetto che la separava dall’ingresso di casa mentre le due figure che finalmente aveva scoperto di poter amare le si facevano incontro sorridenti.

“Bentornata cara!” 

Non capì chi dei due lo disse, non lo capì, forse entrambi, forse in coro; non lo sapeva ma di certo si sorprese rispondendo poche semplici parole un po’ sciocche e magari scontate.

“Mamma, papà, sono felice di vedervi” 

“Hai le mani gelate, Kumiko, forza entriamo.”

E si perse nel calore delle mani che la guidavano a casa. La porta si richiuse, le luci si accesero festose: finalmente era a casa!

 

Continua..

(Sono stata più lenta del solito...Sorry...Comunque vi ringrazio per non aver abbandonato la storia.

Un grazie particolare a Sigfrido di Xanten: una sua osservazione mi ha convinta ad aggiungere questo capitolo per raccontare meglio la nostra Kumiko che, tra l’altro, è un personaggio che mi è molto caro!)

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

  
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