Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

di Lady Moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Infernal Night ***
Capitolo 3: *** The Gates of Eden ***
Capitolo 4: *** Change ***
Capitolo 5: *** The Ravings of a Madman ***
Capitolo 6: *** Sentence of death ***
Capitolo 7: *** The Requiem of the Angel ***
Capitolo 8: *** The Celestial Wars ***
Capitolo 9: *** Petals of white roses ***
Capitolo 10: *** The History of Cristavia and Tareel ***
Capitolo 11: *** Silver and Sapphire ***
Capitolo 12: *** Fragments of Soul ***
Capitolo 13: *** Echo of the Spirit ***
Capitolo 14: *** Shadows ***
Capitolo 15: *** Flames and fog ***
Capitolo 16: *** Challenge the Fate ***
Capitolo 17: *** Reminiscences ***
Capitolo 18: *** Blood and Steel ***
Capitolo 19: *** Kayle ***
Capitolo 20: *** Pixie rhymes ***
Capitolo 21: *** Arturya Freya Pendragon ***
Capitolo 22: *** The Dawn of Freya ***
Capitolo 23: *** Uncomfortable alliances ***
Capitolo 24: *** Time of life and death ***
Capitolo 25: *** Cassandra Rainsworth ***
Capitolo 26: *** Homunculus ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 


00

II Atto

Prologo

 

 

 

 

La voce.
Riusciva a sentirla... di nuovo.
Aveva ripreso ad invocare il suo nome, in una litania che non sembrava avere più fine.
Cantava, cantava, cantava...
Lasciarsi andare a quel dolce tormento era una tentazione terribile.
Era come camminare sull'orlo di un precipizio. Un solo passo falso e la voce sarebbe riuscita a catturarla.
La nebbia le lambì le caviglie e comprese che la voce era prossima a raggiungere il suo scopo.
Il candido velo silenzioso le scivolò sulla pelle, irritandole gli occhi e la gola.
Si portò una mano al collo e comprese che sia la voce che la vista le erano state tolte.
Cominciò a correre alla cieca mentre la voce assumeva un tono più dolce, quasi materno.
Le tenebre dei suoi occhi si fecero più confuse e più minacciose. Respirò, sapendo che ogni boccata d'aria poteva rivelarsi l'ultima, per lei.
Poi la voce assunse sfumature più incerte, quasi avesse intuito la paura che, ora, animava la sua vittima. Sembrava che si stesse gustando il momento, meditando su quale fosse l'istante ideale per sopprimere definitivamente la preda.
Quando, infine, le tenebre giunsero fino a lei e per lei, la ragazza comprese che il suo destino era sempre stato quello... fin da quando quel gioco aveva avuto inizio.

 

 

 

  



Come promesso eccomi con l'atteso (?) seguito di Contratto di Sangue-L'ombra del principio. Spero che questo breve prologo abbia stuzzicato un po' la vostra attenzione! :)
Questo II Atto della storia seguirà in principio le vicende di Freya Gadamath per poi tornare ad occuparsi di Sebastian e Clare ed incrociare così le vite dei diversi protagonisti che per raggiungere il medesimo obiettivo saranno costretti a collaborare.
Avviso che gli aggiornamenti saranno più lenti sia per questa storia che per le altre in corso poiché in questo periodo stanno facendo dei lavori in casa e pure per me è cominciata l'università! Ad ogni modo non disperate! Sto già scrivendo i prossimi capitoli^^
Spero che il capitolo via sia piaciuto e di avere qualche vostra opinione al riguardo! :) A presto!
Vi lascio il banner del mio forum-archivio se vi va di passare a dare un'occhiata.
By Cleo^.^

 

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Capitolo 2
*** Infernal Night ***




 

01

 Infernal Night

 

L'angelo spalancò le sue ali
e le stelle furono inghiottite dalla notte.

 

 

Non esistevano modi semplici per dire ad una persona che sarebbe morta da lì a qualche settimana. Era difficile, doloroso, ma a qualcuno doveva pur spettare quel compito.
Mentre riponeva con cura gli strumenti del lavoro in alcune fasce di stoffa bianca, Freya, si voltò per incrociare lo sguardo sconvolto della moglie del vecchio Fred.
Lei e il marito vivevano in una piccola abitazione di legno e paglia poco distante dalle mura del villaggio-fortezza di Shang. Non avevano avuto figli e l'unica cosa che possedevano era la casa ed un piccolo pezzo di terra che coltivavano per poter ottenere quel minimo che gli permettesse di continuare a sopravvivere.
Freya scosse la testa per la decima volta da quando era entrata nell'abitazione e fece qualche passo verso la donna.
Valha aveva il volto arrossato per il pianto, i corti capelli bianchi nascosti sotto una fascia di stoffa e le rughe sembravano aver lasciato grossi solchi sulla sua fragile pelle.
"Tornerò a visitarlo domani." promise Freya stringendo con forza le mani della donna che da bambina era solita regalarle qualche biscotto. L'anziana annuì tristemente e s'affrettò ad aprire la porta alla giovane.
Freya saltò in sella al suo cavallo e avvolgendosi meglio nel cappotto lo spronò al galoppo.

 


La pianura desolata che si estendeva davanti a lei era diventato un paesaggio familiare. Ogni tanto, guardandosi intorno si poteva notare qualche raro sprazzo di vegetazione, alberi talmente vecchi e deformi che nessuno aveva avuto la voglia ed il tempo di trasformare in legna da ardere. I rami si protendevano verso il cielo in un gesto che sembrava di supplica.
Malgrado Freya non avesse mai amato quel posto era, però, l'unico che lei avesse mai potuto chiamare casa. Le regioni del nord dell'Impero Thogal erano caratterizzate da paesaggi brulli e poco abitabili. Erano famose per le grandi e ricche miniere di oro e diamanti che avevano reso la capitale, Shalit, la più ricca e maestosa del continente. Tuttavia gli abitanti vivevano nella miseria e solo pochi fortunati riuscivano a vivere una vita priva di stenti.
L'autunno, con il suo primo gelo, aveva già mietuto le prime vittime nei sobborghi della città-fortezza di Shang. Il vescovo Ufrhin aveva annunciato l'intenzione di mandare i suoi Officianti a sostenere i più bisognosi, ma le sue promesse erano venute meno.
Freya si ritrovò a scuotere il capo. Aveva imparato sulla sua pelle che i Religiosi erano gente inaffidabile. La vecchia religione stava scomparendo ed i Vescovi avevano preso l'abitudine di rinchiudersi ognuno nelle proprie città-fortezze seminando il dubbio e la paura tra la gente. Erano già scoppiate alcune rivolte in altre zone, ma a Shang la gente era ancora troppo soggiogata dalle promesse e dai sogni di ricchezza di Ufrhin per tentare una ribellione.
In questo modo i giorni si susseguivano l'uno uguale all'altro: un minatore moriva, Ufrhin s'affacciava dal suo balcone per dire una predica e un ladro veniva giustiziato o portato in processo.
Freya rabbrividì mentre con un sospiro di sollievo si rese conto di essere quasi giunta alla piccola abitazione in cui viveva.
Quella crudele verità era la realtà e nulla avrebbe potuto cambiare le cose. L'Imperatore aveva da tempo perse ogni interesse per le regioni del nord, troppo preso, come si diceva, dalla sua nuova regina. Una donna che si raccntava fosse l'incarnazione di ogni cosa piacevole esistente sulla terra, ma così avida che perfino il Signore degli Inferi sarebbe stato geloso delle sue ricchezze e potere. La sua esistenza era avvolta nel più fitto mistero, ma si vociferava che fosse stata lei stessa ad uccidere la precedente moglie del re per poter salire al trono.
La sera giungeva presto in quelle lande, ma quel giorno c'era qualcosa di diverso che spaventò Freya, facendola allentare la presa sull'animale.
La ragazza volse lo sguardo al cielo e notò una stella, mai vista in precedenza, poco distante dalla luna. Emanava una flebile luce verde.
"Uno smeraldo." sussurrò affascinata da quello strano fenomeno. Il suo braccio si mosse inconsapevole verso il cielo, quasi a voler afferrare quella stella e nello stesso istante un forte boato scosse l'intera valle.
Qualcosa era precipitato dal cielo e si era schiantato poco distante da Shang. Un chiarore arancione le fece intuire che da quella cosa doveva essersi generato un incendio.
Il cavallo nitrì spaventato e anche Freya deglutì nervosa. Il vento soffiò verso est, in direzione dell'accaduto e le fiamme parvero perdere un po' della loro forza distruttrice. La ragazza osservò incuriosita le porte della città-fortezza venire spalancate ed alcuni cavalieri a cavallo dirigersi verso il luogo dell'impatto.
Sapendo che non era sicuro indugiare ulteriormente all'aperto, finendo con il poter rimaner invischiata nelle vicende della Chiesa, Freya s'affrettò a dirigersi alla sua abitazione.

 

 

Una piccola casa di mattoni e paglia. Era questa l'unica eredità che le avevano lasciato i suoi genitori, insieme a qualche soldo e gli insegnamenti da Guaritrice. Aveva appreso i rudimenti del mestiere fin da bambina, eppure la sua conoscenza in materia, a differenza di sua madre e suo padre, era molto limitata.
Tuttavia praticare quella antica professione era l'unico modo in cui le era concesso sopravvivere.
Nelle stagioni più favorevoli riusciva a coltivare qualche erba medica che poteva servirle con i malati e qualche tubero che metteva da parte per l'inverno. La sua condizione economica non era messa né meglio, né peggio di tante altre persone di Shang. Sopravviveva, e quello le bastava.
Esausta si trascinò in cucina, dove gettò qualche pezzo di legna nel camino e smosse le braci nascoste sotto la cenere, affinché i rami potessero prendere fuoco. Si sedette sullo sgabello di fronte al focolare ed allungò le mani per riscaldarsi.
I suoi occhi si specchiarono in quel mare di fiamme e il verde delle foglie primaverili si mischiò al cremisi del sangue. Freya osservò rapita le lingue di fuoco avvolgersi lungo i secchi rami d'albero e la sua mente rammentò l'ultimo periodo che aveva vissuto in compagnia dei suoi genitori. Il tempo era passato velocemente, all'insegna dei troppi litigi e fraintendimenti. Al momento della loro morte, Freya non era riuscita a versare neanche una lacrima.
La ragazza scosse la testa e lanciò un'occhiata alla sua cena. Un pezzo di pane raffermo e gli avanzi della zuppa di alcuni giorni precedenti.
S'alzò malvolentieri e cominciò a masticare alcuni pezzetti di pane. Era dello stesso tipo di quello che si potevano permettere i minatori della zona e, dunque, erano gli avanzi del vescovo e delle sue guardie personali.
Stanca ed assonnata fece per andare nella sua camera da letto, quando un insistente bussare alla porta, accompagnato da ordini secchi urlati da alcuni uomini, la costrinse a cambiare direzione.
Inciampando nei suoi stessi piedi, Freya spalancò l'entrata della sua dimora per comprendere a cosa fosse dovuta tutta quella confusione. Non che la cosa la sorprendesse, era abbastanza comune che la gente andasse da lei per chiedere l'aiuto di una Guaritrice, ma trovarsi di fronte una ventina di cavalieri armati e pronti a combattere era qualcosa di abbastanza inusuale anche per lei.
L'uomo in testa al gruppo era più alto di lei di almeno una trentina di centimetri e la osservava nello stesso modo in cui un gatto avrebbe fissato un topo.
La stava studiando e Freya trovò il fatto curioso quanto sospettoso. Automaticamente fece un passo all'indietro e vide l'uomo alzare innervosito il sopracciglio. Qualunque cosa volesse aveva fretta di ottenerla, nel minor tempo possibile.
Lo sconosciuto si tolse l'elmo, rivelando degli accenni di barba e due scintillanti occhi celesti. Una cicatrice sotto il mento era evidenziata dalla pelle più chiara in quel punto, mentre il naso aveva una forma aquilina.
Studiando l'elsa elaborata della spada ed impreziosita di gemme, Freya non faticò molto a comprendere che quell'uomo robusto ed in salute fosse in realtà uno dei comandanti del vescovo.
"È lei la signorina Freya Gadamath?" domandò con una strana urgenza nella voce.
"Sì, sono la Guaritrice." rispose la ragazza.
"La vostra presenza è richiesta alla fortezza." proseguì, facendo cenno ad uno degli uomini dietro di lui di portargli il suo cavallo. "Andate a prendere i vostri strumenti." ordinò brusco, infilandosi nuovamente l'elmo.
Sulla casacca celeste, su cui era ricamato un sole contenente una croce, erano visibili traccie di sangue e di un combattimento da poco conclusosi.
Mentre si chiedeva cosa poteva essere accaduto, Freya si recò nella cucina della sua piccola abitazione e raccolse la borsa contenente gli attrezzi che avrebbero potuto esserle d'aiuto.
"Sher, occupati tu di lei." ordinò brusco il comandante quando lei fece ritorno.
Ad attenderla trovò un ragazzo che aveva il lato sinistro del volto sfregiato e grondante sangue. Il cavaliere del vescovo s'affrettò a distogliere il volto non appena si rese conto che lei lo stava osservando.
Freya non commentò, consapevole che una parola sbagliata avrebbe potuto significare la sua morte. Rimase in silenzio anche quando il giovane soldato le offrì una mano per farla salire sul cavallo e quando lo sentì sussultare per il dolore della ferita.
Gli abitanti si Shang raramente mostravano compassione per le persone del suo ceto sociale, dunque neanche lei avrebbe provato quel tipo di sentimento per loro.
Girando brevemente la testa notò che tutti i cavalieri riportavano ferite più o meno gravi e si chiese cosa fosse accaduto quella sera.
L'odore del sangue era facilmente riconoscibile, mischiato a quello della terra e Freya ringraziò, per la prima volta in vita sua, la Chiesa che negli anni precedenti si era adoperata affinché i vampiri presenti nell'Impero Thogal venissero uccisi.
Quella notte era estremamente freddo e la ragazza si augurò di poter arrivare alla fortezza di Shang prima di congelarsi sulla groppa di quel destriero.

 

 

Le mura della città-fortezza si presentarono davanti a Freya come un agglomerato di diversi materiali, combinati in modo tale da resistere agli attacchi nemici ed anche alle avverse condizioni atmosferiche di quel territorio. Tuttavia erano state costruite in un passato così remoto che dubitava avrebbero potuto resistere ad un qualunque tipo di assalto.
Blocchi di granito, pietre, fango e paglia erano questi i principali componenti che costituivano la protezione di Shang. Le due torri di vedetta, poste rispettivamente ad est ed ovest dell'entrata, negli anni erano diventate esclusivamente degli elementi decorativi.
Una decina di soldati percorrevano giorno e notte le mura della città, ma mentre attraversava l'imponente ingresso ad arco Freya non riuscì a scorgerne neanche uno. Quando si guardò alle sue spalle, la grata di ferro, che impediva ai vagabondi di varcare la soglia del borgo, fu gettata a terra.
La strada che conduceva al castello ed alla dimora del vescovo era leggermente in salita, poiché la costruzione era stata costruita su un piccolo colle, rialzata rispetto agli altri edifici.
La struttura era la più grande della città di Shang e sapeva incutere timore, quanto rispetto, in chiunque l'osservasse. Di fronte all'enorme fortezza, stava la piazza del mercato, dove Ufrhin metteva al rogo presunte streghe e improbabili demoni.
Le persone meno colte erano sempre quelle pronte a credere alle parole del vescovo, ma i più istruiti sapevano che il vero scopo di Ufrhin era quello di mantenere il potere sulla città istigando il terrore tra i suoi abitanti.
Il rumore degli zoccoli sulle lastre di pietra, parvero a Freya il ticchettio di un pendolo che scandiva i minuti che la separavano dall'ineluttabilità del suo destino.
Si fermarono nell'ampio cortile interno del castello e il comandante ordinò alla Guaritrice di scendere e di seguirlo.
Freya annuì e s'affrettò a raccogliere la borsa dei suoi strumenti e ad eseguire ciò che le era stato detto.
"Più tardi ti occuperai anche dei miei uomini." annunciò il comandante, indicando le ferite, che lui compreso, aveva riportato.
Freya si ritrovò a sospirare. Era stanca, infreddolita e per niente soddisfatta della piega che stava assumendo la serata. Aveva l'impressione che quella si sarebbe rivelata una lunga nottata.

 

 

Davanti a lei il corridoio principale della fortezza si snodava in una miriade di passaggi secondari e se fosse stata da sola Freya era certa che avrebbe potuto perdersi in quel luogo austero e spoglio. A differenza dell'esterno, l'interno del castello era stato concepito all'insegna della semplicità. Nessun quadro o arazzo addobbava le pareti di fredda pietra nera, né antiche armature i corridoi, né piante gli angoli più bui.
Tuttavia Freya sapeva bene che le stanze del vescovo e dei suoi collaboratori in verità traboccavano di calici d'oro e d'argento, tende ricamate a mano e pareti di legno intarsiato.
"Da questa parte." commentò il comandante.
In quel momento Freya si rese conto di non avere la minima idea di quale fosse il nome dell'uomo, ma dal suo aspetto e dalle voci che giravano a Shang dedusse che doveva trattarsi del comandante Lynus.
Per qualche motivo che non le era dato sapere, da quando erano entrati nella fortezza Lynus appariva estremamente agitato. La sua mano non si era mossa dall'impugnatura della spada e persino il suo respiro sembrava essere diventato più pesante, quasi mancasse l'aria.
La luce proveniente da una delle finestre rivelò una stanza che in precedenza la ragazza non era riuscita a notare.
Lynus si fece da parte e le indicò la porta socchiusa che lasciava filtrare una luce.
"Immagino di dover entrare." mormorò Freya a se stessa. Poggiò la mano sulla superficie lignea e ad un leggero tocco della sua mano la porta si spalancò.
Sdraiato su un letto, circondato da tre servitori stava un ragazzo agonizzante. La fronte era imperlata di sudore ed il petto si alzava ed abbassava molto lentamente.
Una ferita sul fianco che aveva cominciato a dare i primi segnali d'infezione, gli squarciava la coscia e parte del petto.
Freya distolse per un attimo lo sguardo e prese un bel respiro. Gli era bastata un'occhiata per comprendere che il ragazzo non sarebbe riuscito a sopravvivere. A giudicare dalla ferita, ipotizzava che sarebbe sopravvissuto fino all'alba o poco più.
Mentre avanzava verso il suo paziente, in un angolo riuscì a vedere il vescovo Ufrhin che seduto su una sedia sembrava intento a pregare per l'anima del ragazzo.
Arazzi scarlatti con il simbolo della Chiesa, un sole contenete una croce, erano disposti in ogni angolo della stanza. Tappeti provenienti dal lontano Regno di Ziltar ricoprivano il pavimento e tende di pregiate stoffe colorate impedivano di vedere il panorama oltre la finestra.
Era la stanza di un re, si ritrovò a pensare Freya mentre poggiava su di un tavolo i suoi strumenti.
"Freya Gadamath. È passato molto tempo dall'ultima volta che sei stata invitata qui." esordì il vescovo alzandosi dalla sedia.
"Vostra eccellenza mi onora. Ricordate ancora la mia ultima visita." mormorò studiando con attenzione quell'uomo di mezza età che era l'incubo di molte persone.
Il vescovo era invecchiato dall'ultima volta che aveva potuto vederlo. La barba aveva qualche ciuffo bianco, la postura del corpo si era fatta più gobba e l'andatura incerta. Le mani ed il volto mostravano i primi segni della vecchiaia e alcune rughe intorno agli occhi erano piuttosto marcate. I capelli castani erano per la maggior parte nascosti sotto la cuffietta da vescovo, mentre gli occhi, di un grigio tanto particolare da sembrare inumani, osservavano attenti ogni suo movimento.
Freya distolse il proprio sguardo da quello di Ufrhin ed estrasse con un cucchiaio un polverina gialla da una piccola scatoletta di legno e la fece sciogliere in un bicchiere d'acqua.
"Allieva il dolore ed abbassa la febbre." spiegò, prima che il vescovo potesse interromperla per sapere cosa stava facendo.
In seguito si piegò sul ragazzo e gli sollevò delicatamente le palpebre per osservare la reazione dell'occhio alla luce. Quando si rese conto di osservare delle iridi identiche a quelle di Ufrhin, non ci mise molto a comprendere che le voci su un presunto figlio del vescovo fossero vere.
"Come si è procurato la ferita?" domandò, cercando di ignorare ciò che aveva appena scoperto.
Uno dei servitori fece per parlare, ma fu zittito da un'occhiata di Ufrhin.
"Qualche ora fa, mentre era caccia. È stato un cinghiale." spiegò con voce profonda.
Freya sospirò, scuotendo la testa. Il vescovo voleva nascondere la verità. Era evidente dato che un cinghiale non poteva provocare i segni di una ferita inferta con una lama. Ed era stata una lama piuttosto affilata da quanto poteva valutare.
Non commentò per il semplice fatto che non avrebbe né ottenuto una risposta differente, né ottenuto le simpatie di quell'uomo.
"Voi due." disse chiamando i servitori. "Portatemi delle garze pulite e poi ripulite la ferita con dell'acqua calda."
"Avreste dovuto chiamarmi prima." fece notare al vescovo, che s'era sistemato accanto all'estremità opposta del letto.
"È un ragazzo forte, si riprenderà." ribatté Ufrhin, riprendendo a pregare.
"Non ne sarei così sicura se fossi in voi." concluse la ragazza.

 

 

I servitori avevano fatto un buona lavoro con le bende, ma Freya sapeva che qualunque cosa fosse stata fatta le sorti di quel ragazzo erano segnate. Aveva un bel viso pur essendo il figlio di Ufrhin. Aveva dei lineamenti delicati, quasi fanciulleschi e Freya ipotizzò che avesse preso molto più dalla madre che dal padre.
Scoprire che il vescovo aveva avuto un figlio non l'aveva sconvolta tanto quanto aveva immaginato all'inizio. In verità era abbastanza comune che tra gli ecclesiastici esistessero figli nati da relazioni con prostitute. Il Cardinale era il primo ad avere eredi sparsi in ogni angolo dell'Impero Thogal.
"Si sta agitando troppo" mormorò, temendo che potesse avere delle convulsioni.
"Aiutatemi a tenerlo fermo!" ordinò ad alcuni servitori, che si apprestarono immediatamente a portare il loro aiuto.
Per l'ennesima volta in quel giorno, Freya si chinò sul paziente e gli tenne ferma la testa.
"Shh. Resta calmo. Tranquillo." gli bisbigliò all'orecchio. "Immobilizzatelo." gridò ai servitori.
Il vescovo Ufrhin si alzò agitato e zoppicando si avviò al capezzale del figlio. Freya si domandò se quell'uomo, tanto insensibile, provasse davvero qualche tipo di sentimento per il figlio morente.
All'improvviso il ragazzo spalancò gli occhi ed artigliò i vestiti di Freya, obbligandola ad avvicinarsi ulteriormente al suo viso. Ansimando e gorgogliando frasi incomprensibili riuscì, infine, a sussurrarle poche parole: "U-un angelo." riuscì a dire prima che il suo corpo crollasse privo di vita nel letto.
Freya rimase stordita per alcuni secondi, ma una volta ripresasi cercò la presenza del vescovo alle sue spalle.
L'uomo si avvicinò a lei furente di rabbia e le puntò un dito al petto. "L'hai ucciso! Strega! Che tu possa bruciare tra le fiamme nere dell'inferno!" sibilò a denti stretti.
Freya fece un passo indietro, incapace di ribattere.
"Non avete prove per accusarmi di stregoneria." rispose Freya agitata. Sentiva che le mani avevano cominciato a sudare e la testa cominciava a risentire della mancanza di sonno.
"Io sono il vescovo!" esclamò, malgrado quel punto della questione fosse fin troppo ovvio.
Freya si allontanò ulteriormente, finendo con lo sbattere la schiena contro un armadio. "Tutti voi avete visto che la Guaritrice ha sussurrato qualcosa all'orecchio del ragazzo." continuò rivolgendosi ai servitori che annuirono tremanti di paura.
"Non vorrete..." Freya si guardò intorno in cerca d'aiuto. "Avete perso completamente la ragione!" osservò impaurita.
"Guardie!" chiamò Ufrhin, zoppicando fino alla porta.
"Non potete farlo!" gridò disperata. "È una pazzia!" ansimò.
Fu quando s'accorse del ghigno divertito dipinto sul suo volto e del colore nero che avevano assunto i suoi occhi che comprese che qualcosa di spaventoso era accaduto quella notte.
Qualcosa che, ne era certa, aveva a che fare con la comparsa della stelle verde nel cielo e la caduta dell'oggetto misterioso sulla terra.
"Non finirà così Ufrhin!" ma proprio mentre lo diceva, fu certa di avvertire su di sé lo sguardo di un demone, non quello di un essere umano.

 

Mappa di come immagino il continente in cui si svolge la storia. Verrà aggiornata con le varie città più avanti. Nel Regno di Ziltar si sono svolte le vicende di Clare Rainsworth… 
         

 

Buon compleanno Nihal^.^

Vorrei sottolineare che i  riferimenti che faccio alla "Chiesa" non centrano assolutamente nulla con quelli della Chiesa reale. u_u  Le cose sono simili quanto differenti. Lo scoprirete^^
Grazie a tutte le persone che hanno letto la storia e l'hanno aggiunta tra seguiti-preferiti-ricordate! Al prossimo capitolo!

By Cleo^.^ 

Potete trovarmi: qui



Storie in corso:

Romatico

Storie concluse:
Vampiri

Sovrannaturale

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Capitolo 3
*** The Gates of Eden ***




 

02

The Gates of Eden

 

 


Mentre veniva gettata malamente in una delle tante celle dei sotterranei della fortezza, Freya si sentì debole ed impotente. Aveva sempre saputo che la forza non doveva cercarla nei muscoli e nelle armi, ma venire tratta allo stesso modo di un comune delinquente le fece provare una rabbia mai sperimentata in precedenza.
Aveva dedicato la vita a proteggere e a salvare le persone, attraverso le possibilità che il suo lavoro di Guaritrice permetteva.
Aveva aiutato a nascere decine di bambini ed aveva visto morire alla stessa velocità centinaia di individui.
Aggrappandosi ad una sporgenza nel muro, per impedirsi di cadere a terra, rivolse un'occhiata piena di disprezzo alle guardie che l'avevano condotta in quel luogo buoi ed umido.
Ufrhin. Era lui la causa di tutto quello che stava accadendo in quelle regioni. Un vescovo privo di morale che nell'ultimo periodo sembrava aver perso completamente la ragione. E, poi, naturalmente c'era la stella comparsa in quella notte ghiacciata.
Con passo insicuro si spostò nell'angolo più buio della prigione e si rannicchiò su se stessa. La testa le pulsava furiosamente e Freya non aveva altro desiderio che lasciarsi scivolare nel sonno. Il silenzio della sua mente avrebbe avuto un effetto rassicurante.
Infreddolita storse il naso, avvertendo lo sgradevole odore che proveniva nelle vicinanze delle altre celle. Alcune torce, poste lungo il corridoio esterno, illuminavano i volti di alcuni prigionieri che le mostravano la loro dentatura sorridente. Freya provò un moto di ribrezzo e di compassione per quelle povere anime che non sembravano consapevoli del fato che le aspettava.
Perché esisteva solo un destino che Ufrhin concedeva ai traditori e agli affamati: morte. Poco importava delle accuse o dei crimini che avevano o non avevano commesso.
Un anziano che poteva essere anche suo nonno, la guardava con due occhi giallognoli e gli angoli della bocca rivolti all'insù, in un espressione quasi curiosa.
Seduto su una coperta lercia di sudore ed altri fluidi corporei, si avvicinò strisciando alle sbarre che li separavano. Quando le sue dita si posarono sul metallo, tremarono e lo lasciarono poco dopo.
"I cancelli..." blaterò in preda ad una sorta di agitazione interiore.
"Come dite?" domandò la ragazza con tutta l'educazione possibile. Provava un moto di tenerezza, quanto di repulsione per quel vecchio che sembrava prossimo alla morte.
"I cancelli sono stati aperti." riprese a parlare l'anziano, che si era alzato sulle gambe ed osservava la Guaritrice dall'alto verso il basso.
"Mi dispiace. Non comprendo ciò che volete dirmi." rispose dispiaciuta, sollevandosi anche lei in piedi, ma tenendosi comunque a distanza.
"I cancelli dell'Eden." ansimò. "I cancelli sono stati aperti. L'ira dell'angelo ci colpirà tutti!" esclamò.
Freya sospirò, mentre comprensiva si disse che l'uomo soffriva di un qualche tipo d'allucinazione. Era abbastanza normale che un uomo tenuto in vita a quelle condizioni, finisse prima o poi, con il perdere il senno. O forse era semplicemente l'età troppo avanzata ed il dolore che lo facevano delirare.
"L'angelo spalancherà le sue ali e noi potremo osservare il manifestarsi della sua ira. Salverà questo mondo dal suo più antico nemico." proseguì l'uomo. "I cancelli sono stati aperti. Le porte hanno rivelato la via. I cancelli sono stati aperti..." L'anziano tornò nel suo giaciglio, continuando a mormorare quelle parole e Freya si rilassò un poco quando lo vide chiudersi a palla su se stesso.
Sentirlo parlare mentre la fissava con quelle gelatinose iridi malaticce le aveva messo una strana ansia addosso, di cui non riusciva a liberarsi.
Solo in un secondo momento, quando fu certa che nessun carcerato le prestava più attenzione si permise di sospirare.
All'improvviso si rese conto che aveva già sentito nominare da qualche parte la parola Eden, ma poiché non era una seguace dell'Antica Religione, non aveva la più pallida idea di come collegare quel nome all'espressione "angelo", sempre menzionata dal prigioniero.
Alla fine esausta e angosciata per il trattamento che le avrebbe riservato il vescovo si lasciò scivolare in un sonno senza sogni.

 

 

La luce del sole non arrivava in quei luoghi sotterranei della fortezza, dunque quando Freya si svegliò non seppe dire se fosse già giorno o ancora notte fonda. Avendo tuttavia l'abitudine di svegliarsi all'alba, si chiese se anche in quell'occasione il suo corpo avesse rispettato quella consuetudine. Più stanca di quanto fosse prima di addormentarsi, si mise in piedi e fece qualche passo nello spazio angusto che le permetteva la prigione.
Si sentiva i muscoli indolenzite e l'umidità di quel luogo le era entrata fin nelle ossa. Una macchia di muffe e licheni sembrava osservarla dal soffitto e Freya fu pronta a giurare che la sera precedente non v'era.
Dando una scrollata alle spalle, ispezionò con poco entusiasmo quella parte di sotterranei della fortezza. Le sbarre erano arrugginite a causa del tempo e dell'umidità e Freya si assicurò bene di non sfiorarle neanche con un dito. Non voleva rischiare di prendere alcun tipo di malattia in quel posto.
Resasi conto dei suoi stessi pensieri si lasciò andare ad una risata isterica. Cercare di non ammalarsi? Se anche ci fosse riuscita, la sua vita sarebbe stata comunque distrutta in breve tempo dal fuoco purificatore del vescovo.
Malgrado la consapevolezza che sarebbe morta i suoi occhi non accennarono a voler versare delle lacrime.
"Silenzio!" tuonò una guardia nella sua direzione. Aveva il volto coperto ed in mano reggeva una lancia che culminava con una punta scarlatta.
Freya si zittì immediatamente e tornò a guardare con poco interesse i licheni posizionati sopra la sua testa. Le sembrò che la macchia si fosse espansa rispetto a qualche attimo prima.
Si diede mentalmente della stupida e tornò a sedersi sul pavimento. All'improvviso le si ripresentò con violenza il ricordo del giorno precedente, quando il figlio del vescovo l'aveva afferrata e nei suoi deliri l'aveva chiamata angelo.
"Ridicolo." borbottò scuotendo la testa. Eppure, non le sembrava più una coincidenza il fatto che anche il vecchio della cella accanto alla sua aveva nominato quella strana storia sull'angelo e i cancelli dell'Eden.
Un rumore proveniente da dietro le sbarre la fece sobbalzare e la curiosità la spinse ad osservare ciò che stava accadendo. Una delle guardie le aveva fatto scivolare nella prigione un ciotola di metallo contenente una bluastra zuppa maleodorante.
Freya si avvicinò sospettosa alla pietanza e non appena avvertì il nauseante odore che emanava decise che l'avrebbe rispedita al mittente. Morire tra i tormenti provocati da cibo avariato non era nei suoi piani futuri.
I prigionieri di fronte a lei, invece, non si fecero alcuno scrupolo ed inghiottirono la
zuppa, quasi fosse stata la cosa migliore che avessero mai assaggiato nella loro esistenza.

"Non mangi?" le domandò il vecchio delirante della sera precedente.
Disgustata, Freya scosse energicamente la testa e fece scivolare la ciotola all'anziano. Si chiese quanto avrebbe potuto resistere in quelle condizioni, prima della sua condanna a morte.
Esitante si guardò le mani, ma immediatamente rialzò lo sguardo sull'uomo che aveva cominciato a rotolarsi a terra e ad emettere strani suoni strozzati.
"Veleno" sussurrò automaticamente, mentre una schiuma biancastra scivolava fuori dalla bocca del prigioniero.
Non aveva dubbi che il vecchio sarebbe morto da lì in pochi minuti. Grazie al suo potere non sbagliava mai una diagnosi.
Vi aveva fatto ricorso senza neanche rendersene conto ed era certa che se qualcuno l'avesse guardata in quel momento, al posto delle sue iridi verdi, avrebbe scorto delle pallide ametiste.
"Guardie!" gridò qualcuno tra i reclusi.
Un paio di soldati arrivarono di corsa, ma fecero appena in tempo a girare le chiavi nella serratura arrugginita che l'anziano crollò a terra senza più fiato.
Freya osservò l'ombra della sua anima che la scrutava con attenzione, poi così com'era apparsa, svani nelle tenebre di quel luogo.
La Guaritrice rimase per un lungo istante immobile in quella posizione. Vedere le anime dei morti le provocava sempre un piccolo trauma ed ogni volta le occorreva qualche minuto per riprendersi da quel macabro spettacolo che solo lei riusciva a scrutare.
La guardia, dall'altro lato della cella scosse il capo, segno che l'uomo era morto. Con estrema naturalezza, bisbigliò gli ultimi saluti all'orecchio del defunto, augurandogli un buon viaggio fino alle Case dei Morti, poi, mentre si alzava si fece il segno della croce.
In quell'istante Freya avrebbe voluto gridare che era stato utilizzato del veleno e che la vittima designata in verità appariva essere lei, tuttavia preferì rimanere in silenzio. Aveva imparato che non era mai saggio discutere con i soldati del vescovo Ufrhin.
"Portatelo via." ordinò qualcuno. Il cadavere fu sollevato di peso e trascinato all'esterno
della prigione.

Freya scosse la testa, sempre più confusa. Per quale assurdo motivo il vescovo aveva tentato di ucciderla? Ma era davvero stato lui, o qualcuno che voleva farle credere fosse così?
Tutta quella situazione non aveva senso. Stava accadendo qualcosa di insolito all'infuori di quella cella e se voleva sapere la verità doveva riuscire a trovare un modo per fuggire.
Qualcuno alle sue spalle sogghignò e la ragazza si voltò per vedere chi fosse. Era uno dei tanti prigionieri, il volto scavato dalla magrezza e gli occhi due cavità vuote. Chiunque fosse stato a strapparglieli sembrava essere stato consapevole di come doveva andare fatto quel lavoro. I bracci tremarono mentre si portava una mano alla bocca nel vano tentativo di tacere.
"State zitto." lo ammonì Freya. "È appena morto un uomo." proseguì stizzita.
"Qui ogni giorno muore un uomo." replicò l'altro divertito. "Le donne, invece, sono mercanzia rara." disse sputando.
Freya distolse lo sguardo. "Non dovreste trovare la cosa divertente." bisbigliò. "Anche voi potreste morire da un momento all'altro. Il vescovo potrebbe soddisfare uno dei suoi tanti capricci su di voi e non potrete farci nulla."
Lo sconosciuto smise improvvisamente di ridere e la fissò con le sue orbite vuote. La sua bocca si piegò in una smorfia infastidita e l'uomo mostrò i residui di un tatuaggio a forma di croce posto sul suo palmo.
"Lui non mi trova più divertente come un tempo." spiegò con una scrollata di spalle. "Preferisce dilettarsi con individui più giovani, e donne, a quanto pare."
"Da quanto siete qui?" trovò il coraggio di domandargli.
"Non saprei dirvelo con certezza. Non sono più in grado di distinguere il susseguirsi naturale delle stagioni, come avrete notato." aggiunse indicandosi il volto sfigurato. "Ma ditemi..." proseguì. "Com'è il mondo di questo periodo? È già venuta la primavera? Gli alberi sono in fiore e gli uccelli preparano i loro nidi?" domandò emozionato.
"L'inverno sta arrivando. I passeri hanno abbandonato queste terre e si dirigono al sud. I raccolti marciscono nei prati ed Ufrhin rimane rinchiuso al sicuro tra le mura del suo palazzo." osservò la Guaritrice. "Siete un uomo di Chiesa?" domandò esitante.
"Lo ero, almeno finché Ufrhin non ha rubato la mia identità." Freya lo osservò titubante. Alcuni prigionieri si erano avvicinati alle sbarre e anche loro stavano ascoltando la loro conversazione. "Naturalmente questa è una storia che il vescovo ha proibito di raccontare."
"Non capisco."
"Il vero nome dell'uomo che conosci come Ufrhin è Shaber. Più di vent'anni fa arrivò in questa città con un gruppo di mercenari e nel giro di un mese riuscì ad ottenere il rispetto e il timore degli abitanti. Conquistò la fortezza e dopo avermi chiuso in queste prigioni, rubò il mio nome, Ufrhin, e lasciò che gli altri lo conoscessero come tale. Proibì alle persone di raccontare la verità, pena la morte, e si insediò come nuovo vescovo di Shang. I ribelli che si opposero al suo potere vennero giustiziati nella piazza cittadina."
Dei mormori di assenso si sparsero nei sotterranei della fortezza.
"In seguito garantì ricchezza agli uomini che lo avevano appoggiato e povertà a tutti gli altri. Grazie al titolo che aveva ottenuto, Shaber riuscì ad entrare facilmente nelle grazie del Cancelliere e dell'Imperatore. Loro gli concessero piena libertà decisionale su Shang ed ora, dopo anni di soprusi, i cittadini stanno cominciando a ribellarsi alla sua autorità."
"Devo credere a questa storia?" obiettò Freya poco convinta.
"Dovresti" intervenne un altro uomo. "Perché è in parte merito tuo se ora nella città esiste un movimento che va contro il potere di Shaber."
Freya spalancò la bocca stupita e scosse energicamente la testa. "Io avrei fatto cosa?"
Si appoggiò con la schiena al muro e cercò di riflettere su quanto appena scoperto. Era dura credere che l'uomo che per anni aveva fatto cadere in un baratro la città di Shang fosse in realtà un mero impostore.
"Tutta questa vicenda è ridicola." esordì alla fine inclinando la testa di lato. "E se anche fosse vera non cambia nulla. Siamo rinchiusi nelle prigioni di Ufrhin..." disse sottolineando l'ultima parola. "Che questo sia il suo vero nome o no, attualmente non ha alcuna importanza." continuò amareggiata. "Se siete stato davvero un uomo di Chiesa allora spiegatemi che cosa sono i cancelli dell'Eden e come si possono collegare agli angeli."
Sul volto dell'uomo comparve un sorriso estasiato e si portò una mano alla testa come a voler richiamare degli antichi ricordi. Poi i piedi si mossero di qualche passo e si fermarono a pochi centimetri dalle sbarre.
"L'Eden, mia cara, è la patria degli angeli." spiegò incantato. "Ed è anche il luogo in cui tutto ha avuto inizio." fece una pausa. "Il luogo dove il mondo ha avuto origine."

 

 

 

Cartina aggiornata:

         

 

 

Mi spiace vedere che la storia non sta riscuotendo grande successo, ma credo che se continuerete a seguirla riuscirò a stupirvi!
Vorrei in oltre farvi sapere che al momento sono giù di morale a causa di un lutto che mi ha colpita, quindi mi scuso in anticipo se forse il capitolo non è ben riuscito.
Malgrado ciò continuerò a scrivere, per lui, che amava ascoltarmi mentre gli leggevo i capitoli. Io e lui abbiamo fatto una promessa che intendo mantenere, quindi temo che dovrete sopportare ancora a lungo la mia presenza sul sito! xD
Arrivederci!
By Cleo


Storie in corso:
Romatico

Storie concluse:
Vampiri

Sovrannaturale

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Capitolo 4
*** Change ***




 

03
Change

 

 

Eden. Possibile che quel luogo, con più cose in comune con una leggenda, fosse in verità realtà? Freya non riusciva a credere che simili racconti, divulgati più per necessità religiosa che materiale, potessero essere in qualche modo collegabili agli strani eventi che si stavano verificando in quel piccolo punto della carta geografica.
Doveva esserci dell'altro. Qualcosa di più concreto e tangibile che potesse sciogliere i suoi dubbi.
Con un gesto delicato della mano si allontanò dal volto i ciuffi di capelli castani che le erano scivolati sugli occhi. Notò che la pelle aveva assunto un colorito più chiaro, malsano, più simile a quello di una persona anziana che a quello di una normale ragazza della sua stessa età. Sbuffò, ma lo fece per allontanare la tensione più che per esprimere una smorfia di noia.
Non aveva più rivolto la parola all'uomo che con tanta sicurezza le aveva confessato di essere il reale ed unico Ufrhin e nemmeno a nessun altro dei prigionieri.
Avvolgendosi il busto con le braccia ricordò, il giorno di qualche mese prima, quando non aveva esitato un attimo nel dare al vescovo di Shang il suo appoggio per risolvere il caso di una misteriosa malattia che aveva colpito i suoi Officianti.
Lo stesso Ufrhin era stato aggredito da quello strano morbo che aveva condannato tre dei suoi seguaci a vivere in uno stato di cecità permanente. Altri Officianti, i più anziani, invece, non erano sopravvissuti.
Freya non aveva posto domande al vescovo la mattina in cui si era presentata al suo cospetto per ritirare la sua ricompensa. Si era limitata ad un commento sulla salute dell'uomo ed a salutarlo con un cenno del capo. Non aveva espresso le sue perplessità su quella strana malattia ed era tornata alla sua abitazione con un piccolo tesoro nelle tasche degli abiti.
La maggior parte del denaro l'aveva utilizzato per le riparazioni della casa. Le monete che le erano rimaste, invece, le aveva nascoste nei suoi stessi vestiti, cucendole con un doppio strato di stoffa.
Nel mentre lo pensava, si rese conto che anche in quell'abito, ormai sgualcito e macchiato, si nascondeva qualche spicciolo e si domandò se in qualche modo sarebbe stato possibile per lei riuscire a corrompere delle guardie della prigione.
Persa nei suoi pensieri e possibili progetti di fuga, si rese conto solo in un secondo momento che una chiave era stata inserita nella toppa della sua cella.
Cigolando, le sbarre si mossero in avanti e fecero irruzione in quel posto angusto due soldati del vescovo, uno dei quali puntò una torcia fiammeggiante nella sua direzione.
Freya si coprì gli occhi, mugolando per il dolore che quella presenza di luce così luminosa le stava arrecando.
"Dovete venire con noi." annunciò il più grosso dei due uomini, afferrandola per un polso e tirandola verso l'uscita.
Nello stesso istante la fortezza fu attraversata da un profondo boato. Freya s'immobilizzò e si rese conto che quel suono apparteneva ad una voce. Un urlo così terribile che sembrava appartenere più ad una bestia che ad un essere umano.
Il suono si ripeté con maggiore intensità ed alcuni detenuti si coprirono le orecchie, mentre le guardie imprecarono sottovoce.
"Ha ricominciato ad urlare e a ribellarsi." fu il primo commento dell'uomo che la stava stringendo.
"Eppure mi era sembrato di capire che il vescovo avesse fatto uso di veleni e droghe per tenere tranquillo il suo ospite." constatò la guardia, appoggiata malamente alle sbarre.
Freya spalancò la bocca dallo stupore, sebbene non sapesse di cosa i due parlassero, ma si affrettò a richiuderla non appena colse l'occhiataccia che le rivolse il soldato.
La sua mente elaborò quelle nuove informazioni domandandosi chi fosse il prigioniero, perché di questo si trattava, che Ufrhin aveva con sé.
"Dubito che esista qualcosa in grado di trattenere quell'individuo. Ricordi quanto ci è costata la sua cattura? Tre uomini sono morti e altri due sono feriti gravemente." riprese il soldato, sospingendo Freya in avanti.
"Già." commentò la guardia che dava le spalle alla ragazza e che si affrettò a richiudere la cella una volta che i due furono usciti. "Nemmeno Ufrhin potrà avere la meglio su di lui. Il vescovo doveva dare retta al comandante Lynus e lasciarlo andare. Quell'essere non farò altro che attirare nuovi demoni verso Shang." osservò, protendendo in avanti la torcia.
"Fai strada Markus." ordinò con tono secco il soldato al fianco di Freya. "Il vescovo non ama fare attendere i suoi prigionieri troppo a lungo." sentenziò con una smorfia sul viso.
Freya tossì quando della polvere scivolò dal soffitto sulla sua testa, ma non fu quello che le provocò dei lunghi tremiti lungo la mano. Questioni e dubbi più importanti del verificare l'esistenza o meno di un luogo chiamato Eden avevano preso forma nella sua mente.
La prima faccenda riguardava ciò che avevano accennato le guardie. Mentre tentava di mettere un piede l'uno al fianco dell'altro senza inciampare si chiese cosa volessero dire con l'espressione "attirare nuovi demoni". Significava che un gruppo di demoni aveva già attaccato la città mentre lei era in prigione? Eppure, la presenza di quei mostri non era stata cancellata dai confini dell'Impero Thogal? Ed erano davvero demoni o vampiri che venivano riconosciuti più comunemente con quel semplice nome?
Ma se avevano attaccato la città dovevano essere un gruppo sostanzioso, almeno un centinaio, ed una simile presenza di esseri infernali non era possibile. Perlomeno non da quando la magia aveva abbandonato quelle terre, e si parlava di centinaia d'anni indietro. Gli esseri soprannaturali erano ormai così rari e poco propensi alla presenza umana, ad esclusione dei vampiri, che era assurdo credere alle parole pronunciate dai soldati.
Eppure non avevano mentito, di quello Freya era piuttosto certa.
La seconda questione riguardava il suo prelievo dalla cella. Era giunto il momento della sua esecuzione? Ufrhin aveva davvero così tanta fretta di vederla morta?
Freya scivolò su uno dei gradini della scala che stavano salendo e finì con lo sbattere la testa su uno spigolo. La vista le si oscurò per un istante e la ragazza si costrinse a trattenere il respiro finché il dolore tornò ad essere sopportabile.
"Cosa stai cercando di fare?" sbraitò, la guardia di nome Markus.
"Non è evidente?" domandò Freya con una smorfia. "Cercavo un modo per uccidervi." commentò sarcastica, non trovando neanche lontanamente divertente quella pessima battuta.
Naturalmente non aggiunse che la sola idea di fare del male ad un altro essere vivente la disgustava e terrorizzava più della sua stessa morte.
Un nuovo e straziante urlo avvolse i tre individui, che tuttavia cercarono di ignorare quel lamento spaventoso. I due uomini s'affrettarono ad aiutare la ragazza a rialzarsi e senza proferire alcuna parola la condussero al piano superiore della fortezza.

 

 

Uno strano silenzio avvolgeva la rocca di Shang. Perfino gli animali delle scuderie sembravano tacere. Non c'era un solo cane che ululava od un cavallo che nitriva.
Mentre attraversava i corridoi freddi e perennemente avvolti nel buio, Freya si soffermò a lanciare un'occhiata fuori da una delle poche e piccole finestre che consentivano di osservare l'esterno.
Era pomeriggio, riuscì a constatare, ma la piazza era deserta e per le vie camminavano solo uomini armati di scudi e di lance. Rilucevano di un bagliore argenteo, grazie alle raffinate armature, e da quell'altezza apparivano splendidi e invincibili.
Tuttavia, Freya sapeva fin troppo bene quanta debolezza, in realtà, si celasse sotto quelle corazze. Vecchi deboli ed incapaci e giovani inesperti e impreparati.
Il suo sguardo si spostò oltre la grande muraglia che proteggeva la città ed il suoi occhi catturarono detriti e fiamme. Ogni abitazione all'infuori di Shang era stata rasa al suolo e bruciata.
Il suo cuore perse un battito nello stesso istante in cui le tornarono alla mente i volti dei suoi pazienti. Ricordò la promessa che aveva fatto a Valha e si morse le labbra per impedirsi di cedere allo sconforto. Cos'era successo nel giro di quanto, tre giorni?
"Maledetti demoni." inveì Markus invitandola a proseguire. "Non hanno avuto pietà per nessuno."
Freya intravide un lampo di rimorso negli occhi dell'uomo e si chiese se provasse davvero almeno un pizzico di pietà per la povera gente, che gli uomini del vescovo per primi avevano ridotto in miseria.
Le due guardie la fecero passare in uno stretto cunicolo che la ragazza capì essere una sorta di passaggio nascosto e si ritrovò in una stanza, faccia a faccia con l'uomo che sosteneva essere il vescovo Ufrhin.
La prima cose che Freya notò, furono le profonde occhiaie che segnavano il volto della persona più potente di Shang. Il grigio delle iridi aveva assunto una sfumatura più scura e le pupille erano dilatate in modo anormale.
I soldati la spinsero con forza verso una poltrona di velluto rossa e si allontanarono silenziosi verso il passaggio dal quale erano venuti.
Seduta e con uno strano senso di ansia che non riusciva a levarsi di dosso guardò incredula Ufrhin mentre le porgeva una tazza di tea e le indicava dei biscotti al tavolino al suo fianco.
Freya appoggiò la bevanda fumante sulle sue gambe e si ripromise di non mangiare o bere nulla di quello che le poteva offrire il vescovo.
"Credete che potrei cascare nuovamente nel tranello del veleno?" annunciò acida, ricordando l'episodio avvenuto nelle prigioni. Sentì l'uomo ridacchiare mentre le volgeva le spalle, intento a zuccherare la sua bevanda.
"Un evento increscioso di cui naturalmente mi pento." intervenne l'uomo voltandosi nella sua direzione.
La stanza era piacevolmente arredata ed un tiepido fuoco manteneva una temperatura gradevole nell'ambiente. Freya sbadigliò e si rese conto di quanto stesse bene seduta su quella comoda e soffice poltrona. I muscoli si rilassarono e per qualche secondo la ragazza si dimenticò del motivo per cui si trovava in quel luogo. Tuttavia la voce gracchiante del vescovo la riportò bruscamente alla realtà.
"Sono sopraggiunte nuove esigenze in questi ultimi giorni."
Freya affondò le mani nel tessuto, incurandosi dei danni che avrebbe potuto recare all'oggetto.
"Dei demoni hanno attaccato Shang e avete compreso che io sono l'unico essere vivente in grado di salvarla?" commentò sarcastica. In altre occasioni Freya si sarebbe morsa la lingua piuttosto che infangare pubblicamente la stupidità del vescovo, ma in quel momento non riuscì a trattenersi.
Ufrhin, o forse Shaber, gettò il capo all'indietro e scoppiò in una fragorosa risata. Poi si zittì all'improvviso, consapevole o meno del suo bizzarro comportamento.
"No, naturalmente non mi aspetto da te un evento di tali dimensioni." disse, quasi rimproverandola per il suo modo di fare.
Freya digrignò i denti, quasi fosse stata una belva. Trovava quell'individuo odioso oltre ogni limite e nonostante quello continuava a rimanere seduta e ad aspettare ciò che voleva dirgli.
"Povera ragazzina." constatò il vescovo avvicinandosi al suo viso e prendendo tra le mani una ciocca dei suoi capelli. Freya rabbrividì di disgusto quando avvertì il suo alito caldo contro il suo volto. "Farai ciò che ti ordinerò perché sono io colui che può disporre della tua vita." riprese appoggiando la guancia contro quella della ragazza.
Freya balzò in piedi, mettendo una buona distanza tra sé e il suo aguzzino. Si portò una mano dove la pelle di lui l'aveva sfiorata e si massaggiò con forza, come a voler cancellare una macchia indelebile di inchiostro.
"Perché non uccidermi, se per voi sono una tale seccatura." obiettò la Guaritrice che a stento riusciva a mantenere un tono di voce pacato.
"Ci ho provato. Ho provato così tante volte ad ucciderti che credo di aver perso il conto." confessò l'uomo gonfiando il petto per l'orgoglio delle sue parole. "E credimi non ho mai fatto tanta fatica prima d'ora per vedere qualcuno nella tomba!" esclamò.
Freya rabbrividì di disgusto, non capendo per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto volerla morta.
"E non hai idea di quanto sia stato umiliante scoprire che i miei tentativi non venivano nemmeno percepiti da te, tranne l'ultimo con il veleno." borbottò, strizzando gli occhi.
Freya mosse qualche passo intorno alla poltrona su cui era stata seduta fino ad un attimo prima.
"Sai cosa c'è di divertente in tutto ciò?" domandò. La ragazza scosse la testa. "Proprio ora che, finalmente, dopo mesi di tentativi falliti ero riuscito a condannarti al rogo per eresia, all'improvviso, ecco che mi occorre il tuo aiuto!" proruppe furente.
Freya deglutì, sempre più ansiosa di comprendere il motivo per cui quell'uomo aveva bisogno di lei. Cercò il punto in cui aveva attraversato il passaggio segreto e fece per correre in quella direzione, quando un altro urlo disumano del prigioniero la scosse a tal punto che si bloccò a metà strada. Questa volta, notò la ragazza, il lamento era molto più forte e molto più vicino alla posizione in cui si era trovata in precedenza. Doveva provenire da qualche stanza vicina.
"Ma per quale motivo uccidermi?" trovò, infine il coraggio di chiedere.
"Ingenua." sibilò il vescovo. "Sei così sciocca che non ti accorgi nemmeno di ciò che accade intorno a te. La popolazione di Shang ti ha eletto come musa di speranza, dopo che ripetutamente hai sfidato la mia autorità, che tu ne fossi più o meno consapevole." tacque e con un gesto della mano fece andare in mille pezzi il servizio del tea.
E Freya ricordò. Ricordò i tentativi di Valha mentre la prendeva da parte per raccontargli come il vescovo stava perdendo i suoi consensi in città. "Sciocchezze" le aveva risposto, allora, con un sorriso indulgente. Ripensò al cadavere del Religioso che aveva trovato poco lontano da casa sua, un assassino-il suo assassino-che era stato a sua volta vittima di un altro omicida.
Era dunque tutto vero? Com'era stato possibile che lei non si fosse accorta di nulla?
"Chi siete voi?" sussurrò all'uomo che aveva di fronte. "Il vostro nome non è Ufrhin, dico bene?" avanzò, ora più decisa che mai nello scoprire la verità. "No." proseguì, vedendo che l'altro non sembrava in alcun modo sorpreso. "È così." bisbigliò più a se stessa che al vescovo.
"Siamo giunti a questo, Shaber." concluse, rivelando l'effettivo nome dell'uomo.
Shaber chiuse gli occhi, quasi beandosi nel sentire pronunciare quel nome che da tempo si era lasciato alle spalle.
"Ma bene! Vedo che hai avuto tempo di fare qualche amicizia, giù nelle prigioni." constatò l'ex mercenario. "Ad ogni modo sapere la verità non cambia la tua situazione." sentenziò.
"È così." fu costretta a riconoscere Freya, mentre le sue mani tastavano la fredda parete alle sue spalle. Era in trappola sotto tutti i punti di vista possibili.
"Ho bisogno delle tue capacità di Guaritrice e se mi aiuterai ti posso assicurare che ti lascerò andare. Sarai libera."
Freya inarcò le sopracciglia. "Certo. Libera di finire divorata dai demoni." lo assecondò.
"Potresti sempre scoprire di essere più veloce di loro nella corsa." commentò compiaciuto di sé Shaber. Poi scoppiò a ridere, come se tutta quella situazione fosse esilarante.
Freya scosse la testa, conscia che comunque fossero andate le cose quella era la sua unica e reale possibilità per lasciare viva la città-fortezza di Shang.
"Che cosa dovrei fare?" domandò, mentre la stanchezza minacciava di sopraffare le sue ultime forze. In quel momento desiderava solo lasciarsi sprofondare in un comodo letto.
"Tu lo curerai."
"Cosa?" ribatté Freya.
"L'Angelo." fu l'ultimo commento che Freya sentì prima di precipitare nel buio.

 

 

 

 
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Vi sono mancata? O forse vi è mancata di più la storia? XD
Comunque... oggi è il dieci dicembre il che vuol dire che compio ben tre anni qui su efp! *offre cioccolata calda virtuale a tutti*
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi ed a sostenermi in questa impresa! By Cleo^.^ 


 

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Capitolo 5
*** The Ravings of a Madman ***




 

04

The Ravings of a Madman

 

 

Quando Freya si svegliò comprese che ogni certezza che fino a quel momento aveva sorretto la sua vita stava per essere soggetta ad un profondo mutamento.
Era un pensiero che si era fatto più concreto nel dormiveglia e che si era concretizzato non appena aveva spalancato gli occhi sulla stanza davanti a sé.
Si guardò. Era scompostamente sdraiata su un soffice letto, tre volte più grande di quello della sua abitazione, avvolta in stoffe pregiate dai colori sgargianti. Animali stilizzati e rune antiche si rincorrevano lungo i bordi delle coperta, mentre al centro si stagliava il familiare stemma della Chiesa: il sole a sei punte contenente una croce su uno sfondo celeste.
Freya storse la bocca. Era stata accuratamente pulita ed indossava una ridicola camicia da notte piena di fiocchi, talmente vaporosa da poter essere scambiata per una di quelle tende che venivano utilizzate negli accampamenti di guerra.
La prima idea che le passò per la testa fu quella di chiedersi se stesse ancora sognando, ma non fece nemmeno in tempo a formulare quel pensiero che il volto del vescovo di Shang occupò la sua visuale.
Freya rabbrividì e con la forza delle braccia si spinse all'indietro, finendo però con lo sbattere la testa con la tastiere del letto. A stento trattenne un gridolino di sorpresa per quella comparsa improvvisa.
All'istante si rese conto che quella doveva essere irrimediabilmente la realtà, poiché si rifiutava di credere che il suo cervello desiderasse vedere Ufrhin anche nel sonno.
Sbuffò, lasciando ricadere le braccia lungo i suoi fianchi e guardò l'uomo esasperata.
"Perché all'improvviso ha deciso di riservarmi il trattamento di una principessa?" riuscì a chiedere, mentre lo sguardo si concentrò sulle ancor più evidenti occhiaie del vescovo.
"Hai sempre avuto un non so che di divertente, Freya Gadamath." constatò l'ex mercenario, zoppicando vicino ad un tavolo i cui piedi erano intagliati nel legno in modo tale da farli apparire come zampe di lupi del nord. "Tu non sei nulla più che una serva. Una schiava." spiegò sogghignando.
Da un porta laterale, Freya colse di sfuggita un servitore appoggiare un vassoio pieno di cibo sul comodino alla sua destra. Frutta, fette di pane e marmellata diventarono all'improvviso il suo principale problema.
Era affamata, ma era normale considerando che erano quasi due giorni che non metteva nulla nello stomaco.
Shaber incrociò le mani sul petto e le fece segno di servirsi. Inizialmente esitante, Freya decise che si sarebbe trattenuta.
"E tutte le vostre schiave dormono in una stanza come questa?" non poté fare a meno di commentare la ragazza, ingurgitando un sorso di latte.
Il vescovo tossì e fu costretto a reggersi ad un mobile per evitare di finire rovinosamente a terra. "La vostra salute sta peggiorando." aggiunse. Una semplice osservazione legata alla sua professione di Guaritrice, ma che non le provocava né caldo né freddo. Che quell'uomo morisse o continuasse a vivere non era più affar suo.
"Presto starò nuovamente bene."
Freya ne dubitava, ed anzi era convinta che la salute del vescovo avrebbe continuato ad aggravarsi, ma l'idea di esternare quei pensieri non la sfiorò minimamente. Si sedette sull'orlo del letto, allontanando bruscamente da sé le coperte, e con le piante dei piedi appoggiate al gelido pavimento di pietra rabbrividì. La temperatura all'interno di quella camera era decisamente più bassa di quanto si era immaginata al momento del suo risveglio.
Sbadigliò e si stiracchiò, incurante delle occhiate furenti che Shaber le lanciava. In un certo senso le piaceva, provocare quell'effetto di rabbia e irritazione nell'uomo che le stava di fronte, dato che era l'unico modo che conosceva per ottenere una piccola vendetta personale.
"Ancora non mi avete spiegato il motivo per cui siete stato così gentile." volle precisare Freya.
Shaber socchiuse gli occhi, rivelando le profonde rughe che segnavano la sua pallida pelle. Ad un esame attento, quello sguardo poteva ricordare quello di un gatto intento a sorvegliare la sua preda. Famelico, era l'aggettivo più adatto per descriverlo. E se c'era una cosa che Freya aveva compreso era che nessun altro essere vivente, ad esclusione dell'Imperatore, possedeva la stessa insaziabile voracità di Shaber. No, un uomo che era arrivato a fingersi vescovo e ad ingraziarsi i favori del Cardinale non conosceva limiti all'ingordigia di denaro e potere.
Come se avesse intuito i suoi pensieri, Shaber mostrò l'anello che portava al dito medio con inciso lo stemma vescovile. Era un monile d'oro e gli oggetti di quel materiale erano piuttosto rari e costosi.
"L'ospite di cui ti prenderai cura è abituato a trattamenti raffinati." disse, senza in verità fare luce sui dubbi di Freya. "Potresti rischiare di macchiarlo. Poiché dovrai trascorrere molto tempo con lui mi sono adoperato affinché la tua presenza non risulti troppo sgradevole."
La ragazza mostrò un sorriso accondiscendente sperando che quell'uomo si decidesse a lasciarla in pace o, in alternativa, a formulare discorsi più coerenti. Lentamente e con movimenti estremamente goffi si alzò in piedi. Una volta, ricordò di aver assistito alla nascita di un vitellino e dovette ammettere che quell'animale aveva dimostrato più grazia di lei nel compiere i primi movimenti.
"Parlavate di un angelo" rammentò all'improvviso. Scosse la testa, ricordando l'ultimo discorso avuto con il vescovo e sentì un senso di vuoto all'altezza dello stomaco. Era ridicolo credere che un essere del genere esistesse.
Non si raccontava, forse, che avessero abbandonato il mondo di loro spontanea iniziativa, stufi degli uomini e stanchi del passare dei secoli? Che senso avrebbe avuto scendere dall'Eden per vagare tra le terre ghiacciate del nord?
Era decisamente più probabile che Shaber ed i suoi uomini fossero stati raggirati da qualcuno che possedeva rudimenti della magia.
"Oh, sì! L'angelo!" esclamò l'uomo rivolgendo una rapida occhiata al paesaggio che si poteva ammirare dall'ampia vetrata posta nella camera. Sembrava totalmente assorto nei suoi pensieri e più volte Freya lo sentì borbottare tra sé. "Presto avrai modo di conoscerlo. È un tipo..." si fermò, incerto sulle parole da utilizzare. "... sa il fatto suo." optò di dire alla fine.
"È un prigioniero." obiettò la Guaritrice, compiendo qualche passo incerto nella sua direzione.
"Trattato meglio dell'Imperatore." ribatté, Shaber stizzito. Si voltò ed il suo sguardo vagò indiscreto sulle gambe seminude di Freya, e poi più su, fino alle braccia esili e alle dita affusolate della fanciulla.
"Ma privo della sua libertà." precisò la ragazza. "Spiegatemi una cosa." continuò. "Date che non siete un reale uomo di Chiesa, per quale motivo vi prodigate tanto per questo... ospite" disse rifiutandosi di pronunciare la parola angelo.
"Perché mi chiedi!" sbottò, il vescovo con uno sguardo che rasentava la pazzia. "Per l'eternità! L'onore! La gloria!" elencò puntandole un dito al petto. "Voglio ottenere lo stesso diritto che ha quella creatura per poter vedere l'Eden! Desidero l'immortalità e la bellezza degli angeli!" continuò, prima che una violenta crisi di tosse non lo costrinse a piegarsi su se stesso per il dolore.
Freya si volse dall'altro lato. Quell'uomo che aveva di fronte era il ritratto della follia. Non aveva parole adatte a descriverlo. Poteva avvertire il suono pesante del suo respiro, il cattivo alito di vino e lo sguardo famelico e malaticcio che sorvegliava ogni minimo movimento. Ma come era stato possibile un simile cambiamento?
Il vescovo di Shang non era mai stato famoso per la sua pietà e compassione, eppure fino a qualche giorno prima aveva sempre dimostrato di possedere una notevole dose di intelligenza e furbizia. Ma mentre Freya lo osservava chino a terra, avvolto da spasmi di dolore e sul volto un ghigno divertito, fu certa che quell'uomo fosse perduto. Nessuno avrebbe potuto salvarlo da quel vortice di dolore e pazzia che sembrava avesse avvolto la sua anima.
"Avidità, egoismo, ambizione personale. Se è davvero un angelo quello che avete imprigionato non credo sarà mai disposto a realizzare i vostri folli propositi." constatò. "Al contrario, quando quella creatura si riprenderà vorrà avere la vostra testa servita su un piatto d'argento." sibilò Freya malefica.
Prima ancora che potesse sentirlo, lo schiaffo la colpì in pieno viso, scaraventandola a terra. Paralizzata dallo stupore Freya strisciò sotto il letto con il cuore che le batteva furiosamente. Si rannicchiò su se stessa, mentre veniva scossa da singhiozzi che minacciavano di distruggere l'ultima briciola di autocontrollo che possedeva.
Stava respirando troppo velocemente ed un primo capogiro le suggerì di darsi una calmata. Se non era ancora morta era perché a Shaber serviva il suo aiuto e quella consapevolezza riuscì a tranquillizzarla per qualche secondo.
Lei, solo lei poteva aiutare quel pazzo e finché lei sarebbe servita allo scopo non doveva temere di finire sul rogo. E se non doveva temere nulla, significava anche che aveva ancora delle possibilità di fuggire.
Ma come poteva scappare da Shang, quando la città era accerchiata da demoni di ogni sorta? Aveva bisogno di aiuto. E l'unico essere che poteva aiutarla ed aveva il suo stesso desiderio di fuga era proprio l'angelo per cui Shaber l'aveva risparmiata. Sì, decise. Si sarebbero dati una mano a vicenda. Lei avrebbe ottenuto la sua fiducia, aiutandolo a guarire dalle ferite e lui l'avrebbe portata in salvo lontano da Shang.
"No, no. Devo essere paziente. Sì, devo pazientare." stava delirando Shaber. "Aspettare... momento... demoni." Freya non riusciva a capire il monologo che stava prendendo forma dall'altro lato della stanza. Il suo volto era schiacciato contro il pavimento, le mani chiuse a pugno pronte a difendersi contro qualsiasi cosa le si sarebbe presentata di fronte.
Un timido bussare alla porta interruppe bruscamente i deliranti borbottii di Shaber che rispose con un brusco: "Avanti."
La voce, flebile e infantile, comunicò velocemente il messaggio. "S-sì è addormentato." balbettò.
Lentamente Freya s'azzardò a dare un'occhiata al nuovo arrivato, strisciando nella sua direzione.
Era un bambino. Un bambino piccolo e denutrito con due profondi occhi castani ed i capelli del medesimo colore. Un ciuffo che cadeva dolcemente lungo la guancia gli nascondeva un grosso livido violaceo vicino all'occhio sinistro. Il volto era spaventato e il piede batteva nervoso sul pavimento.
Le spalle si curvarono pericolosamente in avanti, mentre tentava di fare un veloce inchino al vescovo. Per un momento, Freya temette di vederlo cadere a terra senza forze, visto il precario equilibrio in cui stava.
Indossava un abito di grezza stoffa marrone, scucito sui bordi e rattoppato in più punti, segno che doveva essere uno dei tanti figli dei servitori di Shaber. Ai piedi aveva dei logori scarponcini di pelle, mentre al polso portava un bracciale di metallo lavorato a mano.
"Sei sicuro? Ha già finto in precedenza di mostrarsi sfinito solo per permettersi un'occasione per fuggire." intervenne il vescovo, massaggiandosi la testa. Rotò mezzo giro su se stesso. "Esci da là sotto se non vuoi che chiami le guardie per farti uscire dal tuo nascondiglio con la forza." la ammonì, volgendo il capo nella sua direzione.
Freya trasalì quando i loro sguardi si incrociarono. Un'opprimente sensazione di disagio la investì, inducendola un po' per paura e un po' per abitudine ad uscire dal suo nascondiglio.
"Il giovane Arthur si occuperà di soddisfare ogni vostra richiesta." spiegò Shaber gesticolando con le mani. "Sarà la vostra ombra o il vostro cane domestico, se preferite." si affrettò ad aggiungere.
O una spia.
Freya non dubitava che il bambino fosse stato chiamato affinché potesse raccontare al vescovo ogni suo più piccolo movimento. Shaber credeva che al cospetto di Arthur non avrebbe avuto riserve di alcun tipo, era certo che lei si sarebbe confidata con il ragazzino. Si sbagliava.
Aveva imparato a diffidare della gente fin dall'infanzia. Concedere fiducia al prossimo era una cosa che la metteva sempre a disagio.
Il tradimento è dietro ogni angolo.
"Si sta facendo tardi." fece notare Shaber. "Dato che il mio ospite si è lasciato sopraffare dal sonno è bene approfittarne."
"Approfittare di cosa?" obiettò Freya, osservando il ragazzino scostarsi velocemente dalla porta per permettere a Shaber di oltrepassarla.
Shaber fece un gesto vago della mano. "Seguitemi." ordinò perentorio.
La Guaritrice scambiò uno sguardo dubbioso con quello sottomesso e guardingo di Arthur prima di affrettarsi a seguire l'uomo che le aveva rovinato la vita.

 

 
Faceva freddo. Era quel tipo di gelo che nemmeno stando davanti ad un caminetto acceso si riesce a scrollarsi di dosso e le pareti spoglie dei corridoi della fortezza non facevano altro che intensificare quella fastidiosa sensazione.
A piedi nudi e con indosso una sottile veste di origine meridionale, Freya sentiva ogni parte del suo corpo ribellarsi al minimo movimento.
Arthur, il ragazzino che camminava al suo fianco tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, si massaggiava le mani nella vana speranza di riuscire a scaldarle.
Shaber invece procedeva zoppicando, appoggiandosi al muro ogni qualvolta un attacco di tosse lo coglieva impreparato.
Nessuna guardia era in attesa nel corridoio, come a voler testimoniare la gravità dell'attacco nemico. Alcune finestre erano state sprangate con delle assi di legno, altre erano stato oscurate con delle semplici tende.
Si fermarono davanti ad un entrata ad arco, con colonne di pietra rossa, ed una porta spessa quattro dita, che recava inciso lo stemma di Shang: le fauci di un lupo che stringevano la lama di una spada spezzata.
"Aprite." ordinò Shaber ad un paio di guardie che Freya non aveva notato. Erano due uomini alti, avvolti in abiti neri e con una maschera bianca calata sul viso, che apparivano quasi come ombre avvolte da altre ombre.
Freya non aveva mai visto, prima d'allora, degli uomini del vescovo vestiti in quella maniera ed aveva la sensazione che non fossero esseri umani comuni. Si riscosse dai suoi pensieri nell'attimo stesso in cui alcuni raggi di luce pomeridiana l'avvolsero nel loro tiepido abbraccio.
Fino a quel momento non si era resa conto di quanto le fosse mancata la luce naturale del sole, abituata come si era all'oscurità della prigione e alle traballanti fiamme delle fiaccole e delle candele. Si lasciò andare ad un sospiro di puro sollievo e si beò di quella piacevole sensazione di benessere che sembrava averle pervaso il corpo.
Era straordinario pensare a come un dettaglio così piccolo avesse contribuito a migliorare il suo umore ed il suo stato di salute.
Oltrepassarono l'ingresso e Freya constatò che quella stanza non era molto diversa dalla sua o da quella destinata al vescovo. Era ampia, con grandi vetrate che davano ad una terrazza e affrescata con dipinti poco apprezzabili. Il pittore doveva aver avuto grande libertà artistica, poiché i volti dei vari soggetti erano stati lasciati incompleti. Erano semplici chiazze rosa su sfondi tanto elaborati da apparire reali.
Gli armadi e la maggior parte dei mobili erano stati affiancati alle pareti. Il pavimento era coperto da un soffice strato di tessuto violaceo ed i piedi nudi di Freya lo trovarono estremamente confortevole.
Nell'aria si respirava un pesante profumo di fiori esotici che la Guaritrice non riconosceva, ma che trovava fin troppo dolce e nauseante per i suoi gusti.
Al centro della stanza, invece stava un letto a baldacchino alle cui estremità erano fatti scivolare fino a terra dei veli bianchi semitrasparenti.
"Sembra che si sia addormentato." osservò compiaciuto Shaber. Arthur fece una breve riverenza, allontanandosi di qualche passo dall'uomo.
Freya osservò meglio davanti a sé.
Avvolto nelle coperte e circondato da un considerevole numero di cuscini, alcuni dei quali presentavano la superficie strappata in più punti rivelando candide piume che si erano posate un po' ovunque, emergeva il profilo di un ragazzo.
Il volto era reclinato leggermente all'indietro e lasciava esposta una porzione del collo, sottile e ben proporzionato. Candide ciocche di capelli gli incorniciavano il viso ed erano così chiare che per un istante Freya credette fossero bianche. La bocca era semiaperta, e le labbra erano dello stesso intenso colore del liquore che si otteneva spremendo le fragole primaverili. La pelle aveva una piacevole sfumatura dorata ed era priva di una qualsiasi imperfezione.
Le palpebre si mossero impercettibilmente, ma Freya non riuscì a capire se quel movimento fosse dovuto ad un sogno oppure se il ragazzo fosse in procinto di risvegliarsi.
Si portò una mano alla bocca, consapevole che una creatura dalla bellezza tanto perfetta non poteva essere umana.
Shaber la stava fissando con un malcelato sorriso di pura soddisfazione, come a volerla invitare a ribattere alle affermazioni che aveva sostenuto fino a qualche istante prima.
Perché gli angeli non potevano esistere, giusto?

 

 

 

 

Capitolo dedicato ad Ale (_BlackRose_ ), visto che è sempre così carina da chiedermi sempre come procede la storia, quando la sento per msn. Credo che tu sia la più grande fan di Contratto di Sangue! u_u
Per tutte le altre persone che seguono la storia vi ringrazio moltissimo^^ So che mi starete odiando per come è finito il capitolo, ma vedrò di rimediare quanto prima con il seguito! Se vorrete lasciarmi la vostra impressione ne sarò molto felice! :)
INFO: Prossimamente è possibile che i capitoli verteranno anche su altri personaggi, già conosciuti in Contratto di Sangue-L'ombra del principio. Freya resterà comunque la protagonista assoluta di questo secondo atto. 
Nel caso non ci sentissimo più vi auguro un felice Natale! :)
By Cleo^.^


Storie in corso:
Romatico

Storie concluse:
Vampiri

Sovrannaturale

 

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Capitolo 6
*** Sentence of death ***




05

Sentence of Death

 

 


Uno, due, tre secondi. Il tempo sembrava essersi cristallizzato su quell'unica e straordinaria visione di perfezione che Freya aveva dinanzi a sé.
Il prigioniero di Shaber non sembrava essere minimamente cosciente di ciò che avveniva attorno a lui, considerato il sonno in cui era caduto vittima, ma la Guaritrice si domandò se il suo aspetto fisico provocasse un simile effetto in ogni persona i cui incauti occhi venivano catturati da quelli di quell'apparente ragazzo umano.
"La tua espressione..." commentò il vescovo "... è così gratificante che mi chiedo come reagirai quando vedrai ciò che gli ho fatto." sibilò, soffocando una risata.
Freya rimase immobile come una lucertola alla luce del sole, mentre quelle parole le scivolarono sulla pelle simili a mille pugnali. Quella frase assomigliava fin troppo ad una minaccia e portava con sé numerosi quesiti che però non avrebbero ricevuto alcuna risposta. "Forse, dopotutto, potresti trovare un buon motivo per desiderare la morte di qualcuno." sentenziò.
Freya si morse il labbro inferiore, mentre si sforzava inutilmente di concentrarsi su altro che non fosse la voce melliflua di Shaber.
Quest'ultimo si diresse verso lo scrittorio e prese a leggere alcune carte. Freya lo osservò intingere la penna nel calamaio e firmare uno dei tanti documenti che si trovava di fronte senza fare caso a ciò che succedeva attorno a lui. Mostrava una tale arroganza che persino Lucifero, ne era certa, si sarebbe complimentato con quell'uomo.
La Guaritrice tornò a concentrarsi sul prigioniero steso nel letto e studiò con attenzione il ritmo del respiro, i tremiti delle palpebre ed i leggeri sussurri che fuoriuscivano dalla sua bocca. Da quella distanza non riusciva ad afferrare il significato di quelle parole.
"Si sta svegliando." volle sottolineare l'ovvio il vescovo.
Freya ignorò quel suo ultimo commento e, preso un bel respiro, decise di avvicinarsi al giaciglio dello sconosciuto. Il tappetto le provocò del solletico alla pianta dei piedi, ma lei continuò ad avanzare. A pochi passi dal letto si fermò, chinandosi in avanti per cercare di cogliere qualche frammento dei balbettii del ragazzo.
Le parole avevano un suono dolce, con qualche accento più duro, ma erano pronunciate in una lingua che Freya non conosceva. Non le ricordava nessun tipo di dialetto dell'Impero Thogal e non aveva le sfumature tipiche del Regno di Ziltar.
La creatura sussultò e spostò il capo verso la spalla destra.
"...C-Clare..." pronunciò ed una smorfia di dolore contrasse i muscoli del suo viso.
"Clare?" ripeté Freya, senza rendersi conto di aver alzato il tono di voce.
"Non è la prima volta che lo sento pronunciare quel nome." intervenne Shaber riponendo la penna sul tavolino. "Deve nutrire un affetto particolare per questa Clare. Che siano amanti?" domandò alzando gli occhi alla parete affrescata.
Freya scrollò le spalle. Che quella creatura avesse una o più amanti non era certo un dettaglio che a lei potesse interessare.
"Dove sono le ali?" intervenne, resasi conto solo in quell'istante che al ragazzo mancava una cosa fondamentale.
Sentì Arthur singhiozzare e si chiese il motivo di quella reazione. Poteva comprendere che la sua situazione non fosse delle più felici, ma anche per un bambino tredicenne scoppiare a piangere per una simile domanda non era normale.
Nella sua mente si fecero largo le parole pronunciate in precedenza da Shaber ed un terribile sospetto si affacciò nei suoi pensieri. Ricordò le urla strazianti che aveva ripetutamente sentito nel corso di quei giorni e un macigno di ghiaccio le scivolò sul cuore.
L'ex mercenario ricambiò il suo sguardo e con una freddezza inaudita rispose al dilemma che le stava straziando l'anima.
"Gliele abbiamo strappate."
Freya sobbalzò, mentre la sua attenzione veniva catturata da due splendide iridi argentee con sfumature celesti. Sembravano liquide e riuscivano a rispecchiare alla perfezione il suo volto.
Si scostò immediatamente da quello sguardo magnetico che sembrava accusarla in silenzio. Era stato solo un momento, eppure Freya era certa che l'angelo fosse riuscito a leggerle nell'anima.
Si strinse le braccia al petto, desiderando di poter scomparire alla sua vista. Era indegna. Indegna di rimanere al suo cospetto, esattamente come tutte le altre persone presenti in quella stanza. Indietreggiò, sentendosi nuda ed indifesa sotto lo sguardo vigile di
quell'antica creatura.

Come poteva esistere al mondo qualcosa di così potente? Qualcosa di così poco umano? E lui aveva osato strappargli dalla schiena il simbolo della sua forza e fierezza?
"Induce le persone ad avere la stessa reazione in chi lo vede per la prima volta." osservò Shaber, scostandosi dalla sedia che produsse una fastidioso rumore di sottofondo.
L'angelo sembrò ringhiare come un lupo in gabbia nell'udire la voce del suo carceriere. Con un brusco movimento, che Freya non riuscì nemmeno a percepire, voltò la testa nella direzione dell'ex mercenario ed il suo volto teso e guardingo sembrò esprimere quello che la voce non poteva.
"Avrà la vostra testa." deglutì la ragazza esprimendo quello che l'angelo sembrava incapace di dire apertamente.
"Tu invece la desideri ancora a lungo sul tuo delicato collo, vero Freya?" l'ammonì Shaber inducendola a tacere.
Naturale.
Freya indietreggiò ulteriormente mentre quella minaccia ben poco velata le rimbalzava nella mente. Doveva rimanere tranquilla e restare al suo posto se non voleva risvegliarsi in una fossa e ricoperta di terriccio.
Trascinò i piedi fino al fianco di Arthur e fece l'impossibile per cercare di passare inosservata. Si appoggiò con la schiena alla parete ricoperta da un vecchio e logoro arazzo e rimase ad osservare la scena che si stava consumando davanti a lei.
"Sembra che tu sappia pronunciare solo quell'unico nome nella nostra lingua." continuò l'uomo senza staccare gli occhi da quelli dell'angelo. "Se trovassi questa Clare e la portassi fino a te, collaboreresti? Questa ragazza ha un cognome, un titolo nobiliare oppure un soprannome che possa essere utile al fine di rintracciarla?"
L'angelo s'irrigidì per un breve istante, come se quella possibilità lo infastidisse.
"Ah!" sbottò Shaber facendo schioccare la lingua con soddisfazione. "Dunque comprendi le mie parole."
La creatura si agitò, tentando di sedersi sul letto. Le coperte gli scivolarono lungo il corpo, rivelando un torace nudo ricoperto da ferite più o meno profonde. In alcuni punti il sangue era così scuro da sembrare nero. La cosa che però colpì maggiormente la ragazza furono i segni rossi che s'intravedevano lungo i polsi ed una catena che impediva al ragazzo di compiere movimenti troppo bruschi.
"La tua ostinazione nel non voler parlare si rivelerà uno svantaggio solo per te stesso, Michele."
I lineamenti dell'angelo mutarono all'improvviso. I muscoli del torace si irrigidirono, mentre quelli del viso parvero assumere un aspetto animale. La bocca era socchiusa in una sorta di ringhio e la pelle emanava un leggero luccichio dorato.
"Come sapete il suo nome?" intervenne Freya, maledicendosi un istante dopo per aver parlato.
"Quando l'abbiamo catturato aveva con sé un bracciale con inciso il suo nome. Tutti gli angeli lo portano." indicò qualcosa alla se spalle, ma Freya non si voltò. "Lo sapresti se ti prendessi il disturbo di ascoltare le mie prediche. ogni tanto." aggiunse. "Dimentico troppo spesso che tu non credi nell'Antica Religione." sospirò, come se spiegare una cosa tanto banale gli costasse un tremendo sforzo fisico.
"Naturalmente nemmeno io ci credevo, almeno finché questo..." disse indicando l'angelo. "...non è precipitato dal cielo. Forse è più esatto dire Eden." si corresse alla fine.
"E voi volete entrare nell'Eden." sottolineò Freya. "No, mi correggo. Voi dovete riuscire ad accedere all'Eden!"
Freya fece qualche passo in avanti, incerta. Se la sua teoria era esatta, allora... Lasciò fluire i suoi pensieri, mentre ogni frammento si ricomponeva fino a mettere insieme ogni pezzo di quel dilemma. Prima ancora di rendersene conto fece ricorso al suo misterioso, quanto maledetto potere.
La sensazione di un persistente formicolio alla pelle si propagò dalle mani fino alle braccia, per poi concentrarsi sugli occhi. Il bruciore che avvertì alle iridi, non più doloroso come le prime volte che aveva dovuto sperimentarlo, fu quasi rassicurante. Tenne le palpebre chiuse per qualche altro secondo, il tempo necessario per abituarsi alla nuova e inconsueta visione del mondo che le permetteva il suo dono.
Quando li riaprì, fu con una certa soddisfazione che vide il volto di Shaber perdere quel po' di colore che gli rimaneva.
La stanza, ora le appariva avvolta in una coltre di nebbia e più oscura, come se in realtà i raggi del sole non battessero sulle grandi vetrate colorate.
Strani bisbigli e voci sconosciute le stavano sussurrando la restante durata della vita di Shaber.
Novantasei giorni.
Alle spalle dell'uomo, un'ombra, la sua Ombra, fuoriuscì dalla prigione di carne e sangue, senza tuttavia distaccarsi completamente dal corpo del mercenario. Aveva una forma umanoide e tremava come la fiamma di una candela sul punto di spegnersi. Era il tipico aspetto di un'Ombra prossima alla morte.
C'erano altre Ombre attorno a lei. Freya poteva percepirne la forza e la bellezza dal loro
aspetto. Ma le voci si erano fatte più insistenti, più lamentose e stavano cercando di allontanarla da un mondo del quale lei non faceva parte.

Finché il suono da loro prodotto divenne troppo insostenibile e Freya lasciò che il potere tornasse a tacere nelle oscure profondità della sua anima.
Quando fu certa che i suoi occhi ebbero riacquistato le loro sembianze naturali, tornò a fissare Shaber con un malcelato disgusto nei suoi confronti.
"I tuoi occhi!" esclamò Shaber battendo compiaciuto le mani. "Nessuno mi aveva informato di questa tua stupefacente capacità!"
"Perché nessuno ne è a conoscenza." ribatté Freya con una smorfia.
"Che cosa hai fatto? Cosa hai visto?" domandò eccitato, afferrando Freya alle spalle. "Cosa puoi fare?" continuò imperterrito, stringendo con maggior violenza la presa.
Freya lo allontanò da sé con movimenti così goffi che temette di scivolare addosso al povero Arthur che la stava fissando allibito.
"Novantasei giorni." ansimò per il movimento improvviso.
Il vescovo reclinò la testa all'indietro e la cuffietta rossa che portava in testa gli scivolò a terra, rivelando i capelli castani e le sempre più numerose ciocche bianche.
"Tra novantasei giorni potrò raggiungere l'Eden?" intervenne Shaber, sogghignando. Aveva alzato le mani al cielo, così sicuro del suo trionfo che Freya fu certo di sentirgli mormorare una breve preghiera.
"Tra novantasei giorni..." ripeté la ragazza, senza sentire alcun rimorso mentre stava per svelargli il vero significato delle parole che lui aveva volontariamente travisato. "...Voi morirete." concluse lapidaria.
Shaber piegò la schiena in avanti, assalito da uno dei suoi attacchi di tosse e Freya fu certa di vedere una smorfia di compiacimento sul volto dell'angelo.

 

 

Freya non aveva mai provato un dolore fisico così intenso e si lasciò sfuggire l'ennesimo urlo di dolore, mentre la frusta cadeva nuovamente sulla pelle della sua schiena, lacerandola. C'erano stati momenti in cui era stata certa che il suo fisico non sarebbe riuscito a reggere ulteriori ferite, ma l'oblio che aveva tanto desiderato non era mai sopraggiunto.
Un rivolo di sangue le scivolò sul collo, mentre il corpo veniva scosso da un tremito di sofferenza.
"Sai come posso far cessare tutto questo, Freya." le sibilò Shaber all'orecchio, afferrandola per i capelli e piegandole il collo nella sua direzione. Era così vicino che l'odore del suo sudore si mischiava con quello del vino che il vescovo aveva ingurgitato da poco.
Rimase in silenzio, trattenendo un gemito. Perfino chiudere le palpebre era una tortura indicibile.
"Sono trascorsi due giorni e devo dire che contro ogni mia aspettativa hai dimostrato di avere carattere." proseguì l'uomo, sfiorandole le labbra con un dito.
Freya cercò di allontanarsi, ma le pesanti catene che la costringevano contro un muro, la schiena rivolta al suo personale torturatore, le impedivano di ribellarsi.
La lasciò andare e percorse un paio di volte l'intero perimetro della celle in cui era stata rinchiusa precedentemente.
"Quanto credi di poter resistere ancora?"
Il tempo necessario. In verità dubitava che sarebbe riuscita a sostenere quelle torture per altri due soli giorni e Shaber sembrò leggere la disperazione insita nel suo sguardo.
"Conosco quell'espressione. Stai pensando che se ti uccidessi, poi ovunque andrai potrai stare meglio. Sbagli." sentenziò, poggiando la mano sulle ferite della schiena.
Freya urlò, così tanto e così a lungo, che non si stupì del brusco calo d'intensità della sua voce quando tornò a parlare.
"Come ogni altra volta, le tue brillanti deduzioni ti hanno portato sulla strada sbagliata." farfugliò con la poca lucidità che le rimaneva.
Si passò la lingua sulle labbra screpolate, mentre alcune lacrime si mischiavano al sudore del suo volto.
"Sto contando i minuti che mancano affinché quel branco di demoni riesca a distruggere le mura di Shang ed a strapparti le budella da quel tuo corpo morente!" esclamò tirando frustata le catene.
"Il comandante Lynus è stato troppo benevolo con te." sputò Shaber. "Ma, noto con immenso piacere che la tua morale sta venendo lentamente spezzata." Si piegò in avanti e le afferrò il volto con entrambe le mani. "Proprio in questo momento il tuo desiderio più grande è quello di vedermi morto. Stai dimenticando i tuoi ideali e venendo meno al tuo giuramento solo per il fatto di aspirare ad una tale fantasia."
"Ancora novantaquattro giorni." riuscì a vaneggiare un'ultima volta la ragazza.
Shaber cacciò un urlo di pura frustrazione e poi cominciò a borbottare per conto suo su questioni che riguardavano gli angeli, i vampiri e l'Eden.
Freya si chiese se anche Michele avesse dovuto sopportare una simile tortura. Chiuse gli occhi, mentre un senso di sollievo le si trasmise ad ogni muscolo infiammato del suo corpo. Le bastava concentrarsi sul ricordo che possedeva del suo viso per trovare un po' di conforto.
"Cederai! " l'avvertì il vescovo. "Quando il tuo corpo non riuscirà più ad avvertire alcuna sensazione e la tua mente griderà pietà, io sarò ancora qui ad aspettarti! Cederai e quando questo accadrà sarò pronto a concederti il mio perdono! Comprenderai che tutto ciò è stato fatto per il tuo bene, figlia mia!" proseguì Shaber.
È pazzo! È diventato incapace di distinguere il reale dalle sue distorte fantasie personali!
Freya reclinò il capo in avanti, abbandonandosi al dolore che la stava circondando. C'erano alcuni prigionieri attorno a lei che invocavano la morte ed altri che avevano già potuto raggiungere le Case dei Morti.
Che cosa dovrei fare? Lasciarmi morire? No,a Shaber serve il mio aiuto, non mi permetterà di porre fine alla mia vita.
Scosse impercettibilmente la testa. Voleva ucciderlo! Quanto desiderava vedere il corpo di quell'uomo privo della scintilla vitale!
Erano due giorni che quei pensieri oscuri le vorticavano nella mente e lei aveva lasciato che prendessero una strada propria. Più si sforzava di ricacciarli in un angolo remoto della sua mente, più quelli bramavano di essere liberati.
Desiderava che il sangue di quell'impostore fluisse ai suoi piedi, un fiume eterno che avrebbe macchiato per sempre la fredda e inospitale città-fortezza di Shang.
La frusta tornò a massacrarle la pelle e incapace di resistere oltre, Freya tentò qualcosa che
in altre circostanze non avrebbe mai approvato.

Si rifugiò nella sua mente, cercando riparo nello scrigno dei suoi ricordi, e poi quando ebbe trovato la forza necessaria per compiere ciò che si era prefissata, liberò il potere.
Quell'ignoto, terribile, affascinante potere che aveva sempre cercato di sopprimere e di tenere a bada. Perché ogni volta che lo utilizzava il piacere arrivava a dosi così elevate che Freya temeva potesse, un giorno, portarla ad una sua totale dipendenza. Fino a distruggerla.
Ma io non sono umana.
E mentre quella vera e autentica rivelazione, perché nel profondo Freya sapeva di non essere mai appartenuta al genere umano, si faceva strada in lei, un grido del tutto inumano sfuggì alle sue labbra.

 

 

 

OoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoO

 

Immagini Michele: qui e qui. Quale preferite? *_*

 

Eccomi, con un nuovo capitolo! Questa volta ho fatto più in fretta del previsto! Cosa ne dite di Michele e del potere sconosciuto che risiede in Freya? E per quale motivo l'angelo invocava il nome di Clare? u_u Non ve lo dico! XD
Importante: Vi segnalo un drabble (Sebastian odorava di sangue) scritta da una mia cara amica su Clare e Sebastian e la sua raccolta dedicata all'universo di Contratto di Sangue. Fatele sapere cosa ne pensa! Renderete felice anche me con le vostre opinioni in proposito! :)
Buon 2012 a tutti!!!! *_*

Ale il capitolo è tutto tuo! Scrivere delle fanfiction sulla mia originale! *_* Ma quanto ti posso adorare? XD * coccola *
By Cleo^.^

Storie in corso:
Romatico

Pirates-L'ombra del tradimento
Opera National-Ricatto d'amore

Angeli&Demoni

Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

Storie concluse:
Vampiri

Contratto di sangue-L'ombra del principio

Sovrannaturale

La rivincita delle acque



 

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Capitolo 7
*** The Requiem of the Angel ***





 

06

The Requiem of the Angel

 

 


[...] La missione è stata portata a termine. I tre vampiri mezzosangue erano dove Sebastian mi aveva descritto: un magazzino abbandonato alla periferia della capitale. Sospetto che il loro Alpha li abbia abbandonati subito dopo la trasformazione.
Si sono mostrati confusi e poco abili nel combattimento, ma ciò nonostante uno è riuscito a procurarmi una lieve ferita al braccio, prima che il mio paletto lo trafiggesse al cuore.
Sebastian appare irrequieto. Crede che questo crescente numero di vampiri risvegliati sia un avvertimento. Tuttavia piuttosto che fornirmi una risposta concreta ai suoi dubbi si ostina a rimanere in un muto silenzio.
Non riesco a capire chi è colui che sta manovrando i fili di queste marionette. L'attentato al re è stato sventato, ma anche quell'evento mi appare come un diversivo. Qual'è il reale obiettivo del nemico?
Lucas sostiene che dovrei prendermi una pausa, dice che sono sotto stress a causa del nostro imminente matrimonio.
Forse lo farò, anche Sebastian ha bisogno di allontanarsi dalla vita di corte. Nell'ultimo periodo lo trovo poco concentrato, perso in riflessioni e pensieri tutti suoi. Ha anche cominciato a saltare alcuni dei suoi pasti.
Mi domando se è tempo che mi preoccupi per la sua salute. Chiederò alla mamma un consiglio, lei lo conosce meglio di me. [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 
 


Le ferite alla schiena pulsavano di dolore. Freya non osava pensare alle terribili cicatrici che avrebbero rovinato per sempre la sua pelle, ma immaginava che solo avere salva la vita fosse una ricompensa sufficiente.
Non riusciva a ricordare cosa fosse avvenuto nelle prigioni e nemmeno si spiegava perché era stata ricondotta in una delle camere del palazzo. Tuttavia fu grata di avvertire attorno a sé il tepore rassicurante delle coperte.
L'odore del sangue impregnava l'intera stanza, ma non se ne curò particolarmente dato che la sua professione le imponeva spesso di essere in contatto con quel liquido scarlatto.
Un contratto di sangue.
Scosse la testa, lasciando che i capelli le ricadessero sul petto e cercò di mettersi in posizione seduta. Si maledì nell'esatto istante in cui una fitta alla schiena la costrinse a stendersi nuovamente nel letto. Da quanto tempo si trovava lì? La città di Shang era riuscita a scongiurare la minaccia dei demoni?
La porta di fronte a lei si aprì cigolando e il piccolo Arthur s'affrettò ad appoggiare alcune erbe in una ciotola sul tavolo vicino.
Guardava ovunque tranne che nella sua direzione e se lo faceva abbassava immediatamente lo sguardo senza tentare alcun contatto visivo con lei.
"Che cosa è successo?" domandò Freya sperando che il ragazzino le avrebbe fornito qualche risposta.
"D-Devo spalmarvi questa crema sulla schiena." spiegò con una certa insicurezza nella voce. "Per le cicatrici." continuò, mostrando l'unguento in questione.
In silenzio Freya scoprì la parte del corpo interessato dalle ferite e trattenne un gemito di dolore quando le dita del ragazzino la sfiorarono.
Probabilmente avrebbe dovuto provare un certo imbarazzo, perlomeno era quello che mostravano quasi tutti i suoi pazienti quando lei li visitava per la prima volta, eppure la sua mente riuscì a mantenere una calma fredda e distaccata.
È solo un bambino.
Una smorfia affiorò improvvisa sul suo volto e non fece nulla per nasconderla. Le sembrava che sulla schiena le fosse stata versata dell'acqua bollente. Eppure sapeva che avrebbe dovuto patire maggior sofferenza dopo quello che aveva subito. Perché le sembrava, invece, che il dolore fosse così poco intenso?
"Da quanto tempo mi trovo in questo letto?" lo interrogò.
Arthur tremò nel sentire la sua voce e la mano ebbe alcuni spasmi involontari mentre le ricopriva la pelle con quella maleodorante sostanza verdastra.
"Il signor vescovo ha detto... ha detto che nessuno deve parlare con la Guaritrice." bisbigliò così piano che Freya dovette sforzarsi per comprendere le sue parole.
"Che cosa? Cosa ho fatto?" Freya deglutì, mentre il sapore della bila le saliva alle labbra. Stava cominciando a ricordare. Sprazzi di immagini confuse, ombre sfuocate e urla. Così tante urla...
Arthur ansimò, cercando di allontanarsi da lei il più velocemente possibile. Sembrava che stesse vedendo più un mostro che un essere umano. Aveva le pupille dilatate e respirava così velocemente che esisteva il concreto rischio che svenisse da un momento all'altro.
Ma io non sono umana. Quel pensiero le tornò alla mente con la forza di un fiume in piena. Lo aveva pensato un attimo prima di liberare all'esterno di sé il suo potere, quando era così sfinita per le torture che i suoi pensieri si erano fatti confusi.
Il disagio di non sapere ciò che aveva fatto si fece largo in lei. Cosa aveva potuto fare di tanto spaventoso da mettere così tanta paura a quel ragazzino?
Scalciò via le coperte e con non poche difficoltà si sporse oltre il bordo del letto.
Traballò, malferma sulle gambe, e si strinse alla parete. Era così pietosa che si vergognava di se stessa. Guardò gli oggetti riposti sul tavolo.
Riconobbe le erbe che le erano state date. Era stata drogata. Per quel motivo si sentiva i pensieri confusi e la testa pesante ed era per quello che il dolore alla schiena era ad un livello sopportabile.
Doveva sapere. Era necessario che lei sapesse ciò che era accaduto in quei sotterranei. Era successo qualcosa. Qualcosa di estremamente importante, ma che non ricordava. Ed una persona non era nulla senza le sue memorie.
Affannata e quasi trascinando i piedi sul pavimento riuscì a raggiungere l'uscio della camera.
La vista le si annebbiò per un istante ed alcuni uomini entrarono afferrandola brutalmente
per le braccia. Le urla e il tentativo di ribellione non servì a nulla.

Fu riportata a forza nel letto e dopo essere stata costretta ad ingerire un'altra dose di droga mista a del sonnifero le palpebre si fecero così pesanti che crollo addormentata senza nemmeno rendersene conto.

 

 

Quando si risvegliò era notte. Le stelle brillavano luminose nel cielo e l'insolito astro verde spiccava come una torcia nel buio. La luna era nascosta in un banco di nuvole ed una gelida brezza di vento entrava dalla finestra rimasta socchiusa.
Rabbrividendo, Freya compì i primi passi avvertendo un tenue bruciore alla schiena. Afferrò da una ciotola di ceramica alcuni chicchi d'uva e gli ingoiò con soddisfazione. Si chiese quanti giorni erano già passati senza che lei potesse mettere nulla nello stomaco. Poi prese una mela e la rosicchiò finché non ne rimase altro che il torsolo.
Era assetata, ma non vedendo alcuna brocca d'acqua decise di affacciarsi alla finestra per vedere com'era la situazione a Shang. Scostò un poco la tenda di velluto nero e si lasciò sfuggire un sospiro di delusione. Quella stanza dava ai cortili interni della fortezza, non alla piazza del mercato.
Doveva approfittare dell'assenza di guardie per cercare delle risposte e decise che si sarebbe recata dall'angelo Michele. Su una cassapanca vicino al letto era stata appoggiata una vestaglia di stoffa più pesante di quella che indossava in quel momento e Freya se la avvolse grata intorno al corpo.
Facendo attenzione affinché la porta non scricchiolasse la aprì e si gettò tra le ombre del corridoio. I suoi piedi si muovevano incerti, mentre cercava di riportare alla mente l'esatta ubicazione della stanza in cui era tenuto prigioniero l'angelo.
Due corridoi a destra ed uno a sinistra.
Continuava a ripetere con il terrore di poter essere avvistata da qualcuno. Si fermò per prendere fiato e per udire dei possibili suoni sospetti.
Si tranquillizzò solo quando anche il gracchiare di un corvo cessò all'improvviso di interrompere la quieta della notte.
Svoltò in un corridoio più stretto, illuminato dalla luce di flebili candele e si arrestò bruscamente quando riuscì a riconoscere la stanza che stava cercando. Nascondendosi dietro al muro cercò di individuare le strane guardie che aveva visto in precedenza, ma sembrava che anche gli uomini mascherati avessero di meglio da fare in quella sera stellata. Freya non aveva dubbi sul fatto che fossero in qualche osteria da quattro soldi.
Mordendosi nervosamente il labbro inferiore s'azzardò ad uscire allo scoperto. La vestaglia si trascinava silenziosa sul pavimento e le maniche, troppo lunghe per lei, le tenevano calde le mani.
Oltrepassando le candele poste al lato del corridoio decise di spegnerle per un'ulteriore forma di sicurezza.
Accelerò il passo e ansimando spinse con tutte le forze lo spesso portone di legno che si aprì senza produrre alcun rumore. Sollevata che fosse andato tutto per il meglio Freya scivolò all'interno della stanza.
Inizialmente si appoggiò ad un armadio per sostenersi e, dunque, solo in un secondo momento si accorse della struggente scena che si stava consumando davanti a lei.
Seduto a gambe incrociate sul pavimento, davanti alle vetrate che conducevano alla terrazza, Michele stava cantando. Freya non capiva il significato delle parole che stava pronunciando, eppure l'assalì una profonda malinconia.
La luce della luna, ora visibile, illuminava il capo dell'angelo, dai cui occhi scendevano calde lacrime d'argento. La melodia si fece più confusa, quasi Michele faticasse a ricordare le esatte parole del canto, ma poi riassunse i tratti delicati che aveva in precedenza.
Freya rimase immobile ed in silenzio, come temendo l'ira di quella creatura se l'avesse sorpresa a spiarla.
Le ferite che aveva al petto erano ben visibili ed alcune dovevano essere piuttosto recenti. Del sangue era gocciolato sul tappeto, macchiandolo.
Michele mosse impercettibilmente le braccia ed osservando meglio, Freya notò che stava reggendo qualcosa. Sembrava un cumulo di stoffa dorata e l'angelo lo accarezzava con cura, quasi con il timore che potesse scomparire da un momento all'altro.
Solo che non era velluto. Era quanto di più lontano possibile ad un qualsiasi tessuto.
Le sue ali. Le ali che gli sono state strappate.
Freya dovette portarsi una mano alla bocca per evitare di emettere dei suoni misti allo stupore e alla rabbia. Una tristezza infinita le scivolò sul cuore, mentre osservava Michele cullare quel mazzo di piume splendenti, brillanti di luce propria.
Il Requiem dell'angelo.
Non c'erano altre parole per definire ciò che stava avvenendo. Sembrava che l'angelo volesse dare l'ultimo saluto alle sue ali e Freya si domandò se quell'insolito spettacolo avesse luogo tutte le sere.
Strinse i pugni e sentì il lieve bruciore delle lacrime che smaniavano per essere versate. Shaber doveva essere punito per tutta quella sofferenza gratuita che stava causando.
Il dolore di quella creatura non era minimamente paragonabile a quello che lei aveva subito alla schiena. Era come se l'angelo avesse perso una parte importante di se stesso.
Come se gli fosse stata strappata metà della sua anima.

Un bagliore dorato la distolse dai suoi pensieri e s'accorse che le piume delle ali avevano cominciato a vorticare nella stanza, posandosi poi sulla schiena dell'angelo. Scomparirono poco a poco, come se venissero assorbite dalla pelle del ragazzo.
Quando la voce cessò il suo canto, le ultime piume erano già state inglobate nel corpo dell'angelo. Michele rimase con la schiena ben dritta ed il capo rivolto alle stelle per altri interminabili minuti. Infine, le sue parole interruppero il silenzio che regnava in quella stanza.
"Freya Gadamath. Non tentare di nasconderti alla mia vista, poiché è qualcosa che va al di
là delle tue possibilità."

Freya sussultò. Dunque l'angelo conosceva la loro lingua e teneva Shaber all'oscuro di quel segreto. Ma come faceva a conoscere il suo nome? Il vescovo gli aveva parlato di lei?
Titubante, ma consapevole di come la sua indecisione fosse inutile a tutti, mosse qualche passo in avanti, sopportando il dolore che la schiena le dava.
"Sono passati dieci giorni dal nostro incontro." osservò, voltando la testa nella sua direzione.
Freya trattenne il fiato come era accaduto la prima volta che l'aveva visto. Il suo volto era di una bellezza così straziante che poteva ferire persino le anime.
"Dieci giorni?" ripeté incredula la ragazza. Fece dei rapidi calcoli e constatò che si trovava nella fortezza da tredici giorni in totale, otto dei quali passati in un letto in stato di perenne incoscienza.
"Sembri sorpresa." commentò. Appoggiò un braccio sul pavimento e fece forza sulle gambe per mettersi in posizione eretta.
"È così infatti." strinse i pugni. Parlare con Michele era strano, insolito. Era un angelo, eppure appariva in tutto e per tutto come un essere umano. "Qualcuno può sentirci?"
"Ne dubito." tagliò corto Michele con un cenno della mano. "Le guardie sono andate tutte a festeggiare. I demoni si sono ritirati." spiegò.
"Ritirati?" chiese Freya incredula.
L'angelo poggiò le spalle al muro e Freya vide che alla caviglia destra portava una catena che gli permetteva di allontanarsi dal letto solo di pochi metri. Era piuttosto grossa e si chiese se fosse stata forgiata appositamente per lui.
"Momentaneamente." s'affrettò ad aggiungere. "Non vedo più un demone da... bhe, da parecchie centinaia d'anni." continuò come se la cosa gli dispiacesse.
Freya scosse la testa più confusa di prima. Stare in piedi era faticoso, ma l'alternativa era sedersi sul letto occupato da Michele e lei non aveva intenzione di avvicinarsi troppo a quella creatura leggendaria.
"Come è possibile che tu esista?" Non si era nemmeno resa conto di aver pronunciato quella frase che vide Michele assumere un'aria più distaccata.
I loro occhi s'incrociarono per un istante e fu l'angelo a distogliere lo sguardo per primo.
"Noi angeli esistiamo da prima che il mondo avesse inizio. Sono gli umani ad averci dimenticato. È cosa comune che con il passare dei secoli la storia venga tramutata in leggenda e fantasia." I capelli gli scivolarono sul viso, mostrando dei riflessi argentei.
"Ma perché tu ti trovi qui?" insistette Freya.
Michele scosse la testa mentre gettava un'occhiata alle stelle. Il suo sguardo si velò di malinconia. Oltre quel cielo di cristallo, in un luogo che la mente umana non era nemmeno in grado di concepire, c'era la sua casa. Rafael lo stava sicuramente cercando, insieme alle Schiere Celesti, e non aveva dubbi sul fatto che avrebbe continuato la ricerca fino al suo ritorno.
"Ogni cosa avviene secondo il disegno del Creatore. Se la Pietra di Cristavia si è attivata deve esserci un buon motivo. E Lucifero, lui..." si fermò, avendo notato la faccia confusa della ragazza. Dopotutto, pensò che non poteva aspettarsi nulla di diverso da quell'umana, che poi tanto umana non era.
Tuttavia non riusciva a comprendere la vera natura di quella creatura. Erano passati troppi anni da quando aveva lasciato quella dimensione per dedicare la sua attenzione ad altri mondi. Gli sfuggivano i nomi di molte cose ed eventi che si erano susseguiti dopo il tradimento di Enuwiel.
Ci ha abbandonati. Ha abbandonato tutti noi per quell'umana.
La ferita che gli aveva procurato la scelta dell'angelo era ancora profonda. Ma non era stata quella sua decisione il male peggiore. In fin dei conti c'erano stati altri angeli ed altri mondi dove la loro specie si era unita a quella umana.
Ma queste terre...
Quelle terre che avevano visto l'alba di un'Apocalisse e che malgrado questo erano riuscite a risorgere. Quel maledetto mondo che era stata l'origine e la fine di tutto.
Il mondo che lo aveva tenuto separato da lei.
"È giusto." sospirò. "Tu non sai nulla di simili questioni." continuò rivolgendosi alla ragazza. "Non che la cosa mi sorprenda. Siamo rimasti in pochi, perfino tra gli angeli, a conoscere tutta la storia."
Michele la osservò, mentre una smorfia di disappunto si faceva largo sul suo volto. I suoi occhi, notò, avevano lo stesso colore ed intensità di quelli di Rafael.
Verdi, come i più rigogliosi giardini dell'Eden.
La vide esitare, incerta, come se avesse il timore di porre delle domande per soddisfare la sua curiosità. Era stremata, eppure si ostinava a rimanere in piedi aggrappata alla fredda parete alle sue spalle.
Freya rabbrividì. C'era qualcosa nelle parole di quell'angelo che la spingevano a voler scoprire la verità su ciò che stava accadendo.
"Perché i demoni hanno attaccato Shang? È a causa tua?" chiese.
"Niente affatto. Dubito, persino, che loro sappiano della mia presenza qui." osservò Michele.
"Allora cosa sta accadendo?" lo incalzò Freya.
"Una nuova guerra sta per avere inizio. Cambierà ogni cosa." riprese muovendosi in direzione del letto.
"Una guerra per cosa?"
"Per decretare il vincitore di una lotta che si protrae da secoli."
Freya trasalì. Che cosa significavano quelle parole? Era così frustrante non poter sapere la verità che si celava dietro tutti quegli enigmi. Era insopportabile.
"La Terza Guerra Celeste." aggiunse Michele quasi sovrappensiero. "... Un destino che sembra costretto a ripetersi ancora e ancora. Mi chiedo quando tutto ciò avrai mai fine."

 

 

 

OoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoO

 

 

Ed eccoci alla conclusione di un nuovo capitolo u_u Vi è piaciuto? Io ho adorato descrivere la scena con Michele! *_* Lo adoro, adoro quest'angelo! XD
La parte iniziale in corsivo è tratto dal diario di Guardiana delle madre di Clare, che era stata nominata in particolare nell'extra de "L'ombra del principio." Per un po' di capitoli avrete brevi notizie anche sulla sua vita.
Inoltre il 16 gennaio CS compie un anno di pubblicazione! *O* *offre the e pasticcioni a tutti* Quindi per premiare voi, cari lettori vi lascio uno spoiler del prossimo capitolo. Naturalmente è per farvi soffrire di più!! xD
Fatemi sapere cosa ne pensate! :)
P.S: Qui trovate la seconda drabble della raccolta di _BlackRose_

 

 

Next episode:
Fu un pensiero veloce, rapido, che attraversò la sua mente in un brevissimo lasso di tempo. Più di mille anni erano passati eppure quell'odore, selvatico ed indomabile, continuava a perseguitarla.
"Anche quella ragazza... Anche allora, al fianco di Enuwiel. Possedeva lo stesso delizioso profumo." annotò con un certo disappunto.
"E-n-u-w-i-e-l." sillabò la sua serva, corrucciando la fronte.
Lilith soffocò una risata, deliziata da tanta ingenuità.
Oh, sì, suo figlio avrebbe tentato di distruggerla, saputo cosa aveva fatto a quella creatura.

 


 Storie in corso:
Romatico

Pirates-L'ombra del tradimento
Opera National-Ricatto d'amore

Angeli&Demoni

Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

Storie concluse:
Vampiri

Contratto di sangue-L'ombra del principio

Sovrannaturale

La rivincita delle acque  



 


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Capitolo 8
*** The Celestial Wars ***




 

07

The Celestial Wars

 

 

[...] Da quando siamo sposati Lucas si dimostra particolarmente apprensivo ogni qualvolta devo recarmi al palazzo reale. Neanche la presenza di Sebastian basta a tranquillizzarlo.
Ho avuto notizie da Frederich. Mio fratello sembra entusiasta del suo primogenito. L'ha chiamato Vincent e pare che abbia ereditato i capelli biondi dei Rainsworth e gli occhi dorati della famiglia materna. Hanno lasciato la capitale e hanno acquistato una piccola villa in campagna.
Ho il continuo terrore che possa accadere qualcosa a lui o al bambino, ma sono riuscita a convincere Sebastian ad andare a controllarli un paio di volte al mese.
Lui si è mostrato reticente davanti a questa decisione, definita da lui "impulsiva". Sostiene che non dovremmo allontanarci l'uno dall'altra ora che abbiamo scoperto che il vampiro Alpha sta organizzando un piccolo esercito personale.
Sebastian crede che il suo obiettivo sia quello di impadronirsi del trono, ma c'è qualcosa in tutta questa faccenda che mi fa dubitare che la soluzione sia così semplice.
Qualcosa ci sfugge, mi sfugge. Sono troppo inesperta e questo è un problema.
Un problema che mi spaventa particolarmente. [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 


 

Paura? No, non era esattamente paura il sentimento che Freya provava nei confronti di Michele. Assomigliava più all'ammirazione che si può provare per un guerriero. Pur essendo ferito e prigioniero di Shaber quell'angelo dimostrava una fierezza ed una dignità senza eguali. Certo, incuteva anche timore, solo il Creatore poteva sapere quanta forza celasse quel corpo che rasentava la perfezione!
Più lo osservava e più Freya desiderava conoscere i suoi segreti. Segreti che, a quanto sembrava, riguardavano tutti gli esseri viventi di quella terra.
"Cos'è una Guerra Celeste?" domandò, quindi, consapevole che ogni cosa sembrava vertere su quel punto principale.
Le labbra di Michele si arricciarono lievemente all'insù come se trovasse quella richiesta estremamente divertente.
"Conosci i principi di quella che qui chiamate Antica Religione?"
Freya li conosceva, naturalmente. Sebbene non fosse una credente e non ascoltasse i discorsi che Shaber era solito recitare dal balcone della sua fortezza sapeva quali fossero i punti cardini di quel credo. Tuttavia non riusciva a fare alcun tipo di collegamento con la domanda che aveva posto.
"In principio v'era il Creatore ed il Creatore era la terra, il cielo e le stelle." recitò Michele, mentre il suo sguardo si velava di una triste melanconia. "Ma il Creatore era solo." fece un pausa, come se il seguito fosse più difficile da raccontare. "Allora creò gli angeli ed infuse nei loro corpi un frammento del suo spirito che chiamò anima. L'anima degli angeli era fulgida e splendente quanto il sole, pura come l'intento del Creatore."
Freya spalancò la bocca, incredula. Per il momento le sembrava che quelle parole fossero utili solo per elogiare la perfezione degli angeli. Sbuffò, non riuscendo a trattenersi e Michele la fulminò immediatamente con lo sguardo.
Evidentemente il ragazzo non la pensava allo stesso modo.
"Poi il Creatore generò un luogo dove gli angeli potessero vivere tra loro e lo chiamò Eden. A sorvegliare i confini di quel luogo, presso i Cancelli del Giudizio, collocò il figlio da lui maggiormente amato. Così amato e rispettato che mai ad egli negò qualcosa."
"In sostanza lo viziava allo steso modo in cui l'Imperatore soddisfa ogni capriccio dell'Imperatrice." commentò la Guaritrice.
"Una mentalità tipica degli umani." replicò Michele. "Il Creatore amava la Stella del Mattino. Nessun angelo, né prima né dopo, è stato amato con la stessa intensità. Lui era perfetto."
"Non lo era poi così tanto se ha tradito la fiducia del Creatore." intervenne Freya che da quel punto in avanti conosceva anche lei la storia.
Una nuvola oscurò la luna, come a voler sottolineare il cambiamento che aveva colto successivamente l'angelo.
"Il Creatore non era soddisfatto della sua opera. Gli angeli e l'Eden sembravano non riuscire ad appagare pienamente il vuoto e la solitudine del suo spirito, così egli creò altri mondi. Infiniti mondi, ed infinite creature che potessero abitarli." Michele strinse i pugni. Ricordare quel preciso momento gli era ogni qualvolta doloroso. "Agli esseri umani, però elargì dei doni che agli angeli non erano stati concessi. La possibilità di riprodursi e la facoltà di decidere autonomamente il loro destino. A quel tempo, Lucifero, che era il guardiano dei Cancelli del Giudizio, entrò in contatto con degli esseri umani. Studiò i loro sogni, le loro aspettative e per la prima volta nella sua vita provò invidia. Invidia per coloro, la cui esistenza, non era stata pianificata da nulla e nessuno." una pausa, carica di aspettativa calò come una coltre di nebbia sulla stanza.
"E poi?" lo invitò a proseguire Freya.
"Ricordo che l'anima di Lucifero, mentre discuteva con il Creatore, era così luminosa che riusciva a ferire persino i miei occhi. La sua essenza era meravigliosa anche accecata dalla rabbia." Michele si sfiorò alcune delle ferite e l'espressione del suo viso si addolcì.
"Per quel che vale..."intervenne Freya. "Mi dispiace per le tue ali. Non avevo mai visto niente di più bello prima d'ora." sussurrò.
Michele chinò la testa di lato ed un ciuffo di capelli gli scivolò sul petto, dandogli quasi un'aria imbronciata. "È stato doloroso." commentò affranto. "Ma ricresceranno. Quell'uomo pagherà per i suoi crimini." continuò, mentre una sorta di grugnito gli risaliva in gola.
"Se desideri mettere fino alla sua vita ti rimangono ancora ottantasei giorni." disse Freya, esponendo i suoi ragionamenti. "La vita di Shaber non si protrarrà oltre questo tempo limite."
"Interessante." mormorò Michele. Da quanto tempo non incontrava un individuo con doti così particolari? Quella ragazza riusciva a sorprenderlo ogni secondo che parlava con lei.
"Non sembri stupito nel sapere che posso conoscere con precisione la durata vitale delle persone." intervenne Freya.
"Vivo da così tanti anni che ormai poche cose riescono ancora a stupirmi." fu la semplice replica dell'angelo.
"Comunque..." riprese Freya. "Cos'è accaduto a Lucifero?" proseguì, volendo riprendere in mano il precedente discorso.
"Per farla breve, altri angeli si unirono alla causa di Lucifero ed infine il Creatore fu costretto a cacciarli dall'Eden, poiché minavano la pace e la tranquillità che regnava in quel luogo. Noi li chiamammo Caduti. Tuttavia essi non riuscirono a sopportare il loro forzato allontanamento da quella che consideravano la loro casa. Fu così che ebbe luogo la Prima Guerra Celeste. Angeli contro angeli, fratelli contro fratelli."
"Vuoi dire che quelli che noi umani chiamiamo demoni, sono discendenti degli angeli?" Freya era turbata. Esseri tanto brutali e d'aspetto così sgradevole potevano essere stati davvero degli angeli?
"No. Quelli che voi chiamate demoni sono creature imperfette ed incomplete che sono state infettate dal sangue dei Caduti. Come ti ho spiegato precedentemente gli angeli non possono procreare, almeno non tra loro. Perlomeno un evento simile non è mai accaduto da che io abbia memoria."
"L'anima dei Caduti... Posseggono ancora un'anima?" lo interrogò la Guaritrice che si zittì nell'istante in cui avvertì il chiacchiericcio di alcune guardie nel cortile sottostante la fortezza.
Freya si piegò sulle ginocchia quando il dolore alla schiena divenne all'improvviso insopportabile. Si ritrovò ad ansimare, mentre gli occhi le si velavano di lacrime. Strinse i denti, ingoiando il sapore amaro che aveva in gola e si sforzò di continuare a seguire il discorso di Michele. Non capì una sola parola della risposta che le fornì.
La pelle sembrava andarle a fuoco e le fitte che le provocavano le ferite erano strazianti.
Michele la raggiunse poco dopo e si chinò nella sua direzione. Freya ebbe la sensazione che i piedi dell'angelo non toccassero il pavimento, ma bensì che lo sfiorassero. Sembrava quasi che fluttuassero a pochi millimetri dal terreno.
La mano di Michele si posò delicata sulla sua schiena e scivolò fino all'altezza dei suoi capelli. Freya si ritrovò inconsapevolmente a trattenere il fiato.
Quando lui si allontanò, aveva un'espressione di sincera curiosità dipinta sul volto.
"Dovresti stare meglio ora." spiegò andandosi a sedere sul ciglio del letto. La catena alla sua caviglia produsse un rumore sinistro.
Effettivamente Freya non avvertiva più le insopportabili fitte che avevano minacciato di farla svenire. Si erse in piedi e si tastò la schiena che tuttavia presentava ancora grossi squarci.
"Non ti ho guarita." annunciò Michele con aria grave. "Posso solo inibire il dolore."
"Vuoi dire che mi hai privato di quella sensazione?" Lui le rispose annuendo.
Oh!" esclamò lei confusa. "Allora è così... è così che sopporti le torture di Shaber?"
Una strana scintilla passò tra gli occhi di Michele, ma Freya non riuscì a capire se si trattasse di rabbia, tristezza o sete di vendetta.
"Come posso aiutarti?" gli chiese con sincerità.
"Trova la chiave che apra la serratura di queste catene." le suggerì senza troppi giri di parole.
Annuì, anche se non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto riuscire in una simile impresa. "Cerca anche la spada che avevo con me." aggiunse con un tono di voce più basso.
Devo anche procurarti la cena? Avrebbe voluto rispondergli. Riuscì ugualmente a mantenere un'espressione neutra.
Nel cortile della fortezza le voci si erano fatte più insistenti. Urla di ubriachi e vaneggiamenti di folli si udivano anche dalla stanza in cui si trovavano loro. Alle sue spalle Freya sentì alcune guardie correre nel corridoio e si irrigidì.
Poi una voce tanto sgradevole quanto familiare le arrivò alle orecchie, attutita dalle spesse mura della camera.
"Apritela, idioti!" stava sbraitando Shaber. "Muovetevi!" ordinò con un tono irritato.
Freya si raddrizzò in tutta fretta, mentre sentiva i cardini della porta cigolare sotto il peso del legno. Sbarrò gli occhi per il terrore di quello che avrebbe potuto farle quell'uomo trovandola lì.
Si rannicchiò contro ad un arazzo e torturò la stoffa, nervosa. Il dolore alla schiena poteva anche essere passato ma Shaber poteva infliggerle pene ben peggiori.
Quando, però, Shaber fece il suo ingresso, ingobbito e zoppicante, Freya lo vide per la prima volta per ciò che era realmente.
Sembrava che il vescovo di Shang fosse invecchiato di colpo di quasi dieci anni. I capelli erano candidi come la neve appena caduta ed una strana maschera dorata con incastonate delle pietre rosse gli coprivano il volto. C'erano solo due piccoli fori per gli occhi, perché persino il naso e la bocca erano stati occultati.
Le gemme, piccole e squadrate, erano posizionate ai lati della maschera e le conferivano un'aria quasi minacciosa.
"Perché lei si trova qui?" sibilò irritato. La voce gli uscì in un modo tanto bizzarro che a Freya ricordò quella utilizzata dai bardi vagabondi nei loro spettacoli.
"Che cosa ha fatto?" disse non riuscendo a trattenere la sorpresa.
"Riportatela nella sua stanza." ordinò Shaber, sviando la sua domanda.
Freya fece automaticamente un passo indietro e sentì la sua schiena sbattere contro il torace di Michele che non distolse mai una volta lo sguardo dal loro carceriere.
"Oh, vedo che avete avuto modo di conversare." grugnì da dietro la maschera. "Formate una vera coppia di bizzarrie inumane."
Freya alzò il capo verso quello dell'angelo e lo osservò incurvare le labbra in un sorriso appena accennato. "Voglio fare di lei la mia amante. Se lo permetterete, avrò cura che lei non vi dia più alcuna noia."
Freya si ritrovò a spalancare la bocca scioccata. Non aveva nemmeno la forza per trovare le parole adatte per ribattere a quella affermazione. Fece per allontanarsi da lui, ma Michele le cinse le spalle in un abbraccio. Imbarazzata smise immediatamente qualsiasi tentativo di ribellione. Sperò intensamente che il suo "amante" sapesse cosa stava facendo.
"Bene." fu l'unico commento di Shaber. "Quella donna non deve girarmi attorno." La sua voce sembrò insicura e Freya si chiese se ciò che aveva fatto, ma non ricordava, centrasse in qualche modo con il vescovo.
"Potrà avere libero accesso ad ogni ala della fortezza." continuò Michele in un tono che non ammetteva repliche. Shaber annuì impercettibilmente e la sua mano si appoggiò al tavolo per aiutarsi a sostenersi. I suoi muscoli si contrassero in modo anomalo e Freya trovò quasi divertente vedere le condizioni in cui il vescovo era caduto vittima. Possibile che fosse diventata così insensibile?
"Accetto le tue condizioni." convenne l'uomo. Ad un suo cenno della mano una guardia riaprì la porta. I muscoli di Michele si rilassarono e lasciarono andare Freya.
"Forse è il caso che vi auguri la buonanotte?" domandò sarcasticamente. "Oh, no." continuò scuotendo la testa. "Vorrete trascorrerla in modi più piacevoli." concluse ghignando.
Freya si ritrovò a stringere i pugni e a nascondere il viso dietro alcuni ciuffi dei suoi capelli. Era più rosso il suo volto o le stoffe che la circondavano?

 

 

***

 

Il sangue le colava sul volto, fino al collo, e macchiava i delicati pizzi azzurri di quel bizzarro vestito nero che il suo amante aveva avuto la premura di regalarle. Da quando era tornato da lei non faceva altro che viziarla.
Lilith si leccò i bordi delle labbra ed assaporò le ultime gocce dell'umano che, steso a terra, aveva adempito al suo scopo. Il giovane ed affascinante ragazzo che per due giorni si era rivelato il suo pasto preferito giaceva al suolo, il volto rivolto al cielo e la pelle violacea illuminata dal tenue chiarore delle stelle.
Sarebbe stato compito dei demoni sbarazzarsi del corpo. Forse lo avrebbero gettato ai Segugi, oppure l'avrebbero scaricato in qualche villaggio umano, a lei non interessava.
Si diede una veloce sistemata ai capelli e sorrise in modo seducente alla ragazza vampira che da più di cento anni condivideva la sua immortalità.
L'aveva trasformata solo per gioco, inizialmente. All'epoca era certa che sarebbe stato divertente osservare la reazione di suo figlio dopo che avesse scoperto quello che aveva fatto. Tuttavia il suo adorato ed unico discendente non ne era mai venuto a conoscenza.
Sbuffò, ora leggermente alterata. Era così frustrante dover rimanere ad aspettare in quella dimora, quando Vlad era fuori a combattere e a divertirsi. Ricordò che quando avevano saputo, solo due giorni prima, che la discendente dei Rainsworth era caduta in una condizione di non-vita lui, più che dimostrarsi felice della notizia, si era fatto pensieroso.
Lilith non si voltò quando uno dei Segugi di Vlad la seguì per tenerla d'occhio. Quelle creature, così stupide e primitive, erano utili sul campo di battaglia, ma non servivano a null'altro.
Volteggiò su se stessa e la sua risata si estese in ogni angolo di quel luogo. L'edera che si avvolgeva alle elaborate colonne di pietra, sembrò animarsi al richiamo della sua voce. I rami si protesero verso di lei in cerca del più lieve contatto e lei fu ben felice di esaudire quella supplica. Un candido fiore sbocciò tre le sue dita affusolate e la Regina della Notte sorrise incuriosita. Restava sempre affascinata dagli strani effetti che i suoi poteri avevano sugli altri esseri viventi.
"Vieni qui." ordinò al suo giocattolo preferito.
La vampira, dal lungo vestito rosso che lasciava scoperta la schiena e la maggior parte della coscia destra, avanzò obbediente agli ordini della sua padrona. Gli occhi, due prati di primavera, si posarono in quelli scarlatti di Lilith ed attesero altre disposizioni. Si inginocchiò, i capelli castani mossi dal vento, e fece scivolare il capo sul petto della sua sovrana.
"Brava bambina." sussurrò Lilith accarezzando la chioma della sua serva. "Sei sempre così compiacente."
La vampira non le rispose, si limitò a chiudere gli occhi e a lasciarsi cullare dalla melodia che lei aveva cominciato ad intonare.
Lilith non ricordava dove avesse imparato quella canzone. Era certa, però, che fosse accaduto molto tempo prima. Precedente persino alla sua vita nell'Eden.
Quel periodo della sua esistenza era confuso. A volte, rammentava rari sprazzi della sua vita umana e imperfetta. Frammenti di volti che si sovrapponevano l'uno con l'altro.
Ma era un tempo così lontano che aveva finito con il dimenticare ogni dettaglio. O forse, pensò, aveva cancellato volutamente ogni informazione.
Le dita corsero leggere e sicure sul capo della vampira. Lilith si chinò, portandosi alle labbra un ciuffo di quei capelli che odoravano di rosa.
Rose bianche. Il simbolo della sua casata.
Fu un pensiero veloce, rapido, che attraversò la sua mente in un brevissimo lasso di tempo. Più di mille anni erano passati eppure quell'odore, selvatico ed indomabile, continuava a perseguitarla.
"Anche quella ragazza... Anche allora, al fianco di Enuwiel. Possedeva lo stesso delizioso profumo." annotò con un certo disappunto.
"E-n-u-w-i-e-l." sillabò la sua serva, corrucciando la fronte.
Lilith soffocò una risata, deliziata da tanta ingenuità.
Oh, sì, suo figlio avrebbe tentato di distruggerla, saputo cosa aveva fatto a quella creatura.

 

 

 

OoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoO

 

 

 

Eccomi qui! u.u Vi è piaciuto il capitolo? A me sì, lol! Ho adorato scrivere la parte con Lilith xD Che dite? Vi ho creato più dubbi o ne ho risolti qualcuno? XD Non temete, ogni cosa sarà spiegata a tempo debito u.u
Fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Parlando d'altro... il 27 gennaio sarà un anno che ho la patente! *_* E con molta probabilità vi avverto che il prossimo capitolo non credo che lo vedrete prima del 16 febbraio! XD Giorno del mio compleanno e pure di un esame! XD
Tra parentesi, i miei personaggi maschili preferiti stanno facendo a gara per accappararsi il primo posto. Per il momento sta vincendo William *O*, personaggio di un'altra long, poi viene Michele e infine Sebastian! LoL!
Bene, è tutto. Restate sintonizzati! XD
By Cleo^.^
Se avete voglia di fare due chiacchiere con me, potete trovarmi: Qui  

P.S: Qui trovate la terza drabble della raccolta di _BlackRose_ 


Storie in corso:
Romatico

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Sovrannaturale

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Capitolo 9
*** Petals of white roses ***




 

08

Petals of white roses

 

 

 

 

[...]Quest'oggi è il terzo giorno che ho trascorso a letto con la febbre. Sebastian ha svolto un ottimo lavoro anche senza il mio aiuto. È così devoto ai suoi doveri che provo quasi un po' d'invidia nei suoi confronti.
C'è qualcosa che lo spinge sempre a dare il meglio di sé e so con certezza che il suo comportamento non è dovuto solo al nostro contratto.
Lui si diverte a raccontarmi delle sue nuove conquiste a corte. La giovane contessa De Morthian è caduta tra le sue braccia, o forse è più corretto dire artigli, nel giro di una settimana. Devo essermi messa a ridere come una contadinella quando mi ha accennato che la ragazza è andata a supplicare il padre affinché le permettesse di sposarlo.
Confesso che mi preoccupa sapere che Sebastian non ha altri affetti al di fuori della famiglia Rainsworth. Non ha contatti di alcun tipo nemmeno tra gli appartenenti alla sua stessa razza. Dice di preferire una vita solitaria e che prendersi cura di me è già abbastanza scocciante per lui.
A volte si dimostra così infantile che devo fare un grande sforzo per rammentarmi chi dei due è una creatura centenaria e semi-immortale.
Non può essere altri che lui il mio compagno? [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 

 

Quella mattina grosse nuvole cariche di pioggia avevano portato una strana oscurità sulla città-fortezza di Shang. Il vento spirava freddo e agitato da nord, dalla catena delle Montagne Solitarie.
Freya rabbrividì, mentre si tirava fin sopra il naso le coperte del letto che era stata costretta a condividere con Michele. Tuttavia l'angelo si era dimostrato piuttosto cortese e aveva passato la notte seduto su una poltrona.
Si girò sul fianco destro e studiò il volto rilassato di Michele. Non sembrava particolarmente imbarazzato o preoccupato per la situazione in cui si trovava. Effettivamente il suo viso non lasciava trasparire alcuna emozione. Aveva gli occhi chiusi e borbottava tra sé. Si domandò se stesse ancora pensando alla Clare che aveva nominato nel sonno qualche giorno prima.
Sospirò, avrebbe preferito trovarlo sveglio per poter chiarire la situazione in cui si erano cacciati. Si nascose sotto le coperte e fece per chiudere gli occhi quando la mano di Michele le sfiorò la spalla.
"S-Sei sveglio." balbettò incerta.
Freya si mise a sedere nel letto e dovette fare un grande sforzo per cacciare dalla mente il profumo di erbe selvatiche che sembrava appartenere all'angelo. Era un fragranza dolce e amara al tempo stesso e rispecchiava alla perfezione l'impressione che lei aveva di Michele.
"Devi farmi un favore." annunciò.
Freya annuì anche se contro voglia. Dopo la trovata con cui se n'era uscito con Shaber non era particolarmente ansiosa di collaborare con lui.
"Scherzavi quando parlavi di volermi come amante, giusto?" domandò, cercando il suo sguardo in cerca di una conferma. Esisteva qualcosa di più imbarazzante di quell'affermazione?
"Tu mi servi." esordì severo. "Era il modo più rapido che conoscevo per restituirti quel minimo di libertà necessaria ai miei scopi."
Freya si tranquillizzò. La mano le scivolò sul petto e sfiorò con delicatezza il livido violaceo che aveva sulla spalla. "Il dolore tornerà?" chiese timorosa.
"Non nell'immediato." Michele sembrava turbato. Si allontanò dal letto, affacciandosi alla vetrata che dava al terrazzo. La catena tintinnò, riportando bruscamente alla realtà la sgradita situazione in cui si trovava l'angelo. "Il ragazzino ti ha portato della frutta ed un cambio d'abiti." aggiunse, cambiando discorso.
Continuò a rimanere di spalle, con addosso solo delle leggere brache di tessuto bianco che si gonfiavano leggermente sotto il ginocchio. Erano tenute legate alle caviglie con un semplice nastro grezzo, i piedi erano scalzi.
Il fisico di Michele non solo avrebbe fatto invidia a metà degli uomini che conosceva, ma persino ai dipinti e alle statue dei migliori artisti dell'Impero. Il suo corpo sembrava essere stato modellato nell'argilla, tanto appariva perfetto.
"Che cosa è successo al volto di Shaber?" volle sapere, interrompendo quel flusso di pensieri che non l'avrebbero portata a nulla di buono.
"Sono un angelo, non un veggente. Non mi è possibile sapere fatti avvenuti mentre io non ero presente o che non mi sono stati riferiti." spiegò.
Freya chiuse gli occhi, quasi sentendosi colpevole della sua ingenuità. Si alzò, facendo attenzione ai suoi movimenti, e afferrò la ciotola contente la sua colazione.
L'uva aveva un aspetto quasi invitante, ma i fichi avevano una sospettosa colorazione violacea e preferì non assaggiarli.
Timorosa, picchiettò leggermente sulla spalla di Michele che si voltò a studiarla. Era più alto di lei di una quindicina di centimetri, e il suo aspetto, per quanto affascinante, metteva una certa soggezione.
Gli avvicinò la coppa, mettendola tra loro ed attese una sua qualche reazione. Inizialmente Michele protese un braccio verso il cibo, ma poi scuotendo sbrigativamente la testa lo ritrasse lungo il suo fianco.
"Non ho bisogno di niente." obiettò, rispondendo alla muta richiesta di Freya. Si voltò, dandole nuovamente le spalle e si perse nella contemplazione del cielo. Quanto tempo ci avrebbe impiegato Rafael per trovarlo? Esistevano così tanti mondi in cui poterlo cercare...
Vagamente fece caso al sospiro che la ragazza si era lasciata sfuggire. Mosse in avanti la caviglia incatenata ed un'ondata di rabbia si fece largo in lui. L'uomo che aveva osato ridurlo in quello stato pietoso l'avrebbe supplicato in ginocchio nel momento in cui sarebbe stato prossimo dal mozzargli la testa.
"Cosa vuoi che faccia?" Freya si allontanò con la ciotola ben stretta tra le mani. Lo trovò confuso, quasi distratto, e roteò gli occhi all'insù. "Il favore." insistette, scocciata di dover ripetere una cosa tanto ovvia.

 

 

Il vestito che le era stato portato, le era stretto sul ventre e fin troppo scollato sul petto. Era di uno sbiadito color verde, con qualche pizzo ai bordi delle maniche e non v'era dubbio che fosse appartenuto a qualche amante di Shaber.
Quasi inciampò mentre svoltava l'angolo del corridoio.
L'attenzione di Freya fu catturata da una delle serve del palazzo che aveva appena finito di rassettare una camera e si apprestava a chiudere la porta.
"Ehy!" la chiamò con un cenno del braccio, mentre arrancava nella sua direzione.
La giovane, di qualche anno più anziana, la studiò mostrando un evidente smorfia di disgusto.
Freya cercò di ridarsi del contegno, ben sapendo ciò che poteva essere passato per la mente di quella donna vedendola vestita a quel modo.
"Sto cercando la biblioteca." spiegò accaldata.
"Al piano terra, prima degli alloggi della servitù." s'affrettò a rispondere, stringendo un cesto con le lenzuola sporche.
Freya si voltò un solo, brevissimo, istante e quando fece per rivolgersi nuovamente alla ragazza lei era già scomparsa.
Seguì le poche informazioni che era riuscita ad estrapolarle e tra gli sguardi maliziosi delle guardie e quelli più sospettosi degli Officianti si intrufolò con fare furtiva nella biblioteca.
Girovagando tra gli scaffali impolverati e i vecchi mobili ammuffiti intuì immediatamente che quel luogo non doveva essere particolarmente frequentato. La luce filtrava debole e fioca dalle finestre e illuminava, quasi svogliatamente, la sala di lettura.
Starnutì, ben poco sicura di riuscire a trovare ciò che Michele le aveva chiesto di guardare. Si avvicinò ad uno degli scaffali e lasciò passare il dito su ogni volume che le capitava a tiro. Ben presto si ritrovò con la pelle nera e nessun indizio certo da seguire. Ci avrebbe messo giorni, se non settimane prima di trovare il libro adatto.
Alcuni colpi di tosse la distrassero dai suoi impegni e la invitarono a voltarsi. Davanti a lei, rigido come una statua, il piccolo Arthur si torturava le unghie delle mani con i denti. Gli occhi nocciola erano rivolti al pavimento ed era scosso da tremiti così forti che le assi di legno scricchiolavano sotto il suo peso.
"Rashai." lo salutò nel dialetto tipico di quella zona a nord dell'Impero.
Lui le rispose talmente piano che per un attimo temette di essersi immaginata tutto.
Avanzò con le gambe incurvate in avanti e timoroso si azzardò a ricambiare il suo sguardo.
Lei si chinò e dopo avergli posato le mani sulle spalle gli sorrise. "Ti serve qualcosa?" chiese gentilmente.
"La mamma dice che sei pericolosa, ma il vescovo vuole che io ti segua." borbottò quasi dispiaciuto.
"Ah." fu l'unica cosa che la ragazza riuscì a dire. "Ti faccio tanta paura?" chiese sporgendosi nuovamente verso di lui.
Arthur scosse la testa ed un sorriso appena accennato gli spuntò sul viso. "A me piace la signorina Freya, ma anche l'altra Freya è molto bella." disse.
Freya staccò le mani dal bambino, quasi del fuoco le avesse avvolto le dita. Che cosa aveva detto Arthur? Un'altra Freya?
Deglutì. Lui quindi sapeva cos'era successo nelle prigioni, ma cos'era avvenuto?
"E com'era l'altra Freya?" domandò facendosi coraggio.
"Oh, era bellissima!" esclamò incantato, facendo una giravolta su se stesso.
"Ah... Ah, sì?" replicò, sforzandosi di mantenere un tono calmo.
"Aveva gli occhi viola come il vestito della mia mamma. I capelli erano lunghissimi, neri come il cavallo del signor vescovo e la pelle era più luminosa del sole." spiegò affascinato.
Freya barcollò all'indietro e dei libri scivolarono sul pavimento. Un'opprimente sensazione all'altezza del petto le impediva di respirare regolarmente e le offuscava la vista.
Arthur si era messo a saltellare su un piede solo e sembrava che tutte le sue precedenti paure fossero scomparse. "Era davvero arrabbiata, ma rimaneva comunque splendida." aggiunse.
"C-cosa ha fatto?" balbettò, portandosi una mano alla testa. Doveva sapere.
"Io non lo so bene. Mi sono nascosto dietro al muro perché non volevo che l'altra Freya mi scoprisse." sembrò riflettere su quanto accaduto. "Però ho visto una forte luce azzurra e poi il signor vescovo è scappato urlando, stringendosi il volto insanguinato."
Freya si portò la mano alla bocca, mordendosela per non gridare. Perché lei non ricordava nulla? Aveva rimosso volutamente quei ricordi?
Ansimò, mentre un rivolo di sangue macchiava l'orrendo abito che aveva addosso.
Non sono umana.
"Ti ho fatto molta paura, non è così?" disse ansimante.
Il bambino scosse la testa e sorrise. Sembrava quasi sorpreso di quella domanda. "No, l'altra Freya è stata molto gentile con me. Ha detto che sono un bravo bambino." Gonfiò il petto, fiero di quelle parole. "Aveva il braccio ricoperto di sangue, ma mi ha ugualmente accarezzato gentilmente i capelli. Ad Arthur piace la signorina Freya." concluse.
Freya dovette sbattere più volte gli occhi per essere certa di aver compreso fino in fondo quelle parole. Chiaramente, Arthur era sconvolto da quanto aveva visto. Era impensabile che un bambino reagisse tanto positivamente ad un evento simile. Era abbastanza grande per comprendere cosa significavano il sangue e la morte.
Le gambe le cedettero all'improvviso, facendola scivolare a terra. Altri libri caddero dagli scaffali e si abbandonarono inermi al suo fianco.
"Cosa sono io?" mormorò gettando il capo all'indietro e chiudendo gli occhi. Che razza di mostro era?
Arthur stava canticchiando una strana melodia e lei lasciò che quella musica le scorresse nel corpo. Era spaventata ed era sola. Cosa le stava accadendo?
Strinse i pugni e trattenendo le lacrime si rimise in piedi. Barcollò in avanti e si sorresse ad un vecchio tavolo per aiutarsi.
"Tu sei Freya." intervenne Arthur afferrandole le mani. "Cos'altro dovresti essere?"

 

 

***

 

Le strade della capitale erano in fermento. Soldati e Mistici pattugliavano ogni vicolo e alla popolazione era stato imposto un coprifuoco dopo la mezzanotte. Nessuno aveva il permesso di uscire di casa dopo quell'ora, tranne i pochi artigiani e commercianti che avevano ottenuto un permesso apposito dal re.
Era pomeriggio inoltrato, ma in quella stagione il cielo era già scuro. Pioveva e la maggior parte della popolazione si stava riversando nelle locande in attesa che l'acqua smettesse di cadere.
Erano pochi i forestieri che s'aggiravano tra le piccole piazze per concludere i loro affari.
Vincent si strinse nel mantello ed osservò con un misto di curiosità il volantino dei ricercati sul quale era stato ritratto. Il manifesto con il suo volto era stato attaccato ad ogni angolo della città. La ricompensa per chi avesse consegnato il traditore al re ammontava a duemila monete d'oro. Una cifra irrisoria, considerata la preziosa reliquia che si portava appresso.
Vincent fece una smorfia e con noncuranza strappò il volantino, bruciandolo tra le sue mani. La cenere cadde a terra, mischiandosi al fango, alla pioggia, e al sangue.
Riprese a camminare con passo svelto e sicuro, azzardandosi persino a sorridere ad un manipolo di soldati che nemmeno diedero segno di averlo riconosciuto.
La pioggia aveva reso i suoi abiti bagnati e pesanti, ma i suoi movimenti non ne avevano risentito.
Si fermò un istante ad osservare le macerie di uno dei monumenti più antichi della capitale, distrutto da un attacco dei demoni. Automaticamente portò una mano al collo, stringendo la Pietra di Cristavia. Quell'oggetto era il simbolo della sua rovina e del suo più grande successo. La Pietra conteneva un potere aldilà della più fervida immaginazione e lui era intenzionato ad usarlo per mettere fine alla vita di Vlad Tepes.
"Dopodiché toccherà a Edward." sibilò, montando in groppa al suo cavallo. Afferrò le
redini ed assestando un calcio sul fianco destro dell'animale lo spronò al galoppo. Nessuna guardia fece caso alla sua corsa verso il palazzo reale. Oltrepassò il ponte che dava al fiume Fryu e che tagliava a metà la cittadina di Weyra, dopodiché lasciò il cavallo in una stalla e proseguì nuovamente a piedi.

Il lungo viale alberato, fiancheggiato da prati coltivati, che conduceva al palazzo del re si mostrò alla sua stanca vista. Quante volte lo aveva attraversato in passato?
Era sempre stato un frequentatore assiduo dei balli e delle feste che si svolgevano a corte ed ogni occasione era buona per passare del tempo con sua cugina.
Probabilmente, Clare non sarebbe mai riuscita a perdonarlo. Tuttavia lui non poteva permettere che lei scoprisse le sue reali intenzioni. Crederlo pazzo e folle era la soluzione migliore per salvaguardare la sua sicurezza. Fino a quel momento la recita aveva funzionato fin troppo bene. L'unico intoppo era stato il tradimento di Vlad e l'entrata in scena di Sebastian. Ancora non capiva come fosse riuscito a liberarsi dal suo incantesimo e fuggire riuscendo a raggiungere la Cattedrale di Win.
Scosse la testa, scacciando tutti quei pensieri dalla mente. Doveva rimanere vigile e attento. Soldati a cavallo pattugliavano la strada ed altri, armati di lance e frecce, ispezionavano le carrozze che erano dirette a palazzo.
L'incantesimo che pronunciò gli uscì aspro e secco. Da quel momento, chiunque lo avesse visto avrebbe notato solo una delle tante guardie reali.
Come avvenuto in precedenza nessuno fece caso alla sua presenza. Solo un Mistico gli rivolse un'occhiata dubbiosa e lo fermò per chiedergli a quale squadra appartenesse. Vincent non esitò a trarlo in inganno con una delle tante scuse che aveva preparato per l'occasione.
"Può procedere!" annunciò il Mistico al resto delle guardie.
Vincent annuì grato, sforzandosi di mantenere un'espressione seria.
I rami degli alberi ondeggiavano al vento, facendo cadere di tanto in tanto alcune foglie gialle o rosse.
Vincent evitò una delle tante pozzanghere che occupavano la strada e trattenne il fiato quando le possenti mura del palazzo gli comparvero dinanzi. Sorrise, come se si fosse aspettato di trovare dei cambiamenti in quei quindici giorni di assenza.
Le squadrate pietre dall'intenso colore rosato erano ancora integre e al loro posto. Nessun attacco nemico aveva scalfito il cuore del regno.
"Il Palazzo del Crepuscolo." bisbigliò chiamando la costruzione con il suo nome.

 

 

Osservando il giardino del palazzo, Vincent comprese immediatamente che nessun giardiniere aveva messo piede lì dentro da parecchi giorni. Le siepi si erano riempite di erbacce, i fiori erano sfioriti e le splendide fontane di pietra bianca erano incrostate di licheni e muffe.
In città aveva sentito dire che l'ingresso a quelle zone era stato proibito a chiunque non fosse il re.
Gli stivali lasciavano grosse impronte fangose sul viale di pietre bianche, ma Vincent non se ne curò, né si preoccupò di nascondere le sue traccie. Camminò a testa alta, la mente occupata in ben altre preoccupazioni.
Svoltò alla statua di un cherubino ed attraversò una cascata di rami e foglie che davano direttamente al giardino reale. E poi...
Lo vide.
Lo scrigno di cristallo era posto al centro del giardino ed attorno a lui erano stati sistemati decine e decine di cespugli di rose bianche.
E Clare era lì.
Vincent si avvicinò, sfiorando quasi con timore la teca trasparente che proteggeva la Guardiana.
Il volto di Clare era sereno, come, ricordava, non lo era più stato da parecchio tempo. La testa era reclinata leggermente all'indietro ed i capelli biondi le incorniciavano gentilmente il viso. Indossava un semplice abito verde con dei pizzi rossi, mentre le mani erano posate sul petto. Stringevano qualcosa di nero, ma Vincent non riuscì a capire cosa fosse quell'oggetto.
Con aria critica, decretò che quell'abito non era per nulla adatto a Clare.
"Lo avrà scelto Edward." mormorò più a se stesso che alla cugina.
Dalla sua prigione di cristallo, Clare non diede alcun segno di aver percepito la sua presenza. Dormiva, o almeno così appariva alla vista di chiunque.
"Sono venuto per salutarti, cugina." disse, posando il capo sulla teca trasparente. "Se tutto andrà secondo i piani non sono certo di poterti rivedere nuovamente. In ogni caso, dopo quanto è accaduto tra noi, non credo che tu lo vorresti." mormorò. La Pietra di Cristavia si agitò sotto la sua camicia e lui fu costretto a stringerla nel pugno della mano.
"Sistemare il passato per migliorare il presente." si zittì. "Non erano queste le parole della zia Marianne?" sospirò. "Addio."
Lo sguardo gli si posò sull'esagerato numero di rose che circondavano quell'angolo di giardino. Così spente e prive di vita che sembravano rispecchiare lo stato vitale di Clare.
Ma a lei non erano mai piaciute le rose. Vincent era l'unico a cui Clare aveva confidato quel segreto. Le ricordavano tutti gli obblighi ed i doveri della famiglia Rainsworth.
Lui era solito regalarle quei fiori per ricordarle il destino dal quale avrebbe potuto scappare, ma la maggior parte della volte Clare glieli rimandava con un biglietto di scuse. Lei trovava divertente quell'atteggiamento che dimostrava nei suoi confronti.
La pioggia cominciò a cadere con maggior insistenza, strappandolo ancora una volta dai suoi foschi pensieri.
Si voltò, dando le spalle all'unica donna a cui avesse mai tenuto, e fece i primi passi che l'avrebbero condotto su un cammino a lui stesso ignoto.

 

OoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOoO

  

  

Vincent: qui

 

Scusatemi! T.T Il pc si è rotto ed ho pure avuto la febbre! Avrei voluto postare il 16 per festeggiare il mio compleanno, ma amen! XD
Avete apprezzato il ritorno di Vincent? Cosa ne pensate? u_u
Nota: Ho realizzato una raccolta di missing moments su CS che vi consiglio di leggere per approfondire alcuni aspetti della vicenda che sono stati poco approfonditi! La trovate: qui :) Ritroverete Clare, Sebastian e tanti altri personaggi!
Inoltre:
Questo è un disegno realizzato da KumaCla che rappresenta Clare! Magnifico*_* 
Questa è una raccolta realizzata _BlackRose_ su vari personaggi di CS. 
 

 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! A presto!
By Cleo^.^ 


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Capitolo 10
*** The History of Cristavia and Tareel ***




 

09

The History of Cristavia

and Tareel

 

 

 

 

[...] Frederich mi ha scritto per invitarmi alla festa del primo compleanno di Vincent, ma ho dovuto rifiutare. So di averlo deluso, ma il re ha bisogno di me. La regina è prossima al parto e mi ha confidato che intende chiamare il neonato Edward, se sarà maschio. In onore di mio nonno, a quanto pare. Se sarà femmina invece Clare.
È lo stesso nome che avrei scelto anch'io, ma per ora non ho tempo da poter dedicare alla famiglia. Naturalmente Lucas non è della stessa opinione. Non vede l'ora di poter avere dei bambini urlanti in giro per casa. Dice che gli piacerebbe un maschio ed io so che l'unico motivo che lo spinge a non volere una femmina è per il timore che la bambina debba portare sulle spalle il peso dell'eredità dei Rainsworth.
Fortuna o sfortuna il compito di Guardiana aspetta solo al ramo femminile della famiglia.
[...] Gli attacchi dei vampiri tra le strade di Weyra si sono intensificati. I Risvegliati devono essere un centinaio e in questo mese io e Sebastian ne abbiamo impalati almeno una dozzina. Entrambi pensiamo che l'Alpha sia un purosangue e per questo ci è tanto difficile seguire le sue traccie.
Qualunque cosa quel vampiro stia organizzando è mio dovere fermarlo prima che la catastrofe venga scatenata sul regno. [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 

 

Il tempo trascorreva con una monotonia assurda in quella fortezza ai confini dell'Impero Thogal. Ogni giorno era uguale all'altro se non per piccoli e irrilevanti dettagli che non aiutavano a migliorare l'umore di Freya e Michele.
Quella mattina assolata di inizio novembre Freya si alzò con un forte appetito. Erano
giorni che non faceva altro che mangiare, prevalentemente frutta, e la cosa cominciava a preoccuparla. Da quando aveva un simile appetito?

Senza nemmeno prestare attenzione al sapore delle mele e delle noci, trangugiò ogni cosa insieme ad un bicchiere di latte fresco.
Non aveva fatto parola dei suoi timori a Michele, ma lui doveva aver intuito qualcosa dato che le ferite alla schiena le si erano rimarginate senza lasciare neanche una cicatrice sulla sua pelle.
Shaber si presentava ogni giorno, mentre lei era in biblioteca, per discutere con l'angelo anche se parlare non era esattamente l'unica cosa che facevano. Quando tornava in camera, perennemente senza aver trovato la minima informazione, Freya si occupava delle ferite che il vescovo infieriva senza il minimo rimorso al suo prigioniero.
Michele non si lamentava mai apertamente, ma il suo fisico aveva cominciato a risentire di tutte quelle torture.
Quella notte Freya aveva preteso che fosse lui ad utilizzare il letto. Lei si era addormentata sulla poltrona che normalmente occupava l'angelo e si era risvegliata con una fame vorace.
"Dovresti mangiare con più calma." osservò Michele storcendo la bocca.
"E tu dovresti smettere di farmelo notare". Lo contraddisse acida. "Sto morendo di fame." commentò, cercando altro da poter mettere sotto i denti.
"Non è normale." intervenne nuovamente l'angelo.
"Cosa non è normale?" chiese Freya esasperata. Scosse la testa, essere così nervosa non era da lei. Si morse il labbro. Era forse un sintomo del risveglio dell'altra Freya quel suo comportamento aggressivo e quell'appetito smisurato?
"Il tuo enorme ed esagerato bisogno di cibo. Credo che sia il tuo modo per cercare di sopprimere qualcos'altro. I tuoi poteri vogliono manifestarsi?" domandò.
Freya scosse la testa. Diede una sistemata all'orlo del nuovo abito che a differenza del precedente, le era due volte più grande.
"I tuoi genitori erano semplici umani, dico bene?"
Freya annuì, lasciandosi scivolare sulla poltrona. "Te l'ho già detto una decina di volte. Io non so cosa sono e nemmeno conosco il motivo del perché possiedo questo strano potere." disse, alzando il mento.
"Hai mai pensato all'eventualità che loro non fossero i tuoi veri genitori? Non hai mai dubitato, neppure una volta? " intervenne Michele, zittendola con un cenno della mano. "Come riuscivano a guarire la gente in maniera così stupefacente? Una volta hai accennato al fatto che nessuno dei loro pazienti è mai morto, eppure tu che segui i loro insegnamenti hai avuto parecchie vittime."
Freya spalancò la bocca per replicare, quando si rese conto di non avere la benché minima idea di cosa dire.
"Erano più esperti di me." disse alla fine. Non poteva credere che la sua vita, fino a quel momento, fosse stata solo un ammasso di bugie. Quelle due persone che l'avevano cresciuta e l'avevano amata come una figlia non avevano con lei alcun legame di sangue? "Loro erano i miei genitori." sentenziò dopo un attimo di riflessione. Sì, non aveva dubbi sul fatto che, in un modo o nell'altro, quelle due persone gentili erano state i suoi genitori. "Non c'è niente da scoprire." tagliò corto.
"E come sono morti? Non ti sembra strano che due Guaritori come loro potessero essere colti alla sprovvista da una tempesta di neve?"
"Zitto. Non è stata la tempesta." sibilò Freya, portandosi le mani alla testa. "Tu non c'eri. Tu non hai visto quello che ho visto io."
Tu non puoi sapere quello che ho provato quel giorno.
Freya aveva ben chiaro quel ricordo nella sua mente. Niente e nessuno avrebbe potuto permetterle di dimenticare quel giorno funesto.
Era pomeriggio quando i suoi genitori l'avevano lasciata da sola per potersi recare nel bosco. Lei era rimasta in casa, badando che il fuoco non si spegnesse nel focolare, ed era stato osservando fuori dalla finestra che aveva visto i primi fiocchi di neve posarsi sul terreno ghiacciato di quella regione.
Aveva atteso a lungo il loro ritorno, mentre il cielo si faceva sempre più scuro e il vento soffiava forte da est.
Ma loro non erano mai tornati. La mattina successiva si era vestita con abiti pesanti, adatti all'inverno, e si era messa sulle traccie dei luoghi che erano soliti frequentare. Aveva trovato i loro cadaveri sotto un sottile strato di neve. I volti avevano un'espressione terrorizzata e il petto era squarciato da profondi tagli irregolari. Ricordava che sua madre stringeva ancora tra le mani il cesto con le erbe che era andata a cercare nel bosco.
"Chiudiamo qui il discorso." suggerì Freya, balzando giù dalla poltrona. "Vado in biblioteca."

 

 

Maledicendo mentalmente la sfortuna che l'aveva rincorsa in quell'ultimo mese, Freya lanciò un'occhiataccia alla lunga fila di libri che ancora attendevano di essere letti. Soddisfare il favore che gli aveva chiesto Michele si stava rivelando un'impresa. Fino a quel momento aveva trovato pochissimi volumi che parlassero del Regno di Ziltar e nessuno che menzionasse le parole Rainsworth e Pietra di Cristavia.
La mano riprese a scivolare sui polverosi dorsi dei libri. "Folclore e leggende sul popolo fatato." lesse con una smorfia.
"Me ne legge una, signorina Freya?" domandò, Arthur con voce squillante. Lei gettò la testa all'indietro. Non si era minimamente accorta della presenza del bambino.
Arthur reggeva un piccolo cilindro di metallo grezzo con all'interno una ventina di castagne fumanti. "Me le ha date la mamma!" esclamò entusiasta, porgendogliene alcune affinché le potesse assaggiare.
"Sono deliziose." commentò Freya dopo averne ingoiata una. Il bambino sorrise ed indicò il libro che aveva posato sul tavolo.
"Ah, già." si riscosse la Guaritrice. "Ora ti leggo una di quelle favole." acconsentì.
Diede una veloce occhiata alla pagina iniziale che conteneva i titoli dei racconti e per poco non si soffocò con una castagna.
"Non.Ci.Credo." obiettò stupita.
"Cosa succede?" domandò Arthur che le stava tirando la manica del vestito per poter osservare anche lui. Freya gli mostrò la pagine, ma lui si limitò a guardarla con fare incuriosito.
"La conosci la storia della Pietra delle Lacrime?" chiese, osservando i delicati contorni di quella parola. Arthur scosse la testa e la spinse verso il terreno.
"Nemmeno io." continuò Freya, sedendosi a sua volta sul pavimento di legno scricchiolante.
"Cristavia era una fata. Possedeva un animo caritatevole ed una bellezza disarmante. Chiunque la vedesse, animale o uomo che fosse, ne rimaneva così colpito che le concedeva il proprio cuore senza alcuna riserva. Tuttavia, Cristavia non poteva amare nessuna di quelle creature poiché avrebbe significato perdere la sua immortalità per una vita mortale." sfogliò la pagina e mostrò ad Arthur l'immagine che ritraeva la fata. Il bambino sospirò, colpito da quel disegno tanto elaborato. Freya inclinò la testa, altrettanto stupefatta. Sembrava di ammirare un ritratto. La fata era ritratta di profilo, al centro di uno sfondo boscoso. La pelle aveva striature violacee, le orecchie avevano un profilo appuntito e i capelli scendevano dolcemente sulle sue spalle creando dei riflessi scarlatti. Gli occhi erano grandi, e di forma lievemente ovale.
"Assomiglia all'altra Freya." fu l'unico commento del bambino.
Freya scacciò quel parere dalla mente e continuò a leggere. "Cristavia era una fata splendida che aveva ricevuto molti doni ed, invero, altrettanti ne aveva concessi al suo popolo. Una sera, al sorgere della luna, mentre le acque del lago Reewa le bagnavano il corpo, un cavaliere umano la vide danzare alle luce delle stelle e se ne innamorò. Incantato da quella creatura egli si recò in quel luogo anche le notti successive al loro incontro.
Accadde, dunque, che un giorno Cristavia si accorse di quel giovane uomo e stupita della
sua audacia e perseveranza lo premiò concedendogli una notte tra le sue braccia."

Arthur sbadigliò ed appoggiò la testa sul grembo di Freya. Sorridendo la ragazza proseguì la lettura.
"Cristavia non si mostrò mai più a quel cavaliere, ma dalla loro unione poco tempo dopo nacque un figlio. Né fata, né uomo fu questa la sua maledizione. Tareel, così si chiamava il ragazzo.
Tareel crebbe forte e bello. Ogni creatura provava invidia per la straordinaria bellezza che aveva ereditato dalla madre, ma lui era sempre solo. Non aveva nessuno. Nessun amico e nessun confidente se non sua madre.
Fu in un giorno di pioggia che Tareel acquisì piena consapevolezza dei suoi poteri. Poteva viaggiare ovunque volesse ed esplorare altri mondi grazie alla forza del suo spirito" Tacque e la sua mano sfiorò inconsapevolmente il viso di Arthur che si era addormentato.
"Così, Tareel prese la sua decisione. Avrebbe viaggiato in ogni mondo finché non avesse trovato qualcuno in grado di comprenderlo. Informò sua madre della decisione e si lasciò il passato alle spalle.
Cristavia era inquieta. Tormentata dal pensiero del figlio essa creò, dunque, una Pietra che le permettesse di attraversare i confini dei mondi senza tuttavia smarrire la strada di casa. Per tre giorni e tre interminabili notti la fata pianse, raccogliendo le lacrime in un'urna e diede loro la forma di una Pietra, che prese poi il nome di Pietra delle Lacrime o Pietra di Cristavia."
Freya sospirò. Aveva scoperto che cos'era la Pietra, ma non dove si trovava in quel momento. Sfogliò le pagine successive, ma l'autore ipotizzava solo che poteva trovarsi da qualche parte nel Regno di Ziltar. In sostanza non era venuta a capo di nulla.
Appoggiò il libro sul pavimento e con delicatezza spostò Arthur in una posizione più comoda.

 

 

***

 

Seduta sul trono che solitamente era occupato dal suo amante, Lilith osservò la creatura ai suoi piedi. Il Segugio appariva dormiente, ma era certa che se lei avesse tentato di lasciare quel luogo il demone l'avrebbe seguita. Certo, avrebbe potuto sbarazzarsi molto velocemente di quella creatura, ma Vlad avrebbe finito con il rafforzare la sorveglianza.
Raccolse i capelli lungo il petto e con dita esperte cominciò a sistemarli. Le candide ciocche scivolavano leggere tre le sue mani e Cassidy mimò automaticamente il gesto della sua padrona, prendendo anche lei a sistemarsi i lungi capelli castani.
Lilith sorrise compiaciuta al gesto della serva e schioccò la lingua sul palato, finendo con il richiamare l'attenzione del Segugio che si era alzato sulle zampe.
La creatura le ricordava l'incrocio tra un un cane ed un ratto. Il corpo, massiccio e adatto alla battaglia presentava forti zampe munite d'artigli, due corni posizionati ai lati della testa e una leggera peluria che lo ricopriva interamente. La coda si trascinava sul terreno e le zanne, lasciate scoperte, conferivano all'animale un aspetto minaccioso. Il viso era schiacciato e gli occhi sembravano emanare una forte luce azzurra, tanto quel colore era intenso.
Stufa di attendere si alzò e il Segugio la seguì di malavoglia.
"Cassidy." chiamò Lilith in direzione della vampira. "Vieni con me." ordinò. Lentamente osservò la sua serva mettersi in piedi e seguirla a pochi passi da lei. Trovava particolarmente appagante la presenza di Cassidy e si chiese quando avrebbe cominciato a considerarla noiosa.
"Hai fame, Cassidy?" le chiese interessata. "Hai sete di ricordi, non è vero?" continuò, porgendole il polso. "Da quando ti ho parlato di Enuwiel sembra che qualcosa ti spinga a recuperare la memoria."
La guardò mentre estraeva le zanne e con gli occhi le chiedeva il permesso di affondare i canini nella sua pelle. La accontentò con una scrollata di spalle.
"Ma io non ti lascerò mai ricordare. Rimarrai con me, finché il mio volere resterà tale. Sarai per sempre vincolata alla Regina della Notte ed al mio sangue." sussurrò al suo orecchio. "Sempre mia... Piccola rosa selvatica."
Lilith chiuse gli occhi mentre ascoltava il flusso del suo sangue saziare il corpo della vampira. Infilò le mani nei suoi capelli e le tirò indietro la testa con violenza, finché i loro sguardi si incontrarono.
Rubino e smeraldo.
Le sfiorò i contorni del volto, eternamente immutabile, e per l'ennesima volta si chiese cosa ci avesse trovato suo figlio di così interessante in un viso tanto ordinario.
"La semplicità." si rispose con una nota di disgusto. Con uno scatto violento, scacciò Cassidy dal suo braccio e la scaraventò malamente contro la parete di roccia che si sgretolò sotto il peso della ragazza. "Resta qui." ordinò senza nemmeno guardarla.
Se ne andò, inseguita dal Segugio che con un respiro pesate faticava a tenere il suo stesso passo.

 

 

La notte la avvolse nel suo abbraccio protettrice e Lilith rimase a fissare il cielo stellato. Lasciò ricadere le braccia lungo il corpo e chiuse gli occhi con espressione compiaciuta. Da est le arrivava alle narici l'inconfondibile profumo di Vlad. Si leccò le labbra vermiglie, pregustando l'incontro con il suo sovrano.
Non dovette attendere molto. Una folata di aria calda la investì nello stesso istante in cui Vlad toccava terra e ripiegava le ali dietro le spalle.
"Lilith." pronunciò quasi con rimprovero.
Ignorò il suo commento e si avvicinò a lui, stringendolo al suo petto. Gli era mancato. La sua presenza era sempre stata qualcosa di fondamentale nella sua vita. L'armatura argentea portava le traccie di una battaglia, mentre la spada dorata odorava di sangue versato di recente.
Portò un mano sul suo viso, studiandone i lineamenti. Indugiò un momento sulle labbra, prima di scostargli una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Hai aspettato il mio ritorno come ti avevo chiesto." osservò Vlad, cingendole il fianco e attirandola maggiormente a sè. "Sono stata brava." sottolineò, sorpresa quanto lui.
I suoi occhi si posarono su quelli rossi cupi di Vlad e rimasero a fissarli per alcuni minuti.
Questi occhi. Voglio che guardino solo me. Sempre e solo... Me.
Si avvicinò ulteriormente al suo collo, leccandolo alla base delle spalle e risalendo verso la bocca. Lo sentì sospirare e riprese il compito che si era prefissata di portare a termine.
Le mani del vampiro sfiorano la superficie nuda ed esposta della sua schiena facendola rabbrividire. Le era mancato quel tocco, quelle sensazioni così forti che solo lui riusciva a provocarle.
Strinse il volto di Vlad tra le mani e lo baciò lievemente sulle labbra. Lui ringhiò ed impaziente approfondì quel contatto. Le loro lingue si intrecciarono, cercandosi con un bisogno sempre maggiore.
"Mi sei mancata." sibilò il vampiro, baciandole il punto dove in precedenza aveva offerto il sangue a Cassidy.
Lilith allontanò di scatto la mano e gli diede le spalle. Sentiva le zanne premerle sulle labbra e un rivolo scarlatto le scivolò lungo il mento.
"Michele si sta indebolendo." mormorò più a se stessa che ad un reale ascoltatore.
"Presto attaccheremo la città in cui si è rifugiato." commentò Vlad con voce roca.
"Non credevo ti interessassero prede così facili da catturare. Dopotutto, senza..."
Vlad non le permise di continuare, catturandole la bocca con un sorriso di scherno sul volto.
"Non pronunciare il suo nome o quello di Enuwiel. Lei potrebbe risvegliarsi e sentire il richiamo del suo padrone." La strinse al suo petto, mentre con la mano libera cerchiava segni immaginari sul suo corpo.
Lentamente Lilith si voltò, togliendogli la parte superiore dell'armatura che cadde a terra senza provocare alcun rumore.
"Sei geloso?" domandò divertita. Non ebbe bisogno della sua risposta per intuire che era quella la verità che cercava in ogni modo di non lasciar trapelare. "Dopo tutti questi anni?"
"Mi puoi biasimare?" Lilith sorrise compiaciuta. "Lui ha avuto da te ciò che io non ho potuto avere." ringhiò, stringendola a sé.
"Con l'inganno!" ribatté lei con furia. Vlad affondò il viso nel suo petto e lei gli accarezzò i capelli com'era solita fare con Cassidy. "Andiamo nella nostra stanza." la invitò Vlad, inspirando il suo profumo.
"Come il mio re desidera." commentò Lilith assecondandolo. Vlad la guardò accigliato, quasi deluso. Non poté fare a meno di ridere.
Oh, lo adorava... Lo desiderava e lo voleva in così tanti modi che se fosse stata ancora umana si sarebbe consumata nel desiderio di farlo suo.
Lui è mio. Eternamente mio. Appartiene a me. È un mio diritto possederlo.
Vlad ghignò, quasi avesse compreso i pensieri che le vorticavano nella mente.
Sentì i suoi canini riportarla bruscamente alla realtà e non riuscì ad evitare di lasciarsi sfuggire un gemito di piacere.
"Lucifero?" chiamò con il suo vero nome.
"Hmm?"
"Distruggiamo i Cancelli dell'Eden e tutti i suoi angeli." concluse, affondando a sua volta le zanne nel collo del suo amato.
Distruggiamo Michele.

 

 

 

 

 

_________________________________________________________________________

 

Segugio: Qui

 

Vorrei dedicare il capitolo a Arcadia_Azrael  che è sempre così gentile da farmi sapere il suo parere u_u Sono felicissima di sapere che la storia ti sta continuando a piacere! :)
Bene, bene avete saputo la storia di Cristavia, sebbene sia più complicata in realtà! XD
Che mi dite di Lilith? E del ritorno di Vlad? *W*
 
Nota: Ho realizzato una raccolta di missing moments su CS che vi consiglio di leggere per approfondire alcuni aspetti della vicenda che sono stati poco approfonditi! La trovate: qui :) Ritroverete Clare, Sebastian e tanti altri personaggi!
 Ho anche realizzato un Trailer di CS: quiqui
Se volete fare due chiacchiere con me mi trovate: Qui
 Inoltre:
Questo è un disegno realizzato da KumaCla che rappresenta Clare! Magnifico*_* 
Questa è una raccolta realizzata _BlackRose_ su vari personaggi di CS. 
 
 
Vi lascio, alla prossima!
By Cleo^.^

Storie in corso:
Romatico

Pirates-L'ombra del tradimento
Opera National-Ricatto d'amore

Angeli&Demoni

Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

Storie concluse:
Vampiri

Contratto di sangue-L'ombra del principio

Sovrannaturale

La rivincita delle acque 

 

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Capitolo 11
*** Silver and Sapphire ***







10

Silver and Sapphire

 

 

 

[...] Non avrei mai immaginato che la gravidanza avrebbe portato ad un tale clima di benessere e tranquillità. Lucas sembra essere maggiormente propenso ad esaudire i miei capricci, perfino a lasciare girare Sebastian liberamente per casa anche quando non ci sono. Poco a poco la gelosia nei suoi confronti sembra stia lasciando il posto alla fiducia. Se non fossi testimone di questo cambiamento con i mei occhi non ci crederei.
Dopo anni di attesa è finalmente nato l'erede del Regno. Il principe, Edward, che ha sulla schiena il Segno dell'Angelo. Ciò va interpretato come un buono o cattivo augurio? Anche suo nonno, il precedente sovrano portava il Marchio di Enuwiel e il suo regno è stato perennemente sull'orlo del baratro.
Immagino che solo il tempo possa fornire una risposta a questi dubbi.
Ieri notte ho fatto un sogno insolito. Stavo correndo e al mio fianco c'era Lucas con una ferita all'altezza del petto che sanguinava copiosamente. Mi sono trovata ad invocare l'aiuto di Sebastian, ma da lui non mi è giunto alcun aiuto.
All'improvviso un muro di fuoco mi è parso di fronte e sono stata inghiottita dalle fiamme.
Mi sono svegliata con l'odore di carne bruciata tra le lenzuola. [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
G
uardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 

Il sole stava tramontando, ma la luce scaturita dalle fiamme riusciva ad illuminare quella zona a giorno.
Michele tossì mentre una nuvola di cenere bollente lo investiva, facendogli perdere la stabilità nel volo. La morsa della mano sull'elsa della sua spada si fece più ferrea e l'angelo spalancò le ali in tutta l'ampiezza che gli era consentito. Un vortice di piume dorate lo avvolse, infondendogli maggior coraggio.
Il suo sguardo si perse sulle macerie della città. Erano nove giorni che l'incendio si propagava nella capitale di quell'Impero. Roma stava cadendo e insieme a lei, non c'erano dubbi, sarebbe scomparsa una colonna portante del destino di quel mondo.
Lucifero aveva attuato un buon piano portando a compimento la distruzione della capitale.
"Sarà la fine della città eterna?" si chiese in un sussurro.
"Michele!" lo chiamò Rafael alle sue spalle. Dalla sua voce intuì che l'angelo doveva essere preoccupato. In pochi secondi lo ritrovò davanti stanco e stremato dal protrarsi dei combattimenti. Il volto di Rafael, in quel momento, non aveva nessuna delle caratteristiche infantili che gli erano proprie. I capelli biondi erano sporchi di sangue e polvere, gli occhi si muovevano incessantemente alla continua ricerca dei nemici e le ali fremevano impazienti.
"Cosa succede?" domandò irrequieto.
"Uriel ha riportato gravi ferite. Deve tornare nell'Eden per potersi rigenerare." commentò l'angelo, passando distrattamente una mano sul suo arco.
"Al momento ciò non è possibile. A nessun angelo è concesso varcare i Cancelli dell'Eden." spiegò, dirigendosi nuovamente verso la città.
"Ma in questo modo..." fece per ribattere Rafeal.
"In questo modo l'Eden non correrà il rischio di una guerra entro i suoi confini." Gli rispose Michele. "L'obiettivo di Lucifero è l'Eden. Se i cancelli resteranno chiusi non esiste modo per lui di varcare quei confini."
Osservò Rafael dargli le spalle e sospirare nervoso. La presa sulla sua lama si fece più incerta. Era, forse, deluso dalle sue parole?
"Roma è destinata a cadere?"
Sotto di loro la gente si affannava verso il Tevere, alla ricerca di acqua e di un modo per fuggire dalle fiamme che stavano divorando l'intera città.
"Se deve cadere, cadrà." commentò Michele. "Ma no. Non è ancora giunta la sua fine. Passeranno oltre duemila anni prima che ciò accada."
Rafael lo raggiunse afferrandolo per le spalle, nello sguardo una scintilla di terrore. Si chiese se avesse in qualche modo capito ciò che si sarebbe verificato in quell'arco di tempo. Scosse la testa e fletté le ginocchia per prepararsi all'atterraggio.
"Tu conosci gli scritti." riprese allontanandosi da lui. "Verrà, infine, il tempo di Azrael e Abbadon che ..." recitò a memoria.
"Conosco quelle parole." tagliò corto Rafael, incoccando una freccia.
I loro piedi toccarono contemporaneamente il suolo. Una colonna di marmo cadde spezzandosi in due parti, mentre la nube di
fumo e cenere si dirigeva a ovest, verso il centro della capitale.

Michele si concesse un breve sorriso a quelle parole, ma che presto lasciò il posto ad una collera amara quando individuò due Segugi assalire un gruppo di cittadini in fuga.
"Lasciali a me." decise Rafael tendendo l'arco d'argento e colpendo i due demoni con una precisione incredibile. Entrambi i Segugi crollarono al suolo, bagnando il terreno con il loro sangue infetto. Nero, come gli abissi a cui erano destinati.
"Maledizione!" inveì Rafael dopo aver dato un'occhiata alla sua faretra. "Sto finendo le frecce." proseguì frustrato.
Un rumore alle loro spalle gli fece voltare e Michele si ritrovò a fissare due profondi occhi azzurri della stessa intensità del mare in tempesta. Appartenevano ad una ragazza di carnagione chiara con lunghi capelli biondi ed un fisico allenato. Indossava una lunga tunica bianca, rovinata sui bordi e macchiata di sangue. In mano reggeva una lucente spada nera con incastonata nell'elsa una pietra celeste.
Quel gioiello gli sembrava vagamente familiare, ma non riusciva a ricordare cosa fosse o a cosa servisse.
Per qualche motivo, Michele dubitò che si trattasse di una serva di un nobile romano così come una schiava dei Caduti. Le sembrò spaesata, confusa, come se non sapesse cosa ci facesse lì in quel luogo di fiamme e sangue.
Prima ancora di rendersene conto la osservò ruotare su se stessa e recidere con un colpo netto la testa di un altro Segugio.
"Che cosa?" commentò Rafael stupefatto.
Ansimando la ragazza si voltò nuovamente verso di loro e scattando in avanti si dileguò dietro ad un palazzo in fiamme.
"Resta qui!" ordinò Michele. "Io inseguo la ragazza." Tirò indietro le ali, provocando un leggero spostamento d'aria.
Corse lungo gli stretti vicoli della città, mentre attorno a lui il fuoco raggiungeva calori insopportabili e l'odore del fumo si mescolava a quello della carne bruciata. Le rovine di un tempio dedicato al dio della guerra giacevano al suolo, tra cadaveri e braci ardenti, ma lui non se ne curò. Saltò sul tetto della costruzione vicina ed osservò la figura femminile che agilmente si stava facendo largo tra un gruppo di cittadini e vampiri.
Utilizzava una raffinata tecnica di combattimento e sembrava sapere esattamente come dovevano essere uccisi determinati tipi di demoni. Tre vampiri caddero ai suoi piedi, mentre due Segugi si allontanarono da lei diretti verso il centro di Roma.
La guardò mentre appoggiava la schiena ad una colonna di marmo bianco e socchiudeva gli occhi sfinita dai combattimenti e dalla fuga.
Era bella, di una bellezza che non riusciva a comprendere. Se doveva fare un paragone, la ragazza assomigliava alla figura di Lilith precedente alla sua vita nell'Eden. Scacciò i pensieri di quella traditrice dalla mente e tornò a concentrarsi sulla sconosciuta.
Aveva ripreso a correre, ma zoppicava vistosamente e la ferita al fianco le impediva di muoversi come avrebbe voluto. La spada grondava sangue e Michele non riusciva a capire dove iniziasse il sangue dei demoni e finisse il metallo scuro dell'arma.
Tornò al suo inseguimento senza conoscerne nemmeno lui il motivo.

 

 

Il paesaggio mutò poco a poco senza che lui se ne rendesse realmente conto. Roma aveva lasciato il posto ad una landa desolata di detriti e polvere. L'erba era pressoché inesistente e la poca che c'era era gialla anziché verde.
La ragazza continuava a correre e per qualche strano motivo lui faticava a starle dietro.
Attraversarono una foresta e poi un'altra ancora, mentre pioggia e neve si scagliavano con violenza sui loro corpi stremati. Infine, apparve il mare ed una striscia di costa ambrata.
La ragazza si gettò sui granelli di sabbia, lasciando scivolare la spada a terra ed osservò il cielo. Sembrava quasi che stesse aspettando un segno della presenza di qualcosa.
Michele le s'avvicinò, sfiorandole la spalla quasi timoroso. Cos'era quella sensazione nostalgica che l'aveva assalito all'improvviso? La ragazza sobbalzò, ma solo dopo alcuni secondi alzò il volto per incontrare il suo. Non sembrava sorpresa o impaurita nel trovarlo lì. Michele ebbe la forte sensazione che lei lo stesse aspettando.
"Chi sei?" domandò, facendo vibrare le ali alle sue spalle. La ragazza si portò una mano alla gola e scosse la testa sconsolata.
"Non puoi parlare?" era sorpreso.
La vide afferrare la spada e tracciare delle linee sulla sabbia. Erano lettere, disegnate con una cura quasi eccessiva.
"Clare." mormorò dopo aver letto. "È questo il tuo nome?" Clare annuì ed un lieve sorriso le comparve sul volto.
"Non è un nome latino. Non ho mai sentito il suono di questo nome a Roma." osservò interessato. "E anche il tuo modo di combattere è insolito." continuò.
Clare annuì comprensiva. Si sedette nuovamente e premette le mani sulla ferita al fianco.
"Da dove vieni?"
La ragazza scosse la testa e una piccola smorfia di dolore le comparve sul volto.
Michele si chinò su di lei e le sfiorò la ferita. Esitò un solo istante, ma fu sufficiente.
Clare sparì sotto i suoi occhi.
Al suo posto rimase un bocciolo di rosa bianca.

 

***

 

Michele si risvegliò sudato tra le lenzuola della fortezza di Shang. Si portò una mano alla testa, mentre una fitta di dolore si propagava sulla sua schiena nel punto dell'attaccatura delle sue ali. L'aveva sognata anche quella notte o meglio aveva ricordato il loro primo incontro.
Tuttavia qualcosa era cambiato. I suoi ricordi si erano mischiati al sogno, rivelandogli una realtà distorta e sbagliata.
Ma è stato così reale.
Loro non si erano mai conosciuti in quel lontano passato, esattamente come non si erano mai visti nel presente. Per quale motivo si fossero visti tra le rovine di Roma a lui non era dato saperlo.
Michele sospirò mentre un intenso profumo di rose selvatiche lo avvolgeva. Gli sembrava così fuori luogo ma allo stesso tempo
così familiare quell'odore.

Seduta scompostamente sulla poltrona alla sua destra, Freya dormiva con il volto imbronciato e non sembrava essersi accorta del suo risveglio.
C'era qualcosa di terribilmente sbagliato in quella ragazza che non riusciva a spiegarsi. Qualcosa di oscuro dimorava nel suo animo ed era profondamente legato ai misteriosi poteri che sembravano manovrare le sue azioni.
Si lasciò cadere sul cuscino e le palpebre gli divennero nuovamente pesanti.
Addormentandosi non si accorse dei luminosi occhi viola che lo stavano scrutando con attenzione.

 

***

 

La tempesta di sabbia lo colse impreparato e Michele si dovette riparare gli occhi con l'ausilio delle ali per resistere a quelle forti raffiche di vento.
Stava nuovamente sognando frammenti del suo passato e da qualche parte avvertiva anche la presenza di Clare.
Socchiuse gli occhi, sperando di poter osservare meglio ciò che lo circondava. Una distesa di sabbia e paesaggi rocciosi. Ricordava quel luogo, anche se la sua presenza lì era stata piuttosto breve.
Le Crociate.
Non aveva dubbi sul fatto di trovarsi a poca distanza da Gerusalemme.
Volare era impossibile a causa della tempesta, perciò si impose di camminare.
I piedi affondavano nella sabbia fino alle caviglie e più il tempo passava più cresceva dentro di lui l'inquietudine di non essere in grado di ritrovare Clare.
Davanti a lui si mostrarono i cadaveri di un gruppo di soldati crociati, orribilmente mutilati e semisepolti dalla sabbia. Una croce rossa su casacche bianche spiccava tra i corpi, simbolo di una guerra senza senso.
Ricordò con rammarico che Lucifero era giunto fin lì per portare discordia ed inganno. La sua avversione per il genere umano sembrava non conoscere limiti. Scatenare guerre e provocare intrighi tra le corti dei sovrani europei erano i suoi passatempi preferiti in quell'epoca. Non che nelle successive si fosse comportato diversamente, rammentò.
L'intensità del vento era diminuita e anche la vista si era fatta più nitida. Michele si guardò alle spalle, mentre una folata di aria calda gli solleticava le piume delle ali.
Un Enteriano ed un Segugio lo stavano raggiungendo.
La mano si chiuse sull'elsa della spada e la lama vibrò avvertendo la presenza dei suoi nemici naturali. Portò il braccio teso in avanti, mentre con una certa soddisfazione osservava le pose difensive che avevano assunto i nemici.
Gli occhi di ghiaccio del Segugio indugiarono su di lui per osservarne i movimenti mentre quelli famelici dell'Enteriano puntarono alla base del collo. I canini si allungarono come zanne, e il demone scattò in avanti puntando la lama al suo petto.
Michele non attese oltre e lasciò che le sua spada s'incrociasse con quella nemica. Il Segugio caricò dal lato sinistro, ma lui lo schivò con facilità lasciando che si schiantasse contro il compagno.
Quando ringhiando e sbavando tornò ad attaccarlo, Michele gli conficcò la lama nel dorso della schiena. Il rumore di ossa spezzate e la sensazione dei muscoli recisi non sortirono un particolare effetto in lui. Il Segugio tentò di artigliarlo con le zampe anteriori, ma il suo proposito si perse in una serie di rantoli e ringhi sommessi.
Quando estrasse la spada il sangue del demone zampillò fuori dalla ferita, macchiandogli il braccio e rivelando una lama nera. Non se ne curò, abituato fin troppo a dover affrontare quelle creature infernali.
Il suo sguardo tornò a posarsi sull'Enteriano che aveva ripreso in mano la spada ed aveva calato su di lui un fendente dall'alto. Aveva un aspetto minaccioso, come tutti gli altri suoi simili. Gli Enteriani erano perfette macchine assassine che bramavano solo la battaglia. Il busto ed il volto avevano un aspetto umano, ma le gambe e le braccia, dotate entrambe di grande forza e velocità erano ricoperte di squame nere e rosse. Erano provvisti di lunghi artigli e il loro unico punto vulnerabile era il petto, di solito protetto da spesse armature.
Mentre si gettava di lato per schivare il colpo, spalancò le ali e lanciò l'arma nel cuore dell'Enteriano che preso alla sprovvista non ebbe neanche il tempo di gridare.
L'armatura si sciolse come ghiaccio al sole quando la lama la perforò.
Michele sorrise. Le armi umane non potevano provocare gravi danni agli Enteriani, ma le spade angeliche erano differenti.
L'angelo recuperò la spada dal cadavere, prendendo con sé anche il pugnale posseduto dall'Enteriano e si lasciò le sue vittime alle spalle.

 

 

Dalla piccola sporgenza rocciosa su cui si trovava, Michele riusciva a scorgere con una certa difficoltà i dettagli del paesaggio sottostante. Gerusalemme era un piccolo punto all'orizzonte, circondata dagli eserciti nemici e prossima a cadere.
Più in basso, poco lontano da dove lui si trovava, affacciata ad un pozzo semi prosciugato stava Clare.
Era esausta. Le gambe erano malferme, mentre cercava di issare sul terreno il secchio contenente la poca acqua che era riuscita a raccogliere. Il vestito che le aveva visto addosso a Roma era stato sostituito da un ampia veste rossa e grigia.
La spada nera, attaccata alla cintola con un rude pezzo di stoffa, stonava enormemente con quell'abito.
La osservò bere avidamente, mentre alcune gocce le scivolavano sul collo. Quando ebbe finito crollò sulla sabbia del deserto nascondendo il viso tra le mani e rannicchiandosi su se stessa.
Sollevato nel constatare che lei fosse al sicuro, Michele aprì le ali e si lasciò scivolare sull’orlo della voragine. Respirò a pieni polmoni quell'aria calda che cullava dolcemente il battito delle sue ali. Da quanto tempo non si era sentito così bene? Shaber l'aveva rinchiuso in quella fredda fortezza del nord, strappandogli le ali che per tanto tempo erano state il suo più grande orgoglio.
Eppure in quei sogni, dove Clare era presente, poteva illudersi che gli ultimi avvenimenti della sua vita fossero solo miraggi.
I suoi piedi affondarono nella sabbia con delicatezza e lo sguardo della ragazza vagò su di lui con curiosità. Inclinò la testa di lato e gli sorrise timidamente.
"Mikhail..." mormorò Clare.
L'angelo assunse una postura più rigida. Era maggiormente sorpreso che conoscesse il suo vero nome più che per il fatto che aveva espresso quel semplice concetto a parole. Non era la prima volta che riusciva a sentire la voce della ragazza, ma era comunque strano per lui interagire con un anima che vagava libera nei suoi ricordi.
Era una voce stanca, provata, di chi è sull'orlo dello sfinimento.
E Clare era davvero stanca. La vide chiudere gli occhi per alcuni secondi ed appoggiare il capo sulla spalla.
Michele le passò accanto, afferrando il secchio di legno e gettandolo nel pozzo. Dopo qualche minuto strinse la corda del contenitore e lo riportò in superficie. Si voltò, cogliendo di sorpresa Clare che era rimasta intenta ad osservarlo. La mano era vicina all'elsa della spada, indecisa se sfoderare o meno l'arma.
"Non ti farò del male." la rassicurò Michele, tendendole il vecchio secchio pieno d'acqua.
Clare sospirò. "Lo so. Non lo hai mai fatto." rispose, passando un dito sulla pietra celeste che incorniciava la spada. "Mi stavi cercando?"
"Sì." ammise l'angelo, poggiandosi sull'orlo del pozzo.
"Sono io ad averti chiamato. Deve essere accaduto durante lo scontro con Vlad Tepes. Ed ora siamo entrambi prigionieri. Io dei tuoi ricordi, mentre tu..." scosse il capo. "Tu sei prigioniero di un vescovo." continuò rassegnata.
L'angelo annuì, ricordando il momento in cui le aveva raccontato quel dettaglio poco piacevole.
Michele si irrigidì. Dunque i suoi sospetti erano fondati. Lucifero ed i suoi demoni erano stati liberati grazie al potere della Pietra di Cristavia e lo stesso potere lo aveva strappato dai suoi doveri nell'Eden.
"Hai combattuto con Lucifero?" si informò l'angelo.
"Lucifero?" ripeté Clare confusa. "Ah, già..." bisbigliò. "È così che nei tuoi ricordi si fa chiamare Vlad."
"Questo era il mondo, migliaia di anni fa. Prima dello scoppio della Seconda Guerra Celeste. Da allora ogni cosa ha subito numerosi cambiamenti. Gli oceani hanno inghiottito terre e lasciato emergere nuovi continenti. Il progresso che era stato conquistato con così grande fatica dagli uomini è andato perduto."
Clare si limitò ad annuire, prendendo coscienza dei fatti senza intromettersi in alcun modo nella sua spiegazione.
"I cambiamenti sembrano essere inevitabili." allungò la mano dietro le spalle sfiorando le piume dorate delle sue ali. Rabbrividì al tocco e si chiese che aspetto avrebbero assunto nella realtà se avesse dovuto farne ricorso. Non avrebbero più potuto raggiungere la loro antica gloria.
"Sai dove si trova la Pietra di Cristavia?" domandò Michele, mentre una ciocca di capelli gli scivolava sul volto.
Una folata di vento li investì, costringendoli a trovare riparo dietro alcune rocce lì vicine. Si sedettero l'uno al fianco dell'altra ed attesero che l'aria si placasse.
"Tu la vuoi distruggere." annotò Clare con un certo disappunto. "Tuttavia, non ho idea di dove si trovi al momento. Una volta il suo posto era qui." disse indicando il scintillante cristallo azzurro posto nell'elsa della sua spada.
Michele allungò la mano, sfiorando i contorni della Pietra e allo stesso tempo, Clare allontanò la sua.
"Cercami ed io ti dirò chi possiede la Pietra." proseguì la Guardiana.
"Non sei al sicuro in questi miei ricordi." ammise Michele. Si alzò in piedi, irrequieto. Presto si sarebbe svegliato e l'avrebbe persa di vista nuovamente. Era preoccupato e non tanto perché sapeva che Clare era libera di vedere e osservare parte del suo passato, ma per la consapevolezza che la maggior parte dei suoi ricordi erano collegati ai periodi più bui e burrascosi della storia umana. Un passo falso in quella particolare dimensione onirica avrebbe potuto significare la morte di Clare.
"Sopravvivrò, fino a quando non mi avrai trovato." precisò, alzandosi anche lei. "Delle persone stanno aspettando il mio ritorno." disse.
Michele non ribatté, chiedendosi il motivo per cui lei sembrava riporre tanta fiducia in lui. Anche la prima Guardiana, l'unica che lui avesse conosciuto prima di Clare, aveva seguito ciecamente le parole di Enuwiel. Ciò che si era scatenato in seguito erano circostanze a cui preferiva non pensare.
"Non dovresti riporre così tanta fiducia in uno sconosciuto." le fece notare.
"Davvero? Mi consideri una sconosciuta dopo tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme nei tuoi sogni?" assunse un'espressione accigliata.
No, Michele non la considerava più una sconosciuta da molto tempo, ma la sua presenza era ancora qualcosa che riusciva a turbarlo e a rincuorarlo nel medesimo istante.
Clare sporse la testa oltre la roccia in cui si erano rifugiati e analizzò il paesaggio circostante. Al momento non sembravano esserci nemici di alcun genere all'orizzonte. "Tu sei la mia speranza Mikhail." sussurrò.
E prima che lui potesse rispondere, tutto ciò che lo circondava fu risucchiato in una spirale di immagini sfuocate e si ritrovò a fissare l'ormai familiare volto di Freya Gadamath.

 

 

 

 

 

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Disegni realizzati da KumaCla :
Clare
Freya
Lilith
Trailer di CS: Primo e Secondo
Questa è una raccolta realizzata _BlackRose_ su vari personaggi di CS.
La raccolta di missing moments su CS realizzata da me: qui La raccolta di missing moments su Cs realizzata da me: QuiL

 

 

 

Ed eccoci qui! Dunque ora sapete che il mondo in cui sono ambientate le vicende di CS non è altro che una versione futura, molto futura-ed anche AU- xD, del nostro. L'incendio di Roma è quello famoso avvenuto nel 64 d.C. ad opera di Nerone u_u
E finalmente Clare ha fatto il suo ritorno! *_* Cosa ne pensate? *W* La mia adorazione per Michele è salita alla stelle, sappiatelo! XD
Lol, torno a studiare u_u Fatemi sapere le vostre impressioni sul nuovo capitolo! Le vostre opinioni mi portano a dare il meglio in quello sucessivo :D
Potete trovarmi sul forum: Qui
A presto!

By Cleo^.^

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Sovrannaturale

La rivincita delle acque



 

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Capitolo 12
*** Fragments of Soul ***







11

Fragments of Soul

 

 

 

[...]Il dottore dice che è un miracolo che io sia sopravvissuta. Sostiene anche che la possibilità che io rimanga nuovamente incinta è molto bassa.
Lucas si aggira per casa dando ai domestici compiti insensati. Si sente impotente e continua ad inveire contro Sebastian. Non comprende quanto io ho bisogno di quel vampiro. Nessuno tranne un Rainsworth può capire il profondo legame che unisce "l'oggetto" del contratto e il suo contraente.
Per questo ho lasciato casa per trasferirmi nella capitale con la sola compagnia di Sebastian.
Staremo bene. La regina Galatea ha provveduto affinché la servitù sistemasse ogni dettaglio per la nostra permanenza. L'ho anche pregata di non fare parola di ciò con Lucas. Ho bisogno di tempo per riflettere e da dedicare a me stessa.
Sebastian mi gira sempre attorno, pronto ad aiutarmi per ogni evenienza. Non so cosa pensare di questo lato così premuroso del suo carattere. [...]
Mi ha persino rivelato di aver avuto una relazione con nonna Cassandra. Dubito che la mamma ne sia a conoscenza perché non credo potrebbe mantenere un simile rapporto di fiducia con lui. Ad ogni modo lei non ha mai avuto il tempo di conoscere la nonna, quindi... [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 

 
"Svegliati" sibilò Freya, scuotendo violentemente Michele dai suoi sogni. Il suo sguardo vagava irrequieto da un angolo all'altro della stanza. Una sensazione opprimente al petto le suggeriva che qualcosa di poco piacevole stava avvenendo tra le mura di Shang.
Michele si mise a sedere, osservando con poco interesse l'espressione angosciata della ragazza.
"Sta succedendo qualcosa." spiegò Freya, facendo un cenno verso la finestra. "Le guardie hanno dato l'allarme."
L'angelo borbottò qualcosa. "C’è un piccolo gruppo di demoni. Segugi, per la precisione. Si sono appostati al confine della città, in attesa che qualche soldato esca. Sono affamati e in caccia di prede." osservò Michele che sembrava ben poco contento che lei lo avesse svegliato. "Tra un paio di giorni però, è plausibile credere che arriverà un gruppo maggiore per distruggere Shang."
"Perché lo fanno?" domandò Freya spazientita da quell'atteggiamento freddo e distaccato dell'angelo.
"Ordini di Vlad Tepes, immagino. Oh, ma ci sono così tanti motivi." mormorò pensieroso.
Freya si portò un mano ai capelli, scuotendo la testa. Era stufa di tutti quei misteri, di quelle frasi interrotte a metà, prive di alcun senso logico per lei. Perché non poteva esserle spiegata ogni cosa? Come a voler rispondere ai suoi dubbi Michele cominciò ad esporre le sue teorie e lei si rese conto con frustrazione di non riuscire a seguire i suoi ragionamenti.
"Basta!" lo fermò Freya, alzando il palmo della mano nella sua direzione. "Dimmi solo se hai intenzione di combattere o se lascerai la città in balia di se stessa."
Michele si sfilò le coperte e si sedette sul bordo del letto.
"I demoni sono i nemici naturali degli angeli." replicò risentito. "Tuttavia, persino io, nella situazione attuale potrei soccombere." Si alzò in piedi osservando i movimenti concitati della gente nella piazza sottostante. "Trova l'arma che era con me e ne riparleremo."
"Non può andare bene una delle tante spade custodite nell'armeria?" obiettò Freya.
Michele si voltò nella sua direzione con aria furente.
"No" rispose stizzito. "Le spade comuni, si scioglierebbero tra le mie mani come ghiaccio sul fuoco. Non resisterebbero molto a stretto contatto con la mia pelle. Durante i combattimenti non posso trattenere la forza del mio spirito, della mia anima. Perfino gli esseri umani verrebbero consumati se guardassero direttamente la luce che gli angeli sprigionano."
Freya sospirò, annuendo. Le spettava un altro compito ingrato, ma per lo meno quella spada avrebbe potuto aiutare Michele e di conseguenza anche lei.

 

 

L'armeria era al piano inferiore del palazzo, posta direttamente sopra le prigioni in cui Freya aveva passato giorni assai poco gradevoli. Occupava un'intera ala della fortezza ed era sorvegliata da quattro guardie in tenuta da combattimento.
Lei passò davanti all'entrata con disinvoltura, gettando uno sguardo all'interno e sorpassandola fino alla parete successiva, dove svoltò l'angolo.
Respirando a pieni polmoni osservò compiaciuta che nessun soldato sembrava aver fatto caso a lei. Distrattamente sistemò le pieghe dell'abito e quando rialzò lo sguardo intravide il piccolo Arthur raggiungerla con il fiatone.
"Signorina Freya!" esclamò tossendo.
"È successo qualcosa?" indagò, chinandosi in avanti.
Arthur girò su se stesso un paio di volte prima di tornare a rispondere. I capelli erano tutti aggrovigliati e gli occhi indicavano che il bambino si fosse svegliato da poco tempo. "I demoni hanno attaccato Shang. Non ha sentito, signorina Freya?" domandò, spalancando la bocca.
Freya annuì, mentre si sporgeva dal muro per poter osservare meglio le guardie dell'armeria. Tre dei soldati presenti, i più giovani, sembravano irrequieti. Le mani stringevano convulsamente le spade al loro fianco e la Guaritrice si chiese il motivo di quel nervosismo. Michele non aveva detto che c'era solo un piccolo branco di demoni inferiori?
"Vai da tua madre." intervenne Freya che non aveva il tempo materiale per badare ad Arthur. "Dille di raccogliere le vostre cose e qualche provvista, forse dovrete abbandonare la città." spiegò.
"La signorina Freya ci proteggerà!" affermò ingenuamente, stringendole la mano.
Freya scosse la testa, sospirando. Quel bambino di otto anni a volte era decisamente irritante. La seguiva ovunque, senza mai lasciarle il tempo di trascorrere del tempo in solitudine. Tuttavia, la Guaritrice si ritrovò a ricambiare la stretta sulla sua mano e a fargli qualche cenno affermativo.
"Adesso, vai." ordinò con una strana urgenza nella voce. Si ritrovò ad osservarlo correre mentre una fitta allo stomaco rischiò di mozzarle il respiro.
Aveva fame. Ancora. Era più corretto dire che aveva continuamente fame. Mangiava e mangiava, ma nulla sembrava saziare il suo appetito. La cosa cominciava a preoccuparla.
"Sai di cosa abbiamo bisogno."
Freya scosse la testa, mentre la voce della sua coscienza si faceva più flebile. Erano due giorni che aveva cominciato a sentire i sussurri di quella voce malevola. Eppure era lei. Era una parte di sé, nascosta nei recessi più oscuri del suo cuore.
I consigli che la voce le proponeva erano estremamente invitanti. L'altra Freya era una minaccia per il suo equilibrio interiore. Ciò che lei desiderava andava contro tutti i principi di Freya.
"Usami. Usaci." propose la voce. "Stacchiamo la testa di quegli umani e poi banchettiamo con..."
"Silenzio." sibilò Freya. Si appoggiò nuovamente al muro, ansimando per lo sforzo di tenere a bada quella presenza indesiderata. Le mani che avevano visto dare alla luce neonati e che avevano cullato i vecchi nel loro ultimo viaggio terreno, stavano tremando.
Barcollando in avanti mosse qualche passo verso le guardie. Si sforzò di assumere un'aria più rilassata, irrigidendo il busto e puntando lo sguardo in avanti.
"Il vescovo..." esitò. "Il vescovo desidera che gli siano portate le sue armi." annunciò, guardando uno dei soldati più giovani che aveva estratto per metà la spada dal fodero. "Sono venuta a prenderle." inventò.
"Lasciatela passare." acconsentì l'uomo più anziano.
"Sciocchi esseri umani." li derise l'altra se stessa.
E Freya si ritrovò a sorridere di quella constatazione.
Varcò la porta con una strana euforia, dimentica della paura che aveva provato fino a qualche istante prima.
"Così deboli, così patetici. I vampiri distruggeranno questa città. Lasciali a me. Lascia che soddisfi la fame che ci sta distruggendo. Solo qualche soldato. Solo..." ma Freya non la lasciò continuare con i suoi vaneggiamenti.
Si concentrò sulle armature, sulle casacche recanti l'insegna di Shang e della Antica Religione e sulle armi appese ad ogni mensola e parete.
Spade, pugnali, archi, lame ricurve e mazze ferrate. Quel luogo era la patria di un piccolo esercito.
Michele le aveva dato precise indicazioni su come fosse l'aspetto della spada che Shaber gli aveva rubato.
"D'argento con filamenti dorati." ripeté ad alta voce, ignorando gli sguardi dubbiosi che le rivolgevano i soldati. Si sottrasse alla loro vista nascondendosi dietro ad un mobile stracolmo di lance e scudi. Ci mise diversi minuti prima di comprendere che per trovare l'oggetto in questione avrebbe dovuto estrarre quasi ogni lama dal fodero che la proteggeva.
Facendo attenzione affinché nessuno la vedesse trafficare con le spade, cominciò ad esaminarle una per una.

 

 

Quando a pomeriggio inoltrato si recò nuovamente nella camera che condivideva con l'angelo, quest'ultimo la degnò appena di uno sguardo quando lei sbatté la porta alle spalle. Era in piedi con indosso una camicia ed osservava la piazza sottostante al balcone. Il sole stava tramontando e Michele picchiettava le dita sul ripiano della finestra.
"Mi sono sbagliato." annunciò, continuando a darle le spalle. Freya sospirò, chiedendosi su quale punto di preciso avesse sbagliato.
"Fra meno di un'ora i vampiri attaccheranno." disse, voltandosi verso di lei. "Mi occorre quella spada e la chiave per liberarmi da queste catene."
Freya non perse tempo, chiedendogli come fosse a conoscenza del fatto che i demoni avrebbero attaccato, troppo presa ad elaborare ciò che quelle parole implicavano.
"I morti non si conteranno se hanno intenzione di annientare Shang."
Freya annuì, tremante di fronte a quella verità. La mano si spostò impercettibilmente verso il corto pugnale da lancio che era riuscita a trafugare dall'armeria.
"Quell'arma non ti servirà a molto contro segugi o enteriani." specificò cogliendo il bagliore della lama. "Trova Shaber. Deve avere lui la mia spada ed anche la chiave. Fai presto." aggiunse con una certa ansia nella voce.
"Stupido angelo." commentò l'altra Freya. "Avrei voluto essere io a strappargli le ali."
"Hai detto qualcosa?" chiese Michele con espressione accigliata.
"N-Niente." balbettò Freya muovendo freneticamente il capo. Si portò una mano al petto ed i capelli le scivolarono in avanti, rivelando sottili ciocche di colore nero. "Vado a cercare Shaber." decise la ragazza, domandandosi come facesse Michele ad intuire ciò che si agitasse tra i suoi pensieri.

 

 

I corridoi erano stranamente ben illuminati ed i soldati correvano in ogni direzione urlando ordini che Freya non riusciva a comprendere. Non che la cosa avesse molta importanza. Se i demoni cercavano Michele non c'erano dubbi che avrebbero ridotto al suolo Shang e con essa il misero esercito di Shaber.
Suoni di armature che si scontravano tra loro e i versi di animali notturni creavano un'irreale atmosfera di attesa.
Spinta da un'impellente sensazione di pericolo, Freya accelerò il passo. I gradini delle scale apparivano ostacoli insormontabili per una persona come lei che era piuttosto impacciata nei movimenti.
Scivolò sui suoi stessi vestiti e dovette afflosciarsi contro il muro per evitare che alcuni soldati, nella foga dei loro movimenti, la calpestassero come una bambola di stracci.
"Muovetevi!" gridò un uomo che Freya non riuscì ad individuare. "Servono rinforzi al cancello." sbraitò un altro.
Una torcia cadde ai piedi della Guaritrice che con un calcio la allontanò velocemente da sé. Si rimise in piedi, appoggiandosi al muro, e si avvicinò ad una delle finestre per poter osservare ciò che stava accadendo.
Una colonna di polvere si confondeva con le luci del crepuscolo.
Il cancello stava cedendo.
Freya strinse la presa sul balcone di pietra. Stava tremando, ma non per il motivo giusto. L'altra Freya era agitata, smaniosa di lanciarsi nella battaglia, eccitata dal sangue e dal dolore.
Una parte di lei non riusciva a fare a meno di condividere quel pericoloso entusiasmo.

 

***
 

 

Non mancava molto. Presto gli ultimi raggi di sole sarebbero stati inghiottiti dalla notte e la luna, sua compagna e protettrice, avrebbe ripreso il posto che le spettava di diritto nel cielo.
Dahan Lyufort incrociò le braccia al petto ed il suo sguardo vagò soddisfatto sul corpo
seminudo e all'apparenza indifeso della sua amante. In altre circostanze la sua mente non avrebbe avuto altri pensieri che per la battaglia imminente, ma la città di Shang contava su difese vecchie di secoli, uomini mal addestrati e su un angelo che aveva visto tempi migliori.

Davanti a lui la sagoma della città-fortezza era una macchia indistinta, che si sarebbe occupato di far cancellare dalle mappe geografiche.
Nascosta sotto le fronde di alcuni alberi per ripararsi dalla luce, Cassidy lo invitò con un cenno ad avvicinarsi nuovamente a lei.
Dahan sorrise, mettendo in mostra la sua dentatura perfetta. Si chinò sull'amante e le sue mani artigliate, sfiorarono il volto della vampira procurandole un lieve taglio, che si rimarginò alla stessa velocità in cui si era formato. Solo una goccia di sangue rimase testimone di quella ferita.
"Dahan." la voce di Cassidy era sensuale. Un sussurro che prometteva piaceri proibiti.
L'enteriano pensò che la costante presenza di Lilith aveva avuto un effetto straordinario sulla pallida vampira che si trovava di fronte. Erano, ormai, lontani i giorni in cui Cassidy appariva un pulcino privo di guida.
La vampira si alzò lentamente, sfiorando con disinvoltura il petto nudo del generale. Le sue mani indugiarono sui muscoli delle spalle, per poi andare a creare figure concentriche nella parte centrale del torace.
Dahan scosse la testa, come a volersi liberare di qualche pensiero spiacevole. Poi la sua attenzione si spostò nuovamente su Cassidy che si era aggrappata a lui, troppo intenta nel baciargli la base del collo per rendersi conto del suo sguardo.
Un lampo cremisi comparve negli occhi smeraldini della vampira che immediatamente sfoderò le sue zanne.
Dahan la strinse maggiormente a sé, gemendo quando i canini sprofondarono nella sua carne. Il morso di Cassidy era un dolore piacevole, diventato inevitabilmente familiare per l'enteriano.
All'improvviso la vampira si scostò da lui, un'espressione disgustata dipinta sul volto. Una scintilla di comprensione passò nel suo sguardo, ma si spense nel attimo stesso in cui i suoi occhi trovarono quelli di Lilith, nascosta ai piedi di un enorme frassino.
Dahan fece un cenno di saluto nella direzione della sua regina, chiedendosi che tipo di muto dialogo era avvenuto tra le due donne.

 

 

***


Lilith affondò le mani tra i capelli, ravvivandoli con un gesto brusco e immediato. La leggera veste verde che indossava l'aveva trovata in una delle piccole abitazioni all'infuori della città di Shang, abbandonata sul fondo di un armadio impolverato.
Dopo l'occhiata che aveva rivolto a Cassidy si era sforzata inutilmente di concentrarsi su altre questioni che non riguardassero la vampira.
Vlad era seduto, con la schiena appoggiata ad un frassino. Exaniha, la spada dorata, giaceva abbandonata sulle sue ginocchia, ricordando al proprietario il motivo della sua presenza in quel luogo.
"Il tuo giocattolo si sta rompendo, Lilith." commentò ad occhi socchiusi. "Lentamente la sua coscienza sta riemergendo in superficie. È solo questione di tempo. Cassidy, comincerà a ricordare ogni cosa. A quel punto non ti resterà altra scelta che ucciderla. Definitivamente."
Lilith sbuffò, contrariata da quella discussione. "Possiede un animo troppo debole. È così corrotto che rifiuterà la verità. Non le permetterò di ricordare. Dahan la terrà d'occhio."
Vlad aprì gli occhi, seguendo i movimenti del suo generale enteriano. Era uno dei suoi soldati più fedeli e devoti. Tutto in lui, dal suo aspetto massiccio al suo timbro di voce profonda metteva l'avversario in soggezione. "Sei irritata perché Dahan ha rubato una delle tue marionette, non è così Lilith?"
La Regina della Notte fece schioccare la lingua sul palato, profondamente infastidita. Esistevano momenti in cui trovava estremamente fastidioso sapere che Vlad conosceva così bene ogni suo desiderio, quando lei non poteva affermare la stessa cosa per il compagno.
"Non mi è mai piaciuto condividere i miei oggetti con altri esseri viventi.
"È vero." confermò Vlad. "Anche quando eri umana ti sei sempre dimostrata una creatura egoista." disse, stendendo le labbra in un tenue sorriso. "Ricordi come ci siamo conosciuti?"
Lilith lo ricordava. Nulla avrebbe potuto cancellare quel momento dalla sua memoria. Tuttavia, rimase in silenzio. I ricordi della sua precedente esistenza umana le procuravano spesso un fastidioso malessere interiore e non aveva intenzione di rivelare le sue debolezze negli istanti precedenti una battaglia.
Si chinò all'altezza di Vlad carezzandogli la guancia con il palmo della mano. Lo studiò con affetto, conscia che non sarebbe mai riuscita a separarsi da lui. Per centinaia d'anni aveva cercato in ogni modo di liberarlo dalla prigione in cui Enuwiel l'aveva esiliato e l'agonia della loro separazione era stata una sofferenza così profonda che Lilith rifiutava la possibilità che una cosa simile potesse accadere nuovamente.
Erano nati per stare insieme. Non aveva mai avuto rimorsi o dubbi sulle scelte che aveva fatto. Non era stato il caso a condurla da Vlad, così come non era stata una semplice coincidenza l'incontro con Mikhail
L'eternità era stata un dono, ma si era rivelata anche la peggior condanna.
Fu riscossa da un movimento improvviso di Vlad che si era spostato al suo fianco.
L'armatura argentea risplendeva di un lieve bagliore dorato alla fievole luce del tramonto. I lunghi capelli corvini nascondevano la parte superiore della schiena ed Exaniha vibrava irrequieta nel suo braccio destro.
Alcuni segugi avevano preso ad emettere un suono cavernoso, più simile ai nitrito di un cavallo che all'ululato di un cane. Con un movimento involontario, Lilith si coprì le orecchie.
Allontanò le mani poco dopo, quando quei lamenti fastidiosi cessarono di popolare lo spazio attorno a lei.
I demoni dall'aspetto animale si erano allontanati alla volta di Shang. I loro profili si stagliavano all'orizzonte come simbolo della potenza demoniaca. Erano solo una piccola avanguardia, un gruppo mandato a testare le difese della città-fortezza.
Lo sguardo gelido e tagliente di Vlad si posò su di lei, come a volerle carpire i pensieri dalla mente. Eppure Lilith individuò anche una nota di apprensione, nascosta dietro quella maschera di apparente freddezza.
Era la tipica espressione che le rivolgeva quando doveva allontanarsi da lei.
Vlad impugnò meglio la spada alzandola nella direzione opposta a quella dove si trovava Shang. “Devo affidarti il comando dell'attacco.” annunciò, senza mascherare una nota di insoddisfazione.
"Hai individuato il ragazzo?” lo interrogò curiosa.
"
Si sta dirigendo a Nord.”
"
Per quale motivo dovrebbe recarsi così lontano? Il suo obiettivo non era quello di far cadere il regno di Ziltar?”
Vlad rimase in silenzio, mentre il fruscio di alcune foglie secche gli annunciavano l'avvicinamento della consorte alle sue spalle.
"Forse...” si bloccò, scuotendo la testa.
"
Appari turbato, Lucifero.” gli fece notare la vampira, posando una mano su quella che reggeva Exaniha. L'arma emise un leggero bagliore, volendo quasi far notare il fatto che lei non fosse la legittima proprietaria. “Vincent Rainsworth è davvero così pericoloso? Al punto tale da doverlo temere?”
"
È intelligente. Non è una preda da poter sottovalutare. La Pietra di Cristavia è una minaccia nelle mani delle persone sbagliate. ”
"
Credi che nasconda qualche segreto?”
"
Un segreto...” bisbigliò Vlad. “Se di questo si tratta, ha interpretato alla perfezione il suo ruolo in questa partita.” la sua mano si posò sulla corteccia dell'albero in una carezza quasi premurosa.
"
Un nuovo giocatore ha preso posto sulla scacchiera?”
Il legno bruciò in una fiammata verde ed il tronco collassò su se stesso. Le ultime foglie rimaste appese ai rami scivolarono sul terreno, affogando in un manto di fumo.
Oltre i rami, Lilith individuò l'espressione corrucciata di Dahan.
"Siamo stati noi a dare il via a questa partita. Saremo noi a finirla.” asserì Vlad, dispiegando al vento le sue ali oscure.

 

 

 

 

 

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Angolo Autrice:

 
Ciao! :)

Presente! u__u Finalmente ha fatto la sua comparsa l'altra Freya che da qui in avanti avrà un ruolo sempre maggiore! :D

Ringrazio tutte le persone che seguono-commentano ed aggiungono la storia nelle varie statistiche! Grazie mille!!!

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Capitolo 13
*** Echo of the Spirit ***






12

Echo of the Spirit

 

 

 

[...] Oggi ho parlato con la regina. Galatea mi è parsa piuttosto stanca, ma la presenza di Edward la rende gioiosa.
Mentre l'ho accompagnata in una passeggiata nei giardini reali, Sebastian è rimasto con il principe. L'ho trovato che borbottava e lanciava sguardi esasperati a Edward. Non ha mai potuto sopportare i bambini.
Questo pensiero mi rallegra. Mi chiedo se anche con me si comportava così quando ero solo una ragazzina.
Frederich mi ha scritto nuovamente. Ci tiene a tenermi informata sui progressi di Vincent e insiste nel dire che assomiglia davvero molto alla madre. Gli ho risposto promettendogli che sarei andata a trovarlo.
[...] Ancora non ho notizie sul vampiro Alfa, ma la situazione sembra essersi calmata in città. Le aggressioni ai danni dei cittadini sono diminuite e finalmente posso tirare un sospiro di sollievo. [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 

La porta era aperta quando Freya varcò la soglia della stanza. Il pavimento era costituito da piastrelle quadrangolari di colore nero e bianco che si alternavano tra loro. Dal soffitto scendevano gemme di ogni colore e forma, tenute sospese a mezz'aria tramite un sottile filo di stoffa.
I mobili erano di legno scuro, ma a differenza delle altre stanze che aveva potuto vedere erano di una foggia molto semplice. Le tende poste alle finestre, le lenzuola e gli arazzi erano di un intenso colore rosso.
La Guaritrice rimase ad osservare quel luogo inquieta. Volse, appena, la testa a sinistra quando si accorse di una figura incappucciata china su uno scrittoio.
Avvolto in un mantello nero, Shaber stava esaminando alcune carte. Alle sue spalle, un bagliore dorato catturò l'attenzione di Freya che comprese immediatamente che doveva trattarsi della spada di Michele.
Un colpo di tosse fece agitare il mercenario che si mosse irrequieto sulla poltrona.
"Tu!" esclamò, indicandola con un dito.
Il volto era ancora coperto dalla maschera, ma Freya fu certa di vedere i suoi occhi roteare all'indietro. Alla luce del tramonto le pietre rosse proiettavano ombre inquietanti sui lineamenti dell'uomo.
"Uccidilo!" esplose la voce dell'altra Freya nella sua mente.
La ragazza deglutì, impacciata, di fronte a quella situazione. La spada era su un ripiano alle spalle di Shaber e lei doveva fare in fretta se voleva avere la possibilità di fuggire da Shang prima dell'attacco dei demoni.
Tuttavia aveva bisogno della chiave che l'uomo nascondeva per liberare Michele e l'unico modo per trovarla era di chiedere direttamente all'interessato.
"Siete sorpreso?" domandò Freya muovendo qualche passo di lato, mentre l'ex vescovo di Shang faceva lo stesso.
"Tu sei un abominio!" gridò, zoppicando. "La mia faccia!” tremò. “Mi hai costretto ad indossare una maschera, come i più vili dei traditori!" sbraitò tossendo.
"Voi mi avete plasmato, mi avete dato la vita. Siete voi il mio creatore." puntualizzò Freya. "Voi mi avete condotto al punto di non ritorno." spiegò, rendendosi conto solo in quell'istante di quanto quelle parole fossero vere. Era stato Shaber la causa di ciò che era accaduto. Era stato lui a costringerla ad utilizzare quel potere che lei detestava con tutte le forze.
"Uccidilo. Uccidilo, uccidilo!" cantilenò la voce. Sembrava trovare la situazione estremamente divertente.
Freya allungò le mani nella direzione di Shaber e quest'ultimo si portò le braccia al volto, quasi temendo una sua vendetta.
"Dovrete rinunciare al vostro folle proposito di varcare i Cancelli dell'Eden. In questo momento, i demoni stanno distruggendo le difese della città." pronunciò quelle parole con una calma che non le apparteneva.
"L'angelo ci salverà." ribatté lui con sicurezza.
"Pensate davvero che voglia salvarvi la vita dopo tutto quello che gli avete fatto?" si rigirò una ciocca di capelli tra le mani. "Apparite più stupido di quanto lasciate intendere."
Shaber incassò la provocazione senza ribattere
"Che cosa avete visto, quel giorno, nelle prigioni?" chiese indicandogli il volto.
Shaber afferrò uno dei grossi tomi che teneva sulla scrivania e lo lanciò sulla ragazza che tuttavia lo evitò facilmente.
"Ciò che ho visto..." esitò. "Un demone." la sua voce si spezzò, come se stesse sul punto di piangere.
Freya sorrise, quasi compiaciuta da quella risposta. L'altra Freya scoppiò in una fragorosa risata, acuta e tagliente.
"Un demone?" ripeté con tono di scherno. Con la mano sfiorò la pelle nuda del braccio sinistro, esaminandola alla luce di una lanterna. "Che tipo di demone credete che io sia?" c'era una nota di curiosità, ora, nella sua voce. "Un vampiro? Cosa esattamente?"
L'intenso rumore di una costruzione che cadeva al suolo, distrasse entrambi dalla loro conversazione. Una gigantesca nube di polvere stava salendo verso il cielo, creando i contorni di quella che a prima vista appariva come l'immagine confusa di una torre. Al boato seguì un breve silenzio, interrotto immediatamente dalle grida disperate dei cittadini e dagli ordini dei soldati.
Le vecchie mura di Shang erano crollate ed i massi che rotolavano nella città producevano un rumore simile a quello creato dallo scricchiolio delle braci in un camino.
I cavalli nitrivano e scalpitavano nelle stalle del palazzo e strani versi inumani sovrastavano il vociare della folla.
Dalla finestra, Freya non riusciva a vedere i demoni e nemmeno a capire quanti fossero, tuttavia era evidente che i soldati di Shaber non potevano quasi nulla contro la loro forza distruttrice.
"... ci salverà. L'angelo ci salverà..." continuava a ripetere il vescovo, quasi intonando una sottospecie di preghiera. Si era
appoggiato al balcone della finestra e lo stringeva con una forza tale che le mani avevano perso il loro consueto colorito.

"Sei stata tu!" esclamò furibondo volgendosi nella direzione di Freya. Non zoppicava più e una scintilla di pazzia brillava nel suo sguardo.
"Tu! Maledetto demone!" urlò. La maschera mutò quelle parole in un tono così aspro e cavernoso che fece sobbalzare Freya.
"È così fastidioso, così patetico. Lui non sa nulla, non può capire. Fallo tacere!" ordinò l'altra Freya, quasi supplicandola di esaudire il suo desiderio.
"Sei stata tu a portare qui quelle bestie!"
"Che imbecille" sbottò Freya roteando gli occhi. "Catturando l'angelo avete attirato su questa città l'interesse dei suoi nemici. I demoni..." spiegò, indicando il soffitto. "Sono qui per lui."
Shaber si portò una mano al collo, estraendo dall'abito quella che a prima vista sembrava essere una collana. Solo che non era un semplice ciondolo l'oggetto che vi era appeso, era la chiave che lei stava cercando per poter liberare Michele.
"Tu hai chiamato i demoni!" replicò l'uomo, strappandosi la chiave di dosso. "Tu! Loro!” il suo sguardo si era fatto distante. “Volete uccidere il mio angelo, ma io ve lo impedirò!"
"Siete un folle se credet..." a Freya morirono le parole in gola, quando Shaber la spinse da parte dandole un pugno allo stomaco. Lo sentì sbattere la porta alle sue spalle e farneticare parole senza senso prima che un violento attacco di tosse le togliesse il respiro.

 

Mentre tentava di rimettersi in piedi e di ricostruire quanto era accaduto negli ultimi momenti, Freya si rese conto che l'uomo che le aveva rovinato la vita era fuggito. Si era portato via la tozza chiave di bronzo che serviva a Michele, ma aveva abbandonato in un angolo la spada dell'angelo.
L'unica parte visibile dell'arma era l'elsa. Non aveva la tipica impugnatura a croce, ma appariva più come un prolungamento ricurvo della lama, che creava una sorta di cilindro per proteggere la mano. Anche il colore era insolito: blu intenso, la tonalità che assumeva il cielo in estate.
La sfiorò, avvertendo un fastidioso bruciore alle dita e strinse la presa. L'arma, che aveva dimensioni davvero enormi, si spostò solo di pochi centimetri quando cercò di trascinarla dietro di sé.
Il calore aumentò e Freya tirò con maggior forza, leggermente infastidita per quel contrattempo. La trascinò con sé, facendola strisciare sul pavimento e con passi rallentati a causa del suo peso si diresse nuovamente verso Michele.
Ora era il caos che dominava su ogni regola vigente a Shang. Shaber non aveva più alcun potere in quella città urlante e disperata. Le persone fuggivano in ogni direzione pur di trovare un luogo sicuro in cui nascondersi. I soldati gridavano ordini che nessuno sembrava propenso ad eseguire, persino i cavalli dimostravano un terrore cieco di fronte a quello che stava avvenendo.
Nella fortezza la confusione non era minore. Servitori e Officianti si guardavano in giro confusi e spaesati, ma quest'ultimi si erano equipaggiati con armi antivampiro.
Sopra i loro abiti violacei, lunghe catene composte da croci anziché anelli dondolavano al ritmo dei loro passi. Nelle mani stringevano pugnali dalla strana forma triangolare che terminavano con un impugnatura a croce.
"Quegli oggetti non li salveranno" le comunicò l'altra Freya con voce ferma e sicura.
Uno strano ronzio, risuonò nella sua mente, come un allarme. Era un avvertimento. Un pericolo era in agguato e avrebbe dovuto fare particolare attenzione muovendosi nella fortezza.
L'altra Freya proruppe in un sibilò basso e rabbioso, ma tacque pochi istanti dopo, come se avesse intuito che qualcosa di poco rassicurante si nascondesse nell'ombra, in attesa.
"Togliti!" le ordinò qualcuno spostandola malamente di lato. La spada le scivolò di mano, rivelando la pelle arrossata della mano con cui l'aveva stretta.
Freya sobbalzò e osservò con sguardo critico quel principio di ustione. Nella sua mente ricordò una diceria che sosteneva che solo gli angeli potevano impugnare le spade celesti.
"Ignoranti come cuccioli umani. Siamo diventate deboli, troppo deboli."
Freya concordò con quella constatazione. Per essere forte doveva sapere la vera natura delle sue origini, perché se non era umana cos'era?
Freya doveva tornare Freya. Quella era la cosa più importante, l'unica che davvero contasse. Ed anche se l'altra Freya diceva che Michele era una presenza superflua in quella ricerca a lei serviva il suo aiuto per rimanere in vita.
Le piaghe sulla mano destra cominciavano a guarire. Era qualcosa di straordinario poter studiare quell'insolito processo di guarigione istantanea. La pelle non aveva avuto bisogno di nessun unguento per rigenerarsi. Lentamente stava riacquistando il suo colore originario, lasciando solo un vago senso di stanchezza sulla Guaritrice.
Un grugnito alle sue spalle la fece voltare irrequieta. Una figura pallida, dall'aspetto umano si era lanciata su un soldato. Era alta, avvolta in un mantello nero e si muoveva con una grazia ed una velocità disumana. Doveva essere un esemplare maschio, giudicandolo dalle ampie spalle e dai muscoli delle gambe ben evidenziati.
Ed era un vampiro, Freya lo sapeva. Nei suoi ricordi rammentava le caratteristiche di quelle creature che vivevano nell'abbraccio della notte.
Il volto coperto dal cappuccio si avvicinò al collo del giovane umano, svenuto e accasciato contro i resti di alcune casse di legno andate distrutte.
"Distruggilo!" ordinò l'altra Freya e la ragazza si ritrovò a protendere la mano in avanti, del tutto incapace di comprendere ciò che stava facendo.
Rimase ferma in quella posizione per alcuni minuti, fino a quando un Officiante arrivò sul luogo del combattimento e riuscì, dopo alcuni tentativi e procurandosi diverse ferite, a circondare il demone con la catena antivampiro.
Non seppe mai cosa avvenne in seguito perché una porzione del soffitto crollò, occultandole la vista.
Con urgenza, afferrò la spada e a passo sostenuto riprese a compiere la lunga scalinata che l'avrebbe condotta alla camera da cui, probabilmente, Michele stava osservando quanto accadeva alla città di Shang.
Le finestre del corridoio erano andate distrutte in centinaia di schegge di vetro e un denso strato di polvere ricopriva l'intera superficie.
Camminando, Freya si rese conto che un altro individuo aveva intrapreso la sua stessa direzione. Qualcuno che sapeva esattamente dove cercare l'angelo.
Le impronte lasciate dallo sconosciuto non lasciavano dubbi. Michele avrebbe trovato presto un nemico con cui confrontarsi.

 

 

***

 

Dahan amava combattere quasi quanto adorava concedersi alle braccia di piacevoli compagnie femminili. Nella sua vita aveva vinto innumerevoli scontri e ottenuto i favori di altrettante amanti. L'ebbrezza che provava in battaglia, tuttavia, era sempre qualcosa di unico che riusciva a scuoterlo dal torpore in cui era solito abbandonarsi.
Aveva sempre creduto negli ideali di Vlad e sempre gli era stato fedele. Lui rappresentava ogni cosa per la stirpe demoniaca. Era il loro mondo e la loro unica speranza. Era la spada e la promessa di una vita migliore.
Mentre i suoi artigli squarciavano il braccio del soldato che gli si era gettato addosso, la sua mente era concentrata sul futuro che quella nuova guerra avrebbe portato. Quella volta sarebbero stati loro i vincitori. Gli angeli erano ormai troppo pochi e deboli per costituire un'effettiva minaccia.
L'umano si portò il braccio sano davanti a quello ferito, in un ultimo patetico tentativo di difesa. L'osso era stato strappato dalla base della spalla e penzolava nel vuoto, ma dopo il primo urlo iniziale la guardia aveva trattenuto qualsiasi tipo di lamento.
Il sangue gocciolò ai piedi di Dahan, formando una pozza di liquido cremisi. L'enteriano afferrò l'uomo per la testa e lo scaravento tra le macerie di un'abitazione distante diversi metri.
Era noioso confrontarsi con pedine tanto deboli. Combattimenti di quel tipo non gli davano alcuna soddisfazione. Ringhiando scavalcò il corpo tremante di una donna che stringeva a sé un bambino e proseguì verso il gruppo di nemici successivi. Non era solito infierire su elementi incapaci di difendersi in qualsivoglia modo.
Aumentò la velocità, spingendo a terra due soldati e tenendoli saldamente al terreno per il collo. Il suono dei loro rantoli soffocati era il segno della sua potenza e della sua vittoria.
Vlad era stato chiaro su chi avesse dovuto prendere il comando della situazione in sua assenza e naturalmente il compito era ricaduto su Lilith. Dahan era sempre stato il quarto elemento per ordine di importanza nella gerarchia demoniaca, sebbene il terzo, Sebastian, fosse stato esiliato dalla stirpe da centinaia d'anni.
Dahan non aveva mai sopportato il figlio di Lilith. Non era stato un caso il fatto che fosse stato proprio lui ad avergli suggerito di nutrirsi degli unicorni per poter aumentare il suo potere. Il problema si era presentato solo successivamente, quando Vlad aveva deciso di maledire il figlio anziché ucciderlo.
Così, Dahan si era ritrovato comunque un gradino più basso rispetto al vampiro.
Strinse la presa, ma il rumore provocato dalla rottura delle vertebre non lo aiutò di molto a placare la sua rabbia.
Un sibilo alle sue spalle lo avvertì che qualcuno gli aveva lanciato contro una freccia. Si voltò nello stesso istante in cui Cassidy si frappose tra l'arma ed il bersaglio.
Dahan non mosse un muscolo. Rimase immobile, osservando il profilo della vampira a pochi passi da lei. Nella mano sinistra, posta all'altezza della testa, stringeva l'asta della freccia. La spezzò poco dopo, gettandola a terra.
L'espressione di Cassidy, quando si voltò, non lasciava trasparire alcuna emozione.
"Cassidy." mormorò Dahan sorpreso che fosse stata proprio lei ad aiutarlo.
La vide inclinare la testa di lato, giocherellando con una ciocca di capelli. Gli occhi avevano una sfumatura leggermente violacea e le labbra lasciavano intravedere i canini appuntiti.
Con un balzo la vampira si lanciò su una guardia e Dahan rimase incantato nell'osservare i suoi movimenti studiati e raffinati.
Cassidy era una cacciatrice. Era nata per combattere, per uccidere e provocare dolore. Era perfetta.
Anche nella sua esistenza da umana, Dahan ricordava di averla sempre apprezzata come combattente. Vedere le sue mosse aggraziate ed il modo straordinario con cui la spada sembrava rispondere al suo volere, era piuttosto appagante.
Cassidy sarebbe potuta essere un'ottima rivale per lui se solo Lilith gli avesse concesso la possibilità di gareggiare con lei. Naturalmente la sua regina non lo avrebbe mai permesso. Diventava sempre fin troppo irritabile quando si trattava di decidere del suo giocattolo preferito.
Un Officiante era riuscito a trafiggere la vampira all'altezza dello stomaco e Dahan tornò immediatamente vigile e attento. Cassidy non si era lamentata della ferita-che in ogni caso si sarebbe rimarginata presto- eppure l'enteriano sentì il bisogno impellente di uccidere l'individuo che aveva osato provocarle quel dolore.
A spingerlo non era solo l'ordine di Lilith, che gli aveva imposto di tenere d'occhio la vampira, ma anche il struggente bisogno di riavere Cassidy al suo fianco. Non si capacitava del motivo che lo spingeva a desiderarla in un modo tanto possessivo, ma sapeva che avrebbe potuto fare di tutto pur di averla.
Cassidy riusciva a comprenderlo. Nessun altro essere vivente si era dimostrato così affine ai suoi pensieri e ai suoi desideri prima di lei.
Il sangue della vampira si riversò sul terreno, mescolandosi a quello degli umani. Dahan non riusciva ad accettare un simile affronto.
La corazza naturale che distingueva gli enteriani, si rafforzò alle base delle gambe e sulle sue braccia. Le squame nere con sfumature arancio raddoppiarono di volume, pronte a difendere Dahan da qualsiasi tipo di lama.
La mano artigliata dell'enteriano trovò con facilità la via d'accesso al cuore, nascosto sotto le scapole dell'uomo. Affondò l'arto nella gabbia toracica e strappò l'organo vitale dalla sua cavità naturale.
La bocca dell'Officiante si spalancò a metà tra l'orrore e la sorpresa. Poco dopo crollò tra la polvere, gli occhi vitrei ed il corpo ceruleo.
Dahan distolse lo sguardo e Cassidy gli s'avvicinò con movimenti felpati. Afferrò il braccio del guerriero e fece scorrere la lingua sul sangue dell'uomo appena ucciso.
"Delizioso." bisbigliò Cassidy, arricciando le labbra.
Dahan la afferrò per i capelli, inclinandole la testa all'indietro. Non si curò del fatto che avrebbe potuto farle del male né diede peso ai lamenti sibilati sulle sue labbra.
La baciò, sottolineando il potere che esercitava su di lei.
Lei gli apparteneva.
"No." replicò Dahan. "Questo era delizioso." ci tenne a sottolineare baciandola nuovamente. Poco importavano le urla della popolazione di Shang e le lamentele dei demoni. Lui aveva ottenuto ciò che voleva.

 

 

 

 

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Disegni realizzati da KumaCla :
Clare
Freya
Lilith
Trailer di CS: Primo e Secondo
Questa è una raccolta realizzata da _BlackRose_ su vari personaggi di CS.
La raccolta di missing moments su CS realizzata da me:
qui

 

 

Note: Ringrazio di tutto cuore le persone che continuano a seguire la storia, chi l'ha commentata e chi l'ha aggiunta alle varie statistiche.
Il capitolo non mi convince, ma lascio a voi la sentenza! xD
Purtroppo vi annuncio dei ritardi per i prossimi aggiornamenti, perché l'università mi chiama! XD T.T Scusate, ma ho pochissimo tempo libero a disposizione.
By Cleo^^

 

Storie in corso:
Romatico

Pirates-L'ombra del tradimento
Opera National-Ricatto d'amore

Angeli&Demoni

Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

Storie concluse:
Vampiri

Contratto di sangue-L'ombra del principio

Sovrannaturale

La rivincita delle acque


 

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Capitolo 14
*** Shadows ***






13

Shadows

 

 

 

[...] È nata: una bambina. L'abbiamo chiamata Clare, come la prima Guardiana.
Assomiglia più a me che a Lucas: ha occhi azzurri e capelli biondi.
Il dottore non riesce a spiegarsi questa nascita miracolosa, ma è certo che non potrò avere altri figli. La cosa non mi infastidisce. Questioni più importanti richiedono la mia completa attenzione.
L'Alfa ha ricominciato a prendere di mira la famiglia reale. Edward è costantemente sorvegliato da una squadra di Mistici, mentre Galatea si agita per il futuro del figlio.
Non ho tentato di consolarla. Lei sa meglio di me cosa significa avere tra le mani il futuro di un regno. E mio ed anche suo dovere sostenere con costanza il fardello che ci è stato imposto dalla nascita.
Lo scoppio di una guerra civile non è contemplato nelle alternative. La corona deve resistere, così come è sempre avvenuto. [...]

 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 

 

Incespicando nei suoi stessi passi, Freya osservò sospettosa le impronte che puntavano alla stanza di Michele. Trascinò la spada in avanti, aumentando la velocità dei suoi passi.
Provava una strana sensazione, l'irritante idea che stesse per accadere qualcosa di ben poco piacevole. Inciampò nell'elmo di un'armatura abbandonata al suolo e guardò l'oggetto di metallo rotolare in una sporgenza del muro.
Due voci maschili a lei note, la risvegliarono dallo stato di torpore in cui era scivolata senza nemmeno rendersene conto.
"Dobbiamo ucciderlo. Dobbiamo essere noi." annunciò l'altra Freya.
Freya ci mise meno di un secondo per comprendere che l'altra se stessa si stava riferendo a Shaber.
Il demone era entrato nella tana dell'angelo.
Non poté che trovare ironico quel fatto. In un modo o nell'altro, le chiavi erano tornate da Michele ed insieme alla spada, l'angelo sarebbe stato in grado di affrontare quell'orda di demoni e vampiri.
Stavano avendo un'animata conversazione, mentre all'esterno della fortezza non si contavano più i rumori dei crolli di edifici e delle lame che si incrociavano fra loro.
"Non lasciare che l'angelo lo uccida!"sbottò l'altra Freya. "Non sarà la sua vendetta ad essere appagata, ma la nostra!" affermò.
La Guaritrice annuì. Sì, doveva essere lei ad occuparsi di Shaber, non Michele, ma Freya. Era un suo diritto, o doveva esserlo, poter distruggere quell'uomo; così come lui aveva fatto con lei. Starnutì e con un ultimo sforzo, superò la soglia della stanza.
Michele stava seduto sul bordo del letto, apparentemente tranquillo, sebbene i suoi occhi esprimessero tutto il suo desiderio di voler vedere morto il vecchio mercenario.
Shaber era in piedi, di fronte alla finestra e lei era alle sue spalle. Teneva il mazzo di chiavi nella mano destra, facendole tintinnare tra loro. La più grande e dal colore più vivace era quella che teneva prigioniero Michele.
"Hai trovato la spada." osservò l'angelo, senza però distogliere troppo a lungo gli occhi dal vescovo.
"Il demonio!" gridò, invece, Shaber voltandosi per vederla. "Sei qui per uccidere il mio angelo?" A quel commento Michele serrò la mascella.
Lei non poté far altro che ridere. Tutta quella situazione le appariva assurda, quanto patetica. Appoggiò la spada alla parete, studiando le piaghe rosate che si erano create dove lei aveva stretto l'arma. Continuò a sorridere anche quando la voce le morì sulla punta della lingua.
"Avresti fatto meglio a cercare un cavallo e a fuggire." lo rimproverò con falso interesse. "L'altra Freya è rimasta quasi delusa vedendoti qui." lo informò, rigirandosi la mano ferita davanti agli occhi.
Shaber zoppicò qualche passo verso di lei, ma si fermò, portandosi le braccia davanti al viso, quasi a volerlo proteggere. "Altra Freya?" il suo tono di voce si era fatto incerto e Michele, alle sue spalle, la stava guardando dubbioso.
Lei dischiuse le labbra, divertita. Le piaceva quella sensazione di vantaggio, l'avere in mano le redini della partita.
"Delizioso. Non sembra anche a te?"
Scosse la testa. Quella volta doveva dissentire con l'idea del suo alter ego. Shaber non le provocava altro che ribrezzo e rancore. "Perché esitare oltre?" formulò quel dubbio quasi con curiosità. "Uccidiamolo." Quell'unica parola, quasi supplicata, ebbe il potere di riportarla alla realtà.
Arretrò contro la parete e si lasciò cadere a terra come una bambola di pezza. Nella testa aveva l'eco della risata sprezzante di Shaber. Cosa stava facendo? Non era da lei, pensare a quel modo.
Michele si era alzato, visibilmente nervoso e irrequieto e l'unica cosa a cui lei riusciva a pensare era la sempre più costante presenza dell'altra Freya nella sua vita.
"Non è sicuro rimanere qui." intervenne l'angelo, infilandosi una consumata camicia di lana grezza. La catena alle sue caviglie tintinnò in modo decisamente spiacevole.
"Veramente?" lo criticò Freya, scuotendo la testa. "Non me ne ero accorta." lo schernì infastidita.
L'angelo non sembrò badare molto al tono con cui lei gli parlò. Michele manteneva una postura rigida, come se da un momento all'altro un demone avesse tentato di assalirlo. Le diede le spalle per un breve istante, rivelando le macchie di sangue che si erano formate sulla stoffa.
"I vampiri stanno arrivando?" domandò Shaber, scrutando fuori dalla finestra. La maschera mutò quelle parole in suoni raccapriccianti, come se lui stesso fosse stato uno di quei demoni che tanto detestava. Sia Freya che Michele lo ignorarono.
"Portami la spada." ordinò l'angelo. "Dovrei riuscire a distruggere queste catene."
"Devi uccidere Shaber!" si lamentò l'altra Freya.
La Guaritrice abbassò lo sguardo sulle ferite alla mano che stavano guarendo da sole, poi incrociò gli occhi del vescovo. "Non vedrete mai le porte dell'Eden." lo avvertì.
Shaber fece per dire qualcosa, ma uno dei suoi consueti attacchi di tosse lo costrinse a tacere. Ingobbito e ansimante non sembrava che la patetica ombra di ciò che era stato. Un'ombra, che Freya lo sapeva, si sarebbe estinta molto presto.
Un boato esplose nel cortile interno della fortezza e loro videro alcuni massi saltare in aria e sfrecciare contro il muro che stava alla loro sinistra. La parete resistette, ma non altrettanto bene riuscì a sopportare quella visione la mente del vescovo. Aveva afferrato un pugnale da una delle tasche e se lo rigirava tra le dita, quasi quel minuscolo pezzo d'acciaio potesse salvarlo da quanto stava avvenendo.
"La spada, Freya!" c'era una certa urgenza nella voce dell'angelo. Michele fissava insistentemente un punto ben preciso fuori dalla finestra, completamente dimentico dell'uomo che l'aveva torturato e tenuto prigioniero fino a quel momento.
"Lei è qui." le sibilò inferocita l'altra Freya.
La vista le si annebbiò per un istante, mentre le mani si stringevano a pugno. All'improvviso la stanchezza le passò, lasciando solo il posto ad una rabbia sconosciuta. I muscoli si mossero da soli, animati da una coscienza antica che lei riconosceva come presenza familiare. Le gambe scattarono in avanti e le braccia afferrarono senza esitazione l'elsa della spada angelica, lanciandola verso il legittimo proprietario.
Vide Michele sbarrare gli occhi per la sorpresa ed afferrare l'arma con una sola mano. La tenne protesa in alto, sopra la sua testa e quando fece per abbassarla e dirigerla verso Shaber la porta del terrazzo si spalancò, facendo entrare una gelida folata di vento.
L'aggraziata figura femminile che aveva raggiunto Shaber alle spalle, avvolgendolo in un abbraccio quasi materno, sembrava un angelo nell'atto di concedere la grazia ad un peccatore. Solo che, per quanto ne sapeva lei, gli angeli non avevano canini che premevano sul labbro inferiore, luccicanti come diamanti, e nemmeno occhi cremisi che splendevano come fiamme.
La fanciulla vestita di verde, un abito che a Freya risultò stranamente familiare, afferrò il vescovo per il collo e premette la bocca sul suo collo, facendo scorrere un rivolo di sangue fino al pavimento. Shaber, che in un primo momento aveva posto resistenza agitandosi come un pesce appena pescato, si afflosciò tra le sue braccia simile ad un fiore colto nella calura estiva.
"Ci ha trovate." l'altra Freya sembrava inquieta e, per la prima volta, insicura.
Da parte sua, si sentiva la gola secca, la mente confusa e le mani formicolanti. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quel volto fanciullesco, incorniciato da capelli bianchi come perle e labbra piene e ben modellate.
Del sangue le si era seccato all'estremità inferiore del mento e la vampira si ripulì di quella piccola imperfezione con aria quasi seccata.
Freya si portò le mani al collo, stringendoselo in modo quasi doloroso. Ansimando, in lei si manifestò una certezza. Lei odiava quella creatura. Più di ogni altra cosa al mondo, più di qualsiasi altro desiderio, lei desiderava ucciderla. Sapeva che era colpa sua il motivo per cui appariva così patetica, così debole. Una debolezza così fastidiosa che era insopportabile per lei vivere con quel fardello. L'altra Freya aveva ragione su quel punto.
Il corpo di Shaber cadde sul pavimento e le chiavi sfuggirono dalle mani del vescovo, rotolando ai piedi di Michele che si affrettò a raccoglierle ed a liberarsi dalla catene.
"Lilith." Freya pronunciò quel nome, quasi fosse stato veleno. Lei conosceva quella vampira. Avevano combattuto l'una contro l'altra in passato e... Cosa era accaduto?
"Non siamo umane." le ricordò l'altra sé. Perché non ricordava nulla del suo passato? Perché all'improvviso ogni cosa la faceva dubitare? "È stata lei." le venne in soccorso l'altra Freya. "Lei ci ha portato via le nostre memorie. I nostri preziosi, amati, ricordi."
Lei desiderava riaverli indietro quei ricordi. Erano suoi. Erano ciò che l'avevano resa Freya e ciò che potevano renderla nuovamente tale.

 


Michele strinse la presa sulla spada angelica, studiando i lineamenti delicati di Lilith. Era esattamente come la ricordava, tranne che per gli occhi. Non possedevano più il verde brillante delle foglie primaverili che l'avevano caratterizzata da umana. Erano fiamme danzanti che ferivano più delle parole. Lei gli stava dando le spalle, stranamente interessata alla figura minuta di Freya che tuttavia l'aveva riconosciuta come Regina della Notte. La guardò muovere dei passi verso la Guaritrice, ma quest'ultima scattò in avanti, prendendo posto al suo fianco.
Lilith rimase al suo posto, ma lui era perfettamente consapevole che se avesse voluto realmente far del male a Freya non l'avrebbe lasciata scappare così facilmente.
"Sei ancora viva, dunque." si era rivolta a Freya come se la conoscesse e lui non poté fare a meno di abbassare lo sguardo sulla diretta interessata. Fin dalla prima volta che aveva visto quella ragazza aveva sospettato che non fosse umana ed ora ne aveva la conferma.
Lilith arricciò le labbra in un'espressione divertita. "Freya Arturya Pendragon e Mikhail, il Principe del Paradiso." li salutò, beffeggiandolo con uno dei suoi antichi titoli.
Si voltò impercettibilmente verso Freya che aveva preso ad ansimare come se stesse combattendo una qualche battaglia interiore.
"Pendragon?" fece eco a Lilith, guardando il volto pallido della Guaritrice. "Una discendente di quel Pendragon?"
"Naturalmente." replicò Lilith, studiando il corpo afflosciato di Shaber. "Credo di averlo ucciso." comunicò con noncuranza.
"Credevo che fossero tutti morti." osservò, discostandosi dal letto. Una parte di lui si dispiaceva per non aver potuto uccidere l'uomo e quello, ricordò a se stesso, era un pensiero sbagliato.
Lilith si ravvivò i capelli con una mano, apparentemente poco interessata alla cosa. Poi alzò gli occhi su Freya e una strana espressione si fece strada sul suo viso. Era un sentimento indefinito a metà tra la sorpresa e la delusione.
"Io ero certa di aver ucciso l'ultima discendente, ma a quanto pare..." fece un cenno in direzione di Freya che si era inginocchiata sul pavimento.
Michele inclinò la testa di lato, osservando come i capelli della ragazza fossero cresciuti in quei giorni ed avessero assunto sfumature nere.
"Lilith." sibilò Freya a denti stretti. Sembrava che fosse l'unica parola capace di pronunciare in quel momento.
"Come sei sopravvissuta?" intervenne la vampira. "Mi è difficile capire come tu sia ancora viva. È merito del tuo sangue?"
Freya alzò il capo nella sua direzione. "Il mio sangue?"
Lilith le sorrise indulgente, come se quella reazione l'avesse aiutata a risolvere il più grande problema del creato. "Non ricordi nulla, è così?"
Michele strinse i denti, deciso a trovare un modo per fuggire, prima che lasciare quel luogo si fosse rivelato un problema. Ferito e debole com'era in quel momento non se la sentiva di affrontare Lilith e la folla di demoni al suo comando. La sua unica fortuna era data dal fatto che Lucifero non fosse al fianco della sua amante.
Sospirò esausto chiedendosi come fosse stato possibile che in passato avesse amato o, per lo meno provato un profondo sentimento per Lilith.
"Sei stata tu, Lilith." il fatto gli appariva così evidente che non dubitò di quello che stava per dire. "Hai cantato per lei. Le hai cancellato i ricordi." alzò di pochi centimetri la spada. "Un tempo la tua voce era associata alla luce del Paradiso e alla bellezza dell'Eden." se il suo tono avesse avuto una sfumatura nostalgica, lui non se ne accorse. "Il tuo canto svegliava gli angeli all'aurora e li salutava al tramonto." ricordò con amarezza. Quanto tempo, quanti secoli erano trascorsi da allora?
"La mia voce è sempre stata solo per lui." replicò lei, un'ombra negli occhi.
"Lo so." disse addolorato. "Per te non esiste nulla oltre a mio fratello. Se lui non ti avesse mai incontrato..."
Freya sussultò e la sua espressione divenne una maschera d'angoscia. Michele distolse lo sguardo da lei per posarlo su quello di Lilith. In quel momento non poteva prestare attenzione ai dubbi e alle domande che evidentemente agitavano l'animo della ragazza. Ci sarebbe stato tempo, dopo. Le avrebbe spiegato, l'avrebbe aiutata a comprendere meglio cose che riguardavano la sua natura.
"Noi ci siamo incontrati." la voce di Lilith era tagliente. "Lucifero ha scelto me." puntualizzò, protendendo una mano nella sua direzione. "E lo rifarebbe." aggiunse, sicura di sé. "Sceglierebbe me, ancora e ancora." i suoi lineamenti si erano distesi, quasi avesse avuto bisogno di esprimere quel pensiero ad alta voce. Poi sorrise, in modo così ambiguo e provocante, che Michele fu tentato di attaccarla e porre fine a quella storia durata migliaia di anni.
Lo sguardo di Lilith si posò sulla spada e per un brevissimo istante il suo volto perse qualsiasi espressione. Sembrava assorta in ragionamenti tutti suoi e lui credeva di riuscire ad intuire il perno su cui quei pensieri vertevano.
"Tieni ancora con te la spada di quel traditore?" con noncuranza si chinò in avanti, posando una mano sulla maschera che nascondeva il volto di Shaber.
Michele abbassò lo sguardo sulla lama. Dal centro fino ad arrivare all'elsa, erano state incise le lettere del nome del precedente proprietario: Enuwiel.
"Lei ti deve mancare." osservò divertita. Le sue dita seguirono il contorno del volto di Shaber. "Dopo avertela rubata, Enuwiel..."
La interruppe con un cenno infastidito del capo. Detestava che qualcuno gli ricordasse cosa aveva fatto Enuwiel e qual'era stato l'alto prezzo che lui aveva dovuto pagare per il suo tradimento.
"La ritroverò." sibilò. "Riavrò Excalibur, perché sono io il legittimo proprietario. Risponderà al mio richiamo."
Lilith fece una smorfia disgustata. "La gemella di Exaniha è andata perduta con la morte di Enuwiel."
In tutta risposta lui strinse la presa sulla spada celeste con entrambe le mani. "Lilith." Freya aveva ricominciato a chiamarla per nome. Aveva poggiato le mani sul letto sfatto e stringeva le lenzuola come se potesse sbriciolarle da un momento all'altro. Era talmente tesa che le vene sul suo collo spiccavano enormemente sulla pelle pallida. Verdi, un colore che lui sapeva bene non appartenere agli umani.

 

 

"Non essere così... stupida, Freya." Lilith la fissò dal basso verso l'alto, intenta a sfiorare i corti capelli del falso vescovo di Shang. "O preferisci che mi rivolga a te come facevano i tuoi devoti?" si portò teatralmente il polso alla fronte, ammiccandole in modo divertito. La sua voce si fece più flebile mentre tentava di imitare situazioni che lei non ricordava. "Oh, Somma Arturya! Cosa avete fatto? Vi farete del male, Somma Arturya!" concluse, ricominciando a ridere.
Freya serrò la mascella, osservando la sua immagine riflettersi sullo specchio posto sopra un cassettone. Quasi sobbalzò mentre osservava i cambiamenti in atto sul suo corpo. Le guance avevano sfumature verdastri, come se fosse stata malata, le labbra erano vermiglie e gli occhi stavano assumendo la colorazione violacea che di solito prendevano quando faceva ricorso ai suoi poteri.
"Povera, piccola, smarrita. Hai perso le tue memorie ed ora non sai più chi sei?" la canzonò Lilith.
"Smettila, Lilith." era intervenuto Michele, la camicia macchiata di sangue ed un tono di voce deciso. Per un momento, le sembrò quasi che la vampira volesse obbedire a quell'ordine così autoritario. Anche Freya fu tentata di seguire quel consiglio, come se l'angelo avesse ragione e loro due torto.
"Chi sono?" sussurrò. Si avvicinò a Michele, sperando che lui potesse dargli le risposte che cercava tanto disperatamente. L'altra Freya sembrava essersi assopita nelle profondità della sua mente, indifferente ai suoi dubbi.
"Questa, Freya, è una domanda alla quale solo tu puoi trovare risposta. Io posso solo dirti cosa sei, non chi sei. Ma se anche tu trovassi una soluzione per la domanda che ti logora lo spirito, non è detto che la risposta possa donarti la pace che cerchi. A volte..." spiegò con una tale amarezza che a lei venne voglia di piangere. "... la verità fa più male che bene." concluse, ed il suo dolore era così palpabile che si disse il suo era nulla, se paragonato a quello dell'angelo.
"Oh, Mikhail!" esclamò Lilith, sbuffando. "Non sono mai riuscita a capire da dove ti venissero certi discorsi."
Michele irrigidì le spalle, chiaramente disturbato, ma non ribatté. Invece, si rivolse nuovamente a lei come se avesse a che fare con una bambina piccola. "Per ora ti dovrà bastare sapere di essere una fata."
Una fata? Era come Cristavia? La fata che aveva dato vita alla Pietra delle Lacrime? Freya si mordicchiò il labbro inferiore, incapace di esporre i propri pensieri. Non era il momento di sommergere Michele con i suoi mille interrogativi, né il luogo. Barcollò di lato, mentre la stanza veniva avvolta da un leggero strato di nebbia. Aveva richiamato il suo potere senza rendersene conto. Ovunque attorno a lei sentiva i lamenti disperati delle Ombre che cercavano di raggiungerla, quasi lei potesse aiutarle.
Alcune Ombre si staccarono dalla parete alle spalle di Lilith, passandole attraversò quasi fosse stata fatta di fumo. La vampira non se ne accorse naturalmente, ma vide la sua espressione perplessa quando lei indietreggiò verso il letto.
Le Ombre umanoidi cercarono di afferrarle i bracci, ma lei le scacciò con uno scatto furioso. Da quando le Ombre avevano un atteggiamento così aperto e sfacciato? Si disse che il motivo di quella loro agitazione era dovuto al fatto che all'esterno della fortezza vampiri e demoni stavano mietendo molte vittime tra la popolazione.
Le loro voci, che le giungevano lontane e indistinte, erano come uno sciame d'ape a portata d'orecchio.
"Ascoltaci." le stavano dicendo. Freya socchiuse gli occhi, convinta che a quel modo la nebbia e le Ombre l'avrebbero lasciata in pace. Non le piaceva la loro compagnia ed era fastidiosa la sensazione che avvertiva in loro presenza. Lei non apparteneva a quel mondo crepuscolare, quella realtà morta e pericolosa.
"Freya!" la voce, che aveva un che di familiare, proveniva dalle sue spalle ed era più chiara degli altri sussurri.
"Hai ricominciato a vedere gli spettri?" le parole di Lilith le arrivarono indistinte.
"Freya." un suono dolce, quasi nostalgico. L'Ombra dalle sfumature grigie la strinse a sé nella imitazione di un goffo abbraccio. "Questo luogo è spaventoso." Lei non avrebbe saputo dire a cosa si riferisse l'Ombra con precisione. "Hai visto Fred, cara? Non riesco a trovarlo."
Freya spalancò la bocca senza rendersene conto e allungò la mano per cercare di spostare quella sostanza molliccia e umida che le si era attaccata.
La nebbia la avvolse e la stanza, così come Lilith e Michele, scomparve dalla sua visuale. Ora, attorno a lei c'era solo bianco con spaventose Ombre nere.
"Valha?" sussurrò sorpresa. "S-sei m..." non riuscì a trattenere il singhiozzo e le parole le morirono sulle labbra.
"Oh, cara." la voce dell'Ombra esitò. "Sì. Sì, sono morta." Valha non sembrava a disagio mentre pronunciava quelle parole. Era come se per lei la cosa non avesse più molta importanza. "È stata quella creatura con cui parlavi ad uccidermi. È una vampira? Temo di non saper dire con certezza cosa sia. Non ho mai visto un vampiro quando..." si fermò, tremolando davanti allo sguardo inorridito di Freya. "Quando ero viva." proseguì.
Freya si portò una mano alla testa, cercando di ignorare il dolore agli occhi e i sussurri delle altre Ombre. Valha sembrava sbiadire ogni secondo che passava, come fumo che s'innalzava nel cielo.
"Ha indossato l'abito del mio matrimonio, hai visto? Quello che tenevo per le occasioni speciali." La sua voce era distante, troppo indifferente per essere davvero Valha.
Distrattamente, comprese finalmente perché il vestito indossato da Lilith le era sembrato familiare.
"Freya." la richiamò l'Ombra, provocandole un brivido. Da nera era passata ad un grigio sempre più tenue. "Hai visto Fred, cara? Non riesco a trovarlo." ripeté nuovamente.
Freya allungò il braccio per sfiorare i contorni confusi di quella che un tempo era stata Valha, ma la mano le ricadde silenziosamente sul fianco. L'Ombra stava sparendo, come granelli di sabbia soffiati nel vento.
"Oh." la voce era un sussurro. "Oh."
La nebbia prese il posto di Valha, avvolgendo Freya in una gelida morsa. Le Ombre che fino a quel momento erano rimaste in disparte si fecero avanti, cercando di afferrarla.
Freya urlò, mentre arti molli e umidicci la toccavano ovunque, esplorando ogni centimetro del suo corpo.
"Basta!" urlò più forte, agitando le mani in aria. Chiuse gli occhi, pieni di lacrime, e quando gli riaprì il mondo era tornato normale. La nebbia era scivolata oltre la finestra rotta, il cadavere di Shaber giaceva supino sul pavimento, mentre Lilith e Michele si fronteggiavano con sguardi accecanti quanto il sole.
No, non era corretto. Lilith aveva occhi fiammeggianti, come le braci di un camino, quelli argentei dell'angelo, invece, sembravano racchiudere la luce delle stelle.
Freya si guardò nuovamente allo specchio. Anche i suoi occhi bruciavano, ma per il dolore. Allungò un dito per sfiorarne i contorni violacei e un'altra Freya rimandò la sua immagine sorridente.
"Cosa stai aspettando?" Freya non poté che darle ragione. Non c'era motivo per esitare oltre.

 

 

 

 

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Disegni realizzati da KumaCla :
Clare
Freya
Lilith
Trailer di CS: Primo e Secondo
Questa è una raccolta realizzata _BlackRose_ su vari personaggi di CS.
La raccolta di missing moments su CS realizzata da me:
qui

 

 

Note: Ecco il nuovo capitolo, anche se temo che il prossimo non lo scriverò tanto presto. Mi mancano le superiori! XD
LOL, per ora dovrete accontentarvi di sapere che Freya è una fata. XD Presto o tardi conoscerete anche la sua storia u_u
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :D
Mi potete trovare su Twitter: Qui
By Cleo^^

 

Storie in corso:
Romatico

Pirates-L'ombra del tradimento

 

Angeli&Demoni

Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

Storie concluse:
Vampiri

Contratto di sangue-L'ombra del principio



 

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Capitolo 15
*** Flames and fog ***


 





  

14
Flames and fog

 

[...] Il fratello del re è stato assassinato la notte scorsa. Non ho nemmeno avuto il tempo di apprendere la notizia che Sebastian mi ha trascinato con sé a Weyra.
Abbiamo setacciato ogni vicolo della capitale, ma non abbiamo trovato alcun indizio sul colpevole. Non sappiamo nemmeno se si tratti di un essere umano o di un demone.
[...]Oggi si è svolto il funerale. La salma del principe è stata riposta nel mausoleo di famiglia, accanto a quella della sorella, morta in giovane età.
Credo sia stata la prima volta che ho visto piangere il re. Galatea mi ha raccontato che in gioventù il sovrano ed il fratello erano molto uniti.
[...] Ho ricevuto l'ordine di indagare sulla morte del principe Martin, ma per ora non ho trovato alcuna prova certa sull'omicidio. Trovo altamente inutile spendere le mie energie in questo capriccio del re, quando anche una squadra di Mistici potrebbe svolgere senza difficoltà l'incarico.
Per quanto assurdo, sospetto che Thomas stia tentando di allontanarmi dalla corte e da Galatea. [...]
 

Dal diario personale di Marianne Rainsworth,
Guardiana in carica del Regno di Ziltar.

 

 


Shang bruciava. Lingue di fuoco scarlatte illuminavano le rovine della città e Freya poteva quasi avvertire sulla pelle il calore delle fiamme. In piedi di fronte alla sua antica nemica e alla responsabile della morte di Valha, non poté far altro che gettare la testa all'indietro e ridere. Agli occhi di Michele doveva apparire completamente pazza, ma lei ignorò il suo sguardo sbigottito continuando a sorridere e a scuotere la testa.
Barcollò all'indietro, andando ad appoggiare i palmi delle mani sui vetri e inclinando la testa verso lo spicchio di luna che illuminava quella notte gelata. Le dita si protesero automaticamente in avanti e quando si rese conto del gesto che aveva compiuto, Freya tornò a girarsi verso Lilith.
La vampira inclinò la testa verso la spalla, schiudendo le labbra e lasciando che i canini scintillassero minacciosi nelle tenebre.
"Ci sono molte cose che desidererei chiederti, Lilith." dichiarò Freya con voce ferma. "Verità che solo tu conosci, enigmi ai quali solo tu puoi rispondere. Questo mio desiderio è pari a quello di vederti morta." continuò, mentre la finestra sotto il tocco delle sue dita veniva attraversata
da lunghe crepe oblique. "Ora, mi è chiara una parte del motivo per cui ambisco a ciò."

"Davvero?" Lilith sembrava compiaciuta, quasi stesse assistendo al compiersi di qualche tipo di perverso esperimento. "Dimmi..." domandò, leccandosi le labbra. "Hai ricordato qualcosa che vuoi condividere con noi?" Il suo sguardo si spostò su Michele.
La spada celeste emetteva un fievole bagliore azzurro, che faceva risaltare le traccie di sangue sugli indumenti dell'angelo. Michele continuava a tenersi pronto per un attacco, al contrario di Lilith che sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione.
Freya socchiuse gli occhi. Dentro di lei era rinata la consapevolezza di appartenere al popolo fatato, insieme alla scoperta che le fate erano pressoché estinte. Frammenti di ricordi le dicevano una cosa, altri le mostravano il contrario di ciò che aveva appreso in precedenza. In quel momento vedeva le immagini di una battaglia: creature azzurre alte quanto la lunghezza di un pugnale e figure umane con lineamenti spigolosi ed ali di farfalla che combattevano ferocemente tra loro; Lilith che guidava un gruppo di vampiri in una valle attraversata da cento fiumiciattoli e altrettante cascate. Dove si trovava quel luogo?
"Hai sterminato il popolo fatato, è così, vero?" strinse i pugni e il vetro della finestra andò in frantumi. "Per questo hai tentato di uccidermi, senza riuscirci." ipotizzò.
"Sbagli, Freya." il tono di Lilith aveva assunto una sfumatura meno dura, più umana. L'espressione del viso era tranquilla. "I tuoi ricordi sono confusi, incompleti e... frammentari."
Sorpresa, Freya non seppe come ribattere. In quel momento Lilith le sembrava davvero sincera. Ma dove stava il confine dal quale la menzogna diventava realtà? Fino a che punto poteva fidarsi della vampira? Di certo non era un caso se desiderava ucciderla con tanto sentimento.
"Le fate hanno combattuto tra loro e la Corte Unseelie ha distrutto la Corte Seelie. Ricordi a quale Corte appartenevi?" le domandò Lilith.
"Corti?" ripeté Freya, portandosi le mani alla testa. Le voci delle Ombre avevano preso a parlarle tutte in una volta e gli occhi cominciarono a lacrimarle per il dolore.
"Uccidila!" quel comando dell'altra Freya le giunse chiaro nonostante tutto, ma lei aveva in mente altri programmi in quel momento.
Barcollò in avanti e Michele la afferrò per un gomito impedendole di cadere. Lo guardò di sfuggita, perché la collera che individuò sul suo volto era troppo intensa da riuscire a sopportare.
"Esistono ancora? Le fate, sono ancora vive?" chiese con l'impellente bisogno di sapere se lei era l'ultima di quella razza. "La mia gente è..."
Lilith non rispose subito, intenta a lisciarsi le pieghe dell'abito appartenuto a Valha. "Il popolo fatato continua a camminare e a cantare in questo, vecchio, mondo. Si nasconde tra le rive del lago Reewa rifuggendo ogni cosa. Sono diventate codarde, le fate." commentò con evidente disprezzo.
L'ondata di sollievo che la travolse fu così intensa che Freya dovette soffocare i singhiozzi. Pensò che se i fatati erano vivi avrebbero potuto rivelarle la verità che lei non ricordava, restituendole il suo passato.
Era così rincuorata dalla notizia che per pochi minuti riuscì a dimenticare il puzzo del fumo e le urla degli uomini che stavano combattendo per avere salva la vita a Shang. Poi, la realtà l'assalì all'improvviso ricordandole che lei e Michele dovevano fuggire da lì.
Fino a quel momento l'angelo era rimasto in disparte, intervenendo pochissime volte nella discussione tra lei e la vampira.
Sembrò quasi che Lilith avesse intuito la direzione che avevano preso i suoi pensieri perché si rivolse a Michele con grande asprezza.
"Una vera fortuna che Vlad non sia qui. Trovo quasi incredibile che abbia trovato qualcuno più importante di te da dover fermare. Tuttavia..." proseguì. "...ciò mi permette di sfidarti, Mikhail. Non ho più avuto questo privilegio da quando Enuwiel ha fatto ciò che ha fatto."
"Ti ucciderò, Lilith." intervenne Michele, senza alcun rimorso.
"È evidente che recentemente non hai avuto occasioni per vederti allo specchio." obiettò pungente. "Questi umani..." commentò sprezzante. "Ti hanno ridotto proprio male. Come hai potuto permettere che ti facessero..." indicò le ferite. "Questo?" L'angelo non rispose.
Era evidente a tutti che la domanda non conosceva risposta.
Nel corridoio si sentirono suoni di voci e passi concitati, placche di armature che si scontravano tra loro e i sibili delle spade che tagliavano l'aria in cerca di un bersaglio di carne. I soldati irruppero nella stanza brandendo lance e catene di croci benedette, che indirizzarono immediatamente in direzione di Lilith. La avvolsero in un abbraccio di ferro e la vampira socchiuse gli occhi, sibilando frustrata nella loro direzione. 
 

La valle del Reame si apriva davanti ai suoi occhi, in un baluginio di colori che il mondo umano non avrebbe mai posseduto. Il rumore delle cascate sembrava sovrastare quello dei due eserciti, che si fronteggiavano da una distanza considerevole. Le creature di quello che aveva di fronte erano basse, tozze e con sfumature azzurre, ma alle loro spalle ve n'erano altre dalla corporatura più simile a quella umana. Quest'ultime avevano denti aguzzi e artigli affilati e reggevano tra le mani armi di ferro, ma con impugnature di legno per fuggire a quell'elemento mortale al popolo fatato.
Lei si ritrovò a voltare la testa alla sua destra, osservando la figura della vampira dalla lunga chioma argentea che stava organizzando la loro difesa.
Lilith ricambiò lo sguardo e...
Sorrise.

 
Freya ansimò, aggrappandosi al braccio di Michele. Quello era un suo ricordo? O, meglio, era un ricordo dell'altra Freya?
Alzò la testa in direzione della vampira, ma questa era impegnata nel tentare di liberarsi dalle catene che le impedivano di muoversi e non fece caso al suo ennesimo turbamento.
Quel sorriso...
"Falso." sibilò l'altra Freya nella sua mente. "Eliminala. Uccidila." Freya trovò quelle lagne insopportabili.
"No." dichiarò decisa, mentre l'angelo la guardava come a voler capire fino a che punto la pazzia l'avesse divorata.
No, Freya era decisa a scoprire la verità, che fosse un bene o un male-come aveva affermato Michele- non le importava. Ed esisteva un unico modo per scoprirla; trovare dei membri del popolo fatato che potessero spiegarle ciò che era realmente accaduto.
Sentì le braccia di Michele che la sollevavano da terra con ben poca grazia e capì quello che l'angelo stava per fare ancor prima di vederlo. In altre circostanze avrebbe potuto urlare, ma era così sconvolta dalla visione della morente città di Shang che non trovò alcuna esclamazione
adatta alle circostanze.

 

 

Michele rotolò su un fianco, lasciando andare Freya e ansimando di dolore per l'urto che aveva subito. Si era lanciato dal palazzo, con la fata al seguito, e il suo corpo protestava per quell'ultima mossa azzardata. Alcuni tagli avevano ripreso a sanguinare e i muscoli delle gambe protestarono quando lui tentò di rialzarsi. Si piegò su un ginocchio e per qualche istante non fece altro che osservare la città.
Le strade erano affollate di vampiri e di gente in fuga in groppa a cavalli, o a bordo di carri malmessi. Cadaveri giacevano a terra in posizioni innaturali e alcuni di loro stavano per essere divorati dalle fiamme-che dalle mura esterne si stavano spingendo verso il cuore della fortezza.
Degli uomini lo superarono spintonandolo a terra e quando lui fece per mettersi definitivamente in piedi, Freya entrò nel suo campo visivo offrendogli la mano per aiutarlo.
"Cosa facciamo ora?" gli domandò. Lui notò che nella sua voce era presente una nota di sicurezza che fino a quel momento non aveva mai posseduto.
"Fuggiamo." le rispose lapidario. In quel momento un vampiro li attaccò e Michele trapassò il suo petto con la spada appartenuta ad Enuwiel.
Freya che si era messa alle sue spalle, gli indicò qualcosa alla loro sinistra. Un grosso esemplare di enteriano si stava avvicinando, trascinando sul terreno il corpo di una donna urlante.
La creatura si fermò, gettando l'umana in avanti. "Fuggitivi..." latrò, flettendo le ginocchia e preparandosi all'attacco.
Prima che lui potesse reagire, Freya lo superò zoppicante frapponendosi fra loro. La vide allungare il braccio in avanti e dei rampicanti di edera si avvolsero attorno al nemico, attorcigliandosi attorno al suo collo. Quando, con un movimento fulmineo, serrò il pugno l'enteriano si afflosciò a terra con il collo spezzato. L'umana gridò trascinandosi dentro ad un vicolo e lui la lasciò andare. In passato si sarebbe assicurato delle condizioni della donna, ma la situazione era troppo instabile per preoccuparsi di certi dettagli.
"Non possiamo abbandonare così la città." intervenne Freya con una smorfia. Michele notò che la ragazza stava perdendo tutti i tratti umani che l'avevano caratterizzata fino a quel momento. I capelli avevano assunto una sfumatura nera, mentre gli occhi avevano completamente mutato il loro colore in un viola acceso.
"Guarda in faccia la realtà, Freya. Siamo due contro un esercito di demoni e Vlad Tepes..." quel nome gli provocò uno spasmo involontario alla mano.
"Ci sono bambini che stanno morendo e..." lo interruppe lei con la voce incrinata.
Michele le diede le spalle e si sfiorò i punti in cui la pelle era percorsa da lunghi tagli frastagliati. "Non posso farmi trovare da lui." le rivelò amareggiato.
E poi c'era Clare...
Doveva trovare il modo di svegliarla, di liberarla dallo stato in cui versava. Sapeva che la Guardiana era un tassello fondamentale per la guerra contro Lucifero.
Inoltre, lei aveva informazioni sulla Pietra di Cristavia.
"Aiuterai queste persone!" esclamò Freya, serrando la mascella. "Hai bisogno di me per fuggire da questa città e ti assicuro che per farlo dovrai prima aiutarmi!" mise in chiaro, prima di chinarsi ad afferrare la spada del vampiro che lui aveva ucciso in precedenza. "Dopodiché mi dirai tutto quello che sai sulle fate e mi seguirai fino al lago Reewa." puntualizzò, sollevando con fatica l'arma.
Michele la guardò incredulo e scosse la testa. "Impossibile, Lilith sospetterà la tua destinazione e ci terrà una trappola."
A sentir nominare la vampira, Freya sembrò vacillare. "No, non lo farà. Non subito. Lei vuole che ricordi. Mi ha svelato di proposito il luogo in cui si rifugiano le fate."
"Perché avrebbe dovuto farlo?" le domandò, mentre si spostavano in una via ancora accessibile, malgrado i detriti della case ostruissero il passaggio.
"Già, perché?" borbottò pensierosa. "Credo che questa risposta stia nel mio... passato." concluse guardinga.
Superarono un mucchio di tegole e Freya gli prese il polso, serrandolo in una morsa d'acciaio.
"Tu verrai con me, angelo." Lui lasciò vagare lo sguardo su quella carnagione pallida e si liberò, infastidito, con uno strattone. Aveva sempre saputo che nell'animo di Freya si agitava qualcosa di oscuro, e l'espressione assorta che aveva in quel momento non fece altro che intensificare quell'idea. "Tu sei mio, ora." aveva la voce roca e uno strano luccichio negli occhi, come se non fosse realmente lei la persona che stava parlando.
Michele spostò la parte piatta della lama celeste sul braccio di Freya e lei si scostò da lui, sibilando di dolore. "Tu non ricordi di essere un membro del popolo fatato e io..." fece una pausa, per darle modo di osservare con attenzione l'ustione che l'arma le aveva lasciato "Freya, io, invece, conosco ogni modo che mi permetterebbe di uccidere una fata." lasciò che quella minaccia, non troppo velata, facesse il suo effetto prima di riprendere il cammino. 
 

 

Freya si portò una mano sul braccio ferito, ma l'ustione stava già guarendo e il dolore era qualcosa di sopportabile. Non aveva apprezzato il comportamento dell'angelo, ma nemmeno il suo. Aveva lasciato che l'altra Freya parlasse in sua vece, permettendole di lasciarla da parte.
Si stavano allontanando dalla zona maggiormente disastrata di Shang, nei quartieri dove le fiamme non erano ancora giunte. Lo stesso non si poteva dire dei demoni, che si prodigavano per saccheggiare abitazioni e mietere ulteriori vittime.
Michele aveva appena ucciso un altro vampiro, quando lei si fiondò ad aiutare una donna e il suo bambino. Il ragazzo era stato morso da una di quelle creature e giaceva tremante in grembo alla madre.
"Mostri!" gridò la donna non appena li vide. Rafforzò la presa sul figlio e cercò qualcosa con cui difendersi. Freya notò immediatamente che non era una semplice popolana. Dai vestiti che indossava doveva essere la moglie di qualche commerciante e sulle guance aveva i segni di lacrime versate da poco. Aveva un taglio profondo sul palmo della mano e tremava sia per il freddo che per il terrore.
"Cosa vuoi?" sobbalzò la donna, rannicchiandosi contro il muro. "Vattene... Vattene!" le schiaffeggiò la mano, in un inutile tentativo di difesa.
Freya si ritrasse di riflesso, sbarrando gli occhi per la sorpresa.
"Siamo un mostro, sì... Sì, non è così, Freya?"La risata sguaiata dell'altra Freya le annebbiò la mente, inducendola a rimanere in silenzio.
Michele, invece, non aveva avuto problemi ad avvicinarsi alla madre e a sfiorare il collo del figlio mentre quella inveiva come un'ossessa contro di lui. Una tenue luce rosata comparve dalla sua mano e i lineamenti del bambino si distesero in modo più naturale. La Guaritrice intuì che doveva averne alleviato il dolore, allo stesso modo con cui l'aveva fatto per lei. Freya trovava che quel singolare potere fosse alquanto bizzarro, ma non rimase a riflettere molto sulla questione.
"I canini del vampiro non sono penetrati in profondità. Si riprenderà." li informò l'angelo, tornando a pattugliare la zona.
La direzione del vento stava cambiando e un'ondata di fumo avvolse lei e i due sconosciuti che presero a tossire con violenza. "Dovete raggiungere l'uscita est, dirigetevi a sud." consigliò alla donna, prima di darle le spalle.
"Aspetta!" la richiamò, costringendola a fermarsi. "Qual'è il tuo nome?" ansimava e l'espressione che le rivolse le fece intuire che aveva ancora timore nei suoi confronti.
Lei esitò un istante di troppo e la donna abbracciò con maggior vigore il figlio. "Freya. Freya..." ripensò al nome con cui l'aveva chiamata Lilith e scosse la testa. "Freya Gadamath."
 

 

"La notte diventa giorno." mormorò Freya, stringendosi nei suoi abiti stracciati e rovinati. La città-fortezza di Shang era diventata un enorme torcia rossastra che, avida, divorava abitanti ed edifici. Gettò un'occhiata alle sue spalle, dove un gruppo di superstiti, soccorsi da lei e Michele, li seguivano docili, mentre in fila indiana oltrepassavano l'ingresso est della città.
Stavano procedendo lenti, una lentezza che avrebbe anche potuto decretare la loro fine, se i demoni si fossero accorti della loro fuga. Tuttavia, Freya era convinta che fossero troppo presi dalla smania di sangue per fare realmente caso a loro.
"Tu conosci questi luoghi. Guidali al sicuro." le disse Michele. Lei annuì, non troppo ansiosa di mettersi in testa al gruppo di quei moribondi, e annotò nella sua mente l'aspetto decisamente sfinito che mostrava l'angelo.
"Cosa intendi fare?" chiese sospettosa, assottigliando gli occhi.
"Vi guardo le spalle." replicò l'altro con una punta d'astio nella voce.
La lasciò a quel modo, immobile alla guida di una fila di umani moribondi, che la fissavano con sguardi pieni di speranza e aspettativa. Tra loro c'erano anche mistici e soldati, e con un moto di stizza lei realizzò che sarebbero potuti essere persino alcuni dei suoi passati aguzzini.
Rabbrividì, quando una donna anziana le sfiorò la spalla per chiederle cosa stavano aspettando. Lei aprì la bocca, ma si rese conto di non conoscere nemmeno la risposta. Le sue mani indugiarono per qualche istante su una colonna di pietra, prima di cadere inermi al suo fianco.
Infine, decise.

Avrebbe guidato i sopravvissuti ad est, lungo le pendici delle montagne, lontana dalle pianure invase dai demoni, e con un po' di fortuna sperava di riuscire a raggiungere la costa. Giunta lì, si sarebbe poi spinta a sud, alla ricerca del lago Reewa e dei sopravvissuti del popolo fatato.
"Ci sposteremo ai piedi delle montagne." spiegò, quasi gridando per cercare di farsi sentire da tutti. "Dobbiamo raggiungere la costa e l'arcipelago di Grefin..."
Prima che potesse concludere di esporre la sua idea, i superstiti cominciarono a confabulare tra loro.
"Circolano delle voci su questa catena montuosa." replicò cauto un soldato. "Esseri di ghiaccio e lupi grandi come uomini che camminano indisturbati alla luce del sole."
"Sì, nessun essere umano con il minimo di senno, oserebbe avventurarsi nei loro territori in questa stagione dell'anno." intervenne un altro, borbottando parole sconnesse.
Freya, si limitò a stringere le labbra in un'espressione infastidita. Una fortuna, pensò, che lei non fosse umana e che avesse perso il senno da molto tempo. "Preferite quindi tornare, ed affrontare i demoni?" li schernì, con una scrollata di spalle ed invitandoli ad andarsene. "Se percorrerete le pianure i demoni vi individueranno subito e se anche riusciste a rimanere incolumi, potreste fare ben poco da soli. Certo, potreste tentare di raggiungere la capitale dell'Impero, ma se anche Shalit non fosse stata già distrutta, i demoni tenteranno sicuramente di espugnarla in un prossimo futuro."
Il chiacchiericcio si fece più intenso e piccoli gruppi solitari si formarono per discutere delle varie possibilità. Mentre osservava quegli uomini prendere una decisione, la certezza sulla sua possibilità di sopravvivere si acuì. Non era giunta fino a quel punto per lasciarsi uccidere o catturare nuovamente.
Aveva fatto del suo meglio per convincere la popolazione di Shang che quella era la via migliore per sfuggire ai servi di Lilith, ora spettava a loro valutare se credere al mostro che Shaber aveva rinchiuso in gabbia o se andarsene per la propria strada.
"La costa è poco abitata, i vampiri non si spingeranno fino a lì." tornò a persuaderli. "La capitale è un bersaglio maggiormente appetibile." continuò.
"Quelle montagne sono maledette!" esordì un uomo in fondo al gruppo. "Meglio i demoni a quelle bestie di ghiaccio!" Qualcuno annuì in segno di approvazione, stringendosi attorno a lui quasi a sfidarli a sostenere il contrario.
L'altra Freya sghignazzò, suggerendole quali insulti potesse rivolgere "a quei codardi senza midollo", come li aveva definiti.
Michele, che chiudeva la fila con la spada angelica ben salda tra le mani non accennò ad agire per impedire ad alcune persone di tornare indietro. Semplicemente, si fece da parte per lasciare che si allontanassero.
"Folli." sibilò Freya. "Sciocchi, stupidi, folli."
"Lasciali andare. Lascia che vedano. Lascia che provino. Torneranno a strisciare da noi, per chiedere il nostro aiuto, per chiedere benevolenza." il tono dell'altra Freya era irritato e compiaciuto al tempo stesso. "È sempre così, con i mortali."
Scosse la testa, cercando invano di liberarsi da quella sgradita presenza.
"E se consegnassimo l'angelo? Oppure, che ne dite della strega? Lei potrebbe..." Freya raddrizzò le spalle, scrutando uno ad uno i volti dei presenti: un centinaio di esseri umani che ipotizzavano di cedere lei e Michele a Lilith.
"Stolti, umani." sentiva fremere di rabbia l'altra Freya. O, forse era lei quella infuriata?
Protese le dita in avanti, lì dove un ciuffo d'erba gialla traballava a causa del vento. Il suo pugno si strinse attorno a quella fragile esistenza, distruggendola in una manciata di secondi. Sorrise. La medesima fine sarebbe toccata a chi avrebbe osato toccare lei o il suo angelo.
"Dirigiamoci all'arcipelago!" esclamò qualcuno, tra la confusione generale.
"Non possiamo farci guidare da lei!" dichiarò una donna, con una smorfia disgustata. "Per il Creatore!" continuò quella, picchiettando i piedi su una roccia.
Michele aveva lasciato la sua postazione per raggiungerla, evidentemente seccato dall'intera vicenda. "Dobbiamo allontanarci da qui." le mormorò all'orecchio.
Freya sospirò, avvertendo un crescente fastidio per quell'indecisione generale.
"Non si metteranno mai d'accordo." osservò Michele, flettendo le braccia per cercare di rilassare i muscoli. Era vero e lei lo sapeva. Si sarebbero scannati a vicenda pur di ottenere per se stessi il ruolo di leader.
Freya stropicciò gli occhi, cercando di ignorare i refoli di nebbia che scivolavano tra il paesaggio, provocandole un fastidioso mal di testa. Era da quando aveva parlato con Lilith che quella sorta di mondo interiore si era mescolato alla realtà. Di solito la nebbia si manifestava solo quando faceva ricordo ai suoi poteri, quando le Ombre cominciavano a manifestarsi al suo sguardo.
Aveva il terrore di scoprire che quella nebbia avrebbe continuato a popolare le sue giornate anche da sveglia.

 
"Ombre?"
"Sì, Ombre che si muovono, che mi parlano persino."
"Stai impazzendo, Freya?" la voce aveva una sfumatura preoccupata.
"..."
"Un mondo fatto di Ombre... Non comprendo, Freya."
"Limbo." aveva risposto, con sguardo assente. "Quel mondo di nebbia e Ombre... L'ho chiamato così: Limbo."
"Limbo." l'eco di quella parola si era propagato per tutta la sala. "Stai dando un nome alle tue paranoie." l'accusò con un ringhio di rabbia. "Questo, non
porterà nulla di positivo." 

 

 

Un nuovo ricordo? Le stava tornando la memoria?
Freya si sedette su un tronco al ciglio del sentiero boscoso, cercando di rammentare qualcos'altro. Aveva bisogno di sapere, di ricordare...
Due madri si erano rivolte a Michele in cerca di consiglio e lei lo vide assecondare le loro richieste con spiegazioni rapide e precise.
Poi lui si zittì e Freya si rese conto che l'angelo era una creatura poco espansiva; non era solito prodigarsi in commenti superflui o dialoghi sterili come, invece, faceva lei.
"Credo di ricordare." gli annunciò, passandosi una mano sulla fronte sudata.
"Bene." rispose lui, lapidario, serrando la mascella alla vista della città in rovina.
"Ti infastidisce?"
Michele si voltò. "Cosa?" domandò guardingo, come se lei stesse tessendo un qualche tipo di trappola. L'altra Freya, commentò compiaciuta per il paragone con un ragno.
"Questo?" fece un ampio gesto del braccio, portando l'attenzione su Shang. Gli infastidiva la morte di Shaber? L'idea di dover aiutare umani che lo avevano torturato? La necessità che lo obbligava a rimanere in sua compagnia?
In tutta risposta, l'angelo le diede le spalle, chiudendosi in un mutismo fastidioso.
"Oh, sì." ridacchiò l'altra Freya. "Povero, povero angioletto." lo derise. "In lotta tra dovere e sentimento. Come Lucifero. Come il suo adorato fratello."
Freya avvertì una fitta fastidiosa allo stomaco. Quell'ultima osservazione l'aveva turbata, più delle precedenti lagne dell'altra sé.
I continui susseguirsi di bisbigli e di osservazioni critiche dal resto del gruppo, insieme al suo crescente mal di testa, la costrinsero nuovamente ad agire.
"Smettetela!" ordinò, in uno scatto d'ira così repentino da prendere alla sprovvista persino lei. "Fate quello che volete, ma decidete ora."
La folla si zittì all'istante e lei trovò estremamente seccante dover essere il pastore di quel gregge smarrito. Lo avrebbe consegnato ai lupi, se solo avesse avuto la certezza che le bestie avrebbero risparmiato lei.
"Io e l'angelo partiamo." avvertì, rimettendosi in piedi. Fece un cenno a Michele che scrollando le spalle si avviò lungo il fianco della montagna senza farsi pregare oltre.
"Se volete seguirci, dovrete farlo... Immediatamente." specificò in modo brusco.
Avanzò. Un passo dopo l'altro, senza voltarsi mai indietro per vedere chi la stesse seguendo.
"È sempre così. Non possono fare a meno di seguirci, quegli sciocchi mortali."
"Deboli." le rispose Freya di rimando.
L'altra Freya ghignò. "Deboli e inutili." confermò compiaciuta. "Inutili."

 

 

 

 Capitolo gentilmente betato da: Jales

 

Note: Sono tornata! :D
In verità, non ho molto da dire sul capitolo. XD L'altra Freya comincia ad emergere sempre più, così come i ricordi del suo passato. Alla fine ogni cosa vi sarà più chiara, spero ù_ù
News:

  • Ho scritto un prequel (molto prequel) interamente dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter

  • Se vi va di farmi domande in merito alle storie o di altra natura potete farla in forma anonima: Qui

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Capitolo 16
*** Challenge the Fate ***






15

Challenge the Fate

 

 

Camminavano; era quello che, volenti o nolenti, erano costretti a fare da quasi tre giorni. Mettevano quanta più distanza possibile tra loro e Shang, consapevoli che altri tipi di demoni potevano nascondersi in quei boschi umidi e oscuri.
Erano un gruppo di uomini alla deriva e Freya ne era tristemente consapevole. Era diventata la loro guida, certo, ma la seguivano come pecore che non sapevano cosa altro fare senza una dritta del pastore.
Freya osservò la donna che era china su un cespuglio di bacche rosse e che la guardava con occhi speranzosi.
"Sono velenose." le rispose a quella muta richiesta, scuotendo il capo. Fin da bambina aveva sempre provato una curiosità morbosa verso le piante in generale e in quei giorni Michele le aveva spiegato che ciò era probabilmente dovuto al fatto di possedere sangue di fata.
"Ma non per noi, bambina. Non per noi." replicò l'altra Freya. Da parte sua, lei si ritrovò ad allungare una mano verso il cespuglio, fermandosi prima di sfiorare le bacche. "Fameee." pigolò la sua alter ego, facendole strizzare gli occhi. "Voglio della carne. Voglio della carne. Vogl..."
Freya si morse il polso così a fondo, per tentare di far tacere quella presenza sgradita, che del sangue le scivolò nella bocca. Quel sapore sembrò placare, in minima parte, i commenti dell'altra sé.
Raddrizzò le spalle e si voltò per vedere la colonna di persone che camminavano ammassate le une alle altre su quello stretto sentiero montano. Faceva freddo e la maggior parte di loro non aveva abiti adatti a sopportare quella rigida temperatura. Non c'era stato tempo per permettere agli abitanti di Shang di raccogliere viveri o effetti personali ed ora ne pagavano il prezzo.
Erano stanchi, infreddoliti, affamati e alcuni di loro, i bambini più piccoli e gli anziani, erano in preda ai brividi della febbre.
Il giorno prima, Freya era riuscita a preparare dei lenitivi contro la febbre, grazie ad alcune erbe che aveva trovato nel sottobosco, ma l'effetto non era duraturo.
Oltre che dall'aria pungente e la mancanza di provviste, il viaggio era ostacolato anche dal sottile strato di nevischio che la notte gelava, formando una pericolosa patina di ghiaccio.
Un leggero pizzichio agli occhi la avvertì che il suo potere le voleva suggerire qualcosa. Li chiuse, fece un bel respiro, e quando li riaprì si ritrovò in un mondo avvolto dalle nebbie: il Limbo.
Ancora non si capacitava di essere riuscita a ricordare il nome di un luogo di cui le sfuggivano le dinamiche. Delle spirali di nebbia si attorcigliarono attorno al suo braccio, quasi tirandola verso l'interno del bosco.
"Restate qui." disse, senza convinzione ai membri del gruppo. In quella dimensione i volti dei presenti gli apparivano sbiaditi, come vederli oltre un vetro deformato. Il refolo di nebbia si fece strada tra i tronchi degli alberi e le spine dei rovi senza fiori.
Freya camminò per dieci minuti, superando cumuli di neve e massi scivolosi. Quando l'influenza del suo potere si affievolì e lei riuscì a vedere nuovamente il mondo per ciò che era, trovò una macchia di funghi commestibili che si espandeva per qualche metro.
Un sorriso vittorioso le sorse spontaneo tra i lineamenti del volto, ma un fievole dolore alle labbra la distrasse per un istante da quella visione trionfale. Si sfiorò il labbro ferito, lì dove il sangue era di un rosso quasi violaceo. Spinse il dito più avanti e sussultò, ritraendolo spaventata, quando avvertì il profilo aguzzo dei denti.
"Oh, sì, piccola Freya. Sì. Denti per strappare la carne, denti di un cacciatore."
"Da questa parte!" chiamò a gran voce, chinandosi per poter cogliere i funghi. 
 

 

Si erano radunati attorno a otto fuochi, in gruppetti da dieci persone, aspettando che i funghi allo spiedo si arrostissero prima di poterli
mangiare. Era un pasto magro, ma il più abbondante e facile che avessero rimediato in quei giorni.

Freya si scostò leggermente da alcune braci scoppiettanti e si strinse nel suo logoro mantello da viaggio. Michele era poco distante, chino sul terreno e intento a mormorare tra sé qualche parola. Non si era mai lamentato, ma il suo aspetto esprimeva meglio delle parole le condizioni in cui versava. Le ferite stavano gradualmente scomparendo dal suo corpo, ma lei intuiva che c'era qualcosa che lo preoccupava in modo
allarmante.

Durante il giorno, Michele se ne andava per i fatti suoi non rivelando a nessuno cosa faceva e tornava solo a sera per riposarsi insieme agli altri.
Freya allungò il braccio verso un bastone infilzato di funghi e lo passò a Michele che lo rifiutò con una smorfia del volto.
Con una scrollata di spalle lei affondò i denti nella sua cena, inghiottendo con gusto quel pasto frugale. Sì sentì subito meglio, sospirando per il piacere di avere nuovamente lo stomaco pieno.
"Non placherà la nostra fame." la mise in guardia l'altra Freya. Lei si limitò a fissare le fiamme e ad assorbire il calore che emanavano.
Si trovavano nei pressi di una piccola grotta, in un luogo abbastanza isolato che permetteva a tutti di sentirsi maggiormente al sicuro da eventuali attacchi nemici. Prevedeva che nel giro di quattro giorni, mantenendo quel ritmo, sarebbero riusciti a discendere le montagne e a raggiungere nuovamente la pianura.
Si riscosse dai suoi pensieri quando qualcuno picchiettò insistentemente sulla sua spalla per ottenere attenzione.
Quando si voltò, osservando corrucciata le due figure che aveva di fronte, soffocò un'esclamazione sorpresa.
"Ufrhin?" borbottò accigliata, guardando il vecchio dal volto sfregiato che in prigione aveva affermato di essere il legittimo vescovo di Shang. "Siete vivo..." commentò, sorpresa di vederlo in quel luogo.
L'uomo, un mucchio d'ossa privo di bulbi oculari, era sostenuto da una delle guardie di Shaber e c'era da chiedersi come fosse riuscito a salvarsi con vampiri e demoni di ogni tipo a piede libero.
"Freya Gadamath." la salutò debolmente. "Le voci sull'angelo..." mormorò girando su se stesso. "Sono vere? Lui è qui?"
Lei si voltò verso Michele che con uno sbuffo infastidito si era alzato di malavoglia per andare incontro al vescovo.
"Sono qui." si limitò a dire l'angelo, tenendosi a qualche passo di distanza.
Ufrhin rantolò parole incomprensibili e zoppicò fino a Michele toccandogli il volto con i polpastrelli delle mani. Impassibile, l'angelo mantenne costantemente un'espressione neutra.
"Non pensavo... Non credevo che... Un angelo precipitato dall'Eden!" tossì, aggrappandosi convulsamente al braccio del soldato. "Così umano..." riprese a dire con un filo di voce.
"Così angelico. Così celeste. Così... fastidioso." si premurò, invece, di dire l'altra Freya.
"Cosa volete?" domandò Michele, brusco.
Freya ingoiò un altro pezzo di fungo, senza nemmeno premurarsi di avvertirne il sapore sulla lingua. Deglutì con forza, indietreggiando appena verso il fuoco.
Il vecchio alzò la mano tremante, mettendo in mostra una fila di denti marci e mancanti. "Una goccia, solo una." bisbigliò. "Me ne basterebbe una piccola..." farfugliò, inciampando nei suoi stessi passi.
"Sono tutti uguali, questi irritanti umani. Vogliono, vogliono, vogliono... e quando ottengono il loro desiderio, pretendono altro e altro ancora."
"Non ti basterebbe." lo fece tacere Michele.
Freya lanciò i resti del suo spiedino nel fuoco. "Cosa vuole?" intervenne lei, sospettosa.
L'angelo la guardò negli occhi, come a voler sondare i suoi pensieri, poi spostando minaccioso il braccio verso la spada celeste la estrasse dal fodero e la puntò verso un punto del bosco alle loro spalle. "Arrivano. Presto avremo compagnia!" gridò, voltandosi verso la popolazione di Shang. "Freya, fai entrare le donne e i bambini nella grotta." ordinò sbrigativo. "Chi può combattere si armi con ciò che trova e si metta a guardia dei più deboli!"
Nello stesso momento la afferrò per un braccio e un sorta di ululato, ma molto più acuto di quello dei normali lupi, si levò tra la selva facendo scattare il panico tra i presenti. 
 

 

Michele trascinò Freya con sé, mettendosi di fronte ad alcuni bassi cespugli, lì dove pensava che i nemici avrebbero attaccato per primi. Alle loro spalle gli uomini si prodigavano per mettere al sicuro le loro famiglie e ad alimentare il fuoco con altra legna.
"Chi... Cosa sta arrivando? E cosa voleva Ufrhin?" gli domandò Freya, battendo frustata un piede sul terreno.
"Ssh. Aspetta." le fece segno di tacere e di guardare verso la sporgenza rocciosa che emergeva da un fianco della montagna. Ombre tra le ombre, si muovevano creature a quattro zampe, grandi tre volte un lupo comune.
Agendo senza quasi esserne consapevole, Freya appoggiò la mano sinistra sul terreno e chiuse gli occhi. Lui osservò la terra rispondere al tocco della fata, così come una persona avrebbe potuto fare con le parole. Il fiato di Freya si condensò in una nuvoletta di vapore, mentre comandava alle radici degli alberi di protendersi in avanti al passaggio delle creature.
"Cosa sono? Demoni?" gli chiese lei, senza voltarsi.
"No." Si acquattò tra le foglie cadute, osservando le figure che cercavano di fuggire dalle radici che si avvolgevano attorno alle loro zampe, per impedire la loro avanzata. "Ti ho già spiegato; i demoni sono creature infettate dal sangue dei Caduti, vampiri purosangue."
"Dunque?" lo incitò a proseguire.
Michele fece segno ad alcuni soldati di nascondersi dietro agli alberi, turbato all'idea di rivelare a Freya quella verità in particolare.
"Loro..." si zittì, vedendo alcune piante venire scosse da un tremito quasi umano. I rami spogli si chinarono in avanti, quasi volessero fare la riverenza a qualche re.
Il tenue bagliore della spada celeste rivelò i contorni di un lupo, grande quasi quanto un pony, e Michele si avventò sulla bestia rotolando insieme a lei sul terreno gelato.
Il lupo gli graffiò il braccio con gli artigli e lui rispose frapponendo la lama di Enuwiel tra la testa dell'animale e il suo corpo. La candida pelliccia della creatura si macchiò di sangue e Michele ebbe modo di notare che erano gli unici ad aver ingaggiato uno scontro.
L'animale ringhiò, ma quando questi fece per allontanarsi l'angelo lo lasciò libero di andare.
"So che puoi capirmi. Dimmi cosa vuole la tua gente." lo invitò a spiegarsi, con un cenno del capo. La creatura si mise in posizione eretta, gli artigli chiari come ghiaccio che segnavano il terreno. La coda, arruffata e con la punta scura, si muoveva ritmicamente da destra a sinistra.
Il lupo, che al chiarore della spada sembrava ricoperto di uno strato di brina, spalancò la bocca, dando forma a parole dai suoni aspri e gutturali.
"Il vostro gruppo porta su di sé il fetore di quelle creature maledette." esordì, alzando il muso. "Una manciata di vampiri è sulle vostre tracce. Dovete allontanarvi da questi luoghi. Non abbiamo interesse nel prendere parte agli scontri."
Michele distolse lo sguardo, annuendo. "Ci allontaneremo." Rilassò impercettibilmente i muscoli delle spalle, grato che la creatura non avesse percepito in lui nulla di particolare.
"Aspet..." il lupo si interruppe e dalla sua gola proruppe un ringhio di avvertimento.

 


 "Ritira le zanne."
Freya aveva affiancato Michele, ed era rimasta ad osservare gli occhi dalle molteplici sfumature grigie della creatura. "Ritira le zanne." ripeté con maggior enfasi. "Non siamo vostri nemici."
"Ma nemmeno alleati." replicò il lupo, fiutando l'aria attorno a lei. "In tal caso, potrei considerarvi come spuntini fuori dal pasto."
A Freya bastò agitare il polso verso sinistra per far sì che i rami di una quercia si attorcigliassero attorno all'addome della creatura.
"Sei tu... quella che possiede la magia. Il trucchetto delle radici non è bastato per fermare la nostra avanzata."
Freya fece una smorfia, non capacitandosi di come quell'animale riuscisse ad esprimersi a quel modo. Era innaturale il modo in cui la mandibola si muoveva; contro natura.
Altri lupi avevano raggiunto il compagno, cercando di strappare i rami a morsi per poterlo liberare. Lei lo fece sospendere in aria, assicurandosi che i rami fossero irraggiungibili per i nemici.
"Cosa siete?" domandò, fattasi insolitamente temeraria. Fu quasi certa che fosse una smorfia quel lieve arricciamento che vide sul labbro inferiore della creatura.
"Luphien. Lupi non più... lupi." pronunciò l'animale, enfatizzando l'ultima parola con disprezzo.
"Dunque? Cosa significa che siete luphien?" Con la coda dell'occhio Freya scorse Michele muoversi a disagio.
"Lasciami andare, fata." quasi sibilò, la creatura. "Lascerò che tu e gli umani vi allontaniate e chissà, magari ucciderò i vampiri che vi cacciano."
Freya abbassò la mano, allentando di poco la presa dei rami sulla creatura.
"Sì, lascerò andare anche te, angelo." ringhiò il luphien, imitato dai suoi compagni.
"Non potresti comunque fermarmi." replicò Michele, con un'arroganza che a Freya ricordò quella della sua alter ego.
"Perché vi siete avvicinati, se come dici non volevate ucciderci?" dichiarò lei, sospettosa. "E cos'è esattamente un luphien?" chiese nuovamente.
L'animale diede una scrollata alla pelliccia, facendo piovere sul terreno gocce di acqua. "Un lupo non p..."
"Più lupo. Sì, questo l'ho compreso." tagliò corto Freya. "Ma cosa comporta? Cosa significa che non siete più lupi?"
La creatura abbassò la testa in direzione di Michele che sembrava turbato.
"L'angelo lo sa. Tu lo sapresti, se solo ti sforzassi di ricordare. Ricorda." comandò l'altra Freya. "Ricorda!"

 

 

"Stanno cambiando, Somma Arturya. Non potete fare nulla per impedirlo."
"ll mio sangue..."
"Avete tentato, ma le mutazioni sono irreversibili. Gli effetti del vostro sangue sono momentanei."
"Non sopporto di assistere a questo sfacelo."
"Consideratela come una... evoluzione."
"È innaturale. Queste alterazioni sono innaturali. Gli umani non sopravvivranno se continueranno a rimanere esposti ad una tale radiazione di... Potere."
"Si adatteranno. L'hanno sempre fatto."
"Ma non le fate, vuoi dirmi. Le fate non si adatteranno, non come gli umani."
"Ci estingueremo, Somma Arturya, sì. Lentamente, certo, ma scompariremo. La debolezza tra le due Corti è solo il principio. Spetta a voi trovare una soluzione. Siete rimasta solo voi. Titania, lei avrebbe voluto così."

 

 

Freya sobbalzò, girandosi appena verso Michele. "Sono cambiati." bisbigliò più a se stessa che a qualcuno degli osservatori."Mutati dalla magia, dal potere." deglutì, sforzandosi di scacciare il fastidioso sapore che sentiva intrappolato in bocca. "Lupi non più lupi. Luphien." proseguì, quasi aspettandosi che qualcuno la correggesse. "Lupi evoluti... o degenerati." aggiunse così piano che nessuno la sentì.
Puntò gli occhi in quelli di Michele, che avevano riassunto una sfumatura di distacco. Il loro colore, a metà fra l'azzurro e l'argento, trasmetteva un soffocante senso di gelo.
"Prima stavi per dirmelo." commentò Freya, allentando ulteriormente la forza che esercitava sui rami della quercia. "Ora comprendo la tua cautela nei confronti di queste creature." I luphien scoprirono i denti, come cani a cui avessero improvvisamente tolto l'osso.
"Gli angeli sono responsabili di quanto è accaduto loro."
"Non meno delle fate." la zittì Michele, facendola indietreggiare con un'occhiata. "Non siamo stati noi a dare inizio alla Prima Guerra Celeste e la colpa non è neppure da imputare esclusivamente ai Caduti."
A quel punto Freya strinse le mani a pugno e marciò infuriata verso di lui. "Ma sta per scatenarsi una nuova guerra!" gli sibilò in faccia. "Sei stato tu a dirmelo!" lo accusò, sprezzante. "Lascerai che questo..." mosse il braccio attorno a se stessa in modo eloquente "...si ripeta?" concluse.
Michele serrò la mascella con fare nervoso e quando parlò la sua voce risultò dura e astiosa. "No, se potrò evitarlo."
L'altra Freya si limitò a sghignazzare per tutto il tempo.

 


"Allontanatevi dai nostri territori e in cambio uccideremo per voi i vostri inseguitori."
Freya annuì per puro riflesso alle parole di Rha, il capobranco luphien che dopo essere stato liberato dai suoi poteri si era presentato anche agli umani. L'emicrania non le dava tregua, così come i commenti inopportuni dell'altra Freya.
"Non vedo che tipo di vantaggio voi possiate ricavarne." fu il commento lapidario di Michele.
Rha camminò circospetto attorno al fuoco, la zampa posteriore sinistra leggermente zoppa. "La mia gente non desidera partecipare alla guerra che tu hai prospettato per il futuro."
"Sarete ugualmente coinvolti, che il tuo clan lo desideri o meno." affermò l'angelo senza esitazioni. "Dovrete scegliere da che parte stare."
Freya allungò le mani tra le fiamme, sussultando appena quando il fuoco le lambì la pelle. Osservò il processo di rigenerazione dei tessuti, valutando il tempo di guarigione in atto.
Il luphien ignorò l'ultimo commento di Michele. "C'è un villaggio abbandonato a tre giorni di cammino da qui."
Tra gli umani si levarono bisbigli concitati. "Un villaggio che voi mostri avete sicuramente attaccato!" gridò qualcuno.
Rha ringhiò infastidito, puntando la testa verso chi aveva parlato. Il luphien arrivava quasi alle spalle di Freya; un concentrato di muscoli e artigli pronti per essere utilizzati.
Per un istante, Freya distolse l'attenzione dal fuoco chiedendosi se dovesse ordinare alla terra di inghiottire quel "lupo non più lupo". Scosse la testa, studiando il profilo di Michele che sembrava assorto in altri pensieri.
"Basta così." annunciò Rha, lasciando che la rabbia trasparisse dalla sua voce graffiante. "Vi ho concesso tempo a sufficienza per decidere. Avete fino all'alba, poi i miei compagni vi attaccheranno. Gli uomini di ghiaccio si avvicinano..."
Freya avvertì un brivido percorrerle la schiena, come se il suo corpo reagisse a quelle parole. Era così stanca... Stanca di quell'esistenza. Stanca di come la sua vita fosse cambiata con la comparsa della stella verde e l'arrivo dell'angelo.
"Ce ne andremo." assicurò Michele.
Da parte sua, lei rimase in silenzio, incerta se dover ritirare la mano dalle fiamme o lasciare che quel calore la consumasse. Fu l'altra Freya che decise al posto suo.

 

***

 

Vlad ritirò le ali dietro la schiena e fece qualche passo in avanti, sull'erba umida. Allungò la mano in un gesto lento, armonioso, e non si lasciò sfuggire alcun lamento quando la carne sfrigolò a contatto con la barriera di energia innalzata ai confini di quella città.
La pelle era diventata nera in alcuni punti e nell'aria aleggiava un lieve odore di materia organica bruciata. Lasciò ricadere l'arto al suo fianco e osservò meditabondo l'umano davanti a sé.
"Sei stato abile nel cancellare le tue tracce, Vincent Rainsworth."
Al sicuro dall'altro lato della barriera, lo stregone inclinò la testa di lato, schiudendo le labbra. "Non abbastanza, sembra." replicò cauto. "Avevamo fatto un patto, Vlad, e tu non lo hai mantenuto." lo accusò lo stregone, sfilandosi dal collo la catena con la Pietra di Cristavia.
"Tu per primo hai infranto il giuramento, cercando di vincolarmi al sangue della Guardiana." obbiettò il vampiro, umettandosi le labbra.
"Ma sono stato io a liberarti dall'esilio in cui l'angelo Enuwiel ti aveva costretto. Ho spezzato il sigillo che lui aveva imposto su te e i tuoi seguaci."
Vlad fece scivolare la mano sulla lama di Exaniha, cercando di capire se la spada celeste avrebbe potuto spezzare la barriera.
"Non pensavo che per il grande Vlad Tepes, distruggere un regno umano ed il suo re fosse tanto difficile. La nostra collaborazione non ha più motivo di esistere."
"Non c'è mai stata alcuna collaborazione." si intromise lui, tracciando un cerchio sul terreno con Exaniha. "Ciò che ti proponi di fare è impossibile. Non puoi modificare il corso degli eventi passati."
Vincent sorrise ed i suoi occhi dorati riflessero la luce argentea della luna. "Sappiamo entrambi che il modo esiste. È inutile, ora, tentare di rimangiarsi le parole dette." fece scivolare la Pietra di Cristavia tra le mani, facendola dondolare lentamente avanti e indietro. "Perché non torni alla tua guerra, Vlad? Perché non vai a riprendere tuo figlio?" pronunciò l'ultima parola con disprezzo e il vampiro si trattenne a stento dal gettarsi nuovamente sulla barriera.
"Non potrai sfuggirmi per sempre." lo avvertì con un ringhio sommesso. "La tua magia non ti proteggerà in eterno."
Lo stregone si strinse nelle spalle e gli indicò il profilo della città di Shalit, la capitale dell'Impero Thogal. "Cambierò il corso del destino, vampiro." sibilò brusco. "L'ho promesso ad una persona."
"Non puoi riuscirci." replicò Vlad, dopo aver completato di tracciare il cerchio.
"Non senza il tuo aiuto vuoi dire. Ma tu non sei l'unico individuo a voler modificare il corso della storia. Esistono altri... disposti ad aiutarmi."
"Dammi la Pietra." ringhiò, puntando Exaniha verso la sua gola. Scintille di fuoco caddero sul terreno, ma la lama non riuscì a raggiungere la testa di Vincent.
"Per quale motivo? Temi il suo potere, desideri ottenerlo o credi che io voglia ucciderti?" domandò, volgendosi a guardarlo. "Bhe, in effetti è così... desidero la tua morte, ma questo già lo sai, re dei vampiri."
Exaniha cadde al suolo e sulla sua mano, Vlad diede vita a fiamme smeraldine che si avvolsero a spirali attorno al suo braccio. "Non puoi oltrepassare la barriera. I tuoi sono sforzi inutili." lo schernì l'umano.
"Questo insediamento umano non potrà resistere in eterno." lo ammonì lui, posando la mano infuocata sulla barriera.
"È proprio questo il tuo errore, Vlad: non credere che la città possa resistere." Vincent, nascose nuovamente la pietra tra le sue vesti e gli diede le spalle. "Questa è Shalit, angelo esiliato dall'Eden: luogo di culto dell'Antica Religione e cuore pulsante del sotto-mondo alchemico."
"Alchimia." le ali di Vlad fremettero di collera. "Un motivo in più per volerla distruggere."
 

 

***

 

Per Freya era stato un sollievo scoprire che durante l'incontro con i luphien il cuore di Ufrhin si era fermato, come se la sola presenza di quelle bestie avesse potuto ucciderlo. Non che il vecchio vescovo, vero o falso che fosse, sarebbe riuscito a reggere ancora a lungo quel viaggio...
Pur non avendolo in simpatia, Michele aveva insistito nel seppellirlo vicino ad un vecchio roseto e così avevano perso due ore per scavare una fossa. Il tutto era stato completato con una rapida preghiera, affinché la sua anima trovasse la via per le Case dei Morti.
Quando si erano rimessi in viaggio era quasi giunta l'alba e in lontananza gli ululati dei luphien li accompagnarono per un considerevole tratto del cammino. Dei vampiri non c'era stata traccia, ma con il sorgere del sole non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Quella mattina, Michele rimase in testa al gruppo affiancandola lungo la strada.
"Cosa voleva da te Ufrhin?" gli domandò.
L'altra Freya sogghignò. "Giovane, inesperta fata." commentò con una fastidiosa accondiscendenza. "Una goccia di sangue. Una goccia, una sola, per prolungare la sua vita." le spiegò.
"Sangue..." mormorò Freya, voltandosi verso Michele.
L'angelo ricambiò l'occhiata con espressione neutrale; tendeva sempre a non sbilanciarsi troppo con le sue emozioni. "Sì, sangue celeste."
"Perché?" replicò lei, pensierosa.
L'altra Freya sembrò emettere un sospiro rassegnato. "Qualità, proprietà, benefici... Il sangue veicola i poteri delle stirpi. Una sola goccia, basta per mutare quello umano e animale."
"Il sangue degli angeli..." Michele si accigliò, assicurandosi che nessun abitante di Shang lo stesse a sentire. "...Prolunga la vita degli umani. Ufrhin, che a differenza di Shaber era un reale seguace della Chiesa, era a conoscenza di questo segreto. Per questo desiderava avere il mio
sangue."

Freya ripensò alle torture a cui Shaber aveva sottoposto Michele per poter ottenere l'immortalità e la via che conduceva all'Eden. "Te lo avevo detto: i mortali sono tutti uguali; prevedibili nei loro desideri."
Ignorando le parole dell'altra sé, si chiese cosa sarebbe accaduto all'angelo se Shaber avesse saputo la verità sul sangue di Michele. Era certa che lo avrebbe ucciso subito dopo averlo dissanguato a morte.
"Non era diverso da Shaber." osservò lei, lasciando vagare lo sguardo alle spalle di Michele, lì dove un tempo dovevano esserci state delle ali dorate. "Avrebbe effetti anche su di me? Il tuo sangue..." lasciò la frase in sospeso, ma lo vide annuire segnalandole che aveva capito le sue parole.
"Tu sei una fata, Freya." replicò con calma. "La tua esistenza non è breve come quella dei mortali. Non avrebbe senso per te usufruire del mio sangue per prolungarti la vita. Potrai vivere per centinaia di anni anche senza il mio aiuto." ironizzò.
"Oh." fu il suo unico commento. "Non... Devo ancora abituarmi alla mia attuale natura." balbettò, scuotendo la testa. "E il sangue di fata? Che effetti produce?" 
 

 

Michele si prese qualche minuto per riflettere prima di addentrarsi in un discorso e in ipotesi che avrebbero, almeno potenzialmente, disturbato ulteriormente i pensieri di Freya. Quella ragazza era troppo instabile per riuscire a prevederne le reazioni.
"Normalmente, il sangue del popolo fatato è potenzialmente letale per gli uomini. Coloro che sopravvivono ad un'eventuale contagio sono casi rari e finiscono con il perdere il senno. Il sangue tra il tuo popolo è chiamato linfa ed ha sfumature verdognole. Possiede la capacità di alterare l'aspetto umano, rendendolo più agile, forte e potenzialmente letale per gli altri uomini."
"Perché, normalmente? Ci sono eccezioni?" intervenne Freya .
Lui si fermò, afferrandola malamente per il braccio e lei gli indirizzò un'occhiata infastidita. "Tu sei l'eccezione."
Non reagì quando Freya si allontanò bruscamente, limitandosi a lasciarla andare.
"Sciocchezze." obiettò lei, truce.
Fu questione di un attimo, ma Michele vide chiaramente un mutamento repentino nei suoi occhi, quasi avesse all'improvviso capito o ricordato-lui non sapeva dire quale delle due opzioni fosse la più plausibile- che le sue parole corrispondessero a verità. Freya si sfiorò pensierosa i palmi delle mani, apparentemente indecisa su cosa fare.
"Freya Arturya Pendragon." la chiamò, facendola sobbalzare. "Non te ne ho parlato prima, ma conoscevo la fama di colei che portava questo nome. In ogni caso, non l'ho mai conosciuta, non ti ho mai conosciuta" si corresse "per lo meno, non prima del mio arrivo a Shang."
"Tu sapevi di me!" esclamò lei, stringendo le mani a pugno. "Sapevi e..." sembrava non riuscisse a trovare nulla da dire.
"Io non sapevo." la corresse, indifferente alla sua collera. "Ho saputo quando Lilith ti ha chiamata con quel nome e ha così definito la tua identità."
Le guance di Freya si tinsero di un rosso tenue, preannunciando a quel modo lo scoppio d'ira che sarebbe seguito. "Dimmi quello che sai." sibilò lei, mettendo in evidenza i denti appuntiti. "Dimmelo, arcangelo!" ripeté con più rabbia, utilizzando il grado che lui occupava nella gerarchia celeste.
"La tua rabbia non può turbarmi, Freya." l'avvertì.
"La mia rabbia può segnare la tua fine." replicò lei, il braccio proteso verso il terreno.
Michele si mosse veloce; un passo a sinistra e tre in avanti. Le strinse il polso, spostando allo stesso tempo la sua mano verso la spada di Enuwiel. Quando il metallo entrò in contatto con la pelle della fata e lei si lasciò sfuggire un lamento soffocato Michele la liberò, sfidandola a tentare di minacciarlo nuovamente.
"Le tue sono minacce vane, ma non posso continuare a tollerare questo fastidioso atteggiamento ribelle."
Stringendosi la mano ferita, Freya digrignò i denti inveendo in un qualche dialetto umano a lui sconosciuto. "Dimmelo. Cosa aveva di speciale il sangue dei Pendragon?" sbraitò furiosa. Aveva ripreso una postura dritta, sfoggiando un'arroganza che lui mal sopportava. In un certo senso, quella sua follia gli rammentava quella dell'angelo decaduto Nevhiel e il pensiero non era affatto incoraggiante.
"I portatori di questo nome, membri della Corte Seelie, potevano risanare qualsiasi tipo di ferita, di natura magica o non."
Lo sguardo di Freya si adombrò. "Come un Guaritore..." mormorò. Perplesso, Michele la vide crollare a terra.
Rannicchiata sul terreno e in preda a un dolore sconosciuto, la fata urlò.

 

 

Capitolo gentilmente betato da: Jales  (grazie Ale*___*)


Vi ricordo: -Il prequel (molto prequel) interamente dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter

  • -Se vi va di farmi domande in merito alle storie o di altra natura potete farla in forma anonima: Qui

  • -Mi trovate su: Twitter 


       

     

    Note: Grazie a chi ha aggiunto la storia ad una delle tre liste :D
    Sperando che qualcuno voglia farmi sapere cosa ne pensa vi auguro buone feste, visto che non credo riuscirò ad aggiornare nuovamente per Natale! ;)
    By Cleo^.^

     


     

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    Capitolo 17
    *** Reminiscences ***




     

    16

    Reminiscences

     

     

     

    Dolore.
    Solo dolore.
    Era avvolta da quella patina di dolore, innominabile e sconosciuto.
    Non ricordava. Doveva ricordare?
    Freddo; una gelida sensazione di dolore.
    Non sentiva il suo corpo; non distingueva le immagini che le scorrevano davanti agli occhi.
    Era tutto... Sfuocato. La sua percezione del mondo era sfuocata.
    ...Non ricordava.

     

    "È viva."
    "Incredibile, vero?"
    "Può sentirci? Ci vede?"
    "Non ne sono sicuro. Dovrei studiare il materiale che l'ha tenuta prigioniera così a lungo."
    "Quella pietra assomiglia ad un cumulo di ambra. Sei riuscito a decifrare le incisioni poste sulla superficie? Credi che sia un avvertimento?"
    "No, anche se bisogna ammettere che è inquietante sapere che questa cosa è sopravvissuta. Ci è stato ordinato di portarla al laboratorio 3."
    "Quello degli esperimenti, eh? Allora... Potremmo dire che essere sopravvissuta in quella gemma per chissà quanti anni non le sia servito poi a molto."

     

    Ferma. Immobile.
    Non poteva reagire, non poteva parlare. Il corpo era insensibile, ma ugualmente pervaso da fitte gelide; bloccato in una sostanza solida come pietra. Faceva male.


    "Freiia. Freja. Frejia."
    "No, ti dico che il nome giusto è Freya."
    "Non mi piace."
    "Non è a te che deve piacere."
    "Come vuoi. In ogni caso d'ora in avanti il suo nome sarà soggetto X, non Freya."

     

    Sagome confuse. Odore di sangue. Suoni; urla e gemiti sconosciuti.
    Lei che non poteva reagire. Lei che non poteva parlare.
    Luci che erano puntate sui suoi occhi ad ogni ora del giorno; luci che la accecavano senza esitazioni.
    Aghi di metallo che le venivano infilati nella pelle; fibbie di cuoio che le stringevano i polsi; pianti che si univano ad altri pianti.

     

    "La uccideranno. La sperimentazione su di lei non ha portato ad alcun cambiamento evidente."
    "Un soggetto inutile; presto la porteranno via."

     

    Lei era... Freya, giusto? Gli alchimisti l'avevano chiamata così.
    Cosa significava essere Freya? Cosa significava essere... ?

     

    "Fermati! Come pensi di riuscire a fuggire? Perché insisti tanto nel volerla salvare?
    "..."
    "Fermati, non riuscirai mai a scappare! Dove vi nasconderete? Vi daranno la caccia!"
    "Vieni con noi. Vieni con me."
    "Non... Non posso."
    "Allora, questo è un addio."
    "Scegli lei? Preferisci lei a noi, alla nostra vita?"
    "Se non vuoi seguirmi, allora sei tu quello che sta rinunciando."

     

    "I tuoi genitori erano semplici umani, dico bene?"
    "Hai mai pensato all'eventualità che loro non fossero i tuoi veri genitori? Non hai mai dubitato, neppure una volta?"
    "Come riuscivano a guarire la gente in maniera così stupefacente?"
    "E come sono morti?"

     

    "Sei riuscita a decifrare le incisioni sul cristallo? Cosa dice?"
    "È una fata. Per questo gli esperimenti non funzionavano su di lei."
    "Ma... È umana! Sembra umana!"
    "Ha perduto la memoria. Non possiamo chiederle spiegazioni.
    "Cosa vuoi fare? Il tuo piano? Ci troveranno e allora..."
    "La cresceremo come se fosse figlia nostra."

     

    "I tuoi genitori erano semplici umani, dico bene?"

     

    "Si è addormentata?"
    "...Sì."
    "Cresce in fretta. Dobbiamo spostarci. Gli abitanti di questo villaggio sospettano qualcosa. Hanno capito che Freya non è umana."
    "Va bene. Andremo a Nord."

     

    "Guaritori? Che nome..."
    "Ci serve una copertura, almeno finché non mi spiegherai cosa vuoi fare con lei."
    "Voglio trovare le fate; riportarla alla sua gente; scoprire la verità su quell'iscrizione nell'ambra."
    "Hai liberato un mostro."
    "... E tu lo stai proteggendo."

     

    "Come riuscivano a guarire la gente in maniera così stupefacente?"

     

    "Ci serve altro sangue."
    "Ma..."
    "Abbiamo finito le scorte. Ci serve il suo sangue per guarir..."
    "Madre?"
    "Freya...! Stavamo solo... Non importa. Vieni, la cena è pronta."

     

     ***

     

    Michele si accovacciò accanto a Clare e insieme a lei osservò la scena dei suoi ricordi. Apparteneva ad un tempo così remoto che lui si sorprese nel constatare di ricordare ancora ciò che era avvenuto.
    "Cosa vi state dicendo?" gli chiese lei, indicando il suo doppio passato e Lucifero.
    Per un lungo istante, Michele si limitò a guardarla. Clare indossava delle vesti lacere, aveva le unghie delle mani spezzate, un livido sulla guancia destra e l'aria spossata. I capelli erano un groviglio di nodi e polvere, ma la presa sulla spada sembra salda e sicura.
    Fece per risponderle, quando Lucifero lanciò un grido infastidito, affondando più volte Exaniha nel terreno. L'armatura argentea del vampiro sembrava schiacciarlo in quel momento, anziché mostrare la sua gloria.
    Vedendolo, Michele provò -come sempre accadeva- l'impulso di allungare la mano e andare ad aiutarlo. Fu il suo gemello, il suo "io" passato che lo afferrò per un braccio, intimandolo a rimettersi in piedi.
    "Sta... Piange?" domandò Clare con un sussulto di sorpresa.
    Lui annuì, ammirando i fiori sbocciare sul terreno lì dove le lacrime di Lucifero lo bagnavano.
    "Chi è Semiael?" continuò lei, essendo riuscita a decifrare qualcosa della conversazione.
    "Suo... Il suo erede." Michele esitò. "Suo figlio. Sangue del suo sangue."
    All'improvviso Clare si lasciò scivolare sul terreno, la schiena contro la roccia. "È vero, quindi." mormorò dimentica della sua presenza. Ciondolò in avanti e l'angelo fece per allungare una mano ed aiutarla, quando notò l'espressione tesa della ragazza.
    "Lui non lo ha mai detto a nessuno. Nessuno sapeva davvero chi era. Non ha mai amato parlare di sé o del suo passato." proseguì Clare. "Codardo." sibilò stringendo i pugni.
    "Di chi parli?" intervenne Michele non riuscendo a stare dietro i suoi ragionamenti.
    Clare, tuttavia, lo ignorò, continuando il suo monologo come se nulla fosse.
    "Non avrei dovuto... se... ha tradito la mia fiducia, ha abbandonato... Edward..." quell'ultimo nome lo pronunciò con un singhiozzo e Michele piegò le ginocchia per poter incrociare il suo sguardo.
    "Clare." la chiamò con un tono comprensivo, sfiorandole appena la spalla per farle sapere che lui era lì. Lì per lei.
    Quell'ultimo pensiero lo fece sobbalzare. Era vero. Se si trovava lì era solo per Clare. Era lì perché aveva risposto al suo richiamo ed era lì perché la sua voce, la sua preghiera, l'aveva strappato dall'Eden.
    Non aveva mai riflettuto a lungo su quel punto della storia. Era stato troppo impegnato nel trovare un modo per salvare la sua vita e quella di Freya e anche dopo essere fuggiti da Shang... Non c'era stato tempo.
    Michele percepì un cambiamento in lei; appena rilevabile, forse, ma reale.
    Poi Clare si alzò, rivolse a lui un'ultima breve occhiata e scattò in avanti. Corse fino al limitare delle rocce e quando anche quelle furono ormai distanti, Michele distolse la vista.
    Il grido di rabbia di Lucifero, dietro di sé, lo scosse al punto che si risvegliò affannato accanto ad un fuoco morente.

     

    ***

     

    Seduta accanto al piccolo falò, Freya non si preoccupò della vigile presenza di Michele che, risvegliato, la fissava con uno sguardo assorto.
    Osservava il rivolo di sangue che le scorreva lungo il braccio dal taglio che lei stessa si era procurata con un pugnale. Le gocce cadevano sulle braci ardenti ed evaporavano nell'aria con un basso crepitio.
    Quando si era ripresa dalle visioni del suo passato aveva scoperto che la notizia che i suoi genitori adottivi fossero dei traditori non l'aveva sconvolta come si era immaginata. Provava rabbia, rancore, risentimento... Eppure era come se la parte di sé che era conoscenza di quegli eventi avesse accettato tutto in modo passivo.
    Sarebbe stato inutile rimuginare troppo a lungo su quelle circostanze.
    "Mi prenderò cura io di te, Freya." aveva sussurrato malevola l'altra Freya.
    Non si era fidata, naturalmente, di quella promessa che aveva il sapore di veleno.
    "Avevi ragione." informò Michele con tono piatto.
    L'angelo piegò la testa in avanti. "A che proposito?"
    "I miei..." esitò, provocandosi con la lama un taglio più profondo del precedente. "...genitori. Ho ricordato."
    "Due parassiti che sfruttavano il potere del nostro sangue per sopravvivere." le suggerì l'altra Freya.
    "Sono stati loro a risvegliarmi da un lungo sonno centenario. Nel processo di rinascita ho perso i miei ricordi, i miei poteri." spiegò a Michele.
    "La pietra ha assorbito la nostra essenza magica e per sopravvivere siamo state costrette a nasconderci in quella ripugnante forma umana. Non è forse andata così, piccola Freya?"
    "Ti detesto."
    La risata dell'altra Freya accompagnò l'espressione perplessa di Michele.
    "Sì, immagino che possa essere vero." replicò l'angelo, per nulla turbato.
    Freya, invece, si portò una mano alla bocca maledicendosi per aver detto quelle parole ad alta voce. Non che non provasse una certa antipatia nei confronti di Michele, ma lui l'aveva aiutata più di una volta.
    "Non parlavo con te." ci tenne a precisare.
    L'altro non replicò ed entrambi passarono i minuti successivi in un rigoroso silenzio. Freya aggiunse qualche altro legno al fuoco, individuando un paio di guardie scappate da Shang fare la guardia al limitare del bosco.
    "L'hai chiamata di nuovo, questa notte." esordì, smuovendo un poco le braci. "Clare." aggiunse, visto che Michele non sembrava essere propenso a continuare il discorso. "Chi è?"
    "L'umana che tu salverai."

     

     

    Avevano camminato in fretta. La paura di un possibile attacco aveva fatto sorgere nel gruppo dei profughi il bisogno di trovare il villaggio abbandonato descritto dai luphien. Gli adulti si erano prodigati per portare i bambini più piccoli in spalla, mentre i soldati di Shang si erano dedicati alla costruzione di archi rudimentali per procacciare del cibo durante il viaggio.
    Quella mattina Michele si era allontanato dal gruppo ed era tornato dicendo che aveva visto un branco di cervi poco lontani da dove erano loro. A sera, per cena, le donne di Shang avevano preparato un ottimo stufato con l'aggiunta di qualche fungo e bacca che Freya aveva trovato lungo la via.
    La fata sorrise fugacemente ad alcuni bambini poi, senza dare troppo nell'occhio si diresse al piccolo torrente che aveva intravisto prima che il gruppo si approntasse per la notte.
    Si nascose dietro alcuni tronchi che davano sulle sponde del ruscello e tremando per il freddo si affrettò a spogliarsi e ad immergersi nelle acque gelide.
    Un brivido le corse lungo la spina dorsale e i denti cominciarono a battere tra loro, ma Freya resistette sfregandosi con insistenza la pelle e i capelli.
    Un pezzo di ghiaccio di staccò dalla sponda opposta provocandole un taglio alla coscia, ma il dolore scomparve alla stessa velocità con cui la ferita guarì.
    "Riscalda l'acqua." sibilò l'altra Freya, lamentandosi della sua stupidità. "Concentrati." le comandò. "Concentrati!"
    Freya obbedì, immergendosi nel mondo crepuscolare e lasciando che la nebbia e le Ombre strisciassero al suo fianco. I loro brusii la infastidivano e con un cenno della mano intimò le Ombre a fare silenzio.
    Quelle strisciarono via come serpenti, nascondendosi in refoli di nebbia e seguendola ovunque con lo sguardo. Tuttavia, una rimase al suo fianco.
    La nera sagoma umana, emanava una sicurezza feroce e selvaggia e un potere pericoloso che lei conosceva fin troppo bene. L'Ombra non era nient'altro che una macchia indistinta, dove solo occhi e bocca si riconoscevano sul suo volto per via di tonalità più chiare. A Freya sembrava di guardare lo schizzo appena abbozzato di un bambino.
    L'altra Freya sorrise.
    Freya si ritrovò ad ansimare sconvolta, piegata in due nel ruscello e con un orribile sapore di bile in bocca. I suoi piedi scivolarono sui ciottoli taglienti e lei si ritrovò completamente sommersa dall'acqua.
    Si rimise in piedi, agitando convulsamente le mani. Alla fine riuscì ad afferrare la radice sporgente di un albero e ad issarsi nuovamente sul terreno. Tossendo e sputando non riuscì a provare nemmeno vergogna quando si accorse che Michele la stava osservando da un punto imprecisato del bosco.
    Si limitò ad acquattarsi dietro alcuni cespugli ed a rivestirsi in fretta e furia. Le risate di scherno dell'altra Freya la accompagnarono fino all'accampamento, ma quando si sdraiò accanto al fuoco scoprì di aver perso le tracce dell'angelo. 
     

     

    Quella mattina Freya si svegliò con un'insopportabile mal di testa e più la giornata progrediva, più -si rese conto lei- le cose peggiorarono. Scivolò tre volte nel fango, macchiandosi e strappandosi i vestiti, cominciò a piovere e i bambini scoppiarono a piangere senza un vero motivo.
    Quando finalmente intravide le sagome di una decina di case abbandonate, il suo umore peggiorò ulteriormente alla notizia riportata dagli esploratori che la informarono dalla presenza di cadaveri che giacevano sulle vie del villaggio.
    Insieme a Michele e ad un gruppo di uomini si avviò tra le abitazioni, consapevole del fatto che avrebbero dovuti occuparsi dei morti prima dei vivi.
    Scavarono le fosse in un castagneto e Freya guardò con distacco i cadaveri congelati che vi furono calati dentro.
    Aveva sempre avuto a che fare con la morte, ma c'era qualcosa in quel viaggio che l'aveva resa più consapevole dei morti. Forse era la previsione di una nuova guerra, oppure i fantasmi del suo passato sconosciuto, in ogni caso la sua percezione del mondo era cambiata.
    Invidiava a Michele la sua sicurezza e non poteva fare a meno di maledire il giorno in cui era entrato nella sua vita.
    Osservando l'angelo versare la terra sui rigidi corpi dei cadaveri si chiese se anche le fate, come gli umani, diventassero polvere dopo la morte.
    "Perché non mi hai aiutato ieri notte?" bisbigliò a Michele, attenta a non disturbare gli uomini chini sulle tombe che mormoravano delle preghiere.
    "Sembravi cavartela." replicò lui, allontanandosi dal castagneto.
    Freya si sentì offesa. "Mi lasceresti morire se ne avessi l'opportunità?" domandò infuriata. "Sarebbe un ottimo modo per liberarti di me, non è così?" lo incalzò, brusca.
    "No." Michele si fermò. "Mi occorre il tuo aiuto e stai certa che lo otterrò." digrignò i denti, come se quella affermazione lo infastidisse.
    "Aah... Aah! Ahaha!" gracchiò la voce dell'altra Freya, stridente come uno stormo di corvi. "Saremo noi a liberarci di
    lui. Al momento giusto... Stupido, stupido angelo.
    "

    Freya si infuriò, ma se la colpa fosse di Michele o della sua omonima non lo seppe dire. "Sei sempre così sicuro." sputò sprezzante. "Non sempre le cose vanno come ce le aspettiamo." continuò. "Credi di potermi ingannare Michele? Vedo come, giorno dopo giorno, il tuo corpo si indebolisce. Perdi le forze... E so, lo so, che la tua mente è smarrita in una coltre di incertezza." Freya si raddrizzò, regalando a Michele una smorfia compiaciuta. "Sei insicuro, fragile... indeciso. Questo mondo ti spaventa." osservò, affilando la vista.
    L'angelo spostò il braccio verso la spada celeste e lei liquidò quella minaccia con un sorriso divertito. Freya si rese vagamente conto che la conversazione era portata avanti con l'aiuto dell'altra Freya.
    "Dopotutto che cos'è un aquila senza le sue ali?" fece una pausa significativa, godendosi gli occhi di lui fiammeggianti d'ira. "Non sei mai stato, e mai lo sarai, all'altezza di tuo fratello."
    Michele sembrò trattenere il respiro. "La tua mente, fata, è così marcia che posso vedere i vermi strisciare nella tua testa." le disse.
    Freya lo ignorò. "Troverò la tua Clare, ah, sì, lo farò. E la lascerò morire." proseguì imperturbabile.
    Il movimento che compì Michele fu così veloce che lei si rese conto di essere con le spalle al terreno solo quando la lama di Enuwiel sfregolò bollente sulla pelle del suo collo.
    Freya si ritrovò ad artigliare la terra sotto di sé, scalciando per liberarsi dal corpo di lui che tuttavia non liberò la presa.
    "C'è qualcosa nella tua testa, Freya. Una presenza che corrode i tuoi pensieri e i tuoi desideri." spinse il lato piatto della spada più a fondo. "Ho sempre saputo che in te c'era qualcosa di sbagliato." proseguì lui, stringendole un polso con la mano libera.
    Lei sibilò di dolore, contorcendosi nel fango. Scosse la testa, cercando di liberarsi dagli urli di collera dell'altra Freya.
    "La tua mente è corrotta." continuò Michele, implacabile. "All'epoca della Prima Guerra Celeste le voci dicevano che l'ultima Pendragon era impazzita. Credo che avessero ragione."
    "Non sono pazza!" inveì Freya, riuscendo a sollevare di poco la testa.
    "Non lo sei?" la schernì l'angelo, corrugando la fronte.
    "Non lo sei?" gli fece eco l'altra Freya.
    Freya si morse il labbro, trattenendo un gemito di dolore. Le sue mani si chiusero a pugno, prima di schizzare in avanti e gettare una manciata di terra negli occhi di Michele.
    L'angelo si rizzò in piedi, indietreggiando con la lama sollevata mentre si ripuliva il volto. A lei non restò che prendersi la testa tra le mani, dondolandola avanti e indietro quasi si fosse trattato di un neonato. "È lei... È colpa sua!" alitò, pensando all'Ombra dell'altra Freya. "Devo liberarmene..." mormorò.
    "Non puoi, povera ingenua. Hai già tentato, no? Non puoi liberarti di me." l'altra Freya, tacque. "Non puoi..."

     
     

    Le voci si erano sparse in fretta. Tutto il gruppo di profughi sapeva cosa era accaduto tra lei e Michele quel pomeriggio.
    Freya fingeva di non aver udito i commenti che giravano su di lei. Preferiva ignorare le parole di scherno e paura che, di bocca in bocca, passavano tra i cittadini di Shang.
    "Hai voluto aiutarli? Ora goditi la ricompensa, giovane fata." aveva dichiarato l'altra Freya, prima di ritirarsi in un silenzio insolito.
    Lei si era rifugiata in una vecchia soffitta dismessa, assicurandosi che nessuno andasse a disturbarla lassù, in quella abitazione pericolosamente instabile. L'odore di muffa e paglia marcia per l'umidità le fecero arricciare il naso per il disgusto.
    Si sforzava di respirare con la bocca, ma anche così il suo stomaco minacciava continui attacchi di vomito.
    Dormì poco e male; un sonno agitato da incubi che al mattino non riuscì più a ricordare. 
     

     

    Le donne di Shang avevano trovato le provviste messe da parte per l'inverno dai pochi abitanti del villaggio e passarono la giornata a trasformare la farina di castagne in soffici panini caldi e croccanti. Su suggerimento di Michele il cibo trovato sarebbe stato poi trasportato per la restante parte di quel viaggio.
    Da parte sua, Freya trascorse la mattinata alla ricerca di un nuovo abito, rallegrandosi per essere riuscita a trovarne uno della sua taglia. Non passò molto tempo ad interrogarsi a chi fosse appartenuto il vestito, per nulla entusiasta di scoprire se magari fosse stata proprio lei ad aver seppellito il cadavere della precedente proprietaria.
    "Ti sei ripresa."
    Freya sobbalzò, voltandosi per vedere Michele. "Sì." rispose, guardinga. "Domani dobbiamo partire. I vampiri possono essere ancora sulle nostre tracce e non mi fido della parola dei luphien." dichiarò, dando nuovamente le spalle all'angelo. "Ci vorrà almeno una settimana per arrivare all'arcipelago Grefin, salvo imprevisti." ci tenne a sottolineare. "E dobbiamo allontanarci dalle montagne, spingerci a sud, verso le pianure."
    "La gente di Shang è stremata. Devono riposare." obiettò Michele.
    "E mentre loro riposano i vampiri verranno a ucciderli nel sonno!" esclamò lei, tirando dei calci ad alcuni sassi. "Non possiamo perdere tempo. Noi due da soli non riusciremo a tenerli al sicuro, quando un esercito ci sta dando la caccia."
    "Noi due?" ripeté Michele con tono divertito. "È sorprendente notare il modo in cui tu sembri cambiare opinione su cosa ti sta attorno."
    "È irritante dover stare ad ascoltarti ogni giorno." replicò lei. 
     

      ***

     

    Lilith ridacchiò. Dapprima con un tono basso poi in modo sempre più acuto, finché fu costretta a girarsi su un fianco e sputare il sangue che le aveva invaso i polmoni.
    Tossì, ripulendosi con il dorso della mano il mento chiazzato di sangue.
    Tendeva a dimenticare la sua originaria natura mortale e il fatto che ciò rendesse il suo corpo più debole rispetto a quello degli altri vampiri.
    Si mise seduta, osservando in modo maniacale la ferita al costato che stentava a guarire. Se l'era procurata poco dopo che Freya era riuscita a fuggire insieme a Michele. Una decina di soldati l'aveva accerchiata ed uno era riuscito a trafiggerla con una lama benedetta.
    Tornò a sdraiarsi sul letto, perdendosi nell'esaminare il soffitto di pietra di quella abitazione spartana. Era una delle poche case sfuggite all'incendio che aveva distrutto il resto di Shang e lei se ne era appropriata non appena l'aveva vista.
    La stanza era pregna dell'odore del suo sangue, ma a lei non dispiaceva.
    Cassidy era rannicchiata in un angolo, lo sguardo perso nel vuoto davanti a lei.
    Lilith si rabbuiò e con un sibilò soffocato si alzò per andarle incontro, coprendosi la ferita con una vestaglia che le stava troppo larga.
    Si chinò su di lei, afferrandola brutalmente per i capelli e costringendo il viso della vampira a girarsi verso il suo. Gli occhi avevano una leggera sfumatura marrone, anziché rubino.
    "Cassidy." tuonò severa. "Che bambina cattiva." disse, esalando un mezzo respiro. "Non sforzarti di ricordare." la ammonì, dandole uno schiaffo che fece tornare Cassidy al presente.
    Qualcuno bussò alla porta della camera e Lilith si lasciò scivolare su una vecchia poltrona scricchiolante prima di fare entrare l'ennesimo scocciatore. Appoggiò il gomito allo schienale e si sostenne la testa con fare annoiato. Non fosse stato per il dolore al costato si sarebbe lasciata andare ad una serie di sospiri infastiditi.
    "Ah, Dahan." pronunciò arrendevole, esaminando la sagoma dell'enteriano. "Cassidy non è disponibile." lo provocò, facendogli segno di andarsene.
    Dahan serrò la mascella, ma rimase fermo dov'era. "Vi porto notizie, mia regina." si affrettò a dire.
    Lilith inclinò di poco la testa, leccandosi dalle labbra i resti del sangue ormai secco. "Che genere di... notizie?" volle sapere, portando la sua attenzione su un ragno che era riuscito a catturare una mosca.
    "Temo che..." Dahan fece un passo avanti, inginocchiandosi davanti a lei. La ragnatela vibrò al passaggio del ragno e Lilith attese pazientemente che l'enteriano proseguisse il discorso.
    "Mia regina." si decise a parlare il generale, guardandola negli occhi. "Il gruppo di inseguitori mandato alla ricerca di Michele e di quella fata che voi avete menzionato non ha fatto ritorno."
    "Uccisi, dunque." commentò per nulla turbata. "Manda un'altra squadra. Un Segugio potrà tranquillamente ritrovare le loro tracce."
    Dahan annuì, spostando ripetutamente lo sguardo da lei a Cassidy. "Avete bisogno di sangue?"
    Lilith non gli rispose. "Puoi andare Dahan. E ricorda..." lo richiamò, prima che il generale se ne andasse. "Cassidy è mia." disse, facendo segno alla vampira di raggiungerla.
    Cassidy la affiancò gattonando come un neonato e protese il viso verso la mano tesa di Lilith. "Dopotutto lei è il dono che intendo fare a mio figlio. Tu capisci, vero, Dahan?"
    "Capisci, vero?" le fece eco Cassidy, guardando Dahan di sfuggita.
    L'enteriano fece un lento cenno d'assenso e prima che Lilith potesse fermarlo nuovamente lui le lasciò sole.
    "Sei una cattiva bambina, Cassidy. Sì, proprio una bambina cattiva." concluse Lilith con un ghigno soddisfatto.

     

     

     

      

    Capitolo betato da: Jales
    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter

    -Il mio account Ask se volete pormi qualche domanda: Qui
    -Mi trovate su: Twitter

     

     

     

     

    Note: Rendete e onore e gloria alla mia paziente beta, che riesce a vedere la realizzazione della Freya/Michele xD Io vedo sangue, angst e morte su questi due LOL
    Detto questo: grazie a chi continua a seguire la storia, commentare e ad aggiungerla alle varie statistiche!
    By Cleo^^
     


     

     

     


     

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    Capitolo 18
    *** Blood and Steel ***






    17

    Blood and Steel

     

     

     

    Quella notte il cielo era sereno e le stelle sembravano cristalli ricamati su un tessuto di velluto. La più brillante tra loro, quella dal bagliore verde, catturò inevitabilmente l'attenzione di Freya. C'era qualcosa che la inquietava in quella luce innaturale e che le impediva di fare un sonno tranquillo.
    Gli incubi popolavano la sua mente quando tentava di chiudere gli occhi, ma pericoli ancora peggiori la riempivano di giorno.
    "Oh, è astuta. Astuta. Stanno arrivando. Arrivano." l'altra Freya ripeteva quelle parole in continuazione, come se all'improvviso non sapesse dire nient'altro.
    Freya si portò le mani alla testa, massaggiandola con movimenti circolari. La preoccupavano quelle emicranie che la lasciavano senza forze al pari dei sogni.
    "Ti accompagnerò dalle fate. Loro sapranno aiutarti."
    La voce di Michele la fece sobbalzare e si affrettò a nascondere le mani dietro la schiena per impedire all'angelo di vedere quanto tremassero.
    "Lo farò spontaneamente." sottolineò lui, impegnato a sfiorare la lama di Enuwiel con una gentilezza che la sconvolse.
    Si riprese in fretta, ricordando il modo in cui aveva minacciato Michele quando gli aveva esposto chiaramente il punto in cui lui sarebbe andato, volente o nolente, con lei.
    "Perché tieni con te questa spada? Avevo capito che odiassi il suo precedente proprietario. Lilith sembrava sorpresa nel vedertela impugnare."
    "Enuwiel." l'angelo pronunciò quel nome con disprezzo. "È stato lui a porre fine alla Seconda Guerra Celeste, lo sapevi?" la sua espressione si fece distante. "No, certo che no. È successo più di mille anni fa e anche allora furono poche le persone a conoscenza della verità. Nessuna di loro, tuttavia, raccontò mai perché gli angeli se ne andarono e i demoni scomparvero."
    Freya chiuse gli occhi, concentrandosi sul suo respiro. "E tu ne sei certo, Michele? Sei certo di conoscere la verità? Sembra che la verità possegga molteplici volti." commentò esausta, fin troppo consapevole di cosa significassero quelle parole. "Non sono sicura di potermi fidare delle tue parole o di quelle di Lilith."
    L'angelo emise un verso soffocato. "Tu non ti fidi di me, ma nemmeno io di te. Credi a quello che vuoi." replicò sbrigativo.
    "Cosa fece Enuwiel?" lo interruppe Freya, spronandolo a proseguire.
    "Si innamorò." lui non aggiunse altro e prima che la fata potesse chiedergli spiegazioni se ne andò, lasciandola sola a fissare le stelle. 
     

     

    Dall'altura su cui Freya e i fuggitivi di Shang si trovavano, la pianura si dipanava davanti a loro, e gli steli d'erba ondeggiavano pigri verso il mare, verso la città di Grefin e l'arcipelago dal medesimo nome della città.
    "Giravano delle storie..." disse qualcuno alle spalle della fata.
    Alcuni bambini piagnucolarono. "Ho fame mamma. Sono stanco." le loro voci erano così flebili che Freya non poté impedirsi di rivolgere loro
    uno sguardo comprensivo.

    "...sostenevano che fosse un luogo di rovina e polvere. Ma questa... questa città..." le parole furono affidate al vento e lei si rese conto che Michele l'aveva affiancata.
    "Pensavo di trovare un misero villaggio di pescatori." gli confidò Freya, cercando di non apparire troppo sollevata.
    "Forse abbiamo trovato più di quanto speravamo."
    Lei si accigliò. "Che vuoi dire?"
    L'angelo assottigliò lo sguardo mentre osservava le solide mura difensive della città, che nulla avevano a che vedere con quelle di Shang.
    "Una sensazione." replicò lui, in modo pacato. "Solo una sensazione." fece una pausa, come a voler soppesare il reale significato di quelle parole. "Non credo che dovremmo fermarci a lungo. Troviamo una imbarcazione e abbandoniamo questi luoghi nefasti."
     

     

    Le mura della città erano imponenti. Grossi blocchi di granito nero costituivano lo scheletro esterno di Grefin, un ammasso di roccia solido e ben custodito. Le torri di vedetta erano piazzate alla medesima distanza e i soldati all'interno puntavano i loro archi verso il gruppo di profughi.
    Freya notò che la strada di ingresso alla città era piena di erbacce selvatiche e grossi ciottoli di pietra che ostruivano in parte il passaggio. Sembrava che nessuno utilizzasse quella via da molto tempo e lei rabbrividì, ricordando ciò che le aveva detto Michele.
    Le mura erano lisce, senza alcun tipo di avvallamento che potesse essere utilizzato per oltrepassarle se qualcuno avesse tentato un'arrampicata. L'ampia arcata a V rivelava la presenza di una maestosa entrata, sbarrata da un cancello di legno rinforzato con placche di metallo. Il muschio aveva ricoperto le zone più ombrose e Freya lasciò che lo sguardo vagasse sulle facce arcigne delle guardie di Grefin.
    Per qualche ragione, comprese che quegli uomini non dovevano sapere che lei era una fata. Distolse gli occhi, sperando che i soldati fossero troppo occupati per notare il loro colore viola.
    "Chi siete? Cosa volete?" tuonò una guardia, affacciandosi dal parapetto delle mura.
    Lei si strinse nelle spalle, mordicchiandosi le labbra. Non aveva alcuna intenzione di parlare con quell'uomo e sentiva che l'altra Freya era irrequieta.
    "Profughi, mio signore."
    Michele si era fatto avanti, parlando con il suo solito tono pacato. Lei comprese che si stava fingendo un umano debole e sottomesso. Freya si domandò perché quell'atteggiamento risultasse a Michele tanto abitudinario, quasi non fosse la prima volta che si trovasse a recitare una simile parte.
    L'angelo aveva assunto una posa goffa, con la schiena piegata in avanti come se fosse stato gobbo. Lei, invece, si ritrovò a coprirsi il volto con il cappuccio, pregando che gli abitanti di Shang avessero capito la loro posizione e reggessero il gioco.
    Michele, dopotutto, poteva passare per un umano, ma lei aveva perso molto dei tratti che avrebbero potuto aiutarla ad essere scambiata per una semplice mortale.
    "Veniamo da Shang. I demoni hanno distrutto la città." Michele alzò il pugno al cielo, mimando un attacco di rabbia.
    Freya si rese conto che l'angelo aveva parlato con l'accento in uso a Shang e si chiese se imparare le lingue con una tale velocità fosse un dono della stirpe celeste.
    I bambini scoppiarono a piangere e gli adulti del gruppo cominciarono a parlare tra loro, mentre Michele spiegava al soldato cosa era accaduto.
    "Siamo in cerca di un rifugio." proseguì l'angelo, zoppicando in avanti senza distogliere mai lo sguardo da quello dell'uomo.
    "Qui non potete restare." intervenne il soldato di Grefin. "Non vogliamo stranieri in città... di questi tempi." disse, facendo un segno con la mano agli altri soldati.
    Sembrava che l'ufficiale si sforzasse per trovare le parole giuste, come se avesse difficoltà a conversare con loro.
    Il cancello cigolò in modo preoccupante, come se non fosse stato usato da molto tempo. "È vecchio." commentò l'ufficiale, urlando da sopra il frastuono. "Per questa notte vi ospiteremo."

     

    Scortati da un manipolo di soldati, vennero sistemati in una vecchia locanda che dava direttamente sul porto. L'interno del locale sapeva di vino, birra, muffa e l'aria era stagnante.
    Freya si sentì strattonare per un braccio e Michele le fece segno di tacere. La trascinò in una stanza arredata con un paio di letti sfatti e i mobili impolverati.
    Lei trattenne uno starnuto, sforzandosi di non apparire troppo disgustata.
    "Perché ci hanno portato in un posto simile?" borbottò tra sé, senza aspettarsi una vera risposta da parte dell'angelo.
    "Non vogliono che ficchiamo il naso in giro. Per questo il capitano è stato così gentile..." Michele lo disse con evidente sarcasmo. "... da accettare immediatamente la mia proposta di scortarci per mare a sud per un breve tratto."
    Freya soffiò sulla superficie di uno specchio, ignorando le occhiaie scure che aveva sotto gli occhi. "Nessuno dei soldati ha parlato mentre ci portavano qui." osservò accigliata.
    Si voltò per notare che Michele si era seduto su uno dei letti. "Questo posto è strano." continuò la fata. "Non ho visto né donne né bambini in strada mentre camminavamo in città. Il porto sembra abbandonato, come se nessuno sia più andato in mare da..." lei scosse le spalle, lasciando la frase incompiuta.
    "Infatti..." le rispose cauto. "Credo, anzi, ne ho la certezza... Questi soldati non provengono da questa terra. Hai visto gli edifici addossati accanto alle mura? Quelli con i tetti sfondati e l'edera che vi cresceva intorno?"
    Freya annuì con una morsa allo stomaco che non voleva saperne di lasciarla in pace. "Gli abitanti originari di Grefin sono morti, è così?"
    Michele sospirò, osservando il paesaggio che offriva il molo in rovina. Da quella altezza anche lei prese nota della assi marce e delle barche ammucchiate le une sulle altre.
    "In un incendio." riprese Michele, mostrandole che in realtà era cenere la polvere che ricopriva la stanza.
    "Chi sono questi uomini?" chiese Freya. "Perché sono qui? Cosa ci fanno qui dei soldati? Per quale motivo hanno ricostruito parte della città e sorvegliano le mura?"
    "La testa Freya, la testa. Usala." la provocò l'altra Freya.
    Una lunga crepa si formò sulla superficie dello specchio, allargandosi come una frattura nel ghiaccio.
    "Sono umani, vero?" si girò di scatto verso l'angelo che giocherellava con le coperte del letto, perso in qualche ragionamento.
    "Sì, lo sono."
    Freya lasciò andare il respiro che aveva trattenuto. "Nessuno di loro parlava..." considerò, raggruppando le informazioni che aveva raccolto.
    "Soldati, un porto, una città abbandonata..." bisbigliò.

    Michele si alzò, indicandole alcune guardie appostate fuori dalla locanda. Lei lo raggiunse, sporgendosi fuori dalla finestra e inspirando l'aria ricca di salsedine.
    "Un'invasione." decretò Freya, sorprendendosi di non provare nulla in particolare. "Una base sicura per poter avanzare nel cuore del continente."
    "Non imparano mai." sentì sussurrare da Michele.
    "Umani... Mortali. Che gran contraddizione." sibilò l'altra Freya, prima di eclissarsi nuovamente in qualche angolo remoto della sua coscienza.
     

     

    Freya si mosse furtiva, superando con un salto il corpo accasciato sulla strada di una guardia. Michele era stato rapido e letale nel privare i loro guardiani di qualsiasi possibilità di richiesta d'aiuto.
    Lei si appiattì contro il muro, facendo segno alla gente di Shang alle sue spalle di imitarla.
    Davanti a loro, piccoli velieri da pesca ondeggiavano nell'oscurità della notte. Il porto era silenzioso; un agglomerato di edifici fatiscenti che attendevano di essere rimpiazzati.
    L'angelo fece segno di seguirlo e Michele li indirizzò verso un veliero che recava bandiere nere.
    La fuga era stata prearata nelle ore precedenti, con la collaborazione degli abitanti di Shang, quando Freya aveva rivelato loro alcuni retroscena di quella città fantasma.
    La fata si chinò su un bambino, prendendolo in braccio prima che potesse mettersi a piangere per la lieve escoriazione che si era fatto cadendo al suolo. Lo curò facendo ricorso a quei poteri di cui non era mai stata pienamente consapevole.
    "Ssh... Non piangere." lo ammonì con gentilezza.
    Una decina di uomini di Shang erano già sul ponte dell'imbarcazione, intenti a sistemare il veliero per la partenza.
    Non c'era sorveglianza al porto e le poche sentinelle che incontrarono erano state messe fuori combattimento da Michele.
    "Da questa parte." bisbigliò ai profughi, scendendo rapida verso il molo. "Sbrigatevi." li esortò, lasciando che fossero loro i primi a salire a bordo del peschereccio di fortuna. Consegnò il bambino alla madre che le fece un cenno d'assenso e che lei interpretò come un ringraziamento.
    I rintocchi di alcune campane a rapida successione li avvertì che qualcuno a Grefin aveva dato il segnale d'allarme.
    "Veloci!" gridò lei per sovrastare il frastuono.
    La città si risvegliò in rapida successione. Da dietro le finestre sgangherate degli edifici, tenui luci dorate si accesero un po' per volta, mentre i soldati della guarnigione sbraitavano ordini da ogni direzione.
    Eppure...
    "Freya..."
    Sobbalzò, sentendosi chiamare per nome, ma non ebbe bisogno di vedere per capire che era Michele colui che voleva attirare la sua attenzione.
    Si riprese in fretta, dando una leggera spinta sulla schiena all'ultimo abitante di Shang che salì sul veliero.

    "I soldati..." osservò lei pensierosa " Non stanno venendo da questa parte."
    "Lilith ha inviato vampiri ed enteriani sulle nostre tracce. Gli umani li stanno combattendo. Sei in grado di sospingere la barca al largo?" chiese,
    indicando i profughi di Shang.

    "Se si concentra... Forse." l'altra Freya non le risparmiò i suoi dubbi.
    Lei chiuse gli occhi, immergendosi nel mondo crepuscolare delle Ombre che in un'altra vita, un'altra Freya, aveva soprannominato Limbo. I sussurri concitati delle Ombre non le diedero un attimo di tregua e refoli di nebbia si avvinghiarono ai suoi polsi come catene.
    Poi lo avvertì: il profumo del mare, il fischio del vento...
    E le bastò chiedere, le bastò lasciare che l'aria assecondasse i suoi capricci volgendo da nord a sud.
    Il veliero si allontanò, la nebbia si ritirò tra le Ombre... le Ombre si zittirono.
     

     

    Non era certa di come fossero riusciti a fuggire dalla città senza che nessun demone li notasse. Lei e Michele si erano acquattati nell'oscurità, tenendosi ai margini del conflitto.
    "Il sangue li distrae dal loro obiettivo. Siamo passati in secondo piano sulla scala delle loro priorità." le aveva detto l'angelo.
    Poi, avevano corso.
    La loro era stata una corsa continua, ansimante, mentre attraversavano la piana di Grefin con il dubbio crescente di poter essere avvistati dai vampiri.
    Superavano arbusti e sterpaglie alte quanto un uomo, senza mai voltarsi indietro.
    Freya si era ritrovata due volte con la faccia a terra, ma in entrambi i casi Michele l'aveva aiutata a rialzarsi, suggerendole in modo ben poco cortese di sollevare gli orli della gonna mentre fuggivano.
    Infine l'aveva abbandonata in una grotta intimandole di non muoversi da lì. E così lei aveva fatto.
    Era rimasta seduta in una rientranza della roccia, osservando di tanto in tanto i graffiti realizzati chissà quanto tempo prima. Le immagini le raccontavano di strane città con costruzioni rettangolari alti quasi fino alle nuvole. Edifici che, una lei del passato lo sapeva, erano stati costruiti con acciaio e vetro.
    Una megalopoli che lei ... aveva distrutto?
    "Gli umani avevano impregnato il mondo di veleno. Ferro ovunque: nel cielo, nel suolo... Minacciava di ucciderci." intervenne l'altra Freya.
    "C'è stata una guerra..."
    "Ma il vincitore non è mai stato decretato."
    Freya si prese la testa fra le mani, chiudendo gli occhi.

    "La regina Titania vi invita a prendere parte al conflitto, Somma Arturya."
    "..."
    "La Corte Unseelie sta distruggendo gli umani. Il vampiro, lo schiavo della regina, è inarrestabile. Ci serve il suo aiuto."

     "Qualcuno deve aver vinto." obiettò Freya.

     ...Il sorriso di Lilith.

     L'altra Freya sbuffò in modo eloquente. "Qualcuno ha ottenuto ciò che desiderava." la corresse.

     

    ***

     

    Si erano diretti a sud, accogliendo con piacere il clima più mitigato. Quando si imbattevano in qualche villaggio Freya era sempre lieta di poter aiutare le persone, curandole o informandole sugli ultimi sviluppi che riguardavano i vampiri.
    "Io dico che la ragazza vaneggia!" aveva esclamato un uomo in una piccola locanda.
    "Dice il vero." la replica di Michele era giunta rapida e tagliente.
    "Siete forestieri, affidabili quanto la mula di mia madre!" li accusò un altro, mimando un gesto così osceno da far digrignare i denti a Michele.
    "Andiamocene." aveva sibilato l'angelo, afferrando la fata per un braccio.
    Quella sera avevano trovato ospitalità da una coppia sposata con cinque figli che avevano offerto loro due posti letti nel fienile.
    Freya si era afflosciata sulla paglia, affondando con piacere in quel giaciglio profumato, lieta di poter riposare per una volta su qualcosa di morbido.
    Michele si era seduto in un angolo più appartato, con la spada appoggiata alle ginocchia.
    "La stella è scomparsa." commentò lei, ripensando con sollievo a quando un paio di giorni prima aveva notato l'assenza dell'astro verde.
    "Era un varco fra i mondi." spiegò l'angelo. "Non una stella." specificò. "È stato creato utilizzando il potere della Pietra di Cristavia, un manufatto che deve essere distrutto. Non sarebbe mai dovuto essere plasmato un oggetto simile. L'essenza del suo potere è instabile e nessuno è in grado di domarla, nemmeno la sua creatrice. E in ogni caso Cristavia è morta." aggiunse.
    L'altra Freya si mostrò inquieta.
    "La Pietra sarebbe dovuta essere distrutta durante la Seconda Guerra Celeste, ma Enuwiel la utilizzò per esiliare gran parte dei demoni su Pandemonium, imprigionandoli in una prigione dalla quale ora sono evasi. Poi, affidò la Pietra ad una ragazza che avrebbe avuto il compito di custodirla. Lei divenne la Prima Guardiana della Pietra. Tuttavia, nell'arco di mille anni, questo compito è andato dimenticato. Le tracce della Pietra di Cristavia sono state smarrite, la discendenza della Prima Guardiana si è indebolita e l'ultima erede che avrebbe dovuto assolvere al volere di Enuwiel è sospesa in un limbo di morte. La Pietra è stata risvegliata, i demoni liberati e..."
    Michele stritolò con la mano una manciata di fieno. "Tutto ciò è stato causato da Enuwiel." decretò con rabbia.
    Freya socchiuse gli occhi tracciando sul pavimento sterrato le iniziali di Enuwiel.
    "A sud, nel Regno di Ziltar, lo considerano un eroe. I suoi discendenti sono venerati quasi come divinità." finì di scrivere la lettera "L" e per alcuni intensi secondi non prestò attenzione alla replica dell'angelo. Ovviamente conosceva la leggenda: l'angelo che si innamorò di un umana e che sconfisse i demoni. Tuttavia, dai racconti di Michele e dalle reminiscenze dei suoi ricordi perduti aveva la sensazione che tutto ciò che il mondo sapeva fosse una menzogna.
    "Ha davvero importanza sapere chi ha avuto la colpa di cosa, dopo tanti anni? Se così fosse, non credi che l'unico responsabile degli eventi accaduti sia in realtà il Creatore?"
    "Sì, fai vacillare la sua fiducia nell'Autorità." le suggerì la voce dell'altra Freya. "Fallo vacillare."
    Michele le rivolse uno strano sguardo. "È a causa del rimorso che dici ciò?" concluse sibillino. "Nessuno è privo di colpe."

     

    ***

     

    "È un comportamento barbaro." commentò Clare, aggirandosi lenta tra la folla. Michele la seguì, distogliendo velocemente lo sguardo ogni volta che i suoi occhi scorgevano carrozze piene di cadaveri decapitati.
    Il patibolo di legno, sopraelevato rispetto alla fiumana di gente, era schizzato di sangue e la lama riluceva minacciosa alla luce del tardo pomeriggio.
    Il popolo acclamava a gran voce una sola persona: "Marie Antoinette! Marie Antoinette!" I più poveri, i contadini, reggevano in mano forconi a tre punte e bastoni che mulinavano in aria.
    "Chi è la persona che chiamano?" le chiese la ragazza.
    "La regina."
    Clare non sembrava turbata dal sangue e dalla ferocia della gente e lui poteva intuirne il motivo. Lei era stata forgiata per la guerra, come lui, e la compassione non poteva essere un sentimento da esprimere sui campi di battaglia.
    Insieme erano sangue e ferro. Erano cenere e guerra.
    "Credevo che le ghigliottine fossero state abolite cinquecento anni fa."
    "Da dove provieni tu è possibile. In questo passato, antecedente al regno di Enuwiel e alla prima Guerra Celeste, non è così."
    Alcuni uomini in divisa avevano cominciato a battere sui tamburi ad un ritmo sempre più incalzante. Alle loro spalle, su un'asta di legno volteggiava una bandiera tricolore.
    "Viva la Revolution!" scoppiò la folla in un unico grido, mentre una donna saliva lenta e con lo sguardo fiero al patibolo.
    La musica cessò. Un uomo con in mano un crocifisso ed un libro nero sussurrò qualcosa all'orecchio della regina. Lei scosse la testa, inginocchiandosi nel punto che il suo esecutore le aveva suggerito.
    "Ho contato tre vampiri in questa piazza, Mikhail. Eppure... queste persone non fanno nulla per tentare di eliminarli." gli disse Clare, fermandosi di fronte al patibolo.
    "Qui gli umani non sanno della loro esistenza, non ancora. Fino allo scoppio della Prima Guerra Celeste erano convinti di essere l'unica forma di vita intelligente sul pianeta." le rispose.
    Clare si volse verso la folla con espressione accigliata. "Andiamo in un posto migliore." le propose offrendole la mano.
    Nello stesso istante in cui Clare la afferrò, la testa della regina di Francia fu tranciata dal suo collo. 
     


    "Un giardino?" domandò Clare.
    "In una città chiamata Firenze." specificò Michele, avvicinandosi ad un gruppo di magnolie in fiore. "Mi piaceva questo posto. Vagamente... ricorda l'Eden."
    Camminarono in silenzio, attraversando siepi ben curate e volte di pietra ricoperte d'edera. Scesero dei gradini di pietra che li portarono ad una fontana circolare dalla cui statua nel centro usciva un getto d'acqua continuo dalla bocca di un leone.
    "Fa parte delle proprietà di un nobile che fece creare il giardino per la moglie malata. Lei è morta prima di vedere ultimata l'opera. Era giovane, giovanissima, quasi una bambina..."
    "Stai sanguinando." lo interruppe, sedendosi sul bordo della fontana e lasciando che le dita sfiorassero la superficie dell'acqua.
    Michele si guardò il braccio ferito. "Non ci ho fatto caso." replicò, pulendosi con dell'acqua.
    "Non viene nessuno in questo posto?" Clare fece un gesto vago con il capo, picchiettando pensierosa le mani sulla spada.
    "Immagino che... in passato, la gente lo visitasse. Ma questo è un sogno, per quanto insolito."
    "Mi dispiace di averti coinvolto in tutto questo."
    Michele scosse la testa, guardando tristemente Clare mentre attraversava un viale ricoperto di papaveri in fiore -rossi come il sangue che loro avevano versato.
    "Il problema è sempre stato mio." replicò lui. "Sono io a doverti esprimere delle scuse. In passato ho avuto molte occasioni per sconfiggere Lucifero, ma non l'ho fatto..."
    "Vlad Tepes." lo corresse Clare, che mal sopportava il nome celeste del vampiro.
    "Significa Figlio dell'Aurora." proseguì lui, ignorando il commento. "E lo era davvero." aggiunse.
    La Guardiana sbuffò, salendo il sentiero che portava ad una collinetta. "Lo so." la sentì sussurrare. "Rimarrei qui per sempre. In cima a questa collina con il vento che soffia tra i capelli, trasportando il profumo degli alberi in fiore. Mi stenderei sotto i tiepidi raggi del sole, studiando le forme delle nuvole... Tu cosa vorresti fare, Mikhail?"
    "Dici così perché il tuo corpo desidera la morte più della vita, nello stato in cui si trova al momento." rispose calmo.
    "Io non ne sono così sicura."
    Michele alzò lo sguardo al cielo. Aveva voglia di volare. Provava una crescente nostalgia per l'impossibilità di distendere le ali, sebbene in quella realtà ciò gli fosse possibile.
    "Resisti ancora un po'." la incoraggiò l'angelo. "Ti porterò la persona che potrà aiutarti." le promise.
    Clare sospirò, in un gesto che a lui sembrò di sconfitta. "Non hai risposto alla mia domanda, Mikhail." gli fece notare.
    ...Ah.
    Michele l'aveva imparato: Clare era troppo furba e scrupolosa per non notare i dettagli. D'altra parte non sarebbe stata ciò che era se così non fosse stato. Con lei, fingere risultava più difficile che con Freya. La fata non prestava mai realmente attenzione alle sfumature dei loro dialoghi o ai suoi gesti.
    In verità, Michele era sollevato dalla cosa. Freya era fin troppo pericolosa anche se non riusciva ad intuire ogni suo pensiero.
    Erano arrivati ad uno stagno, dove alcuni cigni immergevano continuamente il loro lungo collo bianco sotto l'acqua in cerca di cibo.
    "Se potessi scegliere... dove saresti ora, cosa faresti?" ripeté Clare, gettando dei sassolini nella pozza stagnante.
    "Qui. Esattamente qui."
    Lo aveva detto senza riflettere troppo sulla possibile risposta, ma si accorse che era vero. In che altro posto sarebbe potuto stare? Pensare a Lucifero, ormai, sarebbe stato un puro sogno utopistico e l'Eden per quanto lo considerasse la sua casa...
    Non c'era nessuno che lo attendesse o che lui volesse incontrare solo per il puro piacere di vederlo. Nell'Eden era rispettato, certo, come poteva essere altrimenti? Ma gli angeli che aveva sempre considerato amici o fratelli nel senso più stretto del termine erano morti o avevano tradito l'Autorità preferendo Lucifero.
    "Rimarrei in questo giardino. Qualcuno dovrà pur tenerti compagnia."
    ...E tenerla d'occhio. Sospettava che se Clare si fosse inoltrata eccessivamente in quella realtà, non sarebbe più riuscita a risvegliarsi.
    "Sentimentale." lo accusò lei con una smorfia divertita. "Apprezzo lo sforzo."
    Il panorama cambiò ed entrambi si ritrovarono seduti su una spiaggia bianca, in riva ad un mare che rifletteva la luce rosata di un sole morente.
    "Mi odieresti, Mikhail, se ti dicessi che una parte di me prova una grande tristezza per il destino di Vlad Tepes? Ci penso in continuazione... a lui..." confessò.
    Michele annuì comprensivo, tracciando figure astratte sulla spiaggia. "Lui fa questo effetto." si limitò a dire.
    "Ho visto Pandemonium." proseguì lei. "L'ho visto vivere lì il suo esilio. L'ho guardato mentre il mondo che lui aveva creato avvizziva e lentamente moriva. Ho provato il suo dolore. Ed ho esitato... Lo odio. So di odiarlo, ma non posso fare a meno di... non..." Clare esitò e lui chiuse un istante gli occhi.
    "Sì, capisco cosa vuoi dire. È frustrante, vero?" non le lasciò il tempo di replicare. "Lucifero non si è mai reso conto di ciò che suscita in chi gli sta accanto. Questa sua apparente mancanza ha rischiato di portare suo figlio alla morte... tanto tempo fa." sussurrò.
    Clare irrigidì la mascella e voltò il capo dall'altra parte. Infine si alzò, immergendosi lenta nelle acque del mare fino alle ginocchia.
    "È tempo che tu vada, Mikhail." dichiarò con tono distaccato. "Torna alla realtà. Torna tra i vivi."
    E prima che lui potesse chiederle il perché del suo improvviso cambio d'umore, la sua vista individuò nell'oscurità la sagoma di Freya, che ricambiava il suo sguardo con occhi che brillavano di curiosità.

     

     

     

    Capitolo betato da: Jales


    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter
    -La raccolta realizzata da Jales su vari personaggi di CS: De Vita
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    Note: Eccomi qui! Problemi di varia natura mi hanno fatto rallentare la stesura del capitolo, ma ci sono, sono viva! LOL Un grazie gigante a Ale<3
    E Clare è tornata di nuovo, contenti? u_u Dite la verità xD
    In conclusione: Auguri di Buona Pasqua, passatela bene! :)
    By Cleo^.^ 




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    Capitolo 19
    *** Kayle ***





     

    18
    Kayle

     

     

     

    "Chi è per te quella ragazza? Perché la sogni? Perché vuoi salvarla?" domandò Freya, guardando Michele con interesse. "Perché interessarsi alla sorte di una sconosciuta? Chi è Clare Rainsworth?"
    L'angelo si pulì i vestiti da alcuni ciuffi di fieno e guardò l'alba nascere oltre le colline. "Chi è Clare Rainsworth, dici?" le fece eco, assorto. "Difficile dirlo. Ancora di più spiegare ciò che mi lega a lei, dal momento che né io né Clare lo sappiamo. Mi serve il suo aiuto e a lei il mio."
    "Una spiegazione tanto semplicistica non è di alcuna utilità. Cosa farai quando l'avrai salvata? Hai pensato a un... dopo?"
    Michele si alzò e Freya lo imitò, soffocando uno sbadiglio. "Non sono il padrone della sua vita, Freya. Quando Clare si risveglierà spetterà a lei decidere cosa fare. Perché senti costantemente il bisogno di dare ordini alla gente? Perché credi che ogni cosa al mondo ti debba appartenere?" le domandò l'angelo. "Sei una fata, Freya, e la natura è piegata ai tuoi capricci, ma non puoi pensare che la stessa cosa avvenga per l'anima delle persone. Non puoi legare i desideri degli uomini, dei vampiri, o degli angeli al tuo egoismo. Non è possibile."
    "Parla di egoismo, quando è a causa di quello stesso egoismo che Vlad Tepes è ancora vivo." commentò l'altra Freya.
    Michele proseguì. "E tu hai pensato a un dopo? Cosa pensi di fare quando avrai ritrovato i tuoi simili? Cosa pensi di trovare al lago Reewa?"
    Freya scosse la testa, consapevole che la conversazione aveva preso una piega sbagliata. "Quando troverò il popolo fatato... saprò cosa fare." 

     
     

    "Circolano... dicerie sul posto che cercate." Fred, alto, slanciato, con il naso adunco e una barba ispida, era un pescatore che viveva sulle sponde occidentali del lago, in una casupola di fango e legno. "E tutti qui..." fece un gesto vago con la mano "...sanno che le voci sono vere."
    Freya guardò la superficie piatta e apparentemente tranquilla del lago Reewa.
    Troppo calma. Troppo immobile.
    L'acqua era di un colore intenso: un verde brillante mischiato a sprazzi di blu notturno dove il lago era più profondo. Solo il Creatore, pensò Freya, poteva sapere che tipo di creature si nascondessero in quei recessi di tenebra.
    Ci avevano messo quasi una quindicina di giorni per raggiungere quel luogo e Michele mascherava piuttosto male l'inquietudine che quel posto gli trasmetteva.
    Anche lei era irrequieta, ma sospettava che i motivi non fossero gli stessi dell'angelo.
    Fred li stava accompagnando lungo la riva della spiaggia sassosa, dove erano allineate le barche.
    "Nessuno qui lo ammetterebbe ad alta voce, ma la sera prima che cali il sole..." improvvisamene fu colto da un attacco di tosse e Michele lo aiutò a sedersi su un masso.
    "Questo posto è... malvagio." sospirò l'uomo. "Come se qualcosa avvelenasse la zona." ebbe un brivido e Freya fu quasi certa di aver visto un'ombra muoversi sotto la superficie del lago.
    "Perfino i pesci sono... strani. Non ho mai visto da nessun'altra parte pesci dall'aspetto così particolare." Da come l'uomo pronunciò la parola, lei intuì che quell'aggettivo non doveva essere molto adatto per descrivere quegli animali acquatici.
    "Cosa significa?" chiese Freya.
    Michele si rabbuiò e si portò una mano sulla schiena, dove in passato doveva esserci stata l'attaccatura delle sue ali dorate.
    "Sono creature evolute, Freya. Come i luphien." le disse scrutando le acque e il riflesso del sole su di esse. "Tutto il terreno è avvolto da strati, densi di potere fatato. Non lo senti?" chiese incredulo.
    Freya scosse la testa mentre l'altra Freya sbuffò, contrariata dalla sua ignoranza.
    "Nessun pescatore si avventura troppo oltre quella striscia di acqua più chiara." spiegò l'uomo, indicando una zona trasparente del lago. "Chi si è avventurato più in là non ha più fatto ritorno. Questo è quello che dicono gli anziani e io ci credo." fece una pausa, strofinandosi gli occhi stanchi. "Qualcuno giura di aver visto delle fate danzare sulle acque nelle notti di luna."
    Il battito del cuore di Freya accelerò e si domandò se Fred avesse intuito qualcosa della sua vera natura. Il suo corpo ormai non assomigliava più a quello di un essere umano. I suoi movimenti erano troppo aggraziati, i suoi occhi viola erano del tutto inusuali, le orecchie leggermente appuntite e i canini troppo appuntiti, sebbene più piccoli e discreti di quelli dei vampiri.
    "Sono tutte menzogne. Nessuno può vedere una fata e rimanere incolume dalla sua ira, soprattutto se quella non desidera che gli umani vadano a raccontare in giro di averla vista. C'è un ragazzo, giù, al villaggio... deve avere vent'anni. La sua è una bellezza che ferisce, che scombussola il cuore e la mente delle persone. Suo padre è il panettiere del villaggio, mentre sua madre coltiva la terra." si soffiò il naso su un fazzoletto lercio e maleodorante. "Tutti dicono sia una fata. Dicono che il vero figlio di quella coppia sposata sia stato sostituito quando il bambino era appena nato. Se cercate qualcuno che possa darvi qualche risposta è lui, ma non fategli il mio nome." aggiunse in fretta. " Le ragazze perdono la testa quando si tratta di Kayle." lanciò uno sguardo penetrante a Michele.
    L'altra Freya sogghignò.
    Lei e l'angelo avevano detto di essere una coppia di sposi fuggiti dalla guerra al Nord. Era stato facile ingannarlo, dicendo che prima di stabilirsi al lago volevano essere sicuri di non correre rischi. Michele aveva cominciato un discorso sul pericolo rappresentato dai demoni, di come questi avevano cominciato ad attaccare i villaggi al Nord, di come loro due -amici di infanzia- erano fuggiti miracolosamente all'incendio di Shang e di come avevano deciso di sposarsi dopo che si erano resi conto di quanto negli anni la loro
    amicizia si fosse evoluta in un sentimento più forte.

    L'altra Freya non aveva fatto altro che deridere lei e Michele per tutto il tempo, decantando la stupidità di Fred per essere tanto sciocco da credere a quella storiella.
    "Kayle..." mormorò Freya, assaporando quel nome sulle labbra.
    "E dove possiamo trovare questo... Kayle?" domandò Michele, mostrandosi indifferente al sottinteso nascosto nelle parole di Fred.
    "Oh, noi tendiamo ad evitarlo." commentò Fred, calciando un sassolino nel lago. "Lui è un tipo solitario e... bhe, non ci fidiamo di lui. Per il fatto che possa essere una fata e tutto il resto, sapete." sbadigliò, stiracchiandosi le gambe. "Fossi in voi non lo avvicinerei, ma la scelta è vostra."
    Freya e Michele si scambiarono un'occhiata. "Dove lo troviamo?"

     
     

    Si erano seduti l'uno accanto all'altra sul bordo di un pozzo in disuso, fingendo di chiacchierare mentre erano intenti ad osservare i movimenti di Kayle.
    Freya fu costretta ad ammettere che la gente del posto aveva ragione su Kayle: era bello da mozzare il fiato. Una bellezza diversa da quella celeste di Michele e da quella quasi artificiosa dei vampiri.
    Il suo viso appariva... selvaggio, come se la natura stessa di quella terra avesse plasmato i suoi lineamenti.
    Era appoggiato placidamente al tronco di un albero, impegnato nella lettura di qualche libro, e i capelli neri e lucenti erano legati da un nastro chiaro.
    "Ha occhi di foglie. Occhi di muschio." la informò l'altra Freya senza darle il tempo di chiederle come facesse lei a saperlo. "Sono gli occhi della foresta. Occhi che mutano con le stagioni e le emozioni del suo... spirito." Sembrava ammirata e Freya rimase sorpresa per quella strana rivelazione.
    Michele si chinò in avanti. "Non puoi andare da lui." la informò, posandole la mano sul polso. "Capirebbe subito che non sei umana."
    "Dunque è..." deglutì a vuoto. "... una fata?"
    "Un ottimo partito, Freya. Dimentica l'angelo. Lascia che io lo uccida. Possiamo tornare a casa, se lo desideri... Riprendiamoci tutto. Tutto."
    Michele assottigliò lo sguardo e per l'ennesima volta Freya ebbe la sensazione che lui avesse capito le parole dell'altra Freya.
    "Cosa facciamo?" domandò, invece, rivolgendosi all'angelo.
    "Nulla. Aspettiamo."

     

     

    "Ecco." disse loro l'anziana, appoggiando sulla tavola dei piatti di zuppa fumanti. "La mia locanda è famosa per le ottime minestre di pesce. Mangiate finché tutto è ancora caldo." raccomandò.
    "Grazie." rispose Freya, notando come la donna osservava insistentemente il piatto intatto di Michele. Dovette mordersi la lingua per riuscire a dire che suo marito quel giorno non stava bene. "Ha problemi di digestione. Spero possiate perdonarlo." aveva aggiunto, deglutendo a forza un cucchiaio di minestra.
    "Qual'è il piano?" domandò lei, quando l'anziana si fu allontanata.
    "Io chiederò informazioni ai pescatori e sorveglierò il posto. Tu cerca di avvicinarlo senza destare troppi sospetti." spiegò Michele, giocherellando con le posate. "Digli che sei una fata. Inventati una scusa. Ufficialmente... dovresti essere morta centinaia d'anni fa. Non ha motivi per dubitare di qualsiasi menzogna tu voglia raccontargli."
    "Ci crederà?"
    "Mi occuperò io di lui. Farai parlare me, Freya." la informò l'altra Freya senza lasciarle il tempo di replicare.
    "Lei dice che se ne occuperà."
    Michele lasciò andare la forchetta. "Lei chi?" chiese sospettoso.
    "L'altra me. L'altra Freya. Sostiene di poterlo convincere. Lei vuole trovare le fate. Sento che desidera andare da loro... più di ogni altra cosa."
    Freya socchiuse gli occhi. Era la prima volta che parlava della sua pazzia tanto apertamente con Michele.
    L'angelo sussultò, ma era certa che il motivo non riguardasse le sue parole. Lo sguardo di Michele si era fatto assente, come se stesse cercando di trovare un senso a quanto lo circondava. "Non puoi fidarti di lei." la avvertì.
    "Non puoi fidarti di lui." gli fece eco l'altra Freya.
    Michele serrò le labbra e Freya cominciò davvero a preoccuparsi. Era insolito che lui si mostrasse tanto protettivo nei suoi confronti.
    "Enuwiel, non puoi fidarti di lei." le disse con un sibilo.
    Lei si voltò di scatto. "Come mi hai chiamato?"

    ***
     

     "Non puoi restare lì." disse Clare, mentre aiutava Michele a rimettersi in piedi. Era accaldato come poteva esserlo un umano con la febbre e lei dovette sostenerlo fino al muretto ricoperto di neve.
    "Non posso andarmene." replicò lui, mentre le dita delle mani si immergevano nella neve.
    "Impazzirai... come mi hai detto l'ultima volta che sei stato qui. Non ha senso per te rimanere lì."
    "Il mio corpo ha solo bisogno di adeguarsi. Si adatterà alle emanazioni del potere fatato. Le radiazioni non sono un pericolo mortale." obiettò l'angelo.
    "Guarda cosa ti ha fatto..." commentò Clare, sfiorandogli la fronte. "Diventerai sempre più debole, più vulnerabile..."
    Michele le spostò la mano ed osservò il sottile strato di ghiaccio che ricopriva lo stagno davanti a loro. "Passerà. Sono così stanco a causa delle ali. La rigenerazione richiede molta energia."
    "Devo insistere, Mikhail. Vattene da quel posto."
    "Non posso."
    "Perché?" insistette Clare.
    Lui distolse lo sguardo dal paesaggio nevato, puntandolo sulla spada della Guardiana. "Devo salvarti." rispose con una semplicità inattesa da entrambi. "Voglio salvarti." si corresse Michele. "Per farlo mi occorre l'aiuto di Freya. Una goccia del suo sangue per poterti risvegliare."
    "Forse dovresti lasciarmi morire..." bisbigliò Clare di rimando. "Forse sarebbe la scelta più saggia. Sarei già dovuta essere morta."
    La spada di metallo nero della Guardiana gocciolava sangue sul manto di neve e Michele si portò distrattamente una mano tra i capelli. "Non sono mai stato molto bravo a consolare le persone, forse perché nessuno ha mai consolato me in effetti..." osservò lui. "In ogni caso, non credo che tu sia una di quelle persone che per andare avanti devono ottenere rassicurazioni altrui. Clare..." la chiamò con un sospiro sfinito. "Tu non vuoi morire. Se lo avessi voluto, avresti potuto semplicemente smettere di combattere, ma non saresti più stata la persona che sei. L'hai incisa nel sangue, Clare, la tua natura di guerriera. Il tuo istinto primario è combattere; combattere fino alla fine." dichiarò calmo.
    Michele non le disse che era anche il suo di istinto, il suo bisogno primario.
    "Mikhail..." mormorò lei con espressione tesa.
    Fece per risponderle, ma un turbine di neve e ghiaccio si avventò su Clare e lei venne inghiottita in quel caos di diamanti.


    ***
     

    "Tu non stai bene." disse Freya quando con fatica Michele riaprì gli occhi. "Non stai bene, arcangelo." C'era una velata accusa nelle parole della fate cha lui però non riusciva a cogliere.
    "Avresti dovuto dirmelo." proseguì Freya, seduta con un assoluta mancanza di grazia su una sedia di fronte al letto in cui lui era sdraiato. "Quando hai cominciato a vaneggiare chiamandomi Enuwiel e gridando che avresti ucciso una certa Chyntia... Sei svenuto alla locanda e sei diventato ufficialmente il nuovo pettegolezzo del villaggio." finì di raccontare lei. "Inutile dire che la gente di qui non ha creduto molto alla scusa che ho inventato."
    "Che sarebbe?" si informò Michele.
    "Bhe..." fece Freya, stringendosi nelle spalle. "È difficile giustificare qualcuno che crede di conoscere un angelo, fondatore del Regno di Ziltar, morto da mille anni. Ho fatto credere loro che tu sei un attore e che l'ultimo spettacolo raccontava la storia di Enuwiel. Ci hanno creduto..." Michele si rilassò, ma lei riprese a parlare.
    "Ci hanno creduto finché la tua pelle non ha cominciato a brillare di luce dorata... Ora sostengono che: uno, sei una fata; due, sei stato maledetto dalle fate."
    Freya incrociò le gambe sulla poltrona, le labbra arricciate all'insù in un'espressione preoccupata.
    "Un vero peccato che non sia morto." commentò l'altra Freya.
    "Questo luogo è malato, Freya. Non lo senti? Il vento soffia il suo lamento, l'acqua piange il suo destino, la terra geme i suoi morti... La magia delle fate è veleno. Veleno che corrode la natura." disse Michele.
    "Io sono veleno." sibilò l'altra Freya compiaciuta.
    "Io sono l'antidoto." replicò Freya.

     
     

    Aveva lasciato che Michele si riposasse e si era incamminata verso la piazzola erbosa, poco distante dal cuore del villaggio. Avvertiva il bisogno di stare un po' da sola, di riflettere su ciò che l'attendeva nell'immediato futuro.
    Doveva sapere cos'era accaduto al popolo fatato, cos'era caduto al Regno delle Due Corti...
    "La Corte Unseelie e la Corte Seelie. Tu, che fosti la causa della loro disfatta. Ti senti in colpa, Freya? I ricordi ti tormentano? No? Tu non ricordi, Freya. Lilith ha azzerato la tua mente, rammenti?" il tono dell'altra Freya era stranamente pacato, come se l'eccitazione iniziale per trovarsi in quel luogo stesse via via scemando.
    "C'erano due Corti... " tentò di ricordare Freya, stringendo tra le mani ciuffi di erba selvatica. "Due regine... Il popolo fatato era diviso
    fra l'amore per una e l'amore per l'altra..." annaspò, come se all'improvviso l'aria le mancasse dai polmoni. "Ci sono stati dei conflitti... E poi, una guerra."

    "La Prima Guerra Celeste." specificò l'altra Freya.
    "Stai male?"
    Freya sobbalzò, sorpresa dall'intrusione di quella voce infantile. Alzando lo sguardo si rese conto che accucciata al suo fianco c'era una bambina con splendidi boccoli biondi e occhi di un celeste così chiaro da sembrare grigio. Indossava un vestitino verde pieno di nastri colorati e la fissava con la fronte corrucciata. Doveva avere una decina di anni, eppure la sua espressione era così seria che Freya rimase spiazzata per un attimo.

    "Boccoli dorati e occhi di cielo,
    i preferiti essi son.
    Se una fata vedete,
    da lor lontano correr dovete.
    Bambini di grano e mare fuggite,
    perché i pixie la caccia hanno destato."

     

    "Una vecchia filastrocca dei pixie. Riesci a ricordare questa, ma non il tuo passato?" la derise l'altra Freya.
    Freya scosse la testa e la filastrocca divenne solo un eco lontano.
    "No, sto... Sto bene, grazie. Ti sei persa?" interrogò la bambina, rendendosi conto della stupidità della domanda. Il villaggio era a pochi passi di distanza, non poteva essersi smarrita.
    La bambina cadde al suolo, portandosi una mano alla pancia e rotolandosi nel prato ridendo spensierata. "Io sono Camille!" cinguettò fiera, macchiandosi l'abito.
    "Camille! Camille! Camille!" ripeté felice, mostrandole un sorriso carico di calore umano. "Camille è felice che tu stia bene!" disse, riferendosi a se stessa come se non si trovasse davvero lì.
    "Camille era preoccupata! Preoccupatissima!" asserì la bimba.
    "Io sono Freya." si presentò la fata.
    Camille alzò di scatto la testa. "Hai sentito, Kayle? Camille aveva ragione!"
    Freya si irrigidì e guardò con circospezione il giovane che se ne stava in piedi a qualche passo da loro.
    Lui sembrava a suo agio, lì, con una perfetta sconosciuta ed una bambina che correva allegramente nel prato.
    "Te lo avevo detto. Ha occhi di bosco." commentò compiaciuta l'altra Freya.
    "Camille, comportandoti così finirai per spaventarla." intervenne Kayle avvicinandosi lentamente. "Devi perdonarla." proseguì, una volta che si trovò di fronte a Freya. "Non è abituata a parlare con sconosciuti. Ti ha disturbata?" le domandò.
    Lei notò che aveva una voce profonda, leggermente roca. "Nessun disturbo." si affrettò a rispondere, sperando che i capelli le nascondessero le orecchie appuntite.
    "Kayle." fece lui, allungando la mano.
    Freya esitò un istante prima di porgergli la propria e quando le loro dita si sfiorarono una sensazione simile ad un formicolio le salì lungo il braccio. Si guardarono negli occhi poi, come in tacito accordo, entrambi tornarono a concentrarsi su Camille che era impegnata nello studio di una farfalla. Ogni volta che si avvicinava alla bestiola, quella andava a posarsi sul ramo di un altro albero.
    "Le sei simpatica." affermò Kayle con un mesto sorriso. "Camille in genere non ha un buon rapporto con le persone." spiegò.
    "Chi è?" chiese Freya.
    Lo sguardo di Kayle seguiva con particolare attenzione gli spostamenti d Camille. "Mia sorella." la informò con un sospiro. "Una piccola peste." aggiunse divertito.
    "No, non lo è." le disse invece l'altra Freya. "Nelle loro vene non scorre lo stesso sangue."
    "I tuoi occhi sono strani." proseguì Kayle, voltandosi per vederli meglio. Freya non distolse lo sguardo, ma si domandò che cosa potesse capire se avesse continuato a fissarla in quel modo.
    "Anche i tuoi lo sono." obiettò a disagio, mentre le iridi di lui assunsero improvvisamente una tonalità più scura. Lo vide serrare i pugni e spinta da una strana sensazione avvolse una di quelle mani nelle sue. "Non ho detto che non mi piacciono." specificò, senza intendere quanto li trovasse splendidi e unici.
    Kyle si liberò bruscamente dalla sua stretta, ma l'espressione sul suo volto si fece meno tesa e guardinga.
    "Le persone non sono solite rivolgermi spesso la parola. Scusami."
    Freya annuì distrattamente, troppo sconvolta dalla strana iniziativa che aveva preso. Nella sua vita da umana, quando a Shang era conosciuta come Guaritrice, non era insolito per lei consolare con gesti o parole i malati o i parenti di quest'ultimi. Eppure negli ultimi due mesi si era convinta che la gentilezza non facesse più parte di lei.
    "Camille vuole prendere la farfalla!" strillò la bambina un secondo prima di inciampare.
    "Non sei di queste parti." proseguì Kayle, facendo un cenno alla sorella.
    "No, infatti."
    Freya non ricordava di essersi seduta, ma il contatto con la terra la rilassò immediatamente e seppe senza guardarsi attorno che il prato doveva essere fiorito di centinaia di fiori differenti. Né Camille né Kayle fecero commenti e lei si dimenticò ben presto della cosa.
    "Alloggio alla locanda con... un'altra persona." si limitò a dire vaga.
    "Pensi di fermarti a lungo?" volle sapere lui, giocherellando con una margherita che il potere di Freya aveva fatto sbocciare.
    "Kayle!" urlò Camille, gettandosi con un salto addosso al fratello. "Camille non trova più la farfalla! Dovete aiutare Camille a ritrovarla!" si lamentò la bambina cercando di tirare entrambi in piedi. I boccoli ondeggiarono indispettiti sulle sue spalle.
    Kayle sembrava imbarazzato per il comportamento di Camille, ma Freya era grata per quella parvenza di normalità. Loro non potevano sapere cosa aveva visto, cosa aveva provato quando aveva visto Shang alle fiamme ed ogni sua certezza ridotta in cenere.
    "Lui lo sa." la mise in guardia l'altra Freya. "Ha capito quello che sei, quello che siamo."
    "È per Camille, vero? Rimani qui per lei. Le vuoi bene, si vede." esordì Freya, puntando dritta al punto. "Ma la gente ti odia, ti disprezza."
    Camille era scomparsa dietro a un cespuglio e loro si erano fermati in un cerchio di tulipani gialli.
    "Non posso abbandonarla." bisbigliò lui di rimando.
    "No, non è solo questo." intuì Freya. "Qualcosa ti obbliga a rimanere qui. Le fate?"
    Gli occhi di Kayle divennero neri. "Vattene da qui finché sei in tempo. Mancano ancora due giorni alla luna piena... Tu puoi salvarti."
    Freya si mise in allerta. "Cosa accadrà al sorgere della luna?"


    ***

     "Cosa pensi accadrà al sorgere della luna?" domandò Freya, guardando con insistenza Michele.
    "Difficile dirlo. Le Due Corti avevano rituali specifichi che effettuavano con regolarità ogni X anni. Ma le Due Corti sono state distrutte e se Kayle non ha voluto dirtelo..." l'angelo esitò.
    "Cosa?" tuonò Freya, allarmata.
    "Sacrifici." rispose Michele. "Sacrifici umani, Freya."
    Il ghigno compiaciuto dell'altra Freya le annebbiò i pensieri.
    "Dobbiamo trovare le fate! Dobbiamo cercarle... dobbiamo..." la fata si portò una mano alla bocca, camminando nervosamente avanti e indietro.
    "Se anche le trovassimo... noi... Ah!" Michele si strinse la testa, ansimando.
    Freya lo osservò preoccupata, ma anziché avvicinarsi indietreggiò verso il tavolo, trafficando con una serie di boccette colorate. Ad ognuna toglieva il tappo e annusava il contenuto con aria meditabonda.
    In fretta e furia versò i preparati in un bicchiere, assicurandosi che l'angelo bevesse quel suo rimedio.
    "È un tonico." gli spiegò accigliata, guardando la sera avanzare sul villaggio. "Lo usavo con le persone di Shang. Per te è solo un blando rimedio temporaneo." l'avvisò, tremando mentre riponeva il bicchiere sul comodino. "Devi riposare..." proseguì, scostando le tende dalla finestra.
    "Non farlo..." ansimò l'angelo, seguendo la direzione del suo sguardo. "Non puoi andare da sola a caccia di fate."
    Freya si voltò, l'espressione tesa, ma decisa. "Non sei il mio custode, Michele. Ho aggiunto del sonnifero al tonico, una dose massiccia." specificò lei, all'occhiata sconvolta che le rivolse l'angelo. "Ciò che mi accadrà d'ora in avanti sarà solo affar mio. Me la caverò." disse sorridendo ai goffi movimenti che Michele stava compiendo nel tentativo di fermarla.
    "Non ho bisogno del tuo aiuto..." concluse Freya.
    "Ti basta il mio." completò l'altra Freya.

     

    ***

     

    L'istinto l'aveva guidata da lui e lei lo aveva trovato.
    Seduto su un tronco e con lo sguardo fisso sul lago, Kayle era in attesa.
    A Freya era bastato vederlo; le gambe accavallate e le mani sulle ginocchia, quasi stesse pregando per comprendere quanto lui si sentisse impotente.
    Eppure...
    Freya era certa di stare tralasciando qualcosa. Era una sensazione strana, come se ondate di potere le attraversassero il corpo quando era nelle vicinanze di Kayle.
    Si avvicinò a lui senza preoccuparsi di nasconderglielo.
    "Come lo hai scoperto?" gli domandò, posando una mano dove la corteccia era marcia e ricoperta di muschio.
    "Di cosa parli?" fece Kayle, continuando a fissare la superficie del lago.
    "Quando hai scoperto di essere una fata?" Freya non si preoccupò di parlare a bassa voce. Aveva il forte sospetto che loro due fossero le uniche persone ad avere il coraggio di mostrarsi all'esterno dopo il calare del sole.
    "L'ho sempre saputo." rispose lui, sorprendendola. "Tu no?" chiese incuriosito.
    Freya non gli rispose, turbata per la risposta che avrebbe potuto dargli. "Perché sei rimasto qui, tra gli umani?" Lei non era certa di sapere se la richiesta fosse sua o se quelle fossero parole dell'altra Freya.
    Kayle si accigliò e il suoi occhi si socchiusero come quelli di un gatto a caccia di topi. Per la prima volta lei si sentì a disagio con quello sguardo da predatore fisso su di sé.
    "Dove sarei dovuto andare? Quelli come me e te non sono ben visti tra i Ranghi. I mezzosangue vengono lasciati vivere solo per..."
    "Aspetta!" esclamò Freya, balzando in avanti. "Mezzosangue, hai detto?" il ringhio animale dell'altra Freya colse entrambi di sorpresa.
    "Ti sbagli." disse dura, cogliendo lo smarrimento di Kayle. "Io non sono una mezzosangue."
    Kayle si alzò in piedi bruscamente. "Certo che lo sei." le sibilò in faccia, mettendosi di fronte a lei. "Tu sei uguale a me... I tuoi occhi lo sono. Può essere spiacevole sapere che la propria madre è stata costretta ad accoppiarsi con quelle... creature..." esitò, mettendo tutto il disprezzo che aveva in quell'unica parola. "...ma non per questo possiamo rinnegare ciò che siamo."
    L'altra Freya emise una sorta di latrato, soffocato dalle risa di Freya. "Non esistono mezzosangue tra le fate." Freya si morse la lingua.
    Quelle parole le avevano fatto tornare alla mente la leggenda di Cristavia... "Da unioni di questo tipo non può nascere nulla."

    Il pugno di Kayle calò sul tronco dell'albero e la mano sfondò la corteccia, impregnandosi di resina. Mossa da compassione, Freya lasciò che un po' del suo potere sanasse la ferita inferta alla pianta.
    "Il tuo sangue trae origini dalle Due Corti." gli spiegò lei, paziente. "Non una sola goccia è mortale."
    "Stai mentendo." la accusò Kayle, mentre gli occhi cambiavano colore a un ritmo incostante. "È uno dei vostri giochetti, vero?" continuò lui, voltandosi verso il bosco. "Non sto forse facendo abbastanza?" gridò. "Non ho fatto tutto quello che mi avete chiesto?" urlò tra lo sgomento di Freya.
    "Che stai dicendo? Vaneggi pure tu?" intervenne lei, afferrandolo per un gomito. "Vuoi farti sentire da tutto il villaggio?" sibilò Freya, infuriata. "Smettila!" ordinò, stringendo la presa.
    "Mostratevi! Mostratevi, ho detto! Lo so che ci siete!" riprese Kayle, dandole uno spintone che la fece finire in un rovo di spine. "Vi ucciderò... prima o poi vi ucciderò tutti!" strillò lui.
    Kayle protese la mano in avanti e mentre Freya tentava di rimettersi in piedi, la terra mutò aspetto sotto i suoi occhi. Una massa di terriccio scuro si alzò tra le ombre della notte, plasmandosi come creta al volere di Kayle.
    "Kayle..." sussurrò Freya, mentre osservava affascinata e impaurita la sagoma di una lancia a due punte, dalle lame ricurve, solidificarsi tra le mani di lui.
    Kayle piegò il braccio all'indietro e un sibilo fendette la notte.





    Capitolo betato da: Jales


    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter
    -La raccolta realizzata da Jales su vari personaggi di CS: De Vita
    -Il mio account Ask se volete pormi qualche domanda: Qui
    -Mi trovate su: Twitter 


     

     

    Note: Hola, eccomi qua! Che mi dite di questo capitolo, piaciuto? Cosa pensate del tradimento di Freya nei confronti di Michele? Sono cattiva, quindi sì, l'angelo sta decisamente perdendo la testa, povero T.T Freya, invece, quella l'ha già persa LOL
    Con grande gioia per qualcuno vi informo che dal prossimo capitolo ricomparirà Sebastian<3 Chi di voi lo aspetta? u_u
    By Cleo^.^ 

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    Capitolo 20
    *** Pixie rhymes ***






    19

    Pixie rhymes

     

     

     

    Freya ansimò quando la lancia a due punte di Kayle le passò sopra la testa, evitandola per puro miracolo. Si ritrovò a rotolare di lato per schivare il nuovo affondo del fatato.
    Quando rimise a fuoco la figura di Kayle, lui le dava le spalle e indossava una sorta di armatura a scaglie, quasi fosse una seconda pelle.
    Qualcosa di piccolo e blu si agitava sul terreno e Kayle teneva fermo quell'essere con una sicurezza che colpì la fata.
    "È un guerriero." le comunicò l'altra Freya.
    Freya annuì sovrappensiero, affascinata dal modo in cui i muscoli di Kayle si rilassavano e si distendevano al ritmo dei suoi respiri.
    La creatura azzurra era riversa sul terreno e un liquido del medesimo colore macchiava il suolo.
    "È un... Pixie..." sussurrò Freya. "Un pixie..." ripeté lei, riflettendo sul significato di quel termine.
    "Creature stupide, manipolabili, codarde..." le fece eco l'altra Freya. "Né Seelie, né Unseelie, ma ugualmente fedeli alla Corte Unseelie. Non ti sono mai piaciuti, vero, i pixie?"
    "Mi hai aiutato?" domandò a Kayle, mentre la piccola forma umanoide cessava di dibattersi e rantolare. Lui si voltò e le scaglie brillarono di un verde cupo. "Credevo volessi uccidermi..." confessò Freya.
    In tutta risposta Kayle le afferrò la mano, costringendola a correre verso la riva del lago. Lei rimase a fissare le loro dita intrecciate, chiedendosi che cosa avesse provato lui nell'uccidere un pixie.
    Figure blu e celesti si muovevano tutte attorno a loro, saltando sui rami degli alberi e volando sull'acqua placida e immobile, scura come il cielo notturno.
    Al villaggio non si vedevano luci accese, ma i pixie sembravano emanare chiarore dal loro stesso corpo.
    Freya considerò che dovevano essere una trentina, pupazzi colorati che volteggiavano nell'aria. Alcuni avevano inquietanti occhi gialli che le ricordavano delle lucciole. Bisbigliavano tra loro, intonando orribili filastrocche che la inquietavano.

     

    Blu come il cielo siamo.
    Laggiù nella selva stiamo
    e la nostra regina attendiamo.
    Cantiamo, balliamo, e giochiamo...
    della nostra sorte mai parliamo.
    Blu come il cielo siamo,
    e una patria noi reclamiamo.

     

    Kayle serrò la mascella. "Non possiamo tornare al villaggio. Metteremmo in pericolo gli abitanti." considerò, superando una quercia e stringendo Freya al petto mentre attendeva che una manciata di pixie li superasse.
    "Che cosa facciamo?" gli domandò lei, mentre avvertiva il tocco del suo potere espandersi dentro di sé.
    "Ci nascondiamo... E preghiamo che l'alba arrivi presto." replicò Kayle, allentando la presa su di lei.
    "Ma i pixie non sono vampiri." intervenne Freya, corrugando la fronte.
    "Infatti." la assecondò lui. "Tuttavia non amano mostrarsi alla luce del sole. Non chiedermene il motivo, non lo conosco." tagliò corto.
    Si zittirono contemporaneamente quando un pixie lì superò a pochi passi di distanza, fischiettando un motivetto allegro.
    "Vieni." fece Kayle stendendo in avanti la mano. "Dobbiamo andare."

    ***

     

    Vlad Tepes ripiegò le ali sulla schiena e avanzò senza fretta verso la figura seduta sul masso al limitare del bosco. "Sei venuto, quindi. Sapevo che Lilith ti aveva mandato un messaggio, ma cominciavo a dubitare... del tuo arrivo." disse, rilassando le spalle. Un torrente scorreva placido tra loro, creando quasi una sorta di tacito confine.
    "Cosa volete, padre?"
    Lucifero sorrise, mostrando i canini al figlio. "Quello che ho sempre desiderato, Sebastian. Nient'altro che il meglio... per il mio erede."
    Sebastian si voltò e Vlad si prese qualche secondo per osservare i bagliori dorati emessi dall'antico orologio che il figlio teneva saldo tra le sue dita. Non fece alcun commento in merito e assunse un'espressione neutra.
    Un bagliore violaceo passò negli occhi di Sebastian che lo fissò con astio. "Non credo di considerare il meglio farmi passare mille anni di prigionia al seguito di una casata umana."
    "Ah, è questo ciò che ti irrita?" s'informò, sfiorando pensosamente l'elsa di Exaniha.
    "Ciò che mi irrita, padre, è ben al di là della vostra comprensione." sibilò Sebastian, scattando in piedi.
    Lucifero sospirò. "Oh, Semiael..." lo chiamò, avvicinandosi al torrente. "Ho scatenato una guerra... per te. E... per quell'inutile orologio." puntò il dito contro l'oggetto e Sebastian si affrettò ad infilarlo in una tasca degli abiti.
    "Non sono stato io a chiederti di combattere." obiettò lui di rimando.
    Vlad scosse la testa, quasi divertito dal comportamento indisponente del figlio. "Mille anni sono trascorsi e ancora... Semiael, per me e tua madre tu rimarrai sempre un bambino. E i bambini vanno protetti, che loro lo vogliano o no." decretò.
    "Ferisci il mio orgoglio, padre."
    "Non è del tuo orgoglio che mi preoccupo." controbatté Vlad.
    Sebastian serrò i pugni e un gufo sorvolò placido il suo territorio di caccia.
    "Infatti. Se ti fosse importato non mi avresti usato come una marionetta nello scontro contro la Guardiana."
    Lucifero si specchiò nell'acqua del ruscello. "La ragazza era un pericolo... per te."
    Sebastian girò la testa di scatto. "Clare non era affatto un pericolo." disse brusco.
    "Non lo sarebbe stata finché non ti avesse obbligato ad uccidermi e stai certo che un'eventualità del genere non l'avrei mai permessa." Vlad fece un gesto vago in direzione dell'orologio. "L'impossibilità di fare le proprie scelte... Tu più di chiunque altro dovresti sapere. Sono certo che rivivere un'esperienza come quella non lo desidera nessuno di noi." immerse una mano nell'acqua. "Ma tu sei qui per salvarla." aggiunse.
    "Sì. Anche se non sono più legato a lei in alcun modo, è stata una promessa quella che ho fatto."
    "Sei sempre stato un tipo corretto, Semiael." ammise Lucifero. "Tranquillizzati." aggiunse, alzando una mano in segno d resa. "Non è per fermarti che sono giunto fin qui. Tuo zio è qui vicino..."
    "Mikhail?" fece Sebastian, aggrottando la fronte. "Pensavo che gli angeli fossero stati costretti nell'Eden da Enuwiel."
    "È così, infatti. Ma sembra che la tua Clare e la Pietra di Cristavia abbiano creato un varco che ha condotto Michele fino a qui. Gli hanno strappato le ali..." Sebastian sobbalzò, portandosi istintivamente una mano sulla schiena.
    Lucifero rimase un istante in silenzio, contemplando alcune luci azzurre muoversi senza apparente logica tra gli alberi, in lontananza.
    "Pixie..." sentì mormorare dal figlio.
    "La tua esitazione è quasi palpabile. L'ho avvertita da quando ti ho raggiunto. Da quanto tempo sei qui?" domandò Vlad, indicando la roccia sulla quale il vampiro era rimasto seduto fino a qualche minuto prima.
    "All'alba sarà un giorno." rivelò Sebastian, avvicinandosi anche lui al torrente, senza perdere di vista il gruppo di pixie.
    "Hai paura..." constatò Lucifero "...Non tanto di loro, quanto degli spettri del tuo passato. Pensavo che avessi superato quella vicenda, ma dopo aver rivisto quell'orologio... mi sono sorti dei dubbi. Quella fata non ha più alcun potere su di te. E, quelli, dopotutto... non sono altro che pixie. Ucciderli non dovrebbe essere un problema, non ora che con il Contratto spezzato hai riacquistato tutte le tue doti, i tuoi poteri. Non ora che sei tornato in possesso di ogni tuo ricordo."
    "Paura..." lo interruppe sprezzante Sebastian. "Non l'ho mai vista così drammatica. Quello che provo padre è..." Fiamme nere circondarono il tronco di un albero, consumandolo in pochi secondi. "Così doloroso... Ho atteso così a lungo la possibilità di sterminare i fatati. Questo desiderio di vendetta mi sta lacerando. Sono così vicino... e così irrazionale. Non sto tenendo conto delle conseguenze."

     

    ...Laggiù nella selva stiamo
    e la nostra regina attendiamo...

     

    Le parole di una filastrocca pixie riempì il silenzio della radura.
    Vlad Tepes stendette nuovamente le ali, guardando il figlio un'ultima volta prima di riprendere il volo. "La loro regina è morta." commentò con una smorfia riguardo al ritornello dei pixie. "Che trascorrano pure l'eternità ad attenderne una nuova..."

     

    ***

     

    "Fermati! Possiamo sconfiggerli... insieme. Non sono che formiche, quei pixie... Lasciami usare il tuo potere. Liberami!" esclamò l'altra Freya, stridente come uno stormo di uccelli.
    Freya scivolò in una pozza di fango e prima che potesse aprire bocca, un pixie le calò sulla faccia strillando come un vecchio corvo e graffiandole il volto con furia assassina.
    L'arma di Kayle calò implacabile sul corpo della creatura che cadde al suolo un attimo prima che il cadavere mutasse in un mucchio di petali, sparpagliati dal vento.
    "Kayle..." chiamò Freya, prima che lui la aiutasse sbrigativamente ad alzarsi.
    "Ssh! Aspetta... Non parlare!" le ingiunse lui portandosi l'indice alle labbra.
    Davanti a loro c'era un torrente e ansimando lo attraversarono con foga, cercando di agitare l'acqua il meno possibile.
    Raggiunta l'altra sponda, Freya appoggiò la mano su un masso per riprendere fiato, avvertendone la superficie stranamente tiepida come se qualcuno ci fosse rimasto seduto sopra fino a qualche attimo prima. Un brivido gelido le percorse la schiena e avvertì distintamente l'agitazione dell'altra Freya.
    Kayle si aggirò lì attorno per qualche minuto, prima di tornare da lei con una manciata di piume nere con striature d'argento.
    "C'era qualcosa qui... e non era un uccello." specificò, guardandosi attorno guardingo. Ogni suo muscolo era teso e pronto allo scontro e Freya trovò quell'aspetto bizzarro. Non si era ancora fatta un'idea precisa di Kayle, eppure...
    Il modo in cui maneggiava l'arma, la familiarità del suo corpo nella fuga e negli scontri, la sicurezza con cui aveva eliminato i pixie...
    Kayle non era un cacciatore. Non ne possedeva la calma né la pazienza, dedusse Freya dopo aver studiato i movimenti nervosi del piede di lui sul terreno.
    Kayle levò in alto la lancia, creando con il braccio un movimento concentrico. La sua armatura era macchiata dalla linfa blu dei pixie che riluceva in modo sinistro alla luce delle stelle.
    "Perché pensi di essere un mezzosangue?" gli chiese all'improvviso, squadrandolo attentamente. "Noi siamo l'élite del popolo fatato. Possediamo il sangue delle Corti... della Corte Seelie." aggiunse in un soffio.
    "Ne sei certa?" le insinuò il dubbio l'altra Freya.
    Kayle inspirò bruscamente. "Non so cosa siano queste Corti che continui a nominare." disse seccamente. "I pixie con cui ho parlato non hanno mai fatto cenno a..." deglutì. "Loro sono stati molto persuasivi nel raccontarmi come fossi nato, come mia madre..." esitò nuovamente. "Perché dovrei dubitare delle loro parole? Gli abitanti del villaggio mi evitano, sussurrando alle mie spalle quando credano che non possa sentirli. La mia famiglia è..."
    "Non mentirmi. Tu e io sappiamo benissimo che non ci si può fidare dei pixie." obiettò Freya. "Ti sei lasciato convincere perché era quello che
    volevi. Immagino che eri alla disperata ricerca sulla verità della tua natura... l'hai mai chiesta a tua madre? Tu non sei suo figlio, non esistono mezzosangue tra il popolo fatato."

    Kayle spostò la lancia verso la sua gola, sfiorandole la pelle. "Sembri sapere molte cose sulle fate." disse sospettoso.
    "Certamente più di te." commentò lei. Freya assottigliò gli occhi. "Cosa sono i Ranghi? Che tipo di lavoro eseguivi per i pixie?"
    Kayle sogghignò. "Si vede che non sei di queste parti. I Ranghi sono gruppi di fatati che esercitano il loro diritto di potere su queste terre, perennemente in conflitto tra loro."
    "Pixie." sibilò l'altra Freya. "Credono di poter sostituire l'influenza delle Due Corti?" sbraitò infuriata. "Dove sono i cavalieri Seelie e Unseelie? Dove? Li ucciderò tutti, quei patetici esserini blu!" strillò.
    "Kayle, che tipo di lavoro eseguivi per i pixie?" ripeté lei, senza lasciarsi fuorviare.
    In risposta lui contrasse la mascella e l'arma tremò appena tra le sue mani. I suoi occhi assunsero sfumature cupe, che andavano dal blu a un colore violaceo, mutando tanto velocemente che le provocarono le vertigini.
    Kayle si voltò di scatto e le sue spalle ebbero un sussulto quando lei ne sfiorò una.
    "Ti ho turbato, mi spiace, ma devo sapere." si scusò Freya, sperando di trasmettergli quanto quelle informazioni le servissero. "Sono mancata da..." esitò incerta "... da casa per molto tempo. Questo mondo non è quello che io ricordo. Mi è estraneo e tu sei l'unico che può aiutarmi a capire. Kayle..." il tono usato era quasi una supplica, ma lei non se ne curò. "Mi servono risposte e anche a te. Possiamo trovarle insieme. Aiutami."
    Lui avanzò di qualche passo e quando la guardò nuovamente c'era una strana forma di compassione sul suo volto. "Mi odierai." la avvertì cupamente. "Io mi odio. Odio quello che ho fatto. Ma i pixie minacciavano la mia famiglia e io... Avevo tredici anni la prima volta che è successo." socchiuse gli occhi e Freya avvertì un improvviso nodo alla gola.
    "Qualunque cosa tu abbia..." lei si ritrovò a sospirare, senza parole. Il sentimento di odio verso se stessi non le era affatto estraneo, eppure... "Anche io disprezzo me stessa, Kayle. Ho fatto cose terribili nel mio passato." I ricordi non le erano tornati, ma sulla coscienza le aleggiava quel costante senso di colpa.
    "Quanto terribili, Freya?" la provocò l'altra sé.
    "Cosa è accaduto quanto avevi tredici anni?"
    Kayle si rigirò pensieroso la lancia tra le dita, scrutando tra gli alberi le figure lontane dei pixie. "I pixie non vogliono che gli umani si interessino a loro." cominciò a dire con voce piatta. "Ma c'è sempre qualche umano curioso che in modo o nell'altro tenta di raggiungere le sponde orientali del lago. Alcuni hanno tentato con le barche, altri camminando..." prese fiato, spronandola allo stesso tempo ad accelerare il passo. "Ho sempre saputo di essere diverso, fin da piccolo. Capitava a volte che notassi particolari che alla gente sfuggiva; pesci velenosi, piante che sembravano comunicare tra loro, ombre che si aggiravano sotto la superficie del lago... Nessuno si avvicinava a me e la notte uscivo da solo nel bosco per guardare le stelle. È stato così che ho incontrato i pixie. Mi hanno spiegato cosa ero e il motivo per cui mi avevano cercato..."
    Freya scostò alcuni rami dalla faccia e si chinò per schivarne un altro.
    L'armatura di Kayle sembrò riflettere una sfumatura cremisi mentre lui continuava a raccontare. "Volevano che svolgessi un compito e in cambio promisero che avrebbero lasciato in pace la mia famiglia. Avevo tredici anni... ma questo non mi giustifica. Ho accettato perché in quel momento i pixie mi fecero sentire importante, ma immagino che non avrei avuto comunque molta scelta."
    Freya si fermò di colpo. "Ne abbiamo mai avute... di scelte?" sussurrò lei.
    Qualcosa li superò in volo, oltre gli alberi, e la fata per un attimo ebbe l'impressione di vedere un angelo.
    "Ciò che i pixie desideravano... ciò che io ho acconsentito ad essere..." mormorò Kayle, saltando con grazia un tronco caduto "... un Boia. Sono l'assassino che teneva gli umani lontano dai confini orientali."
    Freya trattenne un istante il respiro, cercando lo sguardo di Kayle, ma lui si era fatto improvvisamente guardingo e anche lei ne capì la ragione.
    Erano stati circondati dai pixie, come fosse stato possibile non era chiaro, ma le creature blu fluttuavano nell'aria facendo sfoggio delle loro dentature aguzze.

    Spinti nel bosco si sono.
    Sono, sono...


     

    Cantilenarono i pixie con le loro voci acute.
    Freya e Kayle si misero schiena contro schiena, osservando i movimenti dei fatati. "Non allontanarti da me." la informò lui, reggendo la lancia con entrambe le mani.
    In tutta risposta, lei alzò la mano destra con un rapido movimento del polso e dal terreno si levarono rami di edera che si avvolsero attorno ai corpi dei pixie.
    "Copri loro la bocca! Coprigliela!" ordinò l'altra Freya. "Adesso!" strillò.
    "Come hai...?" intervenne Kayle, facendo una smorfia quando i pixie cominciarono ad agitarsi.
    "Subito, ragazzina! Ora!" gridò l'altra Freya, facendola cadere in ginocchio per il dolore.
    Kayle si chinò sulla fata con l'espressione tesa. "Frey..."
    I pixie spalancarono le loro bocche e il suono che ne uscì fu la cosa peggiore che entrambi ebbero mai udito.

     

     ***

     

    Michele si era svegliato di giorno e dal momento che aveva visto il sole e notato l'assenza di Freya, aveva compreso che qualcosa di irreparabile era accaduto mentre lui era sotto l'influsso di un qualche elisir.
    I pianti delle donne del villaggio gli giungevano chiari dalla finestra lasciata aperta e la percezione di non essere solo lo mise in allerta.
    "Lucifero." disse voltando appena la testa.
    Vlad Tepes era stato lì e Michele provò rabbia per essere stato incosciente e tanto debole. A testimoniare il passaggio del vampiro stava un'incisione scritta nell'antico linguaggio degli angeli . Era una frase il cui significato rimandava ad un tempo lontano, quando entrambi erano stati felici, sereni.
    Mi dispiace, fratello.
    Michele provò rabbia e... qualcos'altro.
    "Dispiacerti per cosa, fratello?" sussurrò ironico, serrando le mani a pugno. Quante volte Lucifero gli aveva ripetuto quella frase? E quante volte lui aveva accettato quelle parole sapendo che il giorno dopo sarebbero tornati a fronteggiarsi da due fazioni opposte?
    Detestava sentirsi dilaniato a quel modo a causa di quel legame. Quanti erano i peccati attribuiti a Lucifero che riflettevano la sua debolezza nell'averlo lasciato più volte libero?
    Fu distratto dalle grida confuse e spaventate della gente e si costrinse ad alzarsi. I muscoli erano rigidi e la mente era confusa.
    Si chiese in che tipo di problema si fosse cacciata Freya e si maledì per essersi lasciato sfuggire la salvezza di Clare. Afferrò la spada di Enuwiel con rabbia, percependo chiaramente il malcontento della spada celeste. Excalibur gli mancava e giunto nel Regno di Ziltar avrebbe dovuto cercare di ritrovarla in tutti i modi possibili.
    Una fitta di dolore alla schiena lo fece cadere a terra ansimante e gli ci volle qualche minuto prima di riuscire a rimettersi in piedi e a barcollare esitante lungo il corridoio della locanda.
    Quando finalmente raggiunse la piazza del villaggio, il sangue macchiava il terreno e sui muri delle abitazioni circostanti con esso erano state tracciate alcune filastrocche pixie.
    In un angolo, ammassati uno sull'altro, c'erano i cadaveri di alcuni pixie e alcune donne continuavano a colpirli ripetutamente con delle pietre, quasi temendo che potessero risorgere come vampiri dalla morte.
    "Vi dico che è stato un demone ad ucciderli!" strillò una delle tre, indicando i fatati.
    "I vampiri non si spingono in questa zona!" replicò un'altra, scuotendo la testa.
    Michele socchiuse gli occhi, chiedendosi perché mai Lucifero avesse voluto intervenire a favore degli umani. Tuttavia rinunciò presto e si incamminò verso la riva del lago.
    L'acqua era leggermente increspata, come se una brezza d'aria vi fosse passata sopra, ma non era quello il motivo. L'angelo si sorresse con l'aiuto della spada celeste, dirigendosi verso una coppia di sposi che con le guance rigate di lacrime indicavano il bosco al di là del lago.
    La donna era aggrappata alle spalle del marito e lo pregava di andare alla ricerca dei figli. "Ti prego... Ti prego, dobbiamo andare! Potrebbero essere ancora vivi, potrebbero essere..." singhiozzò, accasciandosi sulle ginocchia e l'uomo cadde insieme a lei, scuotendo ripetutamente il capo.
    "Cosa faranno alla mia Camille? Cosa... e... se andassimo... forse, Kayle..."
    "Calmati." intervenne il marito, stringendola a sé.
    Michele diede loro le spalle e strinse i pugni. I pixie dovevano aver fatto dei prigionieri e Kayle e Freya erano scomparsi...
    Tornò a fissare la superficie del lago, mentre ogni passo che lo avvicinava all'acqua gli provocava una fitta di dolore alla testa. Era facile intuire che sotto quell'abisso si doveva nascondere qualcosa impregnato di potere fatato. Non osava fare ipotesi, perché solo lo sforzo di riflettere gli costava energia che non poteva permettersi di sprecare.
    Calcolò in fretta le sue possibilità. Non poteva aggirare il lago via terra perché nelle condizioni in cui versava sarebbe probabilmente arrivato troppo tardi per tentare di salvare Freya e non poteva volare perché...
    Si guardò attorno. Gli rimaneva un unica chance, pregando che il creatore volesse concedergli un po' di fortuna, e l'idea lo metteva a disagio tanto quanto ricordare il giorno in cui era stato privato delle sue ali.
    La barca era lì, ormeggiata accanto ad un tronco disteso, e prima di poter cambiare idea Michele la sospinse al largo.

     

    ***

     

    La foresta era fitta, gli alberi così alti da oscurare il sole, e Freya tremò nel vedere lo stato di abbandono in cui versava. Erba, muschio, ragnatele e funghi dai colori violacei occupavano ogni spazio disponibile. I pochi animali che c'erano erano insetti dall'aspetto così strano e raccapricciante che la fata cercava costantemente di evitarli anche solo con lo sguardo.
    L'aria stessa era... vecchia, come se nemmeno lei avesse il permesso di entrare e uscire da quella cappa di oscurità.
    Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dalla sua cattura e quella di Kayle, ma l'umidità le era entrata nelle ossa, rendendo deboli i suoi movimenti.
    Aveva un mal di testa tremendo e le Ombre si agitavano irrequiete nelle nebbia, intimandole di uccidere i pixie.
    Freya si accasciò al suolo, con la schiena appoggiata ad un tronco e affondando le unghie nella terra. Qualcosa di liquido e vischioso le scivolò sulla mano e quando il suo sguardo incontrò la sostanza nera e oleosa che le imbrattava la pelle fu con un grande sforzo di volontà che ricacciò indietro la bile che le era salita in gola.
    "La terra piange... veleno." fu il flebile commento dell'altra Freya, quasi si trovassero ad una distanza incolmabile.
    Un'Ombra le scivolò davanti agli occhi, oscurandole per un istante la visuale e Freya si domandò se fosse stato per istinto di soppravivenza che aveva lasciato che i suoi poteri prendessero il controllo della situazione.
    Un grugnito di dolore proveniente dalla sua destra le ricordò della presenza di Kayle in quel luogo.
    Si sentì subito rincuorata sapendolo vivo e lì con lei.
    "Questo posto..." bisbigliò Freya mentre Kayle la raggiungeva zoppicando "...Non può essere... Questo non è il Reame..." osservò guardinga, rabbrividendo alle grida dei pixie in avvicinamento.
    "Sarà la nostra tomba." replicò Kayle, creando dal terreno una seconda lancia che impugnò nella mano sinistra. "Ma farò in modo che sia anche la loro!" esclamò in un ringhio di rabbia.
    "È stato tutto inutile. Venire fin qui... Non c'è nulla qui!" gridò Freya, alzandosi in piedi. "E come diceva Michele... questo luogo è corrotto. Sento il suo veleno scivolare dentro di me... e fa così freddo, così freddo..."
    Lo schiaffo arrivò talmente inaspettato che Freya ci mise qualche secondo per associare la mano di Kayle con il bruciore che sentiva alla
    guancia.

    "Non è il caso di abbandonarsi alla disperazione, ora che siamo qui. C'è una remota possibilità di riuscire a fuggire, dopotutto."
    Freya si accarezzò il viso, poi piegando la testa all'indietro fissò l'intreccio di rami neri che le precludevano il sole.
    Kayle vide il ghigno che si era formato sulle labbra della ragazza e di riflesso anche lui alzò lo sguardo sorridendo in maniera ironica.
    Ragni fosforescenti grossi quanto pugni si stavano calando nel sottobosco e i loro piccoli occhi neri li studiavano incuriositi. Intrappolate nelle regnatele le mosche si zittirono di colpo quando dal sentiero emersero le sagome confuse di pixie e ... qualcos'altro.
    L'aspetto era vagamente umano, ma le figure erano talmente magre da far credere a Freya che non ci fosse pelle su quelle ossa sporgenti. La carnagione era di un colorito olivastro, le orecchie aguzze, i canini sporgenti e gli occhi neri sprovvisti di palpebre. Sembrano la versione a grandezza reale dei pixie che vorticavano nell'aria lì intorno.
    "Foliot, soldati creati in un lontano passato dalla regina della Corte Unseelie." commentò Freya, stupita lei stessa di quanto aveva appena detto.
    Kayle alle sue spalle si mise sulla difensiva, soffocando un'improvviso gemito di sconforto.
    Le pietre scricchiolavano sotto i passi affrettati dei Foliot che si facevano sempre più vicini, trascinando con loro prigionieri umani.
    Freya socchiuse gli occhi, certa di aver intravisto una chioma dorata in quel mucchio scoordinato di mortali e fatati e le mani le tremarono.

     

    Boccoli dorati e occhi di cielo,
    i preferiti essi son.

     

    La cantilena dei pixie, nella sua mente, si aumentò di volume mentre lei scacciava il ricordo di quella sciocca filastrocca.
    I ragni, ormai scesi dalle loro ragnatele, si nascosero nelle insenature di alcune rocce e Freya si domandò se anche lei avrebbe fatto meglio a nascondersi.

    Se una fata vedete,
    da lor lontano correr dovete.

     

    Lei avvertiva distintamente la rabbia a stento trattenuta di Kayle, che zoppicante aveva alzato la lancia quasi a volerla lanciare come una freccia contro i nemici.

    Bambini di grano e mare fuggite...

     

    Non si era sbagliata, naturalmente, e la colpa per quello che stava accadendo le cadde addosso, annullando le parole severe dell'altra Freya.
    La lancia a due punte di Kayle compì una splendida parabola prima di ricadere ai piedi di un foliot che grugnì in un dialetto a lei sconosciuto. I pixie strillarono, sparpagliandosi in più direzioni, mentre i prigionieri cercavano invano di sottrarsi alla presa dei loro aguzzini chiedendo aiuto ad un Dio che -Freya lo sapeva - non li avrebbe ascoltati.
    Si era formato un rivolo scuro lì dove l'arma di Kayle era affondata nel suolo, ma nessuno tranne lei sembrava conscia del dolore provocato alla natura.

    ...perché i pixie la caccia hanno destato.

     

    "Camille non vuole venire con voi! Camille non..." la voce della bambina si zittì all'improvviso e fu con una lentezza esasperante che Freya si vide correre nella direzione della sorella di Kayle per...
    Non era ben consapevole di ciò che stava accadendo, sapeva solo che il senso di colpa la stava schiacciando, opprimendole le vie respiratorie.
    I suoi sensi la avvertirono che qualcosa di grande e alato stava precipitando dal cielo, dentro l'oscurità di quella foresta, mentre lei si lanciava addosso a una Camille tremante, cercando di proteggerla dal foliot che stava per affondare gli artigli ricurvi e affilati nella carne della bambina.
    Kayle urlava.
    Un angelo nero cadeva dal cielo.
    L'altra Freya strepitava nella sua mente.
    Freya avvertì qualcosa di strano penetrarle nel petto, ma il dolore arrivò solo qualche secondo più tardi. Abbassò lo sguardo; dapprima sulla ferita che le squarciava l'addome poi sugli occhi sempre più vitrei di Camille che ricambiarono un'occhiata terrorizzata e incredula.
    Freya gorgogliò e il sangue le cadde sul mento, e più giù, fino al punto in cui gli artigli del foliot si stavano ritraendo dal corpo della bambina.
    La pelle di Camille aveva assunto un colorito più pallido del suo e la testa ora le ciondolava inerte sulle spalle.
    Freya tossì, mentre il respiro le moriva in gola e gli occhi si sforzavano di rimanere aperti. Cadde in ginocchio, ogni arto insensibile e un dolore troppo intenso da sopportare. Il corpo di Camille le sfuggì dalla presa e la bambina cadde a terra senza emettere un lamento.
    Intorno a lei le urla non avevano smesso un attimo di tormentarle e il mondo le parve così sfuocato che si domandò se fosse giunto il momento della sua morte. Il braccio del foliot si ritrasse dal suo corpo e lei vomitò un fiotto di sangue cremisi con sfumature verdognole.
    Un raggio di sole la colpì al volto, lì dove la vegetazione era stata brutalmente distrutta dall'angelo nero che era comparso all'improvviso.
    Dov'era l'altra Freya quando aveva bisogno d'aiuto? Non era forse stata lei a dirle che l'avrebbe protetta, aiutata?
    Qualcuno le alzò brutalmente la testa, afferrandola per i capelli e qualcosa si mosse nella mente confusa della fata.
    "Sem...i... ael..." gorgogliò turbata. "Tu... sei..."
    L'angelo nero si chinò su di lei, una smorfia a deformargli i lineamenti. "Le mie ali fremono per poterti uccidere." ringhiò lui, mostrandole i canini. "Quanto tempo è trascorso, Morwen?"

     

     

     
    Capitolo betato da: Jales


    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter
    -La raccolta realizzata da Jales su vari personaggi di CS: De Vita
    -Il mio account Ask se volete pormi qualche domanda: Qui
    -Mi trovate su: Twitter 

     

     

     

    Note: Hola! Avete visto? Avevo promesso Sebastian e Sebastian è stato *__*n Sì, pure io ho un debole per lui! LOL
    Nei prossimi due vi svelerò il passato di Freya e le cose avranno più senso u_u
    Un grazie enorme ad Ale, la mia beta <3<3<3 Dovrei coccolarla di più quella santa ragazza. Insegna l'italiano meglio dei miei passati prof di scuola e sopporta i miei
    obbrobri <3 *stritola*

    Unica cosa che volevo far notare alla quale tengo: la scelta di Sebastian che piomba dal cielo in pieno giorno non è un caso. Dovrebbe simbolicamente indicare lui che come creatura delle tenebre porta in realtà la luce. Un controsenso se vogliamo dirlo XD
    Bien, ho finito con i vaneggiamenti!
    By Cleo^.^ 





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    Capitolo 21
    *** Arturya Freya Pendragon ***






    20

    Arturya Freya Pendragon

     

     

    Era nata in un'epoca di cambiamenti; storici, economici e sociali. A quel tempo Londra era una nuvola tossica di fumo e polvere, generata dalla recente Rivoluzione Industriale che tanto aveva entusiasmato gli animi umani. "Il carbone e le macchine sono il futuro!" dichiaravano con orgoglio i mortali, quando si aggiravano entusiasti ai confini del bosco dove Freya era nata.
    Era sempre circondata da guardie della Corte Seelie e la regina Titania lasciava spesso il Reame per poterla incontrare.
    "Arturya... la nostra speranza." le sussurrava al suo arrivo, abbracciandola come la figlia che non aveva mai avuto.
    Parlavano per ore; Freya dei progressi che faceva con i suoi studi, Titania raccontandole vecchie storie e informandola di quanto si agitava nella Corte Unseelie.
    "L'esistenza del tuo sangue porterà ad importanti cambiamenti in futuro, ne sono certa." commentava ogni volta prima di congedarsi.
    Il primo incontro con Lilith era avvenuto lo stesso giorno che era scappata dalla sua scorte armata per poter osservare il mondo in autonomia.

     

     

    Era notte, una sera di primavera, e Arturya si era avvicinata ad una piccola fonte d'acqua che zampillava fresca da una parete rocciosa. Creava una sorta di cascata che affluiva nello stagno circostante, nel quale nuotavano cigni e qualche anatra dalla pennaggione scura.
    Il sottobosco era ricco di profumi per via della fioritura e il muschio era umido e morbido sotto i piedi nudi di Arturya.
    Lei aveva respirato con calma, beandosi della tranquillità del luogo e ammirando le stelle risplendere nel cielo.
    Non si era accorta della presenza di qualcun altro fino a quando Lilith non era emersa dalle acque, come una dea in procinto di dare la propria benedizione.
    "Hai perduto la via per il Reame, fata?" il suo tono di voce era stato quasi malinconico, mentre indossava una veste bianca che aveva precedentemente lasciato sulla riva. "Mi dispiace, ma non troverai in questo luogo la strada per il Confine."
    Arturya era rimasta ammutolita, mentre china in avanti per cogliere un papavero da regalare alla sconosciuta aveva incrociato un paio d'occhi rossi come ciliegie mature. Per un istante aveva vacillato, ma poi le aveva sorriso intuendo che quella ragazza che aveva davanti non era umana.
    "Sono scappata, qualcuno verrà a cercarmi." aveva detto, suscitando in Lilith una risata leggera.
    "Nelle tue vene scorre il sangue dei Pendragon, vero?"
    Arturya aveva annuito, un gesto quasi automatico che aveva fatto sorridere la vampira.
    C'era un che di un antico in Lilith, qualcosa che attirava inevitabilmente l'attenzione su di lei; la calamitava e Arturya era rimasta folgorata da quella bellezza immortale e dal fascino che la circondava.
    "Sono Arturya Freya Pendragon." Si era presentata a lei utilizzando il suo potere per far sbocciare un gruppo di margherite, sperando di colpirla, ma Lilith non sembrò particolarmente colpita dal suo potere.
    "Non dovresti avvicinarti troppo ad un vampiro." l'aveva messa in guardia Lilith, strizzandosi i capelli bagnati. "Non è stato uno di loro a sterminare il casato Pendragon?"
    "Una vampira." l'aveva corretta Arturya, meccanicamente. "La sposa di Lucifero, Lilith."
    A quel punto la vampira aveva mostrato un ghigno divertito e si era esibita in un goffo inchino che Arturya aveva imitato con maggior eleganza.
    "Provi rabbia, Freya, per quelle morti?"
    Freya.
    Nessuno l'aveva mai chiamata in maniera tanto informale prima d'allora e ad Arturya piacque il modo in cui quel nome sembrava suonare giusto sulle labbra della sconosciuta.
    "Zio Lancelot aveva perso la testa, così dicono, e mio padre si era unito alla Corte Unseelie rifiutandosi di aiutare gli umani. La regina Titania dice che hanno meritato la triste sorte che è toccata loro."
    "E tu, tu cosa pensi, Freya?"
    "Ad essere sincera, non mi sono mai soffermata su questo problema. Entrambi sono morti prima che io potessi conoscerli, per questo la loro morte non mi ha mai colpito intimamente. Non è nella natura della Corte Seelie portare rancore troppo a lungo."
    In lontananza le grida dei soldati della sua scorta si facevano più pressanti e Arturya sentì un brivido di eccitazione nel sapere quante regole non aveva rispettato quella notte.
    "È un posto molto tranquillo, qui. Non arrivano i veleni tossici prodotti dalle industrie in questo luogo. Mi sentivo molto malinconica questa sera, così ho cercato un posto solitario in cui pensare." annunciò la vampira.
    "Vi ho turbato, mia signora?" aveva commentato Arturya. "Non era mia intenzione farlo."
    "Sei molto cortese nel parlarmi in questo modo, ma non credo dovresti." la interruppe Lilith con un cenno della mano. Gli animali dello stagno si agitarono e la vampira fece una smorfia. "Chiedi a Titania il mio nome. Dille della vampira dai capelli come neve e dagli occhi come sangue."
    Arturya aveva fatto per replicare ma una guardia l'aveva trovata, obbligandola a voltarsi."Somma Arturya!" aveva esclamato sollevato.
    Nel vento era rimasto solo l'eco della risata cristallina della sconosciuta.

     

     

    "Il tuo comportamento mi ha deluso, Arturya. La Corte è stata in pena per te; io lo sono stata." Non c'era rabbia nella voce di Titania, solo delusione per il tradimento della sua pupilla.
    I boccoli ramati della regina erano ondeggiati severi nell'aria e lei si era sentita in colpa per quel comportamento infantile che aveva avuto.
    Esitando le aveva parlato del suo incontro con la vampira, chiedendole di rivelarle il nome della sconosciuta.
    Titania aveva sospirato, prima di scuotere lentamente la testa.
    "Lilith, Arturya. Era Lilith."

     

     

    Il Reame era uno squarcio nel velo dei mondi. Era questa la spiegazione standard che veniva insegnata alle giovani fate. Una realtà a parte, un mondo il cui fulcro vitale era rappresentato dalle Due Corti; due regine per un solo reame.
    C'era stato un tempo, così raccontavano i pixie nelle loro filastrocche, in cui Morwen e Titania erano andate d'accordo su molti aspetti che riguardavano il Reame, ma poi tutto era cambiato e le guerre si erano susseguite implacabili.
    "Noi fate siamo incomplete, Arturya. C'è un vuoto dentro di noi e Morwen crede che la colpa sia degli umani."
    "Vuote?" aveva replicato Arturya, non riuscendo a comprendere le parole di Titania.
    Stavano passeggiando nei colorati viali fioriti della Corte Seelie, così diversi da quelli della Corte Unseelie, e la regina le stava impartendo una delle tante lezioni sul popolo fatato.
    "C'è qualcosa... qualcosa che ci spinge a desiderare di più, sempre di più... Per questa la Corte Unseelie è così selvaggia, i suoi membri così possessivi e dagli istinti tanto egoistici." Lo sguardo della regina si era fatto distante e Arturya si era chiesta cosa fosse il vuoto che le fate non potevano colmare.
    "Incomplete..." aveva commentato Arturya, assorbendo quella parola nel profondo dell'animo. "Anche gli umani lo sono?"
    A quella domanda Titania si era riscossa ed era tornata a guardarla con quegli occhi che possedevano la facoltà di tranquillizzarla. "Gli esseri umani... forse. Alcuni di loro credo che lo siano, incompleti... ma gli altri... Noi fate siamo diverse. Differenti da umani, angeli e vampiri." Titania aveva sorriso. "Sei nervosa? Stai disperdendo il tuo potere e le piante stanno fiorendo al nostro passaggio."
    Aturya si era imbarazzata e aveva stretto le mani dietro la schiena, quasi turbata all'idea di proseguire quel discorso.
    "Ti ho scelta come mia erede, Arturya. Per questo motivo ti sto raccontando ciò che dovrai sapere per poter guidare al meglio la nostra stirpe."
    Lei si era fermata, incapace di parlare, e il suo sguardo aveva indugiato sul panorama offerto della valle dei cento fiumi, lì dove sapeva esserci anche il confine con la Corte Unseelie.
    "L'erede di ognuna delle Corti deve essere approvato a maggioranza dai rispettivi Consigli. La linea di sangue non implica una continuità della corona." aveva risposto Arturya, più per ricordare la cosa a se stessa che alla regina.
    "Tu sei nata in un'epoca di cambiamenti, per questo motivo le tue idee seguono una corrente rivoluzionaria che non può che portare a importanti modifiche all'interno della nostra società. Morwen pensa solo al passato, ma gli umani presto la costringeranno ad una scelta, che lei lo voglia o no. È cominciata l'era del metallo, del ferro che logora la nostra essenza e io devo essere certa che qualcuno prenda il mio posto se io dovessi morire."
    Non avevano mai parlato tanto apertamente della morte, quasi fosse una di quelle malattie che stremavano i mortali. Arturya non l'aveva detto, ma dentro di sé timore e rabbia agitavano il suo cuore. Titania riprese a parlare e la fata non poté far altro che ascoltarla.
    "La nostra storia si è persa agli albori dei tempi, mai (ma i) più vecchi di noi narrano che noi fate fummo la Seconda Stirpe a venire creata. Prima fu il turno degli angeli, ma l'Autorità era insoddisfatta di quei figli tanto perfetti, fedeli e simili a lui. Ancora non sospettava che il seme della ribellione era nato nel figlio da lui prediletto, Lucifero. La perfezione, dopotutto, non poteva essere creata... Ad ogni modo, l'Autorità diede vita a nuovi figli, ma anche le fate si rivelarono... sbagliate? Probabilmente è così che ci considerò; preda degli istinti, spesso incapaci di provare compassione... Eravamo inadatte per governare sul mondo che lui aveva creato. Poi fu il turno degli uomini, di Adamo ed Eva, i primi. La storia la conosci: i due vennero cacciati dai Giardini dell'Eden e diedero vita alla stirpe mortale sulla Terra. Lucifero si innamorò di una mortale, Lilith e un gruppo di angeli, i Caduti, furono anch'essi scacciati dal loro luogo d'origine."
    "Tuttavia, Arturya..." Titania sospirò, carezzandole i capelli con fare quasi assente. "Prima che questi fatti accaddero, di chi era il mondo se non delle fate? Noi eravamo i figli ripudiati, quelli selvaggi, quelli incontrollabili, immortali e privi della coscienza celeste consegnata nelle mani degli angeli. Avevamo sete di terre e il Reame non bastava a soddisfare questo bisogno. Il Reame è terra impregnata di magia fatata, ma non è che una goccia in mezzo all'oceano. Troppo piccolo e monotono, con stagioni le une uguali alle altre senza il mutamento decretato, per sua stessa ragione, dalla mortalità. Furono i Caduti ad esiliarci, a tenere a freno il nostro potere sugli umani... Morwen non ha mai perdonato loro questa morbosa attenzione per i mortali. Non siamo forse noi fate la stirpe più simile agli angeli? Ed ora..." Titania emise una sorta di lamento e le dita strinsero uno stelo di rosa, macchiandolo di sangue.
    "Mia regina!" esclamò Arturya, agitata.
    "È solo un graffio. Il dolore mi ricorda che sono viva." rivelò la regina, lasciando che Arturya le esaminasse la mano. "I secoli logorano lo spirito, ma stare con te è un balsamo contro gli effetti del tempo. Vedi? Le ferite sono già guarite."
    Cavalieri Seelie si inchinarono al loro passaggio nei giardini e Arturya ricambiò con entusiasmo i loro saluti.
    "Un giorno tutto questo sarà tuo e Morwen non potrà impedirti di diventare regina."
    "Vi ringrazio, ma non è mio desiderio occupare il posto che vi spetta. Il Reame non è la mia casa e desidero che il mio sangue possa portare sollievo alle sofferenze umane. Stando qui..." venne interrotta da un cenno di Titania.
    "Arturya..."
    "No, lasciatemi finire. Sono eccessivamente legata alla sorte degli uomini per diventare regina. Provo pena per loro e, da sempre, desidero aiutarli. Lasciatemi libera... concedetemi di vivere fra loro."

     

     

    Era un cane: piccolo, nero e affamato. Si era perso ai confini del suo bosco e Arturya ne era rimasta affascinata. Era zoppo ad una zampa e lei lo aveva avvicinato con le lusinghe di un pezzo di carne. Il cucciolo lo aveva divorato in un attimo, leccandole le dita con bramosia e paura.
    "Somma Arturya, quel cane..."
    Lei aveva zittito la sua ancella con uno sguardo eloquente e aveva afferrato con delicatezza la zampa ferita.
    "Basterà una sola goccia anche per te." aveva detto affettuosa, grattando il cucciolo dietro le orecchie. Così Arturya si era procurata un taglio ad un dito e aveva lasciato che il cane le leccasse il sangue. Le ferite di entrambi si erano rimarginate un istante dopo e l'animale aveva scodinzolato allegro, consapevole che il dolore alla zampa era sparito.
    Quel momento di felicità era stato interrotto da un suono sinistro proveniente dal confine del bosco. "Cosa sta accadendo, Shyn-Lu? Sento il lamento degli alberi... la loro richiesta d'aiuto."
    L'altra fata si era avvicinata e aveva chinato il capo quasi a volersi scusare. "Sono gli umani, somma Arturya. Abbattono gli alberi per le loro... industrie." C'era disprezzo nelle parole di Shyn-Lu, ma Arturya non l'aveva interrotta. "Stanno ricoprendo il mondo di ferro, perfino il mare è abitato da enormi pesci di metallo. Non hanno rispetto per la natura."

     

     

    Arturya aveva smesso di ricordare quanto tempo era passato da quando faceva uso dei suoi poteri per far ricrescere la notte le piante che gli umani distruggevano di giorno. Sapeva che tra i mortali circolava la voce che quello fosse un luogo maledetto, abitato da una strega senza nome.
    Shyn-Lu era preoccupata per l'eccessivo uso che Arturya faceva dei suoi poteri, ma lei era sempre troppo impegnata per restarle attenzione.
    Fu in una di quelle sere che Lilith tornò.
    "Oh, allora sei tu, Freya, la strega di cui tutti parlano." disse ridacchiando, mentre le ali le si richiudevano attorno al corpo flessuoso.
    "Ti ricordi il mio nome." fu il pacato commento di Arturya, piacevolmente colpita dalla cosa.
    "Non dimentico mai un nome." fece la vampira, scostandosi una ciocca di capelli.
    "Lilith... anche io non dimenticherò il tuo."
    La vampira la ignorò. "Una dedizione ammirevole, ma nemmeno una discendente Pendragon può resistere a lungo in questa folle impresa."
    "Perché sei venuta?" la interruppe Arturya.
    "Per le voci naturalmente. Ero così curiosa... Sono stata ripagata di questa mia insaziabile curiosità trovandoti. Sei una fata interessante, Freya Pendragon."
    "Perché mi chiami Freya? Il mio nome è Arturya." le fece notare.
    Lilith chinò la testa di lato, sorridendole e mostrandole le zanne. "Così." sogghignò.
    Arturya non commentò, si chinò sul terreno e l'arido prato davanti a lei si ricoprì di erba e fiori selvatici.
    "Un tempo anche io mi occupavo del benessere della natura. Ero trattata quasi come una schiava ed il mio compito era preservare il giardino della mia... padrona." sibilò di disgusto, quasi il solo raccontare quella storia la infastidisse.
    "Poi hai incontrato Lucifero." aggiunse Arturya.
    "Sì, poi ho incontrato Lucifero." mormorò Lilith addolcendo il tono di voce.
    Forse fu la sua voce, forse l'espressione del suo viso ma Arturya ne rimase così colpita che le sfiorò il dorso della mano destra e un bagliore dorato si diffuse dalla pelle di Lilith.
    "Cosa mi hai fatto?" chiese scettica la vampira, esaminandosi la mano.
    "Ti ho fatto un dono." rispose semplicemente. "Una scintilla del mio potere lasciata dentro di te. La tua mano sinistra mieterà morte e distruzione, la destra non potrà che donare la vita."
    "Un maledizione..."
    Arturya ridacchiò. "Chi può dirlo. Forse è davvero una maledizione, la mia."
    I muscoli di Lilith si tesero e la testa della vampira scattò a sinistra. La fata la imitò e il suo sguardo incrociò quello di uomini con torce, forconi e fucili marciare verso di loro. Le ali di Lilith tremarono, ma Arturya sospettò non per paura.
    "Vogliono bruciare la foresta! Non possono farlo!" esclamò Arturya.
    "Ironico." commentò Lilith con una smorfia. "Con il tuo tentativo di salvare il bosco lo hai condannato a perire tra le fiamme." scosse la testa. "Gli umani sono convinti che il fuoco sia sempre la soluzione migliore. Guardali! I loro sacerdoti agitano in aria quei vecchi crocefissi come fossero armi in gradi di fermarci. Bruciano il mondo... e credono di salvarlo!"
    Tre preti annasparono verso di loro, con i rosari tra le labbra e una bibbia tra le mani. Alle loro spalle, gli umani li incitavano ad uccidere la strega e la bestia. Le torce vennero gettate sul tappeto di foglie vecchie e muschio e il fuoco divampò improvviso.
    Per quanto Arturya si sforzasse di spegnere le fiamme, tutti i suoi sforzi si dimostrarono inutili mentre i sacerdoti recitavano formule latine.
    "Somma Arturya!" le voci concitate dei suoi seguaci e cavalieri la riscossero dallo stato di sconforto e dolore in cui era caduta.
    "Shyn-Lu... gli alberi soffrono e implorano il mio aiuto." disse Arturya con le lacrime agli occhi. "Non capisco. Non ho mai recato alcun male alla gente del paese."
    Lilith che fino a quel momento era rimasta silenziosa e in disparte si fece avanti, scaraventando a terra i preti e disperdendo con il suo gesto la folla. Poi... cantò: il canto dell'oblio e della rinascita.
    Arturya conosceva il potere di Lilith, si era informata quando aveva scoperto la verità sulla sconosciuta dello stagno e Titania le aveva rivelato il nome della vampira.
    Per qualche motivo non fece nulla per fermarla, che la causa fosse il suo momentaneo stato di shock o altro lei non si mosse.
    I corpi caddero a terra l'uno dietro l'altro. Arturya si chiese se fossero morti o semplicemente addormentati.
    Lilith si volse a guardarla e c'era compassione nel suo sguardo millenario, tristezza.
    "Non potete restare qui." annunciò la vampira, rivolgendosi a tutti i fatati presenti.
    "Qui-qui..." gracchiarono alcuni pixie.
    Le guardie di Arturya si fecero avanti con le loro armi, ma Lilith non ne fu impressionata. C'era forse qualcosa che riusciva a preoccuparla?
    "Questa è la nostra casa. Da più di cent'anni..." proruppe Shyn-Lu. "Abbandonare la foresta dopo così tanto tempo..."
    "Titania vi accoglierà nel Reame." replicò sbrigativa Lilith. "I tempi sono cambiati. Mescolarsi agli umani non sarà più facile come nelle ere passate."
    Il calore generato dalle fiamme stava diventando insopportabile e Arturya sentiva il sudore scenderle lungo il collo. Nei suoi occhi d'ametista vedeva il riflesso delle fiamme e il suo cuore le disse che quello era solo un assaggio del fuoco che il mondo avrebbe conosciuto in futuro.

     

     

    Aveva imparato a convivere con i sentimenti umani, con le loro paure e debolezze. Si aggirava tra loro indossando maschere mortali, visi così anonimi che ovunque andasse nessuno faceva mai molto caso a lei.
    Durante le due grandi guerre che avevano scosso l'equilibrio del pianeta, Freya aveva camminato sulle terre d'Europa aiutando i soldati feriti che incontrava, indiscriminatamente dalla divisa. Per lei non avevano significato bandiere o ideali: il suo unico desiderio era porre sollievo alle sofferenze che i mortali si procuravano a vicenda.
    Aveva incontrato Lilith altre tre volte e ogni volta avevano passato ore a parlare delle Due Corti, dei Caduti che sfidavano la parola di Lucifero, degli umani e... Semiael.
    "Un giorno ti mostrerò mio figlio. Semiael ha i miei occhi, ma assomiglia più a Lucifero."
    C'era amore e orgoglio nelle parole di Lilith e Freya cercò di immaginare come poteva essere provare quel tipo di sentimenti per un figlio.
    "Nelle loro filastrocche i pixie lo chiamano Sebastian." intervenne Arturya.
    Il volto di Lilith si rabbuiò e una nuvola oscurò la luna.
    "Sebastian, sì. Le voci viaggiano anche nel Reame, sembra." commentò mesta.
    "Soprattutto nel Reame." rincarò la dose la fata.
    La vampira fece un gesto vago della mano, quasi a voler scacciare un insetto molesto. "Il mio adorabile Semiael... Si è convinto che lasciandosi il suo nome celeste alle spalle possa... Francamente Arturya, non ho ben idea di ciò che lui creda di ottenere. Se i miei capelli non fossero già di questo colore bianco-argenteo credo lo diventerebbero presto viste le preoccupazione che mio figlio mi crea." si passò una mano tra i ciuffi ribelli e Arturya si concesse un breve sorriso. "Guarda..." sussurrò Lilith, sfiorando le corolle di alcuni fiori di campo e facendole schiudere sotto la sua mano.
    "Hai imparato a controllare il mio dono." osservò Arturya, piacevolmente sorpresa.
    "Quanto pensi di rimanere in questo paesino sperduto? Titania è a conoscenza..."
    La fata la interruppe con un sospiro. "La mia regina è presa da altre questioni. Morwen ha avuto una figlia, un'erede che intende far salire al trono."
    "Cristavia, sì, malaticcia a quanto sembra. Anormale... per una fata." puntualizzò Lilith.
    "Potrei guarirla. Credo che il mio sangue..."
    "Freya, il tuo sangue è inutile sulla stirpe fatata. E comunque, perché preoccuparsene? La bambina è in tutto e per tutto figlia della Corte Unseelie. Aiutarla non farà cessare la guerra tra il tuo popolo, piuttosto la acuirebbe."

     

    "Respira."
    "..."
    "Respira!"
    "..."
    "Devi respirare, ho detto!"

     

    Alla fine il fuoco aveva, davvero, divorato il mondo. Era cominciato a New York, lingue nere che avevano consumato un grattacielo dopo l'altro e Arturya non aveva potuto far altro che osservare quella metropoli venire distrutta e tramutata in cenere.
    C'erano voluti sette giorni, ma alla fine New York era caduta sotto le grida strazianti di umani e vampiri, mentre l'esercitato fatato di Morwen composto da foliot e ifrit invadeva la città mietendo vittime a non finire.
    Arturya era giunta in ritardo, i piedi immersi nella cenere e la locandina di un film che svolazzava ai suoi piedi.
    Trovò particolarmente ironico che quel poster rappresentasse l'opera cinematografica che aveva come protagonista il figlio di Lilith. Di tutto ciò che poteva salvarsi, proprio quell'immagine...
    Aveva saputo da Lilith, un paio d'anni prima, che Sebastian aveva intrapreso una carriera hollywoodiana ed era diventato una star del cinema mondiale. La vampira le aveva regalato tutti i dvd dei suoi film, costringendola a vederli uno per uno.
    Superò la locandina, evitando di osservare troppo a lungo alcuni resti carbonizzati appartenenti a persone che non erano riuscite a salvarsi. Se la erano immaginata così l'Apocalisse, gli umani?
    Titania l'aveva messa al corrente di ciò l'aspettava andando lì, ma Arturya ne rimase comunque sconvolta. Degli edifici più famosi rimanevano solo scheletri di ferro e qualche blocco di cemento.
    Solo una cosa si era salvata, Central Park, che era diventato una sorta di quartier generale della Corte Unseelie.
    I suoi occhi si muovevano rapidi da un angolo all'altro del parco e nemmeno lei seppe dire cosa stava cercando finché finalmente non lo vide: lui, il distruttore della città.
    Semiael era in ginocchio davanti a Morwen, il capo abbassato in segno di sottomissione, le mani chiuse a pugni e la bocca serrata. Era ricoperto di sangue. Il rosso era ovunque, perfino i capelli gocciolavano scarlatti, e Arturya vacillò vedendolo, rischiando di farsi scoprire dalle creature della regina. Cristavia volteggiava nell'aria alle spalle della madre e aveva tutta l'aria di chi fosse compiaciuta di quanto stava vedendo.
    "Il mio paladino." esordì Morwen, mostrando la sua dentatura aguzza.
    Semiael grugnì qualcosa che Arturya non capì, ma all'improvviso Cristavia smise di ridere e per un attimo scese un silenzio glaciale.
    Morwen fece un ghigno divertito e tra o spazio vuoto tra loro si materializzò un oggetto. Era un orologio dorato, uno di quei monili che Arturya aveva visto in voga tra la nobiltà quasi due secoli prima, e Sebastian fece una scatto in avanti nel vano tentativo di riprenderlo.
    "Attento Sebastian, non vorrai che si rompa." Morwen strinse leggermente la presa sull'oggetto e il metallo si incrinò leggermente. "Il mio caro, carissimo, schiavo." aggiunse lei sovrappensiero. "Hai eseguito i miei ordini alla perfezione." si compiacque la regina.
    Cristavia ridacchiò mentre gettava addosso al vampiro piccole ciliegie mature che lui nemmeno tentava di evitare.
    Arturya aveva sollevato pensierosa le sopracciglia, incredula davanti a quella scena assurda. Perché l'erede di Lucifero si stava facendo trattare a quel modo?
    "Ti ucciderò Morwen, dovessi impiegarci l'eternità." ringhiò Semiael con il volto sfigurato dall'ira.
    Cristavia atterrò al fianco del vampiro, dandogli un calcio alla schiena e Morwen proruppe in una risata sguaiata. Un moto di rabbia scosse Arturya che si domandò come cinquant'anni prima avesse voluto tentare di aiutare Cristavia.
    I giudizi di Lilith e Titania sulla Corte Unseelie le tornarono prepotentemente alla mente.
    "Prima dovresti essere sicuro che io non riduca quest'oggetto, questo contenitore d'anime, in polvere e naturalmente... Io non ho intenzione di separarmi molto presto da questo orologio. Sappiamo entrambi come finirà Sebastian, quindi non rendiamo le cose più complicate."
    Un ricatto? Arturya non riusciva a capire come Morwen fosse riuscita a distruggere a quel modo l'orgoglio del figlio di Lilith. Lilith era informata della cosa? Sapeva che Semiael era tenuto sotto scacco da Morwen?
    "Cosa vuoi che faccia?" domandò il vampiro.
    Morwen invitò la figlia a raggiungerla. "Cristavia?" interrogò.
    "Los Angeles!" cinguettò, girando più volte su se stessa. "Distruggila! Distruggila! Distruggila!"
    E poi in un battito di ciglia Morwen e Cristavia erano scomparse e Semiael era rimasto da solo, furente di rabbia e... dolore.
    Lui gridò, il volto deformato dall'odio e dalla furia. Sembrava quasi il lamento di un drago, il ruggito di una bestia ferita a morte.
    Alla fine spalancò le ali, nere come la notte, e scomparve dalla vista di Arturya.

     

     



    Capitolo betato da: Jales


    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter
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    Note: Di ritorno dal mare, sono pronta per aggiornare! ;P
    Bene, ora scoprirete un po' per volta, a grandi linee, il passato di Freya. L'intreccio di storie tra lei è Sebastian è strettamente collegato a quanto accade nel prequel: Soul Hunter-La giostra del tempo.
    Ci sarà un altro capitolo di ricordi, poi si torna al presente! <3
    Che mi dite? *^* Piaciuto il capitolo?
    By Cleo^.^


     





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    Capitolo 22
    *** The Dawn of Freya ***






    21

    The Dawn of Freya

     

     

     

    L'avevano trovata o forse si era fatta trovare. Arturya non era certa di come fossero andate le cose, in ogni caso si era fatta accompagnare docilmente al Reame, al cospetto di Titania.
    Il mondo umano era nel caos; i mortali cadevano sotto i colpi degli Unseelie e i vampiri erano divisi sulle decisioni che occorreva prendere per porre fine a quella distruzione. Le più grandi città del mondo erano cadute e gli eserciti umani erano troppo deboli per contrastare quelli creati da Morwen.
    Titania era esausta, sfinita, così consumata che Arturya non riuscì a riconoscere in lei la grande regina che amava e rispettava.
    "Mia regina." la chiamò inginocchiandosi davanti al trono.
    "Arturya. La mia adorata Arturya. È molto tempo che non parliamo." I capelli ramati di Titania avevano preoccupanti sfumature grigie, come se l'uso del suo potere la stesse sfinendo prima del tempo.
    Arturya deglutì a forza, le lacrime che premevano per essere liberate, ma si impose di mostrarsi forte. Non era un tempo per deboli e indifesi quello che stavano affrontando.
    "Vieni più vicina. Mostrati." la pregò la regina.
    Lei obbedì, stringendo con delicatezza le pallide mani che Titania le stava offrendo.
    "Sono qui." mormorò con tristezza.
    "La Corte Unseelie..." biascicò la regina, prima di essere colta da un attacco di tosse.
    Un ancella accorse in suo aiuto e Freya rimase paralizzata dal terrore quando vide del sangue colare dal mento di Titania.
    "Il mio potere non può nulla per aiutarvi." disse mesta, facendo sobbalzare alcuni cavalieri della regina.
    "Lo so Arturya, non è per la mia vita che ti ho fatta chiamare qui." Titania fece un respiro profondo, ma prima che potesse continuare a spiegarle la sua testa cadde ciondoloni sulla spalla e perse i sensi.

     

    "Da quanto è in quelle condizioni, Shyn-Lu?" chiese Arturya.
    "Non voleva che voi lo sapeste. Vi sareste preoccupata, Somma Arturya."
    Lei non rispose, perché la rabbia le avrebbe fatto dire cose che in altre circostanze non avrebbe mai detto. Si sentiva così impotente, così inutile, e per quanto le fate della regina tentassero di nasconderle le reali condizioni di Titania, Arturya sapeva perfettamente che la sua lunga vita stava giungendo a termine.
    Si sentiva tradita dall'unica persona che l'aveva trattata come una figlia. Non riusciva ad accettare che Titania potesse morire, mentre Morwen e Cristavia si lasciavano alle loro spalle un mondo di cenere.
    "Chi ha designato come suo erede?"
    Shyn-Lu non rispose e Arturya ruotò lentamente il busto nella sua direzione. "Chi governerà la Corte Seelie?"
    Non ebbe bisogno di conoscere la risposta per capire che Titania non aveva designati altri erede se non Arturya stessa. "No! Lei deve scegliere qualcun altro! Non può dare a me questo fardello..."
    "Somma Artur-“
    "Smettila, Shyn-Lu! Non chiamarmi così! Dov'è Titania? Devo parlarle, devo..."
    Non si era accorta di essersi accasciata al suolo, finché l'altra fata l'aiutò ad alzarsi.
    "No... È tutto sbagliato."

     

    "La regina Titania vi invita a prendere parte al conflitto, Somma Arturya."
    "
    ..."
    "La Corte Unseelie sta distruggendo gli umani. Il vampiro, lo schiavo della regina, è inarrestabile. Ci serve il suo aiuto."

     

    Aveva atteso tre giorni, poi era partita senza dire nulla a nessuno. Aveva attraversato il Confine e si era messa sulle tracce di Lilith. Doveva parlarle: di Titania, delle Due Corti, di Semiael.
    La regina si aspettava che lei trovasse un modo per uccidere Sebastian, ma Arturya non aveva la minima intenzione di farlo. Se qualcuno doveva morire quella era Morwen, non certo un vampiro costretto da qualche ricatto ad obbedirle.
    E se anche fosse stata la morte il destino di Semiael non spettava a lei il compito di combattere il figlio di Lilith.
    Ma c'era anche un'altra ragione, una ragione che non avrebbe mai ammesso ad alta voce. Uccidere Semiael sarebbe equivalso a tradire Lilith e per quanto assurda fosse quella motivazione, Arturya non aveva intenzione di farlo.
    Aveva percorso le coste dell'America, macchiandosi le mani di sangue fatato, sfidando la morte in faccia, evitando le pattuglie umane che avevano imparato ad usare armi di solo ferro per combattere gli Unseelie.
    Per i mortali non c'era distinzione tra Seelie e Unseelie e Arturya non si premurò di spiegarlo agli esseri umani che incrociava sulla sua strada. Tuttavia, dava sempre loro aiuto quando le era possibile. Lasciava loro del cibo, oppure nella notte faceva in modo che i feriti più gravi assumessero poche gocce del suo sangue.
    Era facile, in verità, entrare negli accampamenti e far cadere nelle botti di vino qualche goccia di sangue. Nei suoi viaggi solo una volta era stata scoperta.
    Infine, quando aveva perso le speranze di ritrovare la vampira le erano giunte voci, da un pixie che aveva catturato, che Lilith stava creando un esercito di vampiri per sfidare Morwen in battaglia.
    Si era diretta a Nord e nella terra ghiacciata dell'Alaska aveva finalmente trovato ciò che cercava.
    Lì gli umani non avevano subito grossi danni da parte della Corte Unseelie e la modernità era ancora un lusso che i mortali potevano permettersi.

     

    Era arrivata in una mattina autunnale, con un pallido sole nascosto sotto una coltre di nubi. La locanda le era sembrata un buon punto per cominciare a chiedere informazioni.
    Il proprietario aveva ringhiato qualcosa nella sua direzione, prima di tornare a passare lo strofinaccio sul tavolo.
    "Cosa ci fa, una fata, qui?" era intervenuto un cacciatore, infagottato in una pelliccia di orso, puntandole il fucile al petto. Aveva parlato con lentezza, come se temesse che lei non riuscisse a comprendere la sua lingua.
    "Non farò del male a nessuno." aveva replicato Arturya.
    Qualcuno seduto all'angolo si alzò in piedi, trascinandosi dietro la sedia che emise uno scricchiolio fastidioso sul pavimento di legno.
    Il cacciatore sputò ai suoi piedi e caricò alcuni colpi nel fucile. "Lo diceva anche quella vampira alla televisione e guarda che fine ha fatto New York."
    "Sto cercando qualcuno." dichiarò, sforzandosi di mantenere un tono tranquillo.
    "Tzé, per ucciderlo immagino. Qualcuno che ha ammazzato un tuo parente?" si informò ringhiando.
    "Non sono quel tipo di fata."
    "E io non sono quel tipo di uomo." fece ironico, portando una mano al grilletto dell'arma. "Questo fucile è caricato con proiettili in ferro, fatina." Il proprietario della locanda sogghignò e il cacciatore proseguì. "Nella tasca dei pantaloni invece tengo quelli d'argento per i succhiasangue."
    "Straordinario." tagliò corto Arturya. "Ora però mi ascolti..."
    "Come osi!" latrò il mortale, affondandole la canna del fucile nella carne. "Ancora non so chi sia peggio tra voi fate e i vampiri. Stai pur certa che ti manderò all'altro mondo e qualunque tipo di inferno-"
    "Jens."
    Un'ombra si mosse alle spalle del cacciatore e il vampiro le sorrise suadente, ignaro che il suo aspetto non suscitava in lei alcun turbamento.
    "Portami dalla tua regina." disse lapidaria.
    "Con piacere." fece l'altro, sorridendo lascivo.
    "Lilith mi sta attendendo, vampiro. Non è un bene fare attendere la sposa di Lucifero quando devo riferirle notizie di suo figlio."
    Il ghigno scomparve immediatamente dal volto dell'immortale e Arturya se ne compiacque.

     

    "Ti ho cercato a lungo, Lilith." esordì Arturya, guardandosi attentamente attorno.
    Si trovavano in una palestra e a gruppi di cinque, umani e vampiri si allenavano nel combattimento corpo a corpo. Altri erano concentrati nel tiro a segno con proiettili, frecce e pugnali.
    L'aria era stagnante, pregna di sudore e Arturya si domandò come Lilith riuscisse a sopportare quel tanfo con l'olfatto più sviluppato del suo.
    "Morwen non è la sola a potersi permettere un esercito." commentò la vampira.
    "Questi umani..."
    "È bastato che garantissi la mia protezione al loro paese e ora tutti i cittadini dell'Alaska sono arruolati nella causa contro Morwen." disse Lilith, senza sforzarsi di nascondere la sua soddisfazione. "Quella fata imparerà cosa significa prendersi gioco di me!" Aveva alzato notevolmente il tono di voce e alcuni umani avevano sobbalzato.
    "Titania desidera che io prenda il suo posto..."
    Lilith si osservò la limatura delle unghie. "Non vedo dove stia la novità."
    Arturya sospirò. "Lilith..." Erano rare le volte che la chiamava per nome e la vampira la guardò sospettosa.
    "C'è sangue sulla tua veste. Hai ucciso dei pixie mentre mi cercavi?" La fata annuì appena. "Hai ferito il tuo nobile animo... Ma quando si uccide si ha anche la possibilità di difendere ciò che più ci sta a cuore, lo sapevi Freya?"
    Proteggere qualcosa... Ma lei cosa aveva protetto se non la sua stessa vita? Non c'era nulla di davvero prezioso nella sua esistenza, ciò faceva di lei una creatura egoista? Era esclusivamente egoistico il suo desiderio di non governare la Corte Seelie?
    "Non sono qui per parlare di me o ascoltare qualche discorso filosofico." la informò Arturya. "Morwen si è spinta troppo oltre, deve essere fermata. Sono stata incaricata di... uccidere tuo figlio."
    Sembrò che la temperatura fosse scesa all'improvviso, avvolgendole in un freddo polare. "Nessuno..." sibilò Lilith, ergendosi in piedi "...Può toccare mio figlio! Nessuno!" Il volto della vampira era livido di rabbia e sotto la pelle si intravedevano le vene scarlatte. "Riferisci a Titania che può tranquillamente continuare a marcire sul suo trono, mentre io mi occuperò di salvare questo mondo e mio figlio."
    "Non puoi farcela da sola."
    "Radunerò i Caduti." obiettò Lilith.
    "I Caduti rispondono a Lucifero e ovunque lui sia al momento non può aiutarti." le fece notare Arturya.
    "Cosa stai cercando di dirmi, Freya? Mi stai proponendo un'alleanza con la Corte Seelie?"
    "Il nemico del tuo nemico è tuo amico." recitò la fata con finta arroganza.
    "Non prenderti gioco di me!" la accusò Lilith. "Ho ucciso i membri della tua stirpe. Cosa non ti fa dubitare del fatto che potrei sbarazzarmi anche di te?"
    L'espressione di Arturya si addolcì. "Non lo faresti mai, lo sappiamo entrambe."
    "Non hai idea di ciò che potrebbe fare una madre ferita. Morwen ha in mano mio figlio." ricapitolò la vampira. "Titania sta morendo..."
    Arturya si portò una mano sul petto, cercando di allontanare dalla mente le immagini della regina che si prendevano cura di una lei bambina.
    "Gli umani sopravvissuti combattono tra loro per un pezzo di pane, i foliot stanano i vampiri alla luce del sole..."
    Arturya espirò bruscamente. "Non puoi farcela da sola."
    "...Neanche tu."

     

    Il cadavere era lì, consumato dai segni del tempo. Titania giaceva su una pira funebre, avvolta da centinaia di fiori. Il profumo che emanavano era quasi nauseante, ma Arturya non pensava ad altro che alla regina, a ciò che la fata avrebbe voluto da lei. Era tornata nel Reame in fretta e furia non appena aveva saputo la notizia, lasciando che Lilith si occupasse del suo esercito di redivivi.
    Shyn-Lu era al suo fianco, ma come qualsiasi altro fatato non aveva versato una lacrima.
    Perfino Morwen aveva inviato dei fiori, rari quanto velenosi, e non appena gli aveva visti, Arturya li aveva bruciati esattamente come la regina Unseelie aveva fatto con New York.
    Era stato Brandon, l'amante di Titania, a lasciare che la torcia cadesse sul corpo senza vita della fata. I canti funebri si erano susseguiti per due giorni, mentre nella valle dei fiumi i pixie avevano intonato i loro tristi quanto macabri lamenti.

    Giace su rami di rovi,
    la bella che Titania fu.
    Brucia il fuoco i suoi capelli di rame,
    mangia le ossa che il Reame creò
    e divora la pelle che la luna sfiorò.
    Giace su rami di rovi,
    la bella che regina fu.

     

     Il Consiglio aveva preso in mano la situazione, ma i cavalieri Seelie erano stati restii nel seguire i loro ordini. La loro fedeltà rispondeva alla regina e il loro giuramento li vincolava alla sovrana non a consiglieri che si spartivano il dominio sul Reame.
    "I miei cavalieri vi seguiranno, somma Arturya. Era questo il desiderio di Titania."
    Brandon si era inchinato davanti a lei, alle sue spalle una trentina di fate fedeli e ben addestrate.
    "Faremo giuramento." aveva aggiunto Brandon.
    Arturya lo osservò con tristezza. Ricordava Brandon come la sua prima cotta giovanile, quando lo seguiva con gli occhi ogni volta che Titania giungeva da lei con le sue guardie. Al tempo la regina si era accorta di quei sentimenti e l'aveva presa da parte con un sorriso complice.
    "È un fedele e ottimo amante, Arturya. Un giorno potrebbe essere tuo." le aveva detto.
    "Non sono io la regina. Il vostro giuramento, capitano, non posso accettarlo. Il Consiglio deve riunirsi per decretare la nuova sovrana."
    "Noi non rispondiamo al Consiglio, ma alla regina. Voi siete l'erede, voi siete la Corte!"
    I cavalieri avevano acclamato il suo nome, ma Arturya aveva scosso la testa, guardando il panorama al di là delle arcate di pietra.

     

     Gli eserciti erano stati spiegati. Due schieramenti che percorrevano il Reame fin dove occhio poteva vedere. Gli stendardi delle Corti danzavano nel vento e ad Arturya l'erba non era mai sembrata tanto verde.
    Le lance erano puntate in avanti e gli archi tesi. Tutte le creature del reame erano accorse per assistere al destino del loro mondo. C'erano, pixie, foliot e ifrit, ma c'erano anche kelpie e driadi.
    Morwen era in piedi, le ali spiegate e un ghigno crudele, che ammirava compiaciuta la potenza del suo esercito. Era grande, molto più grande di quello della Corte Seelie e Arturya tremò.
    Al fianco destro della regina, Cristavia giocava con una bambola, a quello sinistro, il figlio di Lilith scrutava la folla come un cane preso in trappola.
    Il corno di battaglia venne suonato e l'eco si propagò in ogni angolo del Reame.
    Lo scontro ebbe inizio...

     

     La valle del Reame si apriva davanti ai suoi occhi, in un baluginio di colori che il mondo umano non avrebbe mai posseduto. Il rumore delle cascate sembrava sovrastare quello dei due eserciti, che si fronteggiavano da una distanza considerevole. Le creature di quello che aveva di fronte erano basse, tozze e con sfumature azzurre, ma alle loro spalle ve n'erano altre dalla corporatura più simile a quella umana. Quest'ultime avevano denti aguzzi e artigli affilati e reggevano tra le mani armi di ferro, ma con impugnature di legno per fuggire a quell'elemento mortale al popolo fatato.
    Arturya si ritrovò a voltare la testa alla sua destra, osservando la figura della vampira dalla lunga chioma argentea che stava organizzando la loro difesa.
    Lilith ricambiò lo sguardo e...
    Sorrise.

     

     Aveva sempre saputo che in un modo o nell'altro quel giorno sarebbe arrivato, ma Arturya non poteva fare a meno di osservare la scena davanti a lei come un'osservatrice passiva. Scattava in avanti, ruotava il busto, protendeva le mani...
    Lei che era nata per donare la vita la stava togliendo.
    Il pensiero che uccidere fosse tanto semplice la disturbò e le fece odiare Morwen più di quanto riuscisse ad ammettere.
    Con un balzo superò la carcassa di un kelpie e sussurrò alle radici degli alberi affinché imprigionassero alcuni foliot.
    Aveva perso di vista Lilith e Cristavia, ma non Morwen. La regina Unseelie era davanti a lei, splendida nell'abito tempestato di gemme. I capelli corvini dai riflessi violacei le cadevano morbidi sulle spalle e una corona di foglie d'oro le impreziosiva il capo.
    Una freccia la mancò di pochi millimetri e Arturya approfittò di quel diversivo per gettarlesi addosso.
    Erano rotolate per alcuni metri, attorcigliate come serpenti, e in quella lotta selvaggia e primordiale Morwen si era lasciata sfuggire dalle mani un orologio dorato.
    "Il mondo reclama la tua morte." le parole erano uscite dalla bocca di Freya come la condanna che in realtà erano. Si erano alzate fronteggiandosi con occhi fiammeggianti di ira.
    "Ho sentito parlare... di te, erede di spirito. Con Titania non condividevi una sola goccia di sangue... Oh, piangi?" l'aveva derisa Morwen senza alcuna pietà.
    Arturya aveva alzato le mani accorgendosi che sì, effettivamente, stava piangendo e che le lacrime erano roventi come lapilli di lava. 
    "Dieci anni e tu ancora la rimpiangi? Sei debole, naya na Pendragon.[1] Una fata corrotta da quelle esistenze umane di cui il mondo non ha alcun bisogno. Di cui non ha mai avuto bisogno."
    "È nella mia... debolezza..." Arturya aveva esitato, soffocando a stento un singhiozzo "Tu giochi con le parole, Signora Unseelie, ma le parole generano spesso effetti imprevisti."
    "Basta!" aveva esclamato Morwen, obbligandola a terra con il suo potere.

     

     E poi...
    La terra aveva tremato e il cielo del Reame si era tinto di rosso, prima che il suono di un nuovo corno si abbattesse con furia sui due eserciti.
    Le ali dorate degli angeli avevano invaso la visuale di Arturya che si era portata sgomenta una mano sul petto.
    La situazione era precipitata in fretta, sempre più in fretta.
    C'era stato un boato; un fragore simile a quello che avrebbero potuto generare mille fulmini se fossero precipitati contemporaneamente sulle terra.
    E, infine, il Reame era collassato su se stesso. La valle dei cento fiumi era stata inghiottita dall'oscurità, le montagne si erano sbriciolate come torri di sabbia, le corti erano sprofondate negli abissi e tutto era... scomparso.
    Arturya aveva sentito un vuoto all'altezza dello stomaco, poi gli occhi avevano messo a fuoco un nuovo panorama.
    La terra era fangosa sotto le sue suole e uragani e tempeste scuotevano con furia il mondo mortale.
    "Cosa avete fatto? Cosa avete fatto..." continuava a strillare Morwen, richiamando con frenesia l'attenzione di alcuni unseelie. "Dov'è Cristavia?" domandò a un certo punto, fiutando l'aria come un segugio sulle tracce della preda.
    Una sferzata di acqua gelida colpì il viso di Arturya che girandosi di lato non poté che provare sollievo notando la figura slanciata di Lilith.
    "Lilith, cosa hai fatto?" gracchiò Morwen, prendendo a pugni l'aria.
    "Cosa ho fatto, io?" replicò la vampira. "A causa dei tuoi folli propositi di sterminio l'esercito celeste è sceso in guerra!" sibilò irata.
    Arturya deglutì. "Il Reame è..."
    "Distrutto a causa vostra!" dichiarò Morwen. "Perduto, perduto..." cantilenò con uno sguardo folle.
    "Hai usato mio figlio!" esclamò Lilith, mostrando le zanne. "Ti distrugg-" E prima che potesse concludere le sue minacce, un angelo calò su di lei, trascinandola nel cielo plumbeo e carico di fulmini.

     

     
    Alla fine si era ritrovata nuovamente a combattere contro Morwen e... l'aveva sconfitta. La regina Unseelie era ai suoi piedi, troppo stremata per combattere o chiedere aiuto.
    "Tu non sarai mai una regina." aveva sillabato con lentezza la fata. "Manderai in rovina la nostra razza e di noi non resteranno altro che leggende."
    "Morwen... Tu e solo tu sei stata la nostra rovina. Cosa vedi attorno a te se non distruzione? Sono lieta che Titania ci abbia lasciati prima che potesse assistere a tutto ciò."
    Sopra di loro ad uno dei due angeli che stava combattendo contro Lilith era sfuggita la spada celeste, che era precipitata al suolo,
    affondando nel terreno al fianco di Arturya.

    Lei si avvicinò all'arma, ripensando a tutto il male che Morwen aveva causato. Quanti esseri umani o fate sarebbero sopravvissuti a quel cataclisma? In un breve lasso di tempo la regina della Corte Unseelie era stata capace di cancellare millenni di evoluzione.
    Strinse le dita attorno all'elsa della spada, ignorando il dolore che quel gesto le provocava.
    Morwen serrò gli occhi e le ali da farfalla ebbero uno spasmo.
    "La Corte Seelie ha approvato la tua condanna a morte. I crimini di cui sei accusata... innumerevoli. La sentenza è irrevocabile e..." esitò un istante, sollevando di poco la lama da terra. "In assenza di altri pretendenti, sarà mio compito eseguire il volere del Consiglio."
    Arturya alzò la spada, appoggiandola sul collo di Morwen che sibilò di dolore.
    La regina espirò bruscamente e un fulmine squarciò il cielo. "Io ti maledico, naya na Pendragon. Ovunque andrai il mio spirito verrà con te e i miei sussurri ti perseguiteranno. Tu cadrai con me, falsa erede. Perderai il senno, mentre le voci malevole dei miei sudditi ti istigheranno a dare la morte anziché la vita."
    Arturya avvertì un brivido di terrore, mentre la lama celeste affondava nella carne e la testa di Morwen ruzzolava come una palla di
    biliardo giù per la collina, fino a sparire nelle acque scure del mare.

     

    Attorno a lei sembrava svolgersi l'Apocalisse, che tanto era sussurrata dagli umani, ma Arturya sapeva che quella era solo la fine del mondo per come l'avevano conosciuto fino a quel momento. Davanti a lei la terra si plasmava come creta nelle mani di un artigiano. I continenti mutavano forma, montagne cadevano e sorgevano dal nulla, lava strisciava sulle pianure e ovunque gli umani non erano che formiche al cospetto di giganti. La loro tecnologia era impotente davanti alla furia di angeli, fate e vampiri.
    Arturya non si domandò quanto tempo era passato: giorni, mesi, anni? La risposta non aveva importanza, perché ogni cosa aveva
    mutato valore ai suoi occhi.

    Le conseguenze di quel conflitto si erano ben presto rivelate ai suoi occhi. Alcuni esseri umani e animali si erano evoluti in... altro. L'eccessiva esposizione al potere scatenato dalle tre stirpi li aveva mutati, rendendo gli animali più simili agli umani e conferendo agli uomini abilità bestiali.
    "Stanno cambiando, Somma Arturya. Non potete fare nulla per impedirlo."
    "Il mio sangue..."
    "Avete tentato, ma le mutazioni sono irreversibili. Gli effetti benefici del vostro sangue sono momentanei."
    "Non sopporto di assistere a questo sfacelo."
    "Consideratela come una... evoluzione."
    "È innaturale. Queste alterazioni sono innaturali. Gli umani non sopravvivranno se continueranno a rimanere esposti ad una tale radiazione di... Potere."
    "Si adatteranno. L'hanno sempre fatto."
    "Ma non le fate, vuoi dirmi. Le fate non si adatteranno, non come gli umani."
    "Ci estingueremo, Somma Arturya, sì. Lentamente, certo, ma scompariremo. La debolezza tra le due Corti è solo il principio. Spetta a voi trovare una soluzione. Siete rimasta solo voi. Titania, lei avrebbe voluto così."


    E mentre il mondo cambiava aspetto, le Ombre avevano cominciato a parlare, a sussurrarle spietate la sua incapacità di guidare le fate Seelie sopravvissute alla Prima Guerra Celeste.
    "Hai lasciato che Shyn-Lu morisse. L'hai abbandonata alla furia degli umani."
    "Assassina."
    "Dov'è finito, Brandon lo Splendente?"
    "Inutile... Non hai fatto nulla."
    "Cos'è questo sentimento, naya na Pendragon? Disperazione?"

     

     
    "Ombre?"
    "Sì, Ombre che si muovono, che mi parlano persino."
    "Stai impazzendo, Freya?" la voce di Lilith aveva una sfumatura preoccupata.
    "..."
    "Un mondo fatto di Ombre... Non comprendo, Freya."
    "Limbo." aveva risposto Arturya, con lo sguardo assente. "Quel mondo di nebbia e Ombre... L'ho chiamato così: Limbo."
    "Limbo." l'eco di quella parola si era propagato per tutta la sala. "Stai dando un nome alle tue paranoie." l'accusò la vampira con un ringhio di rabbia. "Questo non porterà nulla di positivo."

     

     
    Quando era stato che aveva cominciato a nutrirsi di sangue umano come... Morwen?
    La sua mente stava perdendo lucidità ed era terrorizzata all'idea di smarrire per sempre se stessa. Stava diventando una belva e non poteva fare nulla per fermare quel processo autodistruttivo.
    "Le maledizioni sono stratagemmi insidiosi, difficile dire come spezzarle."
    "Sono perduta, quindi." aveva replicato Arturya, inghiottendo bile.

     

    Alla fine... non le era rimasta che una sola scelta e si era recata da Lilith.
    "Devi aiutarmi." aveva esordito Arturya, portandosi le mani alla testa.
    La vampira era rimasta in silenzio e la fata aveva osservato l'imponente figura di Lucifero, seduto alle sue spalle.
    "Morwen sta prendendo il sopravvento sulla mia mente. Preferisco morire che lasciarmi manovrare a suo piacimento. Lilith..."
    "Non ho intenzione di ucciderti." era stata la risposta.
    "Preferisci condannarmi ad un destino ben più crudele?" domandò Arturya, incredula e ferita per quel comportamento.
    "Non ho detto questo. Ho detto che non ti ucciderò."
    Lucifero era scomparso e Lilith le si era avvicinata, tendendole una mano. "Canterò per te, Freya. Quando ti risveglierai non ricorderai più nulla. Nemmeno Morwen ricorderà."
    Lei si era aggrappata a quella promessa come un animale avrebbe fatto con la propria preda e si era affidata totalmente a Lilith.

     

     

    Qualcosa era andato storto però. Morwen aveva preso il sopravvento su Arturya e aveva ingaggiato una lotta con Lilith.
    Poi...I poteri combinati di entrambe avevano dato il via ad una serie di eventi imprevisti e Arturya si era ritrovata imprigionata in una lastra di ambra.
    Aveva perso la memoria e si era addormentata per molto, molto, tempo.

     

    ***

    Si era risvegliata, sola, in quel laboratorio freddo e umido. Era stata sottoposta dagli umani ad esperimenti spossanti e inutili che
    l'avevano solo confusa ulteriormente, annebbiata com'era da farmaci e droghe.

    "Freiia. Freja. Frejia."
    "No, ti dico che il nome giusto è Freya."
    Aveva ritrovato il suo nome.
    No, non era esatto, aveva ricevuto un nuovo nome, il nome che Lilith amava, e aveva cominciato una nuova vita. Una vita da umana...
    E nuovamente, aveva dimenticato qualcosa di importante. I ricordi di quanto gli avevano fatto gli alchimisti... Cosa era accaduto in quei sotterranei?
    Aveva ricominciato a vivere, come figlia e come Guaritrice, ma la città di Shang era stata anche il suo preludio alla fine.
    Aveva distorto i suoi ricordi di Lilith; rimanendo con memorie false e incomplete. No, Morwen, l'altra Freya, li aveva distorti e l'aveva convinta che le colpe ricadessero sulla vampira.
    Poi era comparso Michele, uno di quegli angeli che avevano contribuito alla disfatta del Reame e che Morwen odiava.
    Freya si rese conto che la storia si stava ripetendo.
    Tutto ciò che aveva provato era... falso, di nuovo.

     

     




    Capitolo betato da: Jales


    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter
    -La raccolta realizzata da Jales su vari personaggi di CS: De Vita
    -Il mio account Ask se volete pormi qualche domanda: Qui
    -Mi trovate su: Twitter
    -News: Ora anche su Facebook


     

     

     


    [1] Naya na Pendragon: letteralmente figlia nata Pendragon, più corretto figlia dei Pendragon. Appellativo che, per quanto ne so, non dovrebbe derivare da nessuna lingua corrente xD

     

    Note: E quindi eccoci, ora conoscete a grandi linee la storia di Freya, ma come dice lei stessa è una storia incompleta e distorta ù_ù
    Nel prossimo tornerà Sebastian in tutta la sua gloria (?)
    Concludo dicendo che detesto da morire il caldo e l’estate. Vivrei perfettamente anche con sole 3 stagioni LOL
    Spero che via piaciuto<3
    By Cleo^.^



     



     

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    Capitolo 23
    *** Uncomfortable alliances ***



    22


    Uncomfortable Alliances
     
     

     
     
    Il sangue scivolava lento e implacabile lungo la sua gola, ma Freya tentò ugualmente di pronunciare il nome che Lilith le aveva sussurrato molto tempo prima.
    "Sem...i... ael..." gorgogliò turbata. "Tu... sei..."
    Il viso era quello dell'attore che lei ricordava, ma l'espressione che le rivolse era agghiacciante. "Le mie ali fremono per poterti uccidere." ringhiò lui, mostrandole i canini. "Quanto tempo è trascorso, Morwen?"
    Freya avrebbe voluto spiegargli, dirgli che lei non era Morwen, che era Freya na Pendragon, ma le parole e i pensieri le sfuggivano dalla mente.
    La vista le si annebbiò. Il corpo di Camille era riverso su un fianco e Kayle era chino sulla sorella, ma Sebastian sembrava indifferente alla morte che lo circondava. Aveva ucciso diversi foliot e pixie, liberando i prigionieri dei fatati, ma era lei che calamitava la sua attenzione.
    Freya ricordava perfettamente la scena avvenuta a New York tra il vampiro e la regina della Corte Unseelie e non poteva dargli torto se il suo desiderio era vedere Morwen morta. Era anche stato il suo desiderio, ma poi Morwen l'aveva maledetta e anziché morire per mano di Lilith, Freya si era ritrovata ad incarnare il ruolo di una Biancaneve smemorata.
    Perfino in quel momento i suoi ricordi erano confusi e frammentari.
    "A chi appartiene il corpo che indossi?" sibilò Sebastian alle sue orecchie. "Ti stai divertendo, Morwen?"
    Kayle puntò la lancia a due punte contro il vampiro. "Lasciala e fai un passo indietro." ordinò con voce ferma, sebbene il suo volto mostrasse tracce di lacrime.
    "Questa ragazza..."
    "Allontanati da lei, demone." lo ammonì Kayle.
    Freya ansimò, portandosi lentamente una mano a coprire la ferita. Colse un baluginio dorato sul petto del vampiro e capì che lì v'era lo stesso orologio visto molto tempo prima...
    "Mo...rwen, non può nuoc... non può nuocerti." balbettò, rivolgendosi a Sebastian. E fu in quel momento che lei notò la somiglianza tra gli occhi di Semiael e quelli di Lilith.
    "Non parlare Freya, risparmia le forze." le ingiunse Kayle.
    Lei scosse impercettibilmente la testa mentre Ombre danzanti occupavano il suo campo visivo. "Li... Lilith."
    Fu l'ultima cosa che disse prima che il mondo si facesse nuovamente confuso.
     
     
    Michele sguainò la spada celeste, ma per alcuni minuti si limitò ad osservare dalla boscaglia gli eventi che si stavano svolgendo.
    "Semiael..." gli sembrò una cosa del tutto naturale pronunciare quel nome.
    Non aveva mai incontrato in precedenza il figlio di Lilith. Lucifero era sempre stato ben cauto nel non fornirgli troppe notizie sul suo erede. Certo, lo aveva sempre cercato per avere consigli su come doversi comportare con Semiael, ma il dubbio che Michele potesse ferire il figlio non aveva mai spinto Lucifero a presentargli suo nipote.
    Nipote... Quella parola suonava incredibilmente ridicola.
    La luce del sole che filtrava da alcuni rami spezzati sembrava illuminare Semiael della stessa aurea luminosa che in passato aveva avvolto il Figlio dell'Aurora. Era un'illusione, perché un vampiro non poteva reincarnare la luce e lo squarcio nel petto di Freya dimostrava quell'assoluta verità.
    Michele strinse i pugni, confrontando quel volto sconosciuto con quello più noto di Lucifero. Erano simili, padre e figlio, più di quanto avesse immaginato, ma lo sguardo l'aveva ereditato dalla madre.
    Avanzò tra i prigionieri umani e vide Semiael volgersi nella sua direzione.
    "Mikhail...?" il tono di voce del vampiro era perplesso ed esitante.
    Kayle stava puntando la lancia contro Sebastian e Freya era accartocciata su se stessa, come una foglia autunnale.
    "Mi... chele." bisbigliò la fata, in una preghiera d'aiuto.
     
     
    "Non toccarla."
    Sebastian acconsentì all'ordine di Kayle, più per poter studiare meglio la situazione che per un reale motivo di pericolo. Si allontanò da Freya, fremendo di rabbia.
    "Tu, sei Freya Gadamath?"
    Lei non rispose, ma al suo posto intervenne Michele. Sebastian si domandò quante volte aveva ascoltato suo padre parlargli del gemello celeste. Ricordava perfettamente le volte in cui Lucifero si era assentato per cercare il fratello e di come occasionalmente trascorressero anche anni dal suo ritorno.
    "Semiael, perché sei qui?" gli domandò l'angelo.
    Lui rimase impassibile, sebbene vedere il volto del gemello di Lucifero lo avesse turbato. Considerò che anche suo padre, un tempo, doveva aver avuto fattezze celesti molto simili.
    "Ero alla ricerca di qualcuno e ho trovato colei che cercavo." serrò la mascella perché quanto stava per dire lo faceva infuriare, ma aveva fatto una promessa a Clare e aveva intenzione di mantenerla. "Freya Gadamath verrà con me." ringhiò, serrando i pugni.
    Il desiderio di vedere quella fata morta era pari al desiderio che Clare si risvegliasse e sfortunatamente Freya gli occorreva viva.
    "Freya è sotto la mia protezione. Mi occorre il suo aiuto."
    Michele alzò la spada celeste, ma il movimento era così fiacco che Sebastian piegò le ali all'indietro e lo ignorò.
    "Sono stato io a salvare questi due da foliot e pixie... lei mi è debitrice."
    Kayle proruppe in una risata amara. "Sei pazzo, demone." tuonò, sforzandosi di non guardare in direzione della sorella.
    "Né tu ragazzo e nemmeno tu, Mikhail, potete fermarmi. Non avete la forza per combattere, a mala pena vi reggete in piedi." fece notare loro.
    "Fino a pochi istanti fa dicevi di volerla uccidere." commentò l'arcangelo.
    Sebastian fece un lento cenno d'assenso. "Questo prima di scoprire che fosse Freya Gadamath." Per il momento sorvolò sul perché la fata avesse invocato il nome di Lilith.
    "Hai fatto il nome di Morwen. Se alludevi alla regina della Corte Unseelie..." Michele esitò, cercando lo sguardo del vampiro.
    "Non è morta. Morwen vive dentro di lei." confermò Sebastian.
    Freya si mosse e lì dove il sangue aveva macchiato il terreno sbocciarono numerose varietà di fiori differenti.
     
     
    Erano gli stessi fiori che avevano fatto da sfondo al funerale di Titania, Freya riusciva a ricordare persino gli stessi odori di allora.
    Si portò una mano sul petto, ma il sangue aveva smesso di scorrere e respirare le risultava perfino più facile. Aveva la gola riarsa e i ghigni di scherno di Morwen non le davano pace.
    Lo sguardo vuoto di Camille sembrava accusarla di essere sopravvissuta.
    "Morwen..." tossì, pronunciando quel nome infame. "Lei mi ha maledetta, ma è solo grazie a me se ora quell'orologio d'oro è nuovamente nelle tue mani." si era sorretta il busto con le mani e aveva rivolto a Sebastian un'occhiata gelida. Lo vide sobbalzare e se ne compiacque.
    La catenina appesa al collo del vampiro scomparve immediatamente dietro il colletto della sua giacca nera. "È grazie a me se la mano destra di Lilith sa donare la vita." sobbalzò per una fitta di dolore, ma continuò imperterrita nella sua dichiarazione. "Non mi è nuovo il tuo desiderio di uccidere Morwen, Sebastian. Così come non mi è nuovo il sapore della morte..." indicò le sue vesti lorde di sangue e trovò un piacere perverso nel sapere di aver ottenuto l'attenzione del vampiro. "Pregai io stessa Lilith affinché mi uccidesse. Morwen non sono io, ma mentirei se dicessi che lei non mi ha cambiato. Il cambiamento è stato, e rimane tutt'ora, un fattore inevitabile." proseguì amara. "...Una goccia del mio sangue può cambiare la vita di un individuo e il corso del futuro..." aggiunse tra sé.
    Si sentiva le estremità dei piedi insensibili e non possedeva alcun controllo sui suoi muscoli. In compenso, la sua capacità linguistica sembrava aver acquisito maggior dimestichezza.
    "Sono in debito con tua madre. Ti seguirò."
    "No." la interruppe Michele, facendosi avanti. "Il tuo aiuto occorre a me! Lei non può attendere oltre."
    Freya ignorò il commentò dell'angelo e portò la sua attenzione su Kayle. "Mi dispiace. Se vorrai incolparmi di quanto accaduto accetterò la tua decisione. Non sono riuscita a proteggerla..." mormorò, allungando una mano per stringere quella di Camille.
    "Non sei mai stata in grado di proteggere nulla. Liberami! Lascia che sia io ad occuparmi di tutto." latrò Morwen. "Sai che alla fine sarò nuovamente io a vincere..." la voce esitò. "...Oh, i miei fedeli, fedelissimi, soldati. Stanno tornando a prenderti, Freya."
    "I foliot si avvicinano." riferì lei ad alta voce.
    Sebastian le mostrò una smorfia sprezzante. "Inutile ammasso di carne fatata. Li ucciderò tutti."
    "Sono troppi." replicò Freya. "La gente che è stata rapita non può combattere, non sono soldati. Ti seguirò, ma aiutami... aiutali."
    "Dobbiamo attraversare la foresta." intervenne Kayle, chino sul corpo di Camille.
    "Tutti questi mortali saranno solo d'intralcio." considerò Sebastian.
    Freya ignorò quel commento. "Andrò avanti per prima. I miei poteri saranno in grado di aiutarmi ad orientarmi. Tu..." disse, indicando Sebastian. "...chiuderai la fila e ucciderai i foliot che tenteranno di fermarci.
     
     
    I pensieri le si affollavano uno sull'altro, rendendole difficile mantenere a lungo la concentrazione. Avanzava zoppicando, senza riuscire a capire se era lei a sorreggere Michele o il contrario.
    Li attacchi dei foliot si erano intensificati e alle sue spalle sentiva la tensione tra gli abitanti del villaggio e le grida rabbiose di Sebastian.
    A Freya sembravano le urla di una bestia ferita; un uomo che avrebbe eliminato chiunque si fosse messo sulla sua strada se l'avessero intralciata. Si ritrovò a pensare di non essere sorpresa per quella reazione. Non aveva chiesto nulla al figlio di Lilith sul perché la cercasse, ma l'unico motivo possibile doveva essere per via delle proprietà uniche del suo sangue.
    "È impressionante... la somiglianza tra padre e figlio." osservò Michele, guardando Sebastian mentre decapitava un fatato.
    Freya rimase in silenzio, mentre cercava di ignorare il crescente fastidio che le montava nel petto. Il lamento degli alberi stava diventando una litania insopportabile, un dolore troppo vivo da poter continuare ad ignorare.
    "Che cos'è questo posto?" mormorò, poggiando il palmo della mano su un tronco.
    Il legno sembrava quasi tiepido al tatto e senza accorgersene Freya si chinò in avanti, poggiandoci sopra la guancia.
    Tum.
    Sobbalzò quando quel rumore ritmico e lento le riempi le orecchie. Freya si allontanò di scatto, portandosi le mani davanti agli occhi. Tremavano.
    Tum. Tum.
    "Cosa c'è?" le domandò Kayle, stringendo più forte il corpo della sorella.
    Sebastian aveva spiegato le ali, mentre Michele si era accasciato al suolo.
    Freya tornò ad esaminare l'albero. Era alto, come tutti gli altri, dalla corteccia spessa e scura.
    Tum. Tum. Tum.
    "È vivo." osservò stupita. "Sembra quasi che... Come è nata questa foresta?" chiese d'impulso.
    "È stata creata." la corresse Sebastian. "Da quelli della tua specie." specificò, infastidito. "La plasmarono alla fine della Seconda Guerra Celeste."
    "Questo rumore..." bisbigliò Kayle, perplesso.
    Freya si voltò nella direzione del ragazzo. "Riesci a sentirlo?"
    "Sì, assomiglia al battito di un cuore."
    "No c'è alcun suono sospetto. Lo sentirei, altrimenti." si intromise Sebastian.
    TumTumTum.
    Freya socchiuse gli occhi e le Ombre scivolarono davanti a lei.
     
     
    L'Ombra aveva assunto un aspetto più definito rispetto all'ultima volta in cui Freya l'aveva vista. Era una sagoma femminile, senza volto, ma lei non aveva bisogno di immaginarlo per sapere che di fronte a lei stava Morwen.
    "La piccola fata smarrita... l'umana che si credeva speciale... l'erede che mai sarà." cantilenò la regina della Corte Unseelie.
    "E la regina che mai più vivrà." replicò Freya, disperdendo la nebbia davanti a lei.
    "Ciò che è stato può tornare ad essere. Ciò che è... potrebbe essere o non essere."
    Freya socchiuse gli occhi. "Basta enigmi, basta giocare."
    "Ma questo è un gioco!" sillabò Morwen. "Come altro definiresti lo scopo ultimo degli umani? Amano, odiano, uccidono... tradiscono. Non sono che pedine nelle mani di angeli e demoni. Perché insisti nel voler salvare una manciata di loro?" proseguì la regina, mostrandole tra la nebbia le figure dei fuggiaschi.
    "Perché sono i soli che rimangono..."
    "I soli?" le fece eco Morwen.
    "Puoi odiarli, ma sono gli uomini a dominare su questo mondo ora. Il popolo fatato è scomparso o si sta estinguendo... Siamo diventate creature superflue."
    La risata di Morwen non ha nulla di piacevole e rassicurante. "Superflue? Estinte? Oh, no, non lo siamo..." l'Ombra si spostò così velocemente, attorno a lei, che Freya si accorse solo in un secondo momento di quanto Morwen le fosse vicina. "Se solo provassi a concentrarti... così stupida, così pateticamente umana. Hai vissuto tanto a lungo tra quelle misere creature da non saper più riconoscere nemmeno la tua stessa specie." sentenziò con evidente disgusto. "Oh, ma guarda..." continuò la regina voltandosi verso la nebbia. "Una piuma."
    Davanti all'Ombra, sospesa nel vuoto, c'era una piuma nera. Morwen la afferrò con una mossa decisa, stritolandola nelle sue mani. "Residui del passato. Ricordi. Le piume del peccato e del peccatore..."[1] sussurrò.
    "Indovinelli, enigmi... sei solo questo Morwen." la zittì Freya.
    "Non dovrai dirglielo!" gridò l'Ombra, avvolgendola in una bolla di aria gelida. "Prometti! Giuralo!"
    Freya tremò di freddo. Tentò di allontanarsi da Morwen, ma altre Ombre si unirono a quella della regina, parlando all'unisono.
    "Giura..."
    "...una promessa..."
    "...un patto... un giuramento..."
    "Lui non dovrà sapere."
    "Portalo via."
    "...lontani..."
    Freya si portò le mani alla testa, piegandosi sul terreno. "Basta!" l'ordine che pronunciò con forza e disperazione mise fine ai bisbiglii delle Ombre.
    La nebbia ore le arrivava alle ginocchia e Morwen era tornata ad una distanza quasi accettabile. "Non puoi tradirci. Non puoi..." ripeté la regina.
    "Che cosa vuoi dirmi?"
    "Ci tradirai?"
    "Chi?" domandò Freya, esasperata. "Dimmelo o tornerò nel mondo reale."
    "Ogni mondo è reale." obiettò Morwen, sviando la sua richiesta.
    "Morwen..." l'avvertì, pronunciando quel nome con ribrezzo.
    "L'erede non dovrà saperlo.... il figlio del Caduto..."
    "Semiael?" pronunciò Freya, perplessa. La nebbia si alzò, lambendole il petto. "Cosa sono quegli alberi?" gridò con rabbia.
    "Ucciderà tutti loro. Non potrai dirglielo. Non potrai rivelare nulla. Non potrai spiegare... Quegli alberi, il suono che hai sentito. Sono i loro cuori. I cuori delle fate sopravvissute."
     
     
    Stavano morendo... gli alberi. No, le fate stavano morendo. Freya percepiva nitidamente quella sensazione e ne aveva paura. Staccò velocemente le mani dalla corteccia, ma con i piedi inciampò in una radice sporgente.
    Cadde all'indietro e Michele la sorresse per un braccio. Freya si voltò lentamente e per la prima volta osservò quel luogo con occhi diversi.
    Tutto quel dolore proveniente dalla terra, dalla foresta... Cos'era accaduto mentre lei dormiva in un involucro d'ambra?
    Non potrai dirglielo.
    Guardò Sebastian che la ricambiò con astio. Era ricoperto di sangue di pixie e foliot; le piume delle ali identiche a quella che Morwen aveva distrutto.
    Di chi doveva fidarsi?
    Non puoi tradirci.
    Il figlio di Lucifero avrebbe dato fuoco alla foresta se lei gli avesse detto la verità. A quel punto, di chi sarebbe stata la colpa di quelle morti? Poteva assumersi quella responsabilità?
    Ci tradirai?
    "Io... Dobbiamo proseguire." annunciò senza troppo convinzione. "Questa gente non potrà resistere a lungo."
     
     
    "Come si chiamava?" chiese Sebastian, osservando il cadavere della bambina che Kayle stringeva.
    "Non c'è bisogno che mi mostri la tua pietà, succhiasangue." ribatté il ragazzo, continuando a camminare.
    "Il suo nome era Camille." intervenne Freya e lui lanciò uno sguardo alla fata che odiava, ma che era costretto a proteggere per la salvezza di Clare.
    "Era umana." considerò Sebastian. "Cosa ti legava a lei?" lo interrogò.
    "Era mia sorella." gli rispose Kayle con astio. "Lasciami stare." sibilò con rabbia.
    "Semiael..."
    Il richiamo di Mikhail lo innervosì e Sebastian si allontanò da Kayle, studiando da lontano la spada di Enuwiel che l'angelo portava con sé.
    Non sopportava il modo in cui l'arcangelo lo teneva d'occhio e la presenza di Morwen gli dava alla testa. Premette i canini sulle labbra, soffocando il ringhio che premeva per essere liberato.
    "Sento la presenza di Lucifero. Dov'è, lui?" intervenne Michele, sostenuto per le spalle da Freya.
    "Non lo so." replicò Sebastian con astio. "E nemmeno mi interessa. È ancora giorno sopra le fronde di questi alberi..." si accorse che la fata era sobbalzata, ma non le prestò molta attenzione. "...come sai non ama il sole." aggiunse ironico.
    L'angelo si fermò e lui si mise in allerta, ma non c'erano foliot nelle vicinanze e Sebastian tornò a rilassarsi.
    "Chi è la persona che vuoi aiutare?" gli chiese Michele con un'espressione di sofferenza sul viso.
    "Non la conosci." tagliò corto Sebastian. "Perché le tue ferite ci mettono tanto a guarire? Sembri un umano in punto di morte." gli rinfacciò.
    "Sono le ali..." spiegò Freya, prima che Michele potesse parlare. "La loro rigenerazione consuma molta energia. Immagino che tu non possa saperlo, ma-"
    "Ti sbagli." la freddò Sebastian. "Lo so."
    Conosceva quella sensazione molto bene; un ricordo così vivido che perfino la memoria faceva male. Dolore... la sensazione di morire. A lui erano occorsi secoli prima che le ali si rigenerassero, insieme al suo corpo martoriato. Una tortura che gli era sembrata non trovare mai fine.
    "Freya..." mormorò Michele, scuotendo la testa. "No."
    Sebastian strinse i pugni. Oh, Michele sapeva... Lucifero gli aveva detto tutto sul suo incidente, sugli alchimisti, perfino di... No, non voleva pensarci. Aveva seppellito quei ricordi insieme alle ceneri di New York, molto tempo prima. Si rifiutava di riportarli alla luce.
    "Mi ricordava una bambina che ho conosciuto qualche anno fa." spiegò, tornando a rivolgersi a Kayle e offrendogli una delle sue piume cadute durante la mutazione. "Anche a lei ho donato una piuma ed ora è intrappolata in un sonno di morte, come la protagonista di una vecchia fiaba." osservò nostalgico.
    "È lei che dovrò salvare?" si intromise Freya.
    Sebastian sospirò, abbandonando le mani lungo i fianchi. Clare lo stava aspettando e lui non poteva deluderla un'altra volta. Aveva fallito con Cassandra e poi con Marianne... Non poteva perdere anche la loro discendente.
    "Ora riposa in un prato di rose, tra foglie e steli di spine. I poeti le hanno dedicato diverse poesie. Temo che quando si risveglierà, a Clare non farà piacere saperlo." mormorò tra sé.
    Vide Michele irrigidirsi e la fata fissarlo con più attenzione di quanto lui gradisse.
    "Come hai detto che si chiama?" domandò Freya, socchiudendo gli occhi.
    Sebastian guardò entrambi con fare sospetto. "Clare." disse lentamente. "Clare Rainsworth."
     
     
    "Ti prendi gioco di noi, Semiael? Di me?" tuonò Michele, puntando la spada contro il vampiro.
    "Smettila." gli ordinò Freya, abbassando l'arma verso il terreno. "Stai spaventando queste persone." continuò, indicandogli la gente del villaggio.
    Michele non fece caso alle parole della fata. La sua mente continuava ad elaborare teorie sul motivo per cui Sebastian avrebbe dovuto conoscere Clare e perché avrebbe dovuto salvarla.
    Il suo sguardo cadde sul corpo di Camille: i capelli biondi, gli occhi che in vita erano di uno splendido turchese... Sebastian aveva detto che era simile ad una persona che conosceva e quella bambina era davvero somigliante alla Clare che lui incontrava nei suoi sogni.
    Quando aveva mostrato a Clare un dialogo passato tra lui e Lucifero e Semiael era stato menzionato la reazione della Guardiana era stata quella di una persona ferita. Cosa gli aveva detto, allora?
    "Lui non lo ha mai detto a nessuno. Nessuno sapeva davvero chi era. Non ha mai amato parlare di sé o del suo passato."
    "Sei tu..." mormorò incredulo e ferito. "Sei tu il vampiro del Contratto."
    "Per quale motivo Clare Rainsworth è tanto importante?" intervenne Freya, guardando prima lui e poi Sebastian.
    "Cosa sai tu del Contratto? Conoscete Clare, com'è possibile?" proruppe Semiael. "Cosa sapete?" era proseguito, alzando la voce.
    Freya aveva fatto un passo avanti, quasi incitando il vampiro a fermarla. "Nulla. È Michele ad incontrarla nei suoi sogni... se possiamo definirli così." chiarì la fata.
    La testa di Sebastian scattò nella sua direzione e lui non poté fare a meno di associare quello sguardo a Lilith.
    "Cosa...?"
    "Non sei il solo ad essere turbato." riferì Michele, appoggiandosi sfinito alla spada di Enuwiel. "Non so perché c'è questo strano legame tra noi... ma Clare sta morendo. Morirà se Freya non le darà il suo sangue e tutti i misteri che ruotano attorno a lei e alla pietra di Cristavia andranno perduti."
    Sebastian serrò la mascella. "Perché dovrei crederti? In ogni caso, non c'è alcun mistero dietro la creazione della pietra. Cristavia era più folle di sua madre, e la sua crudeltà leggendaria. Ero presente il giorno in cui diede forma alla pietra e anche se mia madre cancellò i miei ricordi, poco dopo, ora il sigillo è stato spezzato. "
    Michele lo fissò con un misto di curiosità e rammarico. "Ti ha privato di alcuni ricordi? E perché avrebbe dovuto farlo?"
    Il vampiro annuì con rabbia. "La sua manipolazione e quella di Cassandra... non avrebbero dovuto farlo. Hanno giocato con la mia testa, rendendomi debole." Sembrava che Sebastian si fosse immerso in pensieri tutti suoi, escludendoli dalla realtà. "Se avessi saputo quello che ricordo ora... Avrei potuto impedire che le cose andassero in questo modo. Fu tutta colpa di Chyntia... era sempre lei l'occhio del ciclone, e naturalmente Enuwiel la seguì..."
    Freya si era portata le mani alla testa, gli occhi d'ametista attraversati da bagliori scuri. Michele si chiese con quali demoni stesse combattendo in quel momento.
    "Tu non c'eri." aggiunse Sebastian, lanciando un'occhiata a Michele. "Avvenne poco dopo che gli angeli abbandonarono questo mondo... e che Enuwiel ti rubò Excalibur."
    "Cos'è successo a mia figlia?" sibilò Morwen con la voce di Freya.
    La fata si era avvicinata a Sebastian e gli occhi del vampiro avevano assunto la più tipica colorazione rubino. "Spero sia morta." ringhiò Sebastian, portando una mano al collo di Freya. "Perché se non lo è, stai pur certa che la troverò e la ucciderò con le miei mani." la liberò con uno strattone e Michele afferrò Freya prima che potesse cadere al suolo.
    "Non è colpa sua, Semiael." gli fece notare Michele, guardando la ragazza.
    Il vampiro gli diede le spalle. "Deve imparare a controllarla o io non controllerò le mie azioni." disse secco.
     
     
    "Sto bene... sto bene." asserì Freya, portandosi una mano al petto. "Mi ha colto di sorpresa. L'altra Freya... voglio dire, Morwen, non si è mai spinta fino a questo punto. " aggiunse sfinita.
    Guardò Sebastian, ma il vampiro si era allontanato, suscitando commenti di paura da parte della gente. Si muoveva sicuro ai margini del gruppo, studiando l'ambiente attorno e Freya si chiese cosa Morwen potesse avergli fatto nei dettagli.
    Kayle avanzava con il volto coperto di sudore, mentre le iridi cambiavano continuamente colore.
    La domanda le sorse spontanea. Se Kayle apparteneva al popolo fatato... perché lui era vivo quando tutti gli altri membri della loro razza erano mutati in alberi? Esisteva un modo per riportare quella foresta al suo stato naturale? Il compito dei foliot che li avevano attaccati era proteggere le fate-albero? Stavano uccidendo i guardiani del popolo fatato?
    C'erano così tante domande e lei... cosa poteva fare lei? Non aveva avuto la forza di agire quando Tatiana era in vita e ora?
    "Non puoi lasciare che muoiano."
    Per una volta Freya era d'accordo con Morwen. "Ma non posso aiutarli." ribatté studiando i tronchi degli alberi. Quelli più piccoli erano bambini?
    "Allora trova qualcosa che possa farlo! Usa la Pietra!" ringhiò la regina. "Quella pietra ci appartiene! È del nostro popolo!"
    "Ora è il nostro popolo? In mezzo minuto sei diventata piuttosto altruista, Morwen. Non sai nulla di quella pietra o di cosa accadde a Cristavia. Dormivamo in un sonno centenario, ricordi? Non sappiamo che effetti potrebbe avere, usarla. "
    "L'angelo vuole distruggerla."
    "E Sebastian vuole distruggere te." commentò Freya, acida. "Mi sembra un concetto piuttosto semplice. Se diamo credito alle leggende scritte su Cristavia, lei ha avuto un figlio mezzosangue, Tareel... Che disonore! Lo avresti mai sospettato dalla tua piccola Cristavia? Innamorata degli stessi umani da lei massacrati?"
    "Chiedi a Semiael la verità." le ordinò Morwen, prima di eclissarsi dalla sua coscienza.
     
     
    ***
     
     
    "Oh, ti sei svegliato."
    Clare aveva le gambe incrociate, era immersa in un prato di fiori, e Michele si portò una mano agli occhi prima di mettersi seduto al suo fianco. Avvertiva sulla pelle l'umidità della terra su cui era stato sdraiato e attorno a lui percepiva il lieve odore del muschio bagnato.
    "Per quanto ho dormito?" le chiese perplesso.
    Clare gli rivolse appena un'occhiata. "Difficile dirlo. Qui il tempo non ha regole."
    Michele serrò la mascella e si alzò in piedi. In quel mondo le ali non erano un problema e lui le lasciò crescere fino a farsi avvolgere come una crisalide. Per un attimo si lasciò consolare da quel loro tepore familiare e chiuse gli occhi.
    "Avresti dovuto dirmelo." la accusò con un moto di rabbia, tornando a concentrarsi su Clare.
    "Dirti cosa... di preciso?" replicò lei, camminando verso la valle.
    "Sebastian." disse secco.
    Clare sobbalzò, ma non si voltò per guardarlo. Invece si chinò in avanti per raccogliere alcuni fiori. Michele la raggiunse e le afferrò il polso, lasciando che il contenuto della sua mano cadesse a terra. "Pensavi che non appena lo avessi visto, avrei ucciso mio... nipote?" le domandò.
    Lei si ostinò a fissare il terreno e mormorò: "Hai incontrato Sebastian?"
    Michele si allontanò da lei, ferito.
    Cos'era quell'espressione di rammarico mista a furia che le si era impressa sul viso? Avrebbe voluto capire, rassicurarla, ma aveva idea che se lo avesse fatto, Clare avrebbe interpretato in altri modi il suo gesto.
    "Sì." rispose atono, muovendo appena le ali.
    "Dove?"
    "Cercava la fata. Voleva Freya... Per salvarti."
    Clare si fermò in mezzo al prato. Gli steli d'erba le arrivavano alle ginocchia, il vento le scompigliava i capelli e la luce della luna rendeva la sua pelle estremamente pallida. "Non potete." dichiarò.
    Una volpe li superò circospetta, con in bocca una piccola preda e un coniglio si nascose svelto nella sua tana.
    "Hai detto che il sangue di Freya è in grado di curare qualsiasi tipo di ferita o malattia..." Clare esitò e riprese a camminare. "Ma il mio corpo non è ferito e non è una malattia il motivo del mio stato."
    Fu il turno di Michele di immobilizzarsi. Aveva i muscoli tesi, lo sguardo fisso sulla schiena di Clare e all'improvviso gli sembrò che la valle fosse piombata in un silenzio innaturale.
    "Ci ho riflettuto..." riprese lei, come se non si fosse accorta della sua reazione. "Pensare è l'unica cosa che mi riesce bene ultimamente... e così..." Michele conosceva bene quel tono di voce, quello di una persona che aveva accettato il suo destino e aveva smesso di lottare.
    "Non puoi pensarlo davvero." mormorò Michele, avvicinandosi a lei.
    "Dovete accettarlo. Tutti e due. Sebastian dovrà farsene una ragione. Sapevo quello che stavo facendo quel giorno..." dichiarò Clare senza alcuna inflessione particolare. "E va bene così, Mikhail. Ero pronta a morire e lo sono ancora. È nel destino della famiglia Rainsworth, a quanto pare, soccombere alla morte. Semplicemente, dovrete affrontare questa battaglia senza di me."
    "Clare..." le posò una mano sulla spalla, ma lei non reagì in alcun modo. "Allora perché stai piangendo?" Clare non gli rispose né si voltò.
    "Clare." la chiamò di nuovo, questa volta più deciso.
    Lei fece un passo in avanti, continuando a dargli le spalle. "Avrei voluto poterle vedere... le tue ali, brillare come diamanti e oro..." sussurrò appena udibile.
    "E le vedrai." le promise Michele.
    "Mikhail." Clare si voltò, le guance umide e gli occhi di un azzurro spento. "Mikhail... È tardi."
     
     
    ***
     
    Il risveglio era stato accompagnato dal suo nome pronunciato dalle labbra di Clare e da un fastidioso bruciore agli occhi a cui Michele preferiva non pensare, mentre Semiael lo sorreggeva per un braccio e Freya dall'altro.
    Doveva aver perso i sensi, come un comune umano, perché erano ancora nella foresta e gli abitanti del villaggio bisbigliavano terrorizzati.
    "Non abbiamo più tempo..." sussurrò, a nessuno in particolare.
    "L'hai incontrata?" gli chiese Freya, guardandolo apprensiva.
    "Hai... visto Clare?" intervenne Sebastian, evitando il suo sguardo.
    Michele annuì.
    "Sì..." Non ebbe la forza di aggiungere altro e tacque.
     

     
     
      
     

    Capitolo betato da: Jales


    Vi ricordo: -Il prequel dedicato a Sebastian che potete trovare qui: Soul Hunter
    -La raccolta realizzata da Jales su vari personaggi di CS: De Vita
    -Il mio account Ask se volete pormi qualche domanda: Qui
    -Mi trovate su: Twitter
    -News: Ora anche su Facebook

     

     

    [1] Queste parole, dette da Morwen, fanno riferimento a quanto accaduto/accadrà in Soul Hunter-La Giostra del Tempo. Potete trovare il riferimento al capitolo 14 di SH già pubblicato su EFP.
     
    Note: Stiamo giungendo alla fine. Circa tre-quattro capitoli più epilogo, forse anche meno! :D
    Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
    Per avere spoiler o anticipazioni vi consiglio di tenere d’occhio la mia pagina Faceboook^^
    Nota II: Siete amanti dei film MARVEL o di Loki? Ho scritto una long, se volete leggerla QUI

     

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    Capitolo 24
    *** Time of life and death ***





    23

    Time of life and death
     
     


    "Perché continui ad osservarlo?" domandò Freya, seguendo lo sguardo di Sebastian fino alla schiena di Kayle.
    "Mi ricorda qualcuno..." osservò il vampiro, socchiudendo gli occhi.
    "Chi?"
    "Credi che ti rivelerei qualcosa?" obiettò Sebastian con fastidio. "Ti porterò da Clare, poi deciderò cosa fare di te e Morwen."
    Freya ebbe quasi voglia di ridere. Morire non era nelle sue intenzioni. Perlomeno, non da quando aveva scoperto l'esistenza di altri membri del popolo fatato. Per una volta, avrebbe assecondato i desideri di Titania e si sarebbe presa cura della sua stirpe. Avrebbe risvegliato le fate e dato vita ad una nuova Corte.
    "Di chi era l'antico orologio che porti con te?" gli chiese, mentre nella testa la risata di Morwen era un'eco senza fine.
    "Morwen sa molto bene a chi apparteneva." rispose Sebastian. "Chiediglielo."
    "Non amo parlarle."
    Il vampiro le fece segno di tacere. "Ci stiamo avvicinando al lago. Sento l'odore dell'acqua." le spiegò. "Ci metteremo poco a seguire la riva e a raggiungere il villaggio. Poi andremo da Clare."
    "Impiegheremo mesi prima di raggiungere il Regno di Ziltar." considerò Freya. Alle loro spalle sentì Michele borbottare qualcosa, ma lei non si voltò per capire cosa dicesse. "Tu come mi hai trovato?"
    "Volando." tagliò corto Sebastian, scattando in avanti così improvvisamente da lasciarla perplessa. Nel punto in cui fino a un attimo prima c'era stato il vampiro, non c'era più nulla. Nemmeno il segno che qualcuno fosse stato lì.
    Freya lo invidiò e si domandò come sarebbe potuta essere la sua vita se fosse stata una guerriera. Morwen lo era stata: una subdola, crudele, combattente.
    "Avresti perso comunque. Perché tu pensi troppo, Freya."
    Lei sobbalzò, rendendosi conto di quanto quelle parole fossero vere.
    Era stata raggiunta sia da Michele che da Kayle, il quale aveva affidato il corpo di Camille ad un uomo del villaggio e afferrato la sua lancia. C'era qualcosa di sinistro, ora, in lui, ma Freya non aveva tempo per pensare anche a quello.
    Dov'era andato Semiael? Aveva avvertito la presenza di un nemico?
    "Stai lontana dall'acqua."
    "Hai sentito cosa ho detto, Freya?" la chiamò Michele.
    "...dobbiamo stare lontani dal lago." replicò lei, sbattendo più volte le palpebre. "C'è qualcosa..."
    "Lo so." disse l'angelo. "Quando sono venuta a cercarti ho preso una barca." spiegò, prima di fare una pausa. "Qualcosa si sta nascondendo sul fondale. Evitiamo di scoprire cosa sia." suggerì Michele.
     
     
    Più si avvicinavano a lago, più la foresta si diradava, lasciando filtrare i raggi del sole. Piccoli animali selvatici si aggiravano tra le radici degli alberi, e qua e là c'era la presenza di qualche fungo selvatico.
    Quando, infine, si lasciarono alle spalle la foresta, Freya si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo alla vista della sabbia bianca e dell'acqua azzurra.
    C'era una figura, in controluce, seduta su un masso.
    "Semiael..." mormorò Michele, avanzando verso di lui.
    Lei e Kayle rimasero fermi ad osservare l'angelo e il vampiro parlare tra di loro, mentre i bambini del villaggio gridavano a gran voce che stavano tornando a casa.
    "Come lo dirò ai miei genitori?" intervenne Kayle, stringendo Camille così forte, che per un istante Freya si aspettò che la bambina gridasse per il dolore.
    Quando di rese conto che quello non sarebbe mai accaduto, si limitò a spostarle i capelli dal volto e a fissare Kayle con dolore. "In passato, mi sono chiesta se i vivi trovassero conforto dal sapere che i corpi dei loro cari fossero ancora con loro, in qualche modo." commentò Freya. "I vampiri diventano polvere, i corpi delle fate diventano fiori, quelli degli angeli... svaniscono, tornano ad essere luce, credo." continuò, guardando di tanto in tanto Michele e Sebastian. "Quelli umani, invece... Titania aveva una teoria in proposito. Lei credeva alle antiche leggende secondo cui i mortali erano stati plasmati dalla terra e che, quindi, terra sarebbero tornati."
    "Chi è Titania?" la interruppe Kayle.
    "Lei è... morta. Molti secoli fa." gli spiegò afflitta. "Ad ogni modo... Titania pensava che fosse questo il motivo per cui i mortali seppelliscono i loro defunti." Freya si sedette, immergendo le mani nella sabbia. "Io, al contrario, credo che per gli uomini il distacco sia troppo doloroso. La loro vita è limitata, accettare la morte è il motivo che li spinge a vivere. Per farlo hanno bisogno di prove e quale prova più tangibile di un corpo inerte e freddo, incapace di contenere vita?"
    "Cosa stai tentando di dirmi?" domandò Kayle.
    "Noi esseri immortali non siamo fatti per provare dolore. Il dolore ci cambia. Modifica la nostra natura. Può farci impazzire." Freya afferrò una mano di Kayle, ammirando la superficie di un lago che solo in apparenza era tranquillo. "Devi lasciare andare Camille. Conserva il suo ricordo, amala... ma nel tuo cuore, non nella tua mente."
    "Non ci riesco..."
    "Ci riuscirai." lo rassicurò lei, mentre con la coda dell'occhio vide Semiael fiondarsi su un bambino. Freya balzò in piedi in un lampo, imitata da Kayle, raggiungendo il vampiro che teneva fermo a mezzaria il braccio del ragazzo.
    "Non dovete gettare in acqua una sola pietra, chiaro?" sillabò Sebastian con astio.
    Freya notò che tutti i bambini avevano tra le mani dei sassi, pronti per essere lanciati nel lago. Doveva essere un gioco comune al villaggio, ma quel giorno...
    Stai lontana dall'acqua.
    "Ci sono i mostri nell'acqua. Creature orribili che vi mangeranno." raccontò Freya. "Dovete stare lontani dall'acqua. Avete capito?"
    I bambini guardarono prima lei, poi Sebastian, annuendo impauriti.
    La fata si chiese che tipo di mostri sembrassero ai loro occhi lei e il vampiro.
     
     
    Camille non era stata l'unica vittima dei pixie. Freya se ne era accorta mentre attraversavano il villaggio, tra i tetti distrutti di alcune case e il dolore che traspariva dai volti delle persone.
    Kayle aveva portato il corpo della sorella ai genitori e insieme avevano seppellito la bambina ai piedi di un vecchio albero con i rami protesi verso il basso.
    Michele aveva dato una mano a scavare la fossa, mentre Sebastian era rimasto in disparte, con la mascella serrata e lo sguardo perso sulle acque del lago.
    Freya non si era avvicinata al vampiro e aveva tenuto per sé le parole che avrebbe voluto rivolgergli.
    In piedi, si era limitata ad osservare la famiglia di Kayle stringersi nel dolore per la morte di Camille.
    "La sorella migliore che potessi desiderare." fu l'addio di Kayle, mentre riponeva il corpo della bambina nella terra. Quando l'ultima manciata di terra fu deposta, il sole stava tramontando e Sebastian aveva spiegato le sue ali.
    In un angolo, i genitori di Camille stavano piangendo e Freya li superò per andare a posare una mano sul terreno appena smosso.
    Kayle non la fermò quando si inginocchiò sulla tomba improvvisata e Michele si limitò a scoccarle un'occhiata sfinita.
    "Ti indebolirai." fu il messaggio di Morwen per lei.
    Freya la ignorò e chiuse gli occhi. Attinse il potere necessario da se stessa e immerse le dita nella terra umida. Immediatamente, fiorirono centinaia di margherite che ricoprirono quel luogo di sepoltura.
    "Mi dispiace...." sussurrò la fata, sfiorando i petali di quei fiori. "Avrei voluto poter fare di più. Avrei dovuto salvarti."
    Si alzò, ripetendo il gesto sul tronco dell'albero. Piccoli fiori rosa e timide foglie verdi sbocciarono al suo comando, in assoluto contrasto con i rami spogli dell'ambiente circostante.
    "Sprechi le forze per un'umana che nemmeno conoscevi?" sibilò Morwen. "Lucifero sta arrivando e tu sei pateticamente debole."
    "Non ho nulla contro Lucifero."
    "Hai attaccato la sua sposa e Lilith ti promise di ucciderti, rammenti? Manterrà quella promessa prima che tu perda nuovamente il senno!"
    "La mia pazzia è colpa tua, Morwen. Troverò il modo per liberarmi della tua maledizione."
    La risata di Morwen non sortì alcun effetto su di lei.
    "Hai già tentato di liberarti di me." le fece notare la regina Unseelie.
    "I tempi sono cambiati. Parlerò con Lilith, lei mi aiuterà."
    Freya scosse la testa, ansimando leggermente. Scoprire che Morwen aveva avuto ancora una volta ragione sulla limitatezza delle sue forze la fece infuriare.
    "Il sole è calato..." osservò Michele, portando una mano alla spada. "Arriverà... presto."
    Freya annuì, capendo che si stava riferendo a Lucifero. "Andiamo." disse. "Torniamo al lago e prendiamo la strada per il Regno di Ziltar. Forse riusciremo a sfuggirgli."
    "Sfuggirgli?" intervenne Sebastian, quasi divertito per quel commento. "Lui sa perfettamente dove siamo. Affronterò mio padre mentre voi scapperete." decretò.
    "E come lo combatterai, Semiael?" lo interruppe Michele. "Non possiedi alcuna arma in grado di fronteggiare Exaniha. La spada di Enuwiel non si lascerà impugnare da te e se anche fosse... non te la potrei dare."
    "Ho comunque più possibilità di voi." obiettò il vampiro.
    Freya accelerò il passo, mentre percorrevano il sentiero. "Tuo padre non è stupido. Capirà che è un diversivo."
    Sebastian si voltò, mostrandole i canini. "Tu devi andartene." ordinò. "Tenterà di ucciderti, perché non vuole lasciare che Clare viva."
    "Clare non rappresenta alcuna minaccia per lui." replicò Michele.
    Il vampiro scosse la testa. "Vuole ucciderla a causa mia, a causa del Contratto." non aggiunse altro e né Freya né Michele indagarono oltre.
    "Cosa farai se riuscirò a salvare Clare?" domandò Freya, obbligando Michele a voltarsi.
    "Mi aiuterà a trovare la Pietra di Cristavia e a distruggerla." le rispose l'angelo, riprendendo a camminare.
    "Non può! Non deve, non deve, non-" strillò Morwen.
    "Taci!" sibilò Freya, fermandosi per riprendere fiato.
    "Se la distrugge non potremmo salvare le Due Corti. La foresta morirà, le fate moriranno! Devi impedirglielo! Salva la ragazza umana e ruba la pietra... Prendila!"
    Freya si appoggiò ad un tronco. "Quali sono i poteri della Pietra?" domandò a Sebastian.
    "Non c'è tempo per spiegartelo ora." le disse, ignorandola.
    Erano arrivati ai confini del villaggio e il lago appariva molto più minaccioso che durante il giorno: una pozza nera sulla quale si rispecchiava la luce delle poche stelle del cielo.
    Freya allungò il braccio e subito dei rami si avvolsero attorno al corpo di Sebastian, facendolo cadere a terra. In un modo o nell'altro era decisa ad ottenere le informazioni che le servivano.
    "Tu!" esclamò lui, rotolando nell'erba e cercando di liberarsi. "Che cosa pensi d-"
    Fu interrotto dal battito lento e ritmato di alcune mani e Freya alzò la testa per incontrare il volto impassibile di Lucifero.
    Quanti erano stati ingannati da quei lineamenti perfetti?
    Lo aveva già incontrato una volta, quando era andata a parlare con Lilith, e si sorprese nel considerare quanto Michele avesse avuto ragione nell'affermare la somiglianza tra padre e figlio.
    "Liberalo." le ordinò il Caduto, indicando Sebastian.
    Freya non si mosse. "Non lo ripeterò una seconda volta." la avvertì Lucifero.
    Poi, lo sguardo di lui si spostò su Michele e le labbra gli si dischiusero appena.
    Lei liberò Sebastian e sulla mano del vampiro comparvero delle fiamme nere, le stesse -si rese conto- che avevano bruciato New York.
    "Mikhail..." pronunciò Lucifero. "...Non ti ho mai visto così... fragile."
    "Padre!" esclamò Sebastian.
    Una fiamma verde danzò al fianco del Caduto, rendendo visibili le ali spettrali che circondavano la sua figura. "Semiael..." si interruppe bruscamente, voltando la testa.
    Freya lo imitò e notò che era emersa una nuova figura dalla foresta. Una vampira...
    Ma non era Lilith e per un istante lei ne rimase delusa. Era una ragazza dai lunghi capelli castani, leggermente ondulati e due profondi occhi verdi.
    "Cassidy." tuonò la voce di Lucifero. "Ti avevo detto di non seguirmi."
    La vampira inclinò la testa di lato e rimase in silenzio, come se stesse ascoltando qualcosa che solo a lei era dato sentire.
    "Torna nella foresta." ordinò il Caduto, prima di perdere ogni interesse per la ragazza.
    Cassidy però non si mosse e Freya fece un passo in avanti, chiedendosi se l'altra si fosse accorta delle liane che strisciavano sempre più vicine ai suoi piedi.
    Michele disse qualcosa che lei non capì e Lucifero replicò, ma la fata non diede peso a quello scambio di battute.
    "Uccidila mentre lui è distratto." le consigliò Morwen. "Che diventi polvere!" esclamò divertita. "Poi, sarà il turno di Lucifero..."
    "E alla fine verrà anche il tuo."
     
     
    ***
     
    Gli zoccoli luccicavano al chiarore della luna, tanto da sembrare blu, anziché neri, agli occhi di Clare. La criniera dell'unicorno fu smossa dal vento e le zampe affondarono nella sabbia del deserto.
    Mi chiedevo quando saresti venuta.
    "Tu mi hai chiamato." ribatté Clare, tenendosi a distanza.
    Hai paura? Ho visto nascere e morire ogni membro della tua famiglia.
    "Sembra che la morte ti insegua, qualunque cosa tu faccia." osservò Clare. "Il tuo non è un dono, è una maledizione."
    L'animale nitrì, smuovendo innervosito la sabbia intorno alle zampe.
    Clarissa Rainsworth stava morendo. Strinsi con lei un patto che permise ad entrambi di sopravvivere. Poi tramite lei, insieme, stipulammo il Contratto e legai al nostro destino quello di colui che sterminò la mia razza. Per sopravvivere mi occorrevano i poteri di Semiael, la sua forza. Così feci di Sebastian il mio servitore e di Clarissa la mia Guardiana. Fintanto che il Contratto sarebbe stato valido lui non avrebbe potuto opporsi agli ordini della Guardiana... Costretto a servirla per l'eternità.
    "Ma Cassandra spezzò il Contratto, la notte in cui morì." gli fece notare Clare, posando una mano sull'elsa della sua spada. Pensare che l'unicorno si era nutrito della forza di Sebastian la destabilizzava.
    No. Cassandra Rainsworth vive.
    Clare sobbalzò, presa alla sprovvista. "Cassandra non può essere viva. Gli esseri umani non vivono tanto a lungo."
    Lei non è più umana da molto tempo. Sento la sua sofferenza. La sua anima mi chiama, chiede aiuto." l'unicorno fece una pausa e la luna fu nascosta dalle nubi. Prima che il suo ultimo respiro si perdesse nel vento, Cassandra fu salvata. Il Contratto non fu mai spezzato e venne trasmesso fino a te.
    "Ma io l'ho vista morire!" esclamò Clare. "E il suo spirito mi ha parlato!"
    Le occorreva il tuo aiuto. È intrappolata in un corpo che disprezza... come una marionetta. Cassandra si è smarrita."
    La nebbia di quel mondo fittizio si stava alzando, celando a Clare la sagoma dell'unicorno. "Il Contratto è spezzato, ora." commentò lei.
    Si... E tu stai morendo. Stiamo morendo.
    Clare strinse le mani, dolorosamente consapevole delle unghie che affondavano nella carne.
    Ma tu vivrai. Ti darò la mia forza fino a quando il vampiro porterà a te l'arcangelo e la fata. Il nostro tempo è finito. È giunta l'ora...
    La voce si affievolì e Clare cercò di capire dove l'unicorno avesse intenzione di andarsene. Quella nebbia le dava una sgradevole sensazione, troppo fastidiosa per ignorarla.
    La stella illuminerà la notte di verde.
    Le piume cadranno insanguinate.
    La terra brucerà tra le fiamme.
    Le spade suoneranno tra loro.
     
    Clare ricordava quelle parole. Le aveva pronunciate l'unicorno la prima volta che lo aveva incontrato.
    Non rimanere in questo posto, discendente. La nebbia cercherà di confonderti. Continua a ricordare, Clare. Ricorda.
     
     
    ***
     
    "Essere sorpresi dopo l'orario del coprifuoco comporta l'espulsione dalla città."
    Vincent si voltò appena, studiando con poco interesse il profilo della ragazza che gli aveva appena parlato.
    "Allora dovresti fare attenzione." replicò lui, da dietro il cappuccio che gli nascondeva il viso.
    "Sei uno straniero, vero?" gli domandò la sconosciuta, inclinando la testa. "Siete tutti convinti che gli alchimisti non vi troveranno se gironzolerete per la città."
    Vincent sospirò, girandosi per vedere la sua interlocutrice. La ragazza era avvolta in un mantello viola e vaporoso, i capelli castani chiari arricciati di umidità le cadevano sulle spalle e le labbra sottili erano socchiuse in un gesto arrogante. Portava diversi anelli con simboli alchemici e gli orecchini erano a forma di pentacolo con una stella nel mezzo.
    Ciò che colpì Vincent però non erano i gingilli che lei si portava appresso, ma gli occhi: due pupille verticali e iridi argentee che gli ricordarono quelli di Sebastian.
    La Pietra di Cristavia si muoveva irrequieta sul suo petto e lui la afferrò con la mano.
    "Cosa ti fa credere che io non voglia essere trovato?" le chiese con tranquillità.
    La ragazza sobbalzò, presa alla sprovvista da quella risposta. "Vieni dal sud..." osservò la sconosciuta.
    Vincent la ignorò, consapevole di aver appena avuto conferma che ciò che cercava esisteva e riprese a camminare.
    "Se insisti nel proseguire sarò costretta ad arrestarti." lo avvertì la ragazza, sfoderando una spada.
    Vincent sorrise. "Pensi che uccidendoti potrei ottenere l'attenzione dell'imperatrice?"
    Lei assunse una posizione difensiva. "Che cosa stai-"
    La ragazza non concluse la frase, né avrebbe mai più potuto concluderne altre. La sua testa ruzzolò sulla strada e il corpo cadde con un tonfo sul terreno, piegandosi sulle ginocchia.
    Mentre ricambiava lo sguardo degli occhi argentati, Vincent Rainsworth sperò che un giorno anche un'altra testa avrebbe fatto la medesima fine.
    Raccolse il trofeo di quella vittoria, nascondendolo in una sacca, poi si diresse verso il successivo obiettivo.
     
     
    ***
     
    Mentre percorreva i gradini di pietra di quella scalinata infinita, Edward si domandò se la creatura nascosta nelle profondità degli abissi avrebbe potuto aiutarlo.
    La sua unica fonte di luce era una torcia, che gli rendeva visibili i resti di una città sepolta sotto le fondamenta di Weyra. Alcune case erano ancora intatte, ricoperte di polvere e detriti.
    Edward tossì quando una manciata di sassi e terra crollò dalla galleria che stava attraversando. La scalinata, intagliata nella roccia, offriva una vista sopraelevata della vecchia città, l'antica capitale, ma con quella oscurità erano pochi i dettagli che riusciva a cogliere.
    Con la sua torcia ne accese un'altra appesa alle pareti e per un istante si chiese se non avrebbe fatto meglio a tornare indietro. Non aveva garanzie che ciò che stava per fare avrebbe portato a qualche risultato.
    Nessun sovrano scendeva in quel luogo da moltissimo tempo e lui non era ansioso di trovare il mostro che Enuwiel aveva incatenato alla roccia più di mille anni prima.
    Quando riprese a camminare si domandò che cosa avrebbe pensato Clare se avesse mai scoperto che tipo di creatura era nascosta nel ventre della città.
    Un sasso rotolò verso il basso e il tonfo che produsse gli fece immediatamente portare la mano sull'elsa della spada. Accese una terza torcia, imponendosi di mantenere la calma.
    Arrivò sul fondo di quel cratere prima di quanto avesse immaginato, con le mani intirizzite per il freddo e i vestiti pregni di umidità. Fu allora che sentì il rumore di una sorgente d'acqua sotterranea e ricordò che era proprio seguendo quel ruscello che avrebbe trovato la creatura.
    Superò un pontile scricchiolante e continuò il suo cammino...
    Davanti a lui c'erano due figure e Edward illuminò la zona, dando fuoco alla pozza d'olio che ne delimitava l'entrata. Le fiamme si alzarono sulle pareti, delimitando uno spazio circolare diviso da una serie di grate robuste.
    Accanto a lui, seduta su un masso e ricoperta con abiti cenciosi si stagliava il profilo di una ragazza. Teneva il volto appoggiato sul ginocchio della gamba tesa, mentre la sinistra era lasciata penzolare nel vuoto. I capelli corvini le arrivavano alle cosce, ma erano talmente sporchi che Edward non avrebbe saputo dire se il nero fosse stato davvero il loro colore naturale. Portava una benda scura sull'occhio destro, ma l'altro fissava ogni suo movimento con la perizia di un animale a caccia.
    Lui notò che ai piedi della pietra c'erano diversi resti di ossa umane.
    "Non è passato molto tempo dall'ultima volta che qualcun altro si è presentato qui." intervenne la voce roca della ragazza, come se non bevesse da secoli. "Ma tu sei un nephilim... il figlio di Galatea?"
    Edward sussultò sentendo il nome della madre, ma la sua attenzione era attirata dall'oscurità che si celava dietro le sbarre. "Conoscevi mia madre?"
    "No, ma venne qui una volta." gli rispose lei. "Desiderò una cosa così sciocca... lo supplicò di uccidere il marito." aggiunse, indicandogli le sbarre.
    Edward serrò la mascella, imponendosi di non pensare a sua madre.
    "Mi minacciò con un pugnale arrugginito... La rimandai nel mondo di sopra in meno di dieci minuti... Era il primo nephilim che rivedevo da più di cento anni." La ragazza si mise in posizione eretta, tamburellando le dita delle mani sul masso. "Ora che conosci la storia sai anche da che parte è l'uscita. Non costringermi ad alzarmi... ho i muscoli fuori allenamento." disse con un sospiro.
    Edward socchiuse gli occhi e cercò di vedere cosa si nascondesse nell'oscurità dietro la gabbia.
    "Oh, mio padre non ama farsi vedere, vero?" sogghignò la sconosciuta.
    In risposta ottennero un basso e prolungato ringhio. "È così... come si diceva una volta? È così scontroso... una noia mortale." gli comunicò, gesticolando infastidita. "Ho passato gli ultimi mille anni così, sorvegliandolo perché Enuwiel non aveva abbastanza fegato per ammazzarlo. Capisci? Relegata a trascorrere l'eternità qui sotto..."
    "Perché non lo uccidi se ci tieni tanto?" la interruppe Edward.
    "Vedi... Come hai detto che ti chiami?"
    "Edward."
    Lei socchiuse l'occhio sano. "Lo farei molto volentieri, ma non posso toccare quelle sbarre. Storia lunga... Colpa di mia madre, una vampira psicotica con problemi di maternità. Non che da lui abbia preso di meglio." proseguì.
    "Sei il suo guardiano?" la interrogò Edward.
    "Carceriere vorrai dire."
    Alcuni borbottii sinistri provennero dalla direzione delle grate. "Non essere scortese, Azalya. È da molto che non abbiamo ospiti."
    La ragazza fece una smorfia disgustata, socchiudendo l'occhio sano.
    Edward si voltò appena, ma ancora non vide nulla oltre l'oscurità. "Nessuno ha mai menzionato una... guardia" osservò lui con sospetto.
    "Non sono io la minaccia. Quando lui si mostrerà capirai."
    "Se mi mostrerò." intervenne la voce della creatura.
    "Ama nascondersi..." gli spiegò Azalya, saltando a terra con una grazia che Edward non avrebbe mai creduto possibile lei possedesse. "Perché è disgustoso. Si nasconde anche da se stesso." specificò, suscitando un verso gutturale dallo sconosciuto.
    "Allora perché sei qui? Quale tipo di imminente catastrofe pensi che si abbatterà sul tuo regno? Un'invasione aliena?"
    "Cosa?" domandò Edward, fissandola con sgomento.
    "Oh, giusto... là sopra è una specie di secondo Medioevo, vero? No, sai che ti dico? Non darmi retta. Mille anni di solitudine insieme ad un angelo pazzo lasciano il segno."
    "Una figlia adorabile." commentò l'angelo celato dalle tenebre.
    Azalya lo ignorò, sistemandosi i brandelli di tessuto che indossava. "Un padre esemplare." replicò con ironia.
    Edward strinse i pugni con fare nervoso. Non gli piaceva la piega assunta dagli eventi e la schiena, nel punto in cui nascevano le ali, gli doleva. Azalya non aveva un aspetto per nulla rassicurante con il suo apparire sgualcito e i tratti del volto affilati.
    "Sento il battito del tuo cuore... sempre più veloce." sibilò l'angelo. "Se non fai attenzione la mia cara figlia te lo strapperà dal petto. Lo mangerà e il tuo cadavere rimarrà a marcire in questa grotta... Ossa scricchiolanti come quelle ai tuoi piedi!" strillò la sua voce.
    In risposta, Edward allungò una mano sull'impugnatura della spada.
    "Quella non ti salverà né da me né da lui." intervenne Azalya, che a lui ricordava un personaggio delle fiabe raccontate ai bambini prima di andare a letto. "Parla, re nephilim. Cosa stai cercando di ottenere?"
    Lui mosse un passo verso le sbarre. "Se ti liberassi tu saresti capace di uccidere Vlad Tepes?"
    Per un istante, Edward credette che il tempo si fosse cristallizzato perché il silenzio che avvolse quel luogo sembrava qualcosa di artificioso e irreale.
    E poi... lui si mostrò.
    La pelle, pallida, era cerchiata di nero attorno agli occhi e le iridi erano di una tinta sbiadita a metà tra l'arancio e il rosato. Era alto e così magro che a Edward ricordò i manichini di paglia usati dai soldati per esercitare la loro abilità con la spada. Le unghie erano sporche di nero e sangue rappreso, il segno dei suoi tentativi di fuga. Indossava come la ragazza una veste lacera e le ali ricadevano flaccide ai suoi piedi, come se lui non fosse più in grado di sostenerle. Le piume viravano da uno splendido arancio attorno all'attaccatura fino a diventare sempre più grigie verso l'esterno.
    Le ombre ruotavano attorno a lui come se ne fosse il padrone, mostrandolo e celandolo a tratti.
    "Un angelo Decaduto, ecco cos'è. Difficile dire se abbia perso prima il senno o la bellezza." disse Azalya, raggiungendo Edward alle spalle. "Ma vedi... Nevhiel del Tramonto non tenterà mai e poi mai di uccidere la Stella del Mattino. E se anche provasse ad eliminare Lucifero, io non ti lascerò condurlo in superficie."
    Edward si avvicinò alle sbarre con cautela, mostrando una smorfia di dolore quando un'ombra, su comando dell'angelo, lo ferì al dorso della mano.
    Tirandolo all'indietro con una smorfia infuriata, Azalya lo costrinse a rimanere a distanza.
    "Feccia nephilim..." dichiarò Nevhiel con disprezzo.
    "Non offendete, padre." lo ammonì Azalya con divertimento. Poi, girandosi verso Edward, aggiunse: "Spero per te che ci risparmi la sua opinione in merito al sangue misto. Ho passato i primi duecento anni di guardia sentendolo decantare le sue idee in proposito. Uno strazio."
    Per un istante Edward decise di rimanere in silenzio, troppo sfinito per iniziare una discussione che non avrebbe portato nessuno di loro da nessuna parte. Voleva solo salvare Clare... Salvarla.
    Ogni volta che passava davanti alla teca di cristallo i dubbi e le paure lo assalivano. Erano passati tre mesi da quando l'aveva vista viva e in salute e in quel lasso di tempo le rose del giardino reale si erano aggrovigliate attorno a Clare come se volessero stritolarla nella loro morsa sempre più stretta.
    E ora si ritrovava nelle profondità della capitale, dove oscuri segreti, antichi quanto la nascita della sua nazione, germogliavano tra le rovine di una città perduta.
    "Lo trovi divertente?" gridò ad Azalya, puntandole la spada alla gola.
    "Divertente?" sibilò la ragazza di rimando. "Divertente, eh?" ripeté con uno sguardo da folle. "Non c'è mai stato nulla di divertente nella mia esistenza. Hai idea di cosa significhi passare mille anni sottoterra?" continuò minacciosa. "Nessuno con cui parlare... Soffrire una fame lacerante che non può essere soddisfatta... Rinunciare alla luce delle stelle, alla poca umanità che mi rimane... Tu e tutti gli altri, lì sopra, siete salvi perché io mi sono assicurata che questo mostro non trovasse un modo per lasciare la sua prigione!" Azalya appoggiò una mano alla roccia, su cui si era seduta in precedenza, e cinque lunghi solchi si formarono dove le sue unghie affondarono.
    A lui sembrò quasi che la roccia si fosse sciolta sotto il tocco della ragazza.
    "Faresti meglio ad andartene." gli suggerì Azalya, portandosi le mani al petto come se qualcosa di invisibile la stesse attaccando. Tremava e dalla bocca le uscivano versi che assomigliavano a ringhi animali.
    "Ah, ed ecco il secondo mostro." commentò Nevhiel con una risata macabra.
    Azalya scattò verso le sbarre, stringendole con rabbia. "Vattene!" ordinò ad Edward con un tono grave. "Per favore..." aggiunse poi con un filo di voce.
    Lui esitò, alzando gli occhi verso la parete rocciosa che lo separava dal sole e da Clare. Annuì appena, guardando i lineamenti di Azalya farsi più marcati e bestiali, simili a quelli di un vampiro.
    "Tornerò." le disse, dando un'ultima occhiata alla figura di Nevhiel.
    "Allontanati!" gridò lei, mentre i piedi affondavano nel terreno. "Via!"
    Cogliendo la disperazione che animava la ragazza, Edward afferrò la torcia e corse verso l'uscita e la scalinata di pietra che lo avrebbero riportato in superficie.
    Quando, affannato, giunse al passaggio che separava Weyra dalla vecchia capitale udì solo un lamento scuotere le fondamenta del palazzo reale e si ricordò della ferita che Nevhiel gli aveva procurato.
    Un taglietto irrisorio sul dorso della mano che la sua metà angelica aveva già provveduto a guarire.
    Edward si domandò, allora, a cosa fosse dovuto il bruciore che aveva cominciato a diffondersi in tutto il suo braccio.
     




    Capitolo betato da: Jales
     
    Note: Ho adorato scrivere questo capitolo! *O* Soprattutto le parti con Vincent, Clare, e Edward LOL
    Fatemi sapere<3


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    Capitolo 25
    *** Cassandra Rainsworth ***




    24
    Cassandra Rainsworth
     

     
     
    "Ehi, Amelia! Ehi! Sei la mia sorellina, vero? Vero?"
    "Ti chiamerai Cassidy."
    "Amelia!"
    "Resterai con me per sempre, Cassidy. Ti è piaciuta la canzone?"
    "Dov'è Amelia?"
    "Profumi di rosa... Disgustoso. Ricordi cos'è una rosa?"
    "A... Ame-Amelia?"
     
     

    "Amelia?"
    "Chi dovrebbe essere?" domandò Freya, osservando le mosse della vampira.
    I movimenti di Cassidy apparivano scoordinati come se muscoli e cervello non la pensassero allo stesso modo. La vampira ondeggiava da un punto all'altro con fare confuso e lei non si trovava a suo agio di fronte ad un comportamento tanto bizzarro.
    Freya mosse appena le dita della mano per intimare ai rampicanti di fermarsi e fu in quel momento che una vampata di fuoco nero circondò tutta la zona circostante e dalle fiamme emerse la figura di Sebastian.
     
     
    Cassidy ricordava.
    Amelia era nata in un torrida giornata estiva e quando la balia gliela aveva messa in braccio, lei aveva pensato che quella creatura grinzosa e piagnucolante fosse la cosa più brutta che avesse mai visto.
    Non le era importato.
    Nei primi tempi, Amelia aveva avuto l'abitudine di chiamarla Cassidy e l'abitudine si era estesa fino ai primi anni di adolescenza.
    Sua sorella preferiva chiamarla così, raramente si appellava a lei con il suo vero nome: Cassandra.
     
     
    "Ah." Cassidy schiuse appena le labbra ed i suoi occhi si mossero prima sulle sue mani artigliate, poi verso la creatura che un tempo aveva amato. Lo amava ancora?
    Amelia era morta, molto tempo prima, ma lei non aveva mai smesso di volerle bene.
    Ma ora...
    Tutto era diverso. Lei era... Non era più Cassidy, ma nemmeno era Cassandra Rainsworth. Era qualcosa di insolito, qualcosa di nuovo.
    Non riusciva a capire appieno cosa significassero quei pensieri. Ogni idea nella sua mente era confusa. E c'era una strana voce, una presenza...
    "Cassandra."
    Lei non diede molto peso al richiamo di Sebastian. Si concentrò sulla ragazza, invece, la persona di cui Lilith le aveva parlato. Non le piacevano gli occhi viola con cui la fissava, con cui sembrava soppesare ogni sua mossa.
    Sentiva odore di sangue nell'aria, quello di Lucifero mischiato a quello di un angelo. Mikhail.
    "Sembri... diversa." commentò la fata, guardinga. "I tuoi occhi... Stanno diventando grigi."
    Cassandra non ci badò. Stava cambiando, e il cambiamento stavo portando alla luce sgradite consapevolezze.
    Si portò una mano tra i capelli, con foga, con il bisogno febbrile di svegliarsi dall'incubo che stava vivendo e tornare alla realtà. Ma non accadde e le braccia caddero a peso morto al suo fianco.
    "Profumi di rosa... Disgustoso. Ricordi cos'è una rosa?"
    La voce di Lilith riempiva la sua mente ed ogni pensiero era indirizzato verso la vampira. Era lei la rosa, perché il commento non era indirizzato al fiore, ma al casato Rainsworth, una famiglia di rovi e sangue.
    Una stirpe di combattenti.
    Un fiore che soffoca gli altri fiori.
    "Ora ricordo..." mormorò con un sorriso ambiguo.
     
     
    "Cassandra." chiamò Sebastian, ignorando le grida di suo padre. "Sei... morta." decretò con fare ovvio. Morta e rinata.
    Non riusciva a toglierle lo sguardo di dosso. Era alla ricerca di un segno, di un qualcosa che potesse ricordargli la ragazza che aveva amato in passato, ma c'era solo rabbia e smarrimento negli occhi della vampira.
    "Mi chiamo Cassidy, ora." replicò lei, puntando lo sguardo su Freya. "Un nuovo nome e una nuova esistenza." proseguì, chiudendo e riaprendo il pugno con fare pensieroso. "È tutto così..." esitò. "...così nuovo. Ho visto Amelia." aggiunse.
    Sebastian si limitò a chinare la testa di lato. "Lei è morta molto tempo fa. Tu sei morta. Ogni cosa è morta..." disse brusco. "Chi ti ha fatto questo?"
    Lei sorrise, un gesto ambiguo, e a lui non rimase altro che fissarla. "Sono certa che conosci la risposta."
    Fu Freya a farsi avanti e a guardare Cassandra con un'insolita comprensione. Come se lei potesse sapere qualcosa.
    Lo irritò. Morwen gli aveva tolto tutto e ora quella fata sconosciuta si metteva davanti a lui, come se la sua presenza fosse irrilevante. Le fate erano arroganti, ma quella in particolare...
    Avanzò di qualche passo, ma Freya parlò per prima. "Lilith."
    E quell'unico nome bastò. Lucifero e Michele smisero di fronteggiarsi. Le fiamme nere cessarono di bruciare attorno a loro e Sebastian gridò.
    "La storia tende a ripetersi. Ed è straordinariamente vero, non è così, Semiael?" intervenne Morwen. "Per essere ciò che sei nei secoli hai stretto legami piuttosto... curiosi. E ognuno di essi è stato spazzato via come un ramoscello nel vento. Ed ora questa..." la regina ebbe un fremito e il corpo di Freya si voltò verso Cassidy.
    "Chi sei tu?" domandò la vampira, socchiudendo gli occhi.
    "Cara, piccola, inutile, ragazza... Non sono certo io quella ad essere confusa." proclamò Morwen con un certo divertimento. "Ed è piuttosto chiaro che il canto di Lilith ha operato a lungo sulla tua mente."
    Sebastian strinse i pugni, evitando di pensare a sua madre, ma la risata di Lilith gli riempì la mente. Cassandra era morta e lui continuava a ripetersi quelle parole cercando di trarne conforto. Qualunque cosa fosse diventata, la persona davanti a lui non era la stessa di cento anni prima.
    "Cassidy!" la voce di Lucifero lo riportò alla realtà dei fatti.
    Michele era a terra, il tronco di un albero spezzato alle sue spalle, e suo padre si stava avvicinando a loro con passo lento. Stringeva Exaniha tra le mani con un'espressione infastidita sul volto e fiamme smeraldo avvolgevano la lama.
    C'era stato un tempo in cui Sebastian aveva temuto la forza di Lucifero. L'aveva visto decimare eserciti e distruggere città, strappare cuori dal petto e ridurre in cenere grandi civiltà... Ed era sempre stato al suo fianco.
    Ma poi le cose erano cambiate. Gradualmente, prima che potesse rendersene conto, suo padre era diventato un nemico, un avversario.
    Cassidy non rispose al richiamo di Lucifero. Afferrò una ciocca di capelli, torcendoli tra le dita come una bambina indispettita. "Amelia lo aveva detto. Mi aveva avvertito che un giorno mi sarei risvegliata in un mondo di sangue."
    Amelia.
    Sebastian non aveva più pensato a lei dal giorno del funerale. Era diventato bravo a rimuovere velocemente i ricordi più sofferenti, seppellendoli in un angolo della mente.
    Amelia era sempre stata un bambina minuta e fragile. Adorava ogni cosa facesse la sorella e Cassandra aveva sempre cercato di proteggerla. Era stato intorno ai cinque anni che aveva cominciato a sviluppare doti insolite. In seguito si era scoperto che i sogni di Amelia rappresentavano eventi futuri, quasi sempre riguardanti cose di poca importanza come l'andamento del clima o il cibo che i domestici avrebbero servito a casa Rainsworth.
    "Lilith ti sta aspettando, Cassidy." intervenne Lucifero con tono suadente. "Perché non torni nella foresta... e mi attendi lì?"
    La vampira chiuse e aprì gli occhi un paio di volte, apparentemente confusa.
    "Qualcun altro mi sta aspettando." replicò Cassidy, lasciando cadere mollemente le braccia lungo i fianchi.
    "Nessuno ti sta aspettando." obiettò il Caduto. "Tutti quelli che conoscevi sono morti. Lilith si è presa cura di te. Intendi deluderla?"
    Cassidy alzò la testa e Sebastian ricambiò l'occhiata guardinga che gli indirizzò.
    "Lui mi attende da molto, moltissimo tempo." disse lei. "Ma non sei tu." affermò, quasi dispiaciuta.
     
     
    Freya aveva afferrato un ramo spezzato e con un gesto della mano aveva lasciato che i rovi lo ricoprissero. I vampiri erano talmente concentrati su Cassidy che nessuno dei due si era reso conto del suo gesto. Se da un lato provava una sorta di affinità con quella sconosciuta che aveva saggiato i poteri di Lilith, dall'altro la metteva a disagio.
    Guardò Michele, ma l'angelo era troppo debole per essere di qualche aiuto e lei distolse lo sguardo per indirizzarlo nuovamente davanti a sé.
    "Dovete lasciarmi andare." esordì Cassidy, mettendo in evidenza i canini.
    Lucifero avanzò verso la vampira, ma Sebastian si frappose tra lui e la ragazza dicendo qualcosa al padre che Freya non riuscì a sentire.
    "Puoi venire con me, Cassandra, tu ed io... come una volta." propose Sebastian. "Ti porterò a casa. Conoscerai la tua famiglia..." proseguì.
    "Le cose sono cambiate." obiettò l'altra, scrollando le spalle. Sembrava indifferente a qualsiasi cosa le venisse detta e Freya non poteva darle torto. Ci era passata anche lei, quando dopo centinaia d'anni si era risvegliata in un mondo diverso da come lo ricordava. "Dimenticami, Sebastian. Non c'è spazio nel mio cuore per te o per una famiglia sconosciuta. L'unica cosa che mi manca è il sole, ma non sarebbe molto salutare per me attendere l'alba, vero?" considerò amaramente.
    "Tu verrai con me." sibilò Lucifero e si gettò su Cassidy, spingendola verso il lago.
    Quello che seguì avvenne così in fretta he Freya ebbe difficoltà a capire cosa fosse successo.
    Cassidy era immersa nell'acqua, le mani di Lucifero strette attorno alla gola e le ali di pipistrello spalancate verso la luna. Sebastian li aveva raggiunti immediatamente, scagliandosi sul padre e allontanandolo con forza dalla ragazza. Poi era accorso Michele e Freya lo aveva fermato prima che potesse unirsi allo scontro.
    "Non avvicinarti all'acqua." gli ordinò sbrigativa, prima di allungare il braccio e far sbocciare dal nulla dell'edera rampicante. La pianta si mosse silenziosa verso il lago, nascosta su fondale, e Freya le comandò di avvolgersi attorno al busto della vampira, immobilizzandola.
    Guardò Cassidy mentre cercava di dibattersi e utilizzò i suoi poteri per trascinarla a riva. Le impedì di parlare, ma era sicura che quella prigionia improvvisa non avrebbe retto a lungo. Dovevano andarsene da quel posto.
    Avvertiva un leggero senso di malessere, di nausea, e Morwen aveva cominciato a strillare nella sua mente, nel tentativo di prendere il controllo su di lei.
    Nemmeno la brezza leggera del vento riusciva a distrarla dalla sensazione che qualcosa si stava agitando nella profondità di quel lago.
    Un tremito attraversò il terreno e l'acqua del lago si increspò, creando onde sempre più grandi che dal centro si disperdevano verso la riva. Sebastian e Lucifero si fermarono a poca distanza l'uno dall'altro e Freya si immobilizzò quando i suoi occhi scorsero la sagoma di una creatura gigantesca avvicinarsi alla superficie.
    La cosa emerse un attimo più tardi, schizzando acqua in ogni direzione. Era grigia, dalla pelle grinzosa e con una serie di protuberanze simili a tentacoli. Il suo corpo era di una forma indefinita e ricoperto di alghe, ma aveva una bocca provvista di denti acuminati e una serie di occhi su entrambi i lati del viso. Freya si rese conto che aveva quattro zampe e che in quel momento stava poggiata con quelle posteriori. Assomigliava vagamente ad una tartaruga gigante senza guscio, uscita direttamente dal peggior incubo di un bambino.
    Era alta quattro volte l'albero più alto della foresta e sul dorso, dove avrebbe dovuto trovarsi la corazza si agitavano i tentacoli.
    "Credo che li utilizzi per catturare le prede. Immaginala mentre si confonde sul fondale e un branco di pesci le nuota a pochi metri di distanza." intervenne Morwen. "Non avrebbero nemmeno il tempo di accorgersi di essere finiti nello stomaco di un mostro."
    Freya non si sforzò di rispondere, troppo turbata dal lamento emesso dalla bestia. Gli uccelli si levarono in massa dai rami, volando rapidi verso l'interno della foresta, un luogo che anche a lei sarebbe piaciuto raggiungere.
    "Un mostro che hai creato tu!" gridò furibonda, rivolgendosi infine alla regina Unseelie. "Tu hai dilaniato il mondo con la tua guerra e la magia delle fate!" ansimò, ma non aveva tempo per pensare a Morwen. La creatura stava avanzando e i suoi tentacoli si erano protesi in avanti cercando di afferrare i due vampiri ancora nel lago. Ogni volta che uno di quelle cose sfiorava l'acqua, il colpo ricordava quello inferto da una frusta, ma dieci volte più forte e letale.
    Attirati dal frastuono di quanto stava accadendo, gli abitanti del villaggio di pescatori stavano avanzando verso il lago con torce che splendevano nel buio.
    "Michele..."
    "Ho visto." le rispose l'angelo, girandosi per guardare un'acrobazia aerea compiuta da Lucifero per evitare un tentacolo del mostro. Tornò a fissare i pescatori emettendo un lamento soffocato. "Fiocine e frecce spuntate. Se anche tentassimo di fermarli, non tornerebbero mai al villaggio."
    "Posso fermare la creatura, ma solo per pochi minuti. Dobbiamo andarcene. Lasciamo che se ne occupi Lucifero, lui non si ritira mai da uno scontro." fece notare Freya, distogliendo lo sguardo dalle prime vittime umane mietute dal mostro. I corpi che quello catturava venivano inghiottiti poco dopo e la parte più debole di lei le consigliava di abbandonare tutto e tutti in quel momento e fuggire. "Michele!" esclamò, afferrando l'angelo per il polso, prima che lui tentasse di correre verso gli uomini del villaggio. "Quella bestia va oltre le nostre possibilità. Forse ne avremmo avute in un tempo diverso, ma guardaci. Siamo stanchi, feriti... Tu devi salvare Clare, io ciò che rimane della mia razza... Se ora restiamo, è vero lasceremo molte vittime alle nostre spalle, ma se rimaniamo qui-" gli fece notare, alzando l'indice verso i corpi dilaniati in riva al lago "...diventeremo concime per i pesci." puntualizzò tagliente. "Non è questo il tuo destino."
    "Né il nostro." si intromise Morwen.
    Freya tacque, la testa piena delle grida dei pescatori e negli occhi l'immagine di Kayle che si muoveva sulle acque del lago come un ballerino, leggero come una piuma trasportata dal vento. Non era goffo e rallentato come Lucifero o Sebastian che affondavano nell'acqua o che per muoversi in aria dovevano utilizzare le ali.
    Lei lo aveva lasciato ai piedi di una tomba e ora lo stava condannando ad una morte certa.
    Dietro d lei, Cassidy si agitava nel tentativo di liberarsi, ringhiando come un animale ferito e Freya pensò che era proprio così che appariva. Le liane stringevano con forza la sua pelle cadaverica e le spine la trafiggevano coprendola di graffi ed escoriazioni.
    "Tienila d'occhio!" ordinò Freya a Michele, prima di correre verso la riva del lago.
     
     
    C'era stato un tempo in cui Titania si era fidata di lei, in cui la Corte Seelie le si era stretta attorno per nominarla regina e Brandon le aveva dimostrato una devozione ceca e assoluta.
    Era la maledizione della stirpe dei Pendragon. Freya aveva provato ad attenersi a quelle aspettative, ma aveva fallito, così come i suoi familiari prima di lei.
    Nessuno si era mai posto il problema di ciò che volesse lei, tutti avevano dato per scontato che desiderasse diventare regina. Forse era stato per via del suo legame con Titania, ma le fate l'avevano eletta a loro guida e lei aveva accettato in modo passivo.
    Poi, Titania era morta e lei aveva dovuto agire. Shyn-Lu aveva avuto ragione quando le aveva detto che era l'unica a poter cambiare la situazione creata da Morwen, ma anche allora Freya aveva esitato per molto tempo.
    Era stata una codarda.
    Aveva avuto paura. Le erano state addossate responsabilità che non sarebbe mai stata capace di gestire, troppo giovane e immatura per comprendere la portata degli eventi che stavano avvenendo.
    New York era bruciata, gli angeli erano scesi sulla Terra per combattere e il mondo era mutato prima che chiunque se ne rendesse conto.
    Aveva conosciuto il sangue e infine la follia di Morwen nella sua mente.
    Poi era rinata in un laboratorio, più fragile e indifesa di prima, aveva conosciuto la crudeltà del nuovo mondo e ora era lì, sulle sponde di un lago, di fronte ad un mostro creato da sortilegi e maledizioni.
    Inutile.
    Era così che Morwen l'aveva definita e lei era stufa di tutto. Quell'inerzia che la trascinava in avanti doveva cessare.
    Il cambiamento era prerogativa delle fate e Freya si era stufata di giocare a fare l'umana.
    Raggiunse la riva del lago con quella nuova consapevolezza e fece un respiro profondo. Quando espirò l'aria attorno a lei si fece sempre più fredda, gelida.
    L'acqua del lago diventò ghiaccio all'istante, cristallizzandosi.
     
     
    A Sebastian erano bastati pochi secondi per avvertire il cambio di temperatura. All'inizio non ci fece caso. La lotta con suo padre richiedeva tutta la sua concentrazione e preoccuparsi di un po' di freddo non era certo produttivo.
    "Questo combattimento non ha senso." disse Lucifero, quasi rassegnato all'idea di dover sostenere quella conversazione.
    Sotto di loro, il mostro emetteva suoni striduli e fastidiosi, ma Sebastian lo ignorò.
    "Perché ha voluto trasformare Cassandra?" gli domandò con astio. "Perché trasformarla nel mostro che tanto odiava?" riprese, ignorando la sensazione che la bisnonna di Clare era lì, a portata di mano.
    "Tua madre... ha sempre avuto un debole per le ragazze che riuscivano ad ottenere la tua attenzione. Voleva essere certa delle loro intenzioni, era così gelosa, così protettiva con te. Dopo i fatti di New York..." Lucifero si interruppe.
    "Non ha più importanza." tagliò corto Sebastian, serrando la mascella. Distese le ali e si lanciò sul padre, cercando di colpirlo ad una spalla ma il vampiro si scosto con un sorriso divertito sulle labbra.
    "La odiava, detestava ogni singolo membro di quella famiglia. Con il loro potere, il casato dei Rainsworth... Quando Cassandra morì-" continuò Lucifero, cambiando bruscamente discorso. "...Lilith pensò di farne la schiava che avrebbe distrutto quella dinastia, ma qualcosa andò storto, forse perché lei era una Guardiana. All'epoca ero intrappolato, come sai, non ho idea di cosa sia accaduto. Cassidy ha perso il controllo, è impazzita e Lilith ha fatto ciò che riteneva più giusto; le ha cancellato i ricordi."
    Sebastian attaccò nuovamente, finché entrambi precipitarono avvinghiati l'uno all'altro cadendo su una lastra di ghiaccio. Quando si separarono, notarono che l'intera superficie del lago si era cristallizzata e che ciò aveva impedito al mostro di avanzare verso gli umani. Quest'ultimi erano rimasti interdetti da quanto avvenuto e sembravano indecisi su come fosse meglio agire.
    "Un tempo li amavo, ci crederesti?" disse suo padre, facendolo sobbalzare. Erano rare le volte in cui Lucifero faceva riferimento a come doveva essere stata la sua vita prima della Caduta e Sebastian non replicò.
    Sotto di loro il ghiaccio mutava in continuazione, crepandosi e risaldandosi a un ritmo innaturale. Lui alzò lo sguardo verso la riva, dove Freya aveva un ginocchio poggiato sul terreno e una mano protesa in avanti a contatto costante con l'acqua ghiacciata.
    "I Pendragon hanno sempre posseduto una forza notevole." commentò Lucifero. "Ma la ragazza non potrà resistere che per pochi minuti." affermò, alzando Exaniha.
     
     
    "Devi liberarmi." ordinò Cassidy, guardando Michele negli occhi.
    L'angelo la fissò per pochi istanti prima di tornare al punto dove Freya era china sul lago. Sebastian e Lucifero si stavano fronteggiando e lui era stato costretto a farsi da parte come il più vile degli uomini.
    "Se vuoi salvare Clare devi lasciarmi andare." disse la vampira, tentando di mettersi in piedi.
    Lui si voltò di scatto. "Cosa stai dicendo?"
    "L'unicorno dentro di lei ha bisogno di un corpo. Clare è troppo debole, ma io no." sibilò con una smorfia.
    "Perché non sei più umana..." considerò Michele. "... e sei una Rainsworth."
    "Lui mi sta chiamando da lungo tempo. Posso aiutarlo e anche Clare."
    Erano a pochi passi di distanza e lui la guardò negli occhi.
    Salvare Clare.
    Era tutto ciò che desiderava, ciò che andava fatto, eppure fidarsi di quella vampira lo inquietava. L'instabilità emotiva di Cassidy le ricordava la follia di Freya e Morwen.
    "Lo sai che se torno con Lucifero non potrò più aiutarla. Il patto che la mia famiglia ha stretto con l'unicorno si è spezzato. Lui tornerà come ultimo della sua specie che tu lo voglia o no. Se per tornare nel mondo utilizzerà il corpo di Clare lei smetterà di esistere." aggiunse Cassandra, piegando il polso all'indietro. "Tu non desideri vedere il suo cadavere."
    Michele sfiorò l'elsa della spada e scosse la testa. "Sebastian, lui-"
    "Mi amava." lo interruppe Cassidy, mostrandogli un sorriso ambiguo. "Ma i sentimenti cambiano. Tu dovresti saperlo. Conosco la tua storia e quella di Lucifero."
    Lui non lo negò. "Sebastian non ti lascerà sacrificarti ora che ti ha ritrovata. Dovrebbe scegliere tra te e Clare." considerò, rendendosi conto che il freddo si stava intensificando.
    "Esiterà, lo conosco. Cercherà altre possibilità e nel frattempo la vita di Clare si spegnerà come una candela ormai consumata. Non accetterebbe mai la mia scelta, ma tu sì." continuò lei, inclinando la testa di lato. "Odio ciò che Lilith mi ha fatto ed ora che ricordo..."
    Cassidy aveva un'espressione folle, i canini premuti sulle labbra e si muoveva a scatti come una bambola agitata da una bambina. "Amelia mi sta aspettando. All'inizio ho pensato di attendere l'alba e bruciare come le streghe del passato, ma-"
    "Cassandra." la chiamò Michele. "Desideri morire?" Lo sguardo di lei si addolcì e per un breve istante all'angelo parve quasi umana.
    I rovi di Freya si strinsero attorno a Cassidy con più forza, quasi avessero intuito che qualcosa di sbagliato stesse avvenendo.
    "Per gli umani la morte è una liberazione. Dovevo morire quella notte nevosa di cento anni fa. Questa esistenza è una maledizione. Sebastian non mi capirebbe. L'ho amato, ma tutto è diverso ora. Non ricambio più quel sentimento. Sono diventata il mostro che avevo il compito di distruggere. Detesto me stessa e detesto lui." ringhiò Cassandra con rabbia, sputando un grumo di sangue sul terreno. "Voglio morire." confermò.
    Michele annuì. Molti vampiri che aveva incontrato in passato desideravano la medesima cosa e lui non si era fatto scrupoli ad accontentarli. Quel che i Caduti non avevano mai compreso era che gli umani non erano fatti per essere eterni. Il tempo si prendeva gioco di loro e con gli anni anelavano inevitabilmente alla morte.
    "Perché vuoi salvare Clare?" decise di domandarle.
    "Quella ragazza..." Cassidy si voltò verso il lago, la testa inclinata di lato. "Rimane sangue del mio sangue. E, dopotutto, avrò la possibilità di redimere un pezzo della mia anima se la aiuto. L'immortalità mi ha fatto temere la morte. Da umana non avevo paura di morire, uccidevo i vampiri perché ero convinta che la morte fosse la cosa migliore per loro."
    "È un tua scelta, Cassandra. Vivere o sacrificarti... per lei."
    La vampira sogghignò, alzando le spalle con fare incurante. "Ho passato la vita sacrificandomi per il Regno di Ziltar. Non credere di potermi mentire. Tu vuoi disperatamente che Clare viva. Hai mai notato come la tua voce si ammorbidisce quando pronunci il suo nome?"
    Michele rimase interdetto, chiedendosi se fosse vero. Clare lo aveva aiutato e lui aveva fatto lo stesso per lei. Ma non poteva mentire, dicendo che sarebbe rimasto indifferente alla sua morte. Era strano il legame che aveva creato con lei e la cosa lo metteva a disagio.
    Ricordava ancora il momento in cui Clare, nel sogno, aveva sfiorato le se ali e lui l'aveva lasciata fare. Un gesto che non aveva mai concesso di compiere a nessuno.
    "Non temere." lo rassicurò Cassidy, allungando le braccia avvolte dai rovi nella sua direzione. "Sarà il nostro segreto." sentenziò la vampira, mentre la spada di Enuwiel recideva le piante che la tenevano imprigionata.
     
     
    Freya annaspò in cerca di aria, artigliando il vento come se in esso potesse trovare sostegno. Alla fine cadde in avanti, a quattro zampe come un animale e lasciò che gli occhi osservassero i primi segni di disgelo sul lago.
    Era stanca, sfinita. Sentiva ogni forza abbandonarla come se il ghiaccio avesse intaccato anche lei dall'interno.
    Aveva intrappolato la creatura per pochi minuti e sperò che fossero bastati per risparmiare qualche vita umana. Si rifiutò di pensare alla vita di Kayle che era caduto in acqua quando un tentacolo del mostro l'aveva gettato negli abissi.
    L'aveva ucciso, ne era convinta: surgelato come un pezzo di carne morta.
    Sarebbe diventato l'ennesima vittima rimasta sulla sua coscienza, un altro membro del suo popolo morto per la sua inettitudine.
    "E allora trova quella dannatissima Pietra delle Lacrime!" s'intromise Morwen, indifferente al suo dolore. "Con essa salverai chiunque vorrai e il nostro popolo tornerà a vivere!" esclamò con rabbia.
    Freya fece per parlare, quando un suono attutito, quasi un rimbombo, attirò la sua attenzione. Si mise in piedi con fatica, lasciando ciondolare le braccia lungo i fianchi e osservò davanti a lei.
    Il rumore si ripeté, ma inizialmente non accadde nulla.
    Sembravano dei colpi come se qualcuno... No, si corresse, non qualcuno, ma Kayle!
    "È sopravvissuto." commentò Morwen con una sfumatura di incredulità nella voce.
    Freya mosse un passo verso il lago, ma le gambe le cedettero nuovamente.
    Una crepa e poi un'altra andarono a formarsi sulla superficie, poi il ghiaccio si ruppe, schizzando ovunque proiettili di ghiaccio e Kayle emerse dal lago. Teneva la lancia nella mano destra, aveva le labbra violacee e gli occhi erano di una cupa sfumatura cremisi.
     
     
    Le mani di Lucifero grondavano sangue e il vampiro le osservò sorpreso. Le ali rallentarono la loro spinta verso l'alto e lui piegò la testa in avanti, totalmente incapace di spiegarsi come una punta di ghiaccio, grossa quanto il suo braccio, l'avesse potuto perforare all'altezza dello stomaco.
    L'espressione di Sebastian gli diceva che anche suo figlio era stupito quanto lui. Un rivolo di sangue gli corse lungo il mento e le dita che stringevano Exaniha ebbero un tremito incontrollato.
    Soffocò un gemito di dolore, voltandosi di lato per capire cosa fosse successo. E fu allora che vide il ragazzo emerso dal ghiaccio muoversi verso la creatura, urlando di rabbia.
    Con fatica ripose Exaniha nel fodero e strinse le mani sul pezzo di ghiaccio intrappolato nella sua carne. Lo strappò ringhiando e il sangue zampillò sotto di lui, tingendo il ghiaccio di rosso.
    Sebastian non si era mosso, ma quando Lucifero avanzò verso di lui, per rassicurarlo sul fatto che non sarebbe morto, suo figlio lo afferrò, sostenendolo come se temesse che potesse precipitare.
    "Padre..." boccheggiò, premendo la mano libera sulla sua ferita.
    "Non credo di averti mai visto tanto sconvolto. " gli disse con una smorfia. "Ora ti renderai conto che posso morire come un umano." aggiunse, quasi sollevato all'idea che Sebastian si rendesse conto una volta per tutte che anche la Stella del Mattino non era infallibile.
    "Non credo che-"
    "Portami a terra." ordinò, indicandogli un punto nel bosco.
    Scesero ad una lentezza esasperante, con lo squarcio nel suo corpo che stentava a rimarginarsi. Si domandò come fosse stato così assorbito dalla lotta con suo figlio da dimenticarsi di prestare attenzione a ciò che gli stava attorno. Un errore simile non era degno del suo nome e l'umiliazione di farsi aiutare da Sebastian era...
    Sibilò quando toccarono il terreno e Semiael lo appoggiò al tronco di un abete morente.
    Prima che suo figlio ritirasse la mano, lui gliela afferrò, trattenendolo un istante.
    "Semiael... Stai tornando da loro?"
    "La tua ferita non è così grave. Ti basterà nutrirti di qualche umano e tornerai in forma." gli rispose cupo, allontanandosi di qualche passo.
    Lucifero non fu sorpreso di quel gesto. Sebastian voleva tornare indietro, da loro, e anche se voleva fermarlo non lo avrebbe fatto. Al momento della Caduta, lui stesso aveva fatto una scelta e suo figlio meritava di avere la stessa possibilità.
    "Da quando hai incontrato la Custode delle anime sei cambiato. L'attaccamento verso i mortali non porta mai a nulla di buono." Con quelle parole stava aggiungendo sale ad una ferita mai guarita dal passato di Sebastian e il modo in cui lui lo guardò gli diede ragione. "Clare Rainsworth si sta smarrendo. Riesco a sentirlo." spiegò Lucifero, ripulendosi il volto dal sangue. "Nel remoto caso tu riuscissi a raggiungerla in tempo, non sarà più la stessa ragazza che conoscevi."
    Sebastian strinse i pugni e gli diede le spalle. "Allora, concorderai che sto perdendo minuti preziosi." lo provocò.
    Lucifero dischiuse le labbra, compiaciuto da quella risposta.
    Sebastian distese le ali, fletté le gambe per compiere un balzo in avanti e lui lo osservò allontanarsi, pensando a come avrebbe reagito Lilith quando le avrebbe raccontato quanto era accaduto quella notte.
     
     
     
     

    Questo capitolo non è stato betato.
     


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    Capitolo 26
    *** Homunculus ***




    25
    Homunculus
     
     


    Freya non sapeva come aveva trovato la forza per tornare indietro da Michele. Le gambe le tremavano ad ogni passo e la vista era sfuocata al punto che per un attimo scambiò la sagoma dell'angelo per un albero.
    Avanzava ammantata da uno strano torpore e quando barcollò in avanti, impacciata come un'infante, si rese improvvisamente conto che i suoi occhi lacrimavano sangue. Non provava dolore, ma più tentava di strofinarsi in quel punto, più rivoli scarlatti le colavano sul viso.
    Era grata di non potersi guardare in uno specchio, perché era certa che vi avrebbe visto un mostro sgradito.
    Alla sue spalle sentiva gli ansiti e i gorgoglii della creatura che sorprendentemente Kayle aveva messo alle strette. Era emerso dal ghiaccio come la leggendaria spada di re Artù e come un arma aveva ferito e lacerato quel corpo mostruoso.
    Sapere che lui non era morto era un sollievo immane, ma lei non poteva fare più nulla per aiutarlo e Freya sperò che Kayle non finisse in altri guai.
    Continuava a chiedersi se Camille e gli altri abitanti del villaggio sarebbero stati ancora vivi se lei e Michele non fossero mai arrivati in quel luogo.
    L'essere del lago emise un urlo più acuto, che a Freya ricordò quello di una balena in fin di vita.
    Lei si guardò attorno con aria stranita, incapace di scorgere Lucifero e Sebastian, e raggiunse l'angelo inciampando più volte nelle buche del terreno.
    Michele era in piedi, leggermente curvato in avanti e si fissava le mani come se le vedesse per la prima volta. La spada di Enuwiel aveva la punta incastrata nel terreno e scintillava di un tenue azzurro nel buio della notte.
    Lui non parlò e Freya rimase perplessa. Le stava sfuggendo qualcosa, come se in tutto quel caos avesse dimenticato...
    "La prigioniera?" la voce le uscì più rauca di quanto credesse, flebile come quella di una persona in punto di morte.
    I rovi con cui aveva avvolto Cassandra giacevano a terra, recisi, mescolati al sangue della vampira. Accanto, c'erano delle impronte che sembravano dirigersi verso sud, la stessa strada che avrebbero dovuto percorrere anche lei e Michele.
    "Ti avevo detto di sorvegliarla!" boccheggiò incredula. "Dov'è andata? È tornata con Lucifero? Da Lilith? Che fine ha fatto Sebastian? Michele, cosa è successo?" lo interrogò, obbligandolo a voltarsi verso di lei.
    "L'ho lasciata andare." rispose atono, come se la sua mente fosse altrove.
    "L'hai liberata?" lo aggredì lei, incredula. "Hai fatto fuggire la vampira di tua iniziativa?" continuò attonita. "Non posso credere che tu lo abbia fatto! E me lo dici in quel modo, come se-"
    "Ho dovuto farlo." la interruppe Michele, serrando la mascella.
    "Potevamo usarla! Strapparle informazioni sui piani di Lucifero, impedirle di uccidere umani innocenti!"
    "Cassandra non poteva rimanere con noi." disse l'angelo con un tono di voce tagliente. "Era un pericolo."
    Freya si portò una mano tra i capelli con fare nervoso. "Certo che è un pericolo!" sibilò. "Non è umana, si nutre di sangue... Ed era nostra! Nostra, capisci Michele?"
    Si impose di ritrovare la calma, ma non riusciva ad accettare la scomparsa di Cassidy per mano di qualcuno di cui si fidava.
    "Credevo avessi capito che non devi fidarti di lui. O di Semiael o di-"
    "Te?" suggerì Freya, scacciando dalla mente lo sguardo beffardo di Morwen.
    Il lago si stava sciogliendo poco a poco e le zolle di ghiaccio si spostavano smosse dalle onde prodotte dal corpo della creatura, che ora era parzialmente immersa nell'acqua.
    Kayle era ancora lì, e la sua arma affondava ancora e ancora nella pelle dell'essere. C'era una macchia scura che si allargava nel lago attorno al mostro ferito e anche il ragazzo era ricoperto di quella sostanza. Lui colpiva con foga, con una cieca determinazione e Freya rimase a fissarlo assorta.
    "Cassandra era un problema di cui non potevamo occuparci. È stata l'amante di Sebastian e lui non... avrebbe capito." commentò Michele, distogliendola da Kayle.
    "Cosa c'era da capire?" sbottò lei, sentendo sospirare il compagno.
    "Clare."
    "Spiegati." lo incitò nervosa.
    "I Rainsworth proteggono il regno di Ziltar da quando Enuwiel ne garantì la stabilità. Prima di lui il mondo era caos e dopo... difficile dirlo. La Seconda Guerra Celeste si scatenò anche a causa di Enuwiel e quando ebbe termine, nacquero nuovi regni, nuovi stati... nuove forme di governo. In quel tempo, Sebastian massacrò ogni unicorno, nutrendosi del loro sangue, convinto che potesse rafforzare i suoi poteri. In un certo senso fu così e ottenne la possibilità di esporsi alla luce del sole senza subire danni al suo corpo... Quando eravamo a Shang ti ho spiegato qualcosa di questa famiglia e tu hai trovato altre informazioni sui libri che hai letto."
    Freya annuì, incapace di capire quale fosse il punto. "Sii più chiaro, Michele." Non voleva apparire insensibile, ma dovevano andarsene da lì.
    "Ti ho spiegato del Contratto che lega la Guardiana a Sebastian." proseguì l'angelo. "Ma in realtà, il Contratto è molto simile ad una maledizione." decretò.
    Freya sentì i muscoli del suo corpo farsi più tesi e non poté fare a meno di pensare al legame che la univa a Morwen.
    Una maledizione.
    "Con questo, cosa vorresti dirmi esattamente? Che Clare è maledetta? I Rainsworth lo sono?"
    "No. La prima Guardiana, Clarissa Rainsworth era ferita e sarebbe morta se non avesse accettato di aiutare l'ultimo unicorno. Lui la guarì e in seguito legò ad entrambi l'esistenza di Sebastian, obbligandolo al suo volere." doveva aver scorto perplessità sul volto di Freya, perché emise un verso di frustrazione. "Quando l'unicorno aiutò Clarissa era nelle medesime condizioni della Guardiana. Il suo corpo era ferito, debilitato, troppo debole per sopravvivere."
    Freya dischiuse le labbra, la gola che implorava per avere dell'acqua e le gambe sul punto di cedere nuovamente alla stanchezza.
    Aveva capito, naturalmente. Difficile non comprendere qualcosa che era accaduto anche a lei in circostanze differenti. Morwen era la sua maledizione, il tarlo che le consumava ogni giorno spirito e mente, mentre quella di Clare era costituita dallo spirito di una creatura morta da secoli.
    "Sono passati mille anni da quando Clarissa strinse il Contratto. Nel corso dei secoli l'unicorno si è fortificato e qualche mese fa Clare ha spezzato definitivamente il patto millenario. Lui rivuole un corpo e l'unica che può donarglielo è Cassandra."
    Era un discorso sensato, rifletté Freya. Anno dopo anno l'unicorno aveva contaminato il sangue dei Rainsworth rendendoli più forti, preparandoli per la sua rinascita.
    "E lo farà? Chi dice che Cassandra manterrà i suoi propositi?" gli rinfacciò lei, scuotendo la testa. "A volte sei così ingenuo..." aggiunse sovrappensiero.
    "Lo farà."
    "E cosa diremo a Sebastian?"
    Michele le diede le spalle e si inoltrò nel sentiero della foresta. "Sebastian cercherebbe di fermare Cassandra, ma è Clare quella che tra le due deve sopravvivere. Gli diremo che è fuggita... a nord."
    Lo seguì, scavalcando con rabbia un tronco caduto. "E il mostro del lago?" gli ricordò, tenendo a mente l'ultima immagine che aveva di Kayle.
    "Come hai detto tu stessa, dobbiamo andarcene. Il tempo che ci rimane per salvare Clare è sempre meno... Kayle se la sta cavando bene con la creatura. Lui è più forte di quanto credi."
    "E Lucifero?" insistette Freya.
    Una folata di vento inusuale le fece alzare gli occhi al cielo. La notte si stava schiarendo e non dovevano mancare molte ore all'alba. Sopra le cime degli alberi Sebastian li stava raggiungendo, solo e apparentemente incolume.
    Freya lo osservò mentre con grazia atterrava al suo fianco e provò un senso di smarrimento ricordando come le era apparso a New York.
    "Mi padre è stato ferito." annunciò Sebastian. "L'alba sorgerà fra un paio d'ore, quindi abbiamo un notevole vantaggio su di lui se partiamo ora. Dobbiamo dirigerci a ovest, verso la città portuale di Emeria. Prenderemo una nave e..." lui si guardò attorno, socchiudendo gli occhi. "Dov'è Cassandra?"
    Freya rabbrividì, ma si mantenne calma.
    "È riuscita a fuggire." rispose prontamente Michele. "Ha detto di volersi vendicare di Lilith. Era fuori di sé."
    Sebastian si guardò attorno con fare quasi febbrile. Scrutava ogni albero e ogni roccia come se potesse ritrovare Cassidy e Freya abbassò la testa con fare colpevole.
    "Devo trovarla!" ringhiò il vampiro, sul punto di andarsene nuovamente.
    "Semiael." lo chiamò Michele, autoritario. "Cassandra se n'è andata. Ti ha lasciato. È stata una sua scelta, una scelta che evidentemente non prevedeva la tua presenza con lei. Qualunque cosa voless-"
    "Abbandonato." sibilò Morwen. "E tu vuoi rincorrerla come un fedele cane da compagnia. Patetico." proseguì tagliente.
    Freya sobbalzò e si portò una mano al petto. C'era qualcosa di strano nel modo in cui Morwen aveva parlato, quasi come avesse voluto aiutare lei e Michele.
    "Morwen..." ringhiò il vampiro. "L'unica creatura patetica sei tu. Sopravvivi come un parassita dentro al corpo di quella ragazza."
    Freya avvertì il divertimento della regina unseelie, ma Morwen rimase zitta. "Ha ragione lei." esordì la fata. "Cassidy non ti vuole. Stai sprecando il tuo tempo." disse lapidaria.
    "Voi non sapete niente. Niente! Non conoscete Cassandra e men che meno me. Era confusa, spaventata..."
    E Freya rise.
    Rideva per l'assurdità della sua vita, per Kayle, per un angelo che aveva perso le ali, per un vampiro che aveva dato fuoco al mondo e per una ragazza intrappolata in una teca di cristallo.
    Si era portata una mano sullo stomaco e si era piegata in avanti. Lacrime di sangue le gocciolavano dagli occhi e tutto le sembrava così ingiusto. Il mondo era andato in rovina e tutto ciò che contava per Michele e Sebastian era la salvezza di una ragazza. In qualche modo c'era sempre di mezzo una ragazza...
    Lo trovava penoso, patetico e sbagliato. Ma le cose erano andate così.
    "Egoisti fino alla fine. " mormorò con rabbia. "Questo mondo non è cambiato affatto. Può essere mutato il suo aspetto, ma ciò che lo muove è sempre-" Si zittì. "Sto cercando di dirvi che dovreste smettere di concentrare le vostre energie per salvare singoli individui. Se Clare muore il mondo non andrà peggio di come è ora. Lei potrebbe aiutarvi a renderlo migliore? Forse, o forse no."
    "Lascia Clare fuori da questa storia." le intimò Sebastian.
    "E perché?" lo accusò con una smorfia. "Non è forse lei il fulcro della questione? Al mondo non occorre Clare Rainsworth, siete voi ad averne bisogno."
    "Un giorno ti ucciderò." le promise Sebastian, mentre sul palmo della sua mano si materializzava un fuoco nero. "Tu, Morwen... le fate. Tutte voi."
    Quella minaccia non la impressionò. "Davvero? Anche tua madre ha tentato di uccidermi, eppure, guardami... Sono qui, viva. Straordinariamente in forma." aggiunse con cattiveria.
    Lui scattò in avanti per afferrarle la gola e lei scivolò di lato, usando Michele come scudo. "Smettetela!" tuonò l'angelo. "Non andremo mai da nessuna parte se continueremo ad avere questo atteggiamento... Dovete calmarvi."
    "Sei uno stupido sentimentale. Perché non racconti a questo vampiro dei tuoi incontri con Clare nei tuoi sogni? O di come chiamavi il suo nome alla fortezza di Shang quando ti avevano tolto le ali?"
    Nessuno dei due le rispose. Sebastian scrutava Michele con occhi ostili e l'arcangelo ricambiava con uno sguardo tagliente.
    Dal lago Reewa i lamenti della creatura avevano smesso di farsi sentire e i primi raggi del sole avevano raggiunto i rami più alti degli alberi.
    "Basta così, vado a cercare Cassandra." dichiarò Sebastian. Sembrava sul punto di strangolare sia lei che Michele e una parte di Freya avrebbe voluto che lo facesse solo per potergli dimostrare il suo valore.
    "No, non lo farai."
    Era stato Michele a parlare e lei si ritrovò a guardarlo come se la luna avesse improvvisamente cambiato colore. "Verrai con noi." proseguì lapidario. "Non abbiamo più tempo. Lei non ne ha. Hai già tradito Clare una volta, non commettere nuovamente lo stesso errore."
     
    ***
     
    Trovare la grotta era stato un colpa di fortuna insperato e non appena l'aveva varcata Lucifero si era lasciato cadere su un fianco, schermandosi gli occhi dal bagliore del sole che cominciava ad albeggiare all'esterno.
    La ferita al petto era in via di guarigione, ma aveva bisogno di sangue per ristabilirsi e lo infastidiva dover attendere la sera in compagnia di ragni e pipistrelli addormentati sopra la sua testa.
    Sebastian e Michele stavano guadagnando terreno, ma d'altra parte conosceva il luogo che volevano raggiungere. Sarebbero arrivati a Clare prima di lui in ogni caso e a quel punto poteva anche attendere che la Guardiana si svegliasse e trafiggerla poi con i suoi artigli. Non aveva ragione di perdere altro tempo dietro a un figlio ribelle e ad una fragile umana.
    Aveva una guerra da organizzare e stanare Vincent Rainsworth era un desiderio impellente. Lo stregone aveva fatto male i suoi conti se aveva creduto davvero possibile riuscire a liberarlo dal luogo in cui era stato esiliato da Enuwiel e ucciderlo nello stesso istante.
    Con la disfatta che era seguita, Vlad Tepes aveva ritrovato la libertà, Vincent era stato costretto a fuggire come il peggiore dei traditori e il contratto tra i Rainsworth e Sebastian era stata spezzato. Alla fine, tutto era andato a suo vantaggio, eppure si ritrovava con una fata pericolosa e instabile in circolazione, Michele alla ricerca di Excalibur e con l'intenzione di distruggere la Pietra, un figlio che rinnegava i suoi desideri e Vincent che tesseva trappole nell'ombra.
    Provò ad individuare la presenza di Cassandra, ma della vampira non c'era traccia.
    Qualcun altro, però, vagava ignaro nelle vicinanze del suo nascondiglio e Lucifero si rese conto, con una certa soddisfazione personale, che si trattava del ragazzo-fata scorto nel lago e che lo aveva trafitto con il ghiaccio.
     
     
    ***
     
    Erano stati i quindici giorni più lunghi di quella sua nuova vita. Non era stato facile per lei convivere a stretto contatto con Sebastian e Michele. Freya aveva scambiato con loro il minimo di parole indispensabili e loro avevano fatto lo stesso.
    C'erano troppe cose non dette, parole che evitavano di menzionare per non minare il fragile equilibrio che avevano creato tra loro.
    Freya credeva che fossero il gruppo più assurdo e mal assortito di cui avesse mai sentito parlare. Gli umani avrebbero riso se avessero scoperto che un vampiro, un angelo e una fata collaboravano per ottenere un obiettivo comune.
    Durante quel periodo, Sebastian si assentava sempre durante il giorno e tornava la sera con nuove provviste prese da qualche villaggio. Freya e Michele non si avvicinavano mai agli insediamenti umani. Tutti e tre avevano concordato che non fosse saggio farsi vedere in giro per dare voci a pettegolezzi su insoliti stranieri.
    Il terzo giorno di marcia avevano rubato due cavalli e da allora il tragitto per raggiungere Emeria si era fatto più spedito.
    Quel giorno le mura basse della città portuale comparvero davanti a loro, seminascoste dalla nebbia. Non erano possenti e minacciose come quelle che Freya aveva avuto modo di vedere a Grefin. Adagiate alle mura erano state costruite le abitazione dei pescatori e non c'erano torri o soldati che custodissero l'entrata del borgo.
    Le persone entravano e uscivano liberamente dall'entrata a gruppi di due o tre, parlottando tra loro di affari. Carri carichi di pesce li superarono cigolando, mentre alcuni mendicanti cercavano di attirare la loro attenzione.
    Emeria era un chiacchiericcio continuo. La gente si affacciava dalle case gridando ai vicini da balconi ricoperti di fiori e i bambini correvano per le vie in modo confuso, urtando continuamente gli uomini che si intrattenevano per affari.
    Freya la trovò un luogo frenetico, diversa da Shang, dove il vescovo si assicurava un atteggiamento pacato da ogni suo abitante. Era una città viva, spensierata, allegra e per la prima volta Freya si trovò a suo agio, come se da sempre fosse stata alla ricerca di un posto simile.
    Le piaceva il modo in cui le donne sorridevano ai mariti sull’uscio delle loro abitazioni, la brezza marina che scompigliava i capelli bianchi dei vecchi, seduti su panchine di legno a raccontarsi aneddoti passati.
    La piazza centrale era piena di bancarelle straripanti di merci e tutti cercavano di accaparrarsi il pezzo migliore messo in vendita.
    "Credevo che posti simili esistessero solo nei racconti dei mercanti. " confessò a Michele, mentre due ragazzini li superavano urlando. "Pensavo che città floride e tranquille potessero trovarsi solo oltre il mare, o a sud..."
    "Ti entusiasmi per poco." le rinfacciò Sebastian, che si sforzava di apparire umano in quella calca di persone.
    "Come troveremo qualcuno disposto a trasportaci sulla sua nave?" chiese Michele, spostando lo sguardo verso il porto e i velieri ormeggiati che lo riempivano.
    Era la stessa domanda che si era posta anche Freya. Non avevano denaro con loro ed era evidente che almeno lei e Sebastian non fossero umani.
    "Fate un giro in città, alla nave penserò io. Vi raggiungerò quando saremo pronti per partire." rispose il vampiro senza fornire ulteriori dettagli.
    Sebastian li lasciò in mezzo al mercato, dileguandosi tra vicoli secondari e Freya emise un lamento infastidito.
    "Pensi che la gente di Shang sia sopravvissuta alla fuga da Grefin?" domandò a Michele. Avevano abbandonato i superstiti in quella città abitata da spie del continente occidentale, nella speranza che fuggissero via mare, ma nulla garantiva che si fossero realmente salvati.
    "Avevano buone possibilità di farcela." le rispose guardando dei gabbiani sorvolare la città "Non torturare troppo la tua mente. Ci sono eventi che nessuno ha il potere di controllare. I terremoti giungono sempre all'improvviso, nessuno può prevederli."
    Freya si portò le mani davanti al viso, osservandole alla luce del sole. "Per anni mi sono finta umana... e anche quando ero solo Arturya, ho sempre cercato qualcosa, il mio posto nel mondo. Sono destinata agli stessi errori di Sebastian?" tacque un'istante, ascoltando lo stridio degli uccelli.
    "Cosa intendi?"
    "Lo sai." replicò. "Sebastian è bloccato tra passato e presente, non riesce ad affacciarsi al futuro. Suo padre, i Rainsworth, quell'orologio... gli impediscono di andare oltre. È avvolto da troppe catene, catene che lo tengono prigioniero."
    Freya si avvolse le braccia attorno al corpo, lasciando vagare lo sguardo sul cielo. "E io sono come lui."
     
     
    ***
     
    Catacombe, la città ne era piena. Erano state costruite molto tempo prima e Vincent detestava percorrere quei cunicoli che sapevano di morte per ottenere informazioni. Lì, sotto metri di terra e in compagnia dei ragni si sentiva in trappola, sebbene fosse una sensazione illusoria. Nessuno avrebbe potuto ferirlo o catturarlo finché la Pietra sarebbe rimasta in suo possesso.
    Fece volteggiare in aria il globo di luce, assicurandosi che l'intensità non fosse troppo forte da attirare sconosciuti indesiderati nella sua direzione.
    Un tempo quel luogo doveva essere stata una metropoli, ma come fosse stato possibile che sopra la sua testa si fosse creta una nuova città, Vincent non riusciva a immaginarlo.
    Si raccontava che anche Weyra sorgesse sul cadavere, lasciato marcire per secoli, di una precedente capitale umana, ma se era così ai Rainsworth non era dato saperlo.
    Forse Sebastian ne era a conoscenza, ma in fin dei conti la cosa era irrilevante.
    Vincent avanzò senza fretta, memorizzando la strada che percorreva e lasciando i segni del suo passaggio nella polvere e nei detriti. Se qualcuno lo seguiva l'avrebbe guidato in una trappola.
    Superò la carcassa di un serpente, divorato dai vermi, tenendosi in direzione sud-est. Se le voci che aveva ascoltato in superficie corrispondevano al vero era proseguendo in quel modo che avrebbe scovato gli alchimisti ribelli. Dovevano essere una decina in tutto e Vincent aveva studiato a lungo i loro visi affissi sui vicoli cittadini per essere in grado di riconoscerli a prima vista.
    Ricordò che da bambino quello era un modo che utilizzava con Clare per divertirsi. Riconoscere fuggiti e criminali da una semplice descrizione del viso era una prerogativa dei Rainsworth, una necessità che si rendeva utile per scovarli tra il resto della popolazione. Theresa era solita metterli alla prova fornendo loro le informazioni base dei prigionieri e quando li spediva nelle prigioni per verificare le loro capacità, lui e Clare facevano a gara per scoprire chi tra i due sarebbe riuscito a indovinare più volti corrispondenti.
    Aveva sempre vinto Vincent e Theresa Rainsworth non aveva mai perso occasione per ricordarlo a Clare. Non era un mistero che fosse lui il nipote preferito.
    L'incantesimo di luce gli mostrò una serie di cerchi alchemici tracciati sulle mura e sul terreno che avrebbero dovuto fermare gli intrusi. Si trattava di esagoni e triangoli circoscritti in anelli di varie dimensioni, a loro volta affiancati da rune e ulteriori figure geometriche. Erano protezioni alchemiche di medio livello, ma inefficaci con lui.
    Afferrò la Pietra di Cristavia con la mano sinistra, sfilandola dal collo e reggendola davanti a sé come avrebbe fatto con una torcia. Il ciondolo emise un bagliore celeste, rimuovendo i segni alchemici al suo passaggio e rendendo inutili le trappole.
    Si fermò all'entrata dell'ennesima galleria, preso da una strana inquietudine. Appoggiò la mano libera sulla fronte sudata, scuotendo la testa. Sapeva a cosa era dovuta quella sensazione e ciò non gli portava alcun conforto. Nella sua mente, veloce come un battito di ciglia, si ripropose una delle immagini che per anni lo avevano tormentato: una rosa bianca recisa brutalmente che grondava sangue. Aveva sempre trovato quella figura grottesca e portatrice di sventura. L'aveva sognata quando aveva trovato sua zia Marianne in fin di vita e aveva acconsentito ad esaudire la sua richiesta, ma...
    "Clare..." mormorò. Serrò i pugni, maledicendo Lucifero e tutta la sua progenie. Un giorno, sarebbe riuscito a mandare lui e Sebastian all'oltretomba, come non importava. Non era giunto fino a quel punto per venire meno alla promessa di Marianne.
    Aveva ottenuto la Pietra ad un costo altissimo, motivo per cui non intendeva fallire. Il mondo intero avrebbe potuto odiarlo, ma sarebbe stato Vincent Rainsworth a salvarlo. O, almeno, avrebbe salvato Clare, l'unica di cui in fondo gli importava.
    Fino a quel giorno i suoi piani, quelli di Marianne, si erano sgretolati l'uno dietro l'altro e ora Lucifero era libero e vivo. Più vivo di quanto sarebbe dovuto essere se le ipotesi di sua zia fossero state corrette.
    Non lo avevano ucciso. Né lui, né Clare, né tanto meno Sebastian.
    Anni di preparativi erano andati in fumo e l'umanità necessitava di un miracolo per sopravvivere alla furia di Lilith e del suo consorte. Fortunatamente, lui sapeva come trovarne uno.
    Vincent si fermò. Davanti a lui la galleria era crollata e le macerie ostruivano il passaggio. Sbatté le palpebre un paio di volte, come se qualcosa gli fosse entrato negli occhi e comprese.
    Era un illusione. Non c'era alcun detrito lì, solo una vecchia porta di legno mangiata ai bordi da termiti e topi. Oltre gli giungevano le risate degli alchimisti ribelli, l'odore del vino e il raschiare delle posate nei piatti.
    Erano stati furbi, considerò. Per un attimo erano riusciti quasi ad ingannarlo con l'illusione di quel crollo, ma la Pietra non si era lasciata fuorviare.
    Appoggiò la mano sulla porta e spinse.
    Il brusio di voci si spense immediatamente e quindici volti tesi e sorpresi per quell'intrusione si voltarono verso di lui. Alcuni alchimisti che sedevano ad un tavolo si alzarono facendo cadere a terra le sedie e gli puntarono addosso i propri pugnali.
    "Come hai fatto, ehi, come ha-?"
    Vincent si voltò verso il ragazzo che aveva parlato per primo, interrotto da una donna che lo aveva zittito con un gesto imperioso.
    "Il ragazzo ti ha fatto una domanda." intervenne l'uomo massiccio, quello che Vincent identificò come il capo di quella banda. Aveva lo sguardo duro, la barba incolta e un sigillo alchemico tatuato sul dorso della mano destra.
    "Ho spezzato i cerchi." gli rispose tranquillo, guardandolo negli occhi.
    L'altro si irrigidì, intimando ai compagni di farsi da parte. Si fronteggiarono in silenzio e Vincent si massaggiò la testa.
    "Ti conosco." sbottò il capo, piegandosi in avanti.
    La donna si fece avanti di un passo. "Ender dobbiamo andarcene!" esclamò con tono impaziente, cercando di raggiungere l'uomo. "Le sentinelle saranno qui a momenti. Se le difese sono spezzate..." le si incrinò la voce. "Dobbiamo salvare i bambini."
    Vincent non fece alcun commento, si limitò ad osservare i due ragazzini e la bambina che si stringevano le mani tra loro nell'angolo più buio della stanza.
    "Sì... io ti conosco." commentò Ender, gonfiando i muscoli del torace. "Sei lo straniero dagli occhi di giada. Parlano di te in superficie, l'imperatrice ti cerca."
    "E presto mi troverà." gli assicurò Vincent con una smorfia. "Farò di più in effetti... andrò da lei."
    "Tu sei pazzo!" dichiarò l'uomo, puntandogli contro il dito. "Lei ti vuole morto! Perché sei qui? Stavi fuggendo? Ti inseguono?" domandò Ender, sporgendosi di lato per vedere se dal tunnel sarebbero emersi soldati. "Per questo ti trovi qui? Ci metterai tutti in pericolo!"
    La bambina più piccola scoppiò in lacrime.
    "Nessuno mi segue e nessuno sa che sono qui." spiegò Vincent. "E mi dispiace per voi." aggiunse sincero. "Siete alchimisti onesti, non avete nulla a che fare con i piani dell'imperatrice... Non l'avete aiutata con i suoi esperimenti, cercate di mettere in guardia la gente in superficie... Tuttavia..." continuò, rivelando la Pietra nel suo pugno. "Verrete con me. Siete i ricercati numero uno della capitale e-"
    Non finì la frase. Ender lo aveva attaccato con il pugnale e Vincent schivò il colpo spostandosi lateralmente lungo le pareti. Fletté le ginocchia e attaccò a sua volta l'avversario, colpendolo con un pugno alla mascella che fece barcollare Ender all’indietro.
    Ender gridò qualcosa agli altri alchimisti e loro circondarono Vincent, pronti per aiutare il loro capo. Due di loro tracciarono un cerchio alchemico con il gesso, lo sfiorarono con la mano e dal terreno emersero rocce acuminate che sfrecciarono verso il petto di Vincent.
    In risposta, lui agitò il polso e una barriera magica lo protesse dal attacco. I due incantesimi si scontrarono generando una serie di scintille e Vincent diede forma ad una spada di ghiaccio che strinse nella mano destra.
    "Sei uno stregone del sud!" sibilò Ender. "Prendetelo!" ordinò ai compagni.
    "Se sono giunto qui non è certo perché vi temo." disse Vincent. "Potete seguirmi in maniera civile, oppure in catene."
    "Che cosa vuoi da noi? Non abbiamo nulla a che fare con te. Nemmeno ci conosciamo."
    "Nulla di personale, ma..." alzò le spalle con fare svogliato. "Mi occorre un esercito e voi siete la chiave per ottenerlo."
    "Esercito?"
    "Esatto." La Pietra di Cristavia emise un bagliore dorato che accecò gli alchimisti, facendogli indietreggiare. Poi emersero le catene, pallide e evanescenti come fossero state di luce e si avvolsero attorno ai polsi e alle caviglie di tutti i presenti, stringendosi con crudeltà alla carne. Imprecazioni e lamenti soffocati riempirono la caverna artificiale.
    Ender provò a lanciarsi in avanti con tutto il suo peso, ma le catene lo tirarono bruscamente all'indietro e allora fu Vincent ad avvicinarsi. Poggiò la spada sul collo dell'alchimista e... si fermò.
    Non aveva ragione di ucciderlo e, inoltre, non intendeva macchiare ulteriormente il nome dei Rainsworth. La lama di ghiacciò gli scomparve dalle dita in un battito di ciglia e lui lasciò ciondolare il braccio verso il basso.
    "Quale esercito?" intervenne nuovamente Ender.
    Vincent sospettava che stesse prendendo tempo, ma decise che in fondo meritava una spiegazione. "Forse non siete informati del fatto -dato che vi nascondete come ratti nelle fogne- ma il sovrano dei vampiri, Vlad Tepes, ha intenzione di scatenare una guerra al genere umano. Vuole ridurci in schiavi e ci riuscirà, visto e considerato come ci trucidiamo tra noi."
    "E noi a cosa ti serviamo?" disse l'alchimista, sospettoso. La catena raschiò sul pavimento.
    "Siete ricercati dall'imperatore e la sua consorte. Vi siete opposti ai loro progetti. Lo avete fatto tardi, certo, ma i loro esperimenti alchemici sui corpi umani hanno subito un forte rallentamento." rivelò Vincent, afferrando la sacca che si portava in spalla.
    "Sei solo uno straniero." grugnì Ender. "Non hai idea di cosa stai parlando. Tu non..."
    Vincent aprì il sacco di tela grezzo e con la mano libera ne estrasse il contenuto. La testa mozzata ruzzolò sulla pietra, incastrandosi tra una sedia e il tavolo.
    Lui considerò che la magia l'aveva conservata bene. Aveva ucciso quella sentinella più di dieci giorni prima, ma sembrava non fosse passato un giorno. Gli occhi argentei con la pupilla ferina fissavano il vuoto, mentre Ender osservava scioccato ciò che restava della guardia.
    "Come vedi, come vedete, so quello che sto dicendo." proseguì Vincent, rivolgendosi a tutti i presenti. "Per anni avete giocato a fare Dio e il risultato è chiaro. Avete sfidato la sorte e se fosse per me vi avrei già giustiziati. Nel Regno di Ziltar una simile oscenità non sarebbe mai stata permessa."
    "Ma ora vi servono gli homunculus. Comodo." replicò Ender.
    "Homunculus... definite così gli umani nati dall'alchimia?"
    "Esatto. Dite di disprezzare quelle creature, ma volete scatenarle contro i vampiri. Mi credi uno sciocco? L'imperatrice non concederà nulla al tuo re."
    Vincent sorrise, pensando ad Edward. "No. " confermò indolente "Imperatori e re di questo continente non hanno mai avuto buoni rapporti. No. Sarà a me che l'imperatrice cederà il suo esercito di homunculus."
    "Quello che dici non ha senso."
    "Lo avrà" gli assicurò. "Sarete la mia merce di scambio. Gli alchimisti ricercati per insubordinazione e tradimento in cambio dei favori dell'imperatrice. L'impero necessità delle vostre conoscenze, io ho bisogno di quel potere."
    "Che il Creatore ti possa spedire nell'Abisso!" sbraitò Ender, strattonando le catene.
    Vincent gli mostrò un sorriso amaro. "E allora farò in modo che anche Lucifero cada con me."
     
    ***
     
     
    Camminavano lungo la banchina del porto da quasi mezz'ora. Cercavano Sebastian, mentre i pescatori del luogo spingevano lei e Michele da parte quando dovevano passare con funi e cesti ricolmi di pesce. Emeria non sembrava una città preoccupata dalla guerra, o forse non era consapevole di quanto accadeva fuori dai suoi confini.
    Freya si lasciò cullare nel tepore del sole e gettò un'occhiata furtiva all'angelo. Sembrava teso, nervoso, mentre percorrevano l'ennesima banchina del porto.
    "Non temere, faremo in tempo." gli disse rassicurante, chiedendosi perché fosse così brava a consolare gli altri, ma non se stessa. "L'hai più vista?"
    "No." Michele scosse la testa e lei provò l'impulso di allungare la mano per afferrare la sua. Si fermò non appena ebbe visualizzato quel pensiero, restia a fare o dire qualsiasi altra cosa.
    "Sono giorni che non ho più notizie di Clare. Non la vedo." continuò Michele, puntando lo sguardo sul mare e sulle imbarcazioni che lo affollavano. "E tu? Come stai Freya? Come procedono le cose con... Morwen?"
    La domanda la colse tanto inaspettata che Freya sobbalzò, come se nominare la regina della Corte Unseelie potesse manifestarla nella sua mente. In realtà, era da un po' di tempo che Morwen sembrava essersi assopita tra i suoi pensieri e lei era troppo soddisfatta del risultato per sforzarsi di capirne il motivo. Quegli attimi di pace erano una rarità, per ciò si limitò a rispondere con un: "Bene."
    Ripresero a camminare in un silenzio quasi imbarazzante che nessuno dei due sembrava propenso a spezzare.
    Freya osservò le navi. Erano centinaia, da quelle più semplici a remi dei pescatori più poveri a quelle più grandi dei mercanti, che potevano trasportare una trentina di persone. Alcune erano armeggiate in un cantiere per essere riparate, altre erano così vecchie che sembravano essere state dimenticate a se stesse. Sulle fiancate di ognuna, però, era stato dipinto il nome del veliero. Nel cielo svettavano vele dai più svariati colori, perfino quelle nere dei pirati contrabbandieri delle isole al sud.
    Nessuna di quelle imbarcazioni, però, le sembrava adatta per un viaggio come il loro che richiedeva velocità e un equipaggio ben preparato.
    Non poteva chiedere informazioni a Sebastian perché si era dileguato in cerca di una nave e Michele era troppo assorto nelle sue pene personali per esserle di qualche aiuto.
    Un pescatore la urtò, spingendola verso l'angelo e quando si rialzò con un epiteto ben poco carino sulla punta della lingua, il suo compagno le indicò un punto imprecisato davanti a loro.
    Inizialmente, Freya non notò nulla di particolare. Solo navi, navi e navi. Poi la vide.
    Era un veliero militare dalla forma allungata e dall'apparenza più solida delle altre imbarcazioni ormeggiate ad Emeria. Era isolata dalle altre navi e su di essa faceva bella mostra una bandiera bianca con al centro lo stemma reale del Regno di Ziltar: una corona avvolta da ali, incorniciata in un disegno di rovi e boccioli di rosa.
    Il nome che portava quel veliero dal lucido legno scuro era Temerhia e in attesa sul ponte di comando stava Sebastian con le braccia incrociate sul petto e impegnato a discutere con il capitano. Attorno a loro si affaccendavano soldati e marinai con addosso le uniformi bianche e blu del regno.
    "Sembra che ci stiano aspettando." commentò Michele, invitandola con un gesto a proseguire.
    Lei annuì, chiedendosi come quegli umani potessero apparire tanto tranquilli davanti a un vampiro. Nell'epoca in cui lei era vissuta, in cui la civiltà umana aveva raggiunto l'apice della grandezza, i mortali non si sarebbero mai avvicinati a una creatura simile. Ma forse Sebastian era diverso. L'aveva sempre pensato, fin dal giorno in cui l'aveva osservato tra le macerie in fiamme di New York.
    Michele salì per primo sulla Temerhia, spiccando un salto in aria e atterrando sul ponte con una grazia felina che lei non sarebbe mai stata in grado di eguagliare.
    Al contrario di lui, Freya si limitò ad afferrare saldamente la scala di corda che penzolava sul fianco della nave e a issarsi sul veliero con la forza dei muscoli.
    "Signori!" esordì il capitano, un uomo calvo e dai modi rigidi. "Benvenuti a bordo della Temerhia. Salperemo a breve perciò sarò rapido. Ci sono tre regole che pretendo voi rispettiate finché sarete a bordo. Uno: non sono ammesse risse a bordo della mia nave." spiegò, squadrando Michele con aria torva. Era più basso dell'angelo, motivo per cui Freya trovò divertente quel confronto impari.
    "Due: il re ci ha ordinato di scortarvi verso la capitale, se tenterete la fuga sarete arrestati." Evidentemente il capitano non era stato messo al corrente della loro missione o avrebbe saputo che di fuggire non ne avevano alcuna intenzione.
    "E tre..." disse con aria grave. "Se qualcosa di strano dovesse accadere ad uno solo dei miei uomini vi riterrò responsabili del suddetto fatto." lanciò un'occhiata a Sebastian che in risposta gli mostrò i canini.
    Il capitano scosse la testa, ma a Freya sembrò che avesse avuto a che fare altre volte con il vampiro.
    "Quanto tempo impiegheremo per arrivare?" domandò Michele.
    "Il tempo necessario." grugnì il capitano. "Non posso prevedere i capricci del vento. Nelle migliori delle ipotesi dodici giorni." rispose secco.
    "Troppi." intervenne Sebastian. "Ed è qui che entri in gioco tu, Freya."
    "Vuoi che prenda il controllo del vento." lo precedette lei, annuendo tra sé.
    L'uomo borbottò qualcosa. "Vi lascio, certe stregonerie non fanno per me." concluse, congedandosi.
    "Sì..." disse Freya, guardando la speranza crescere negli occhi di Michele. "Posso riuscirci. Piegherò il vento ai nostri bisogni." rise.
    Si sentiva bene, tranquilla, quasi felice... Non lo aveva capito fino al momento in cui aveva incontrato Sebastian, ma ora lo sapeva. Non aveva motivo di nascondere le cicatrici del suo animo e non poteva lasciare che il passato influenzasse qualsiasi cosa il presente volesse offrirle. Era rinata.
    Era rinata insieme al mondo e voleva proteggere il mondo che aveva imparato a conoscere. Il dolore non sarebbe mai scomparso, i ricordi nemmeno... Ma poteva crearne di nuovi. Era viva, era sopravvissuta.
    "Siamo sopravvissute." insinuò la voce maligna di Morwen.
    E Freya sorrise, perché Michele le aveva fatto intendere un modo per spezzare quella maledizione che la univa alla regina unseelie. Ci pensava da quando sulle rive del lago le aveva raccontato del patto stretto tra i Rainsworth e l'unicorno.
    L'unicorno infettava l'animo di Clare come Morwen corrompeva il suo, ma lui sarebbe rinato nel corpo di Cassandra.
    E allora, per quale motivo lei non avrebbe potuto fare la stessa cosa con Morwen? Avrebbe dato alla fata un fantoccio con il quale sarebbe potuta tornare nel mondo e a quel punto...
    L'avrebbe uccisa.
    Doveva solo appropriarsi della Pietra di Cristavia. Morwen sarebbe scomparsa dalla sua vita e il popolo fatato sarebbe tornato a vivere.
     



     
     
     
    Questo capitolo non è stato betato.

    Note: Miei cari lettori gioite! *w* Questo è l'ultimo capitolo, manca solo l'epilogo! <3
    Cosa ne pensate? Alcuni nodi sono in parte venuti al pettine, ma la risoluzione finale di ogni mistero avverrà nella storia finale della trilogia! Se avete voglia di farmi sapere la vostra opinione, visto che siamo giunti quasi alla fine, ascolterò con piacere i vostri consigli!
    E con l'avvicinarsi della fine ho anche realizzato un nuovo banner. Vi piace?
     

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    Capitolo 27
    *** Epilogo ***




    26
    Epilogo
     
     
     
    Era una notte serena e la stanza era buia. Le finestre erano spalancate e le tende bianche volteggiavano nell'aria come fantasmi. A terra c'era un vaso di fiori rovesciato e ridotto in frantumi, i petali erano secchi e il loro profumo nauseante colmava ogni angolo.
    Qualcuno bussò alla porta ed Edward si trascinò verso l'entrata per permettere all’uomo che aveva atteso di entrare.
    La mano gli tremò quando spinse il battente all'indietro e con un sibilo infastidito si coprì gli occhi con il braccio sinistro, tentando invano di ripararsi dalla luce del corridoio. Quando il dottore entrò, dopo aver a lungo esitato, il re sbatté la porta alle loro spalle e camminò con passo malfermo verso la poltrona.
    Non si curò delle ali che si trascinavano come panni sporchi alle sue spalle, né dei colpi di tosse che occasionalmente gli squassavano il petto. Da alcune settimane aveva imparato a convivere con la malattia. La cosa più difficile era trovare sempre più spesso scuse valide per non dover presenziare alle riunioni del Consiglio. Per qualche secondo cercò di evitare lo sguardo del medico, incapace di affrontare l'ennesima occhiata di biasimo.
    "Vi ho portato altro estratto di papavero." annunciò l'uomo, posando sul tavolo un sacchetto di cuoio. "Ma ne state consumando troppo." si premurò di aggiungere con un sospiro.
    Edward lo sapeva, ma il dolore era troppo da sopportare e l'oppio era l'unica cosa che riusciva a calmarlo, sebbene di poco.
    "Non avete mangiato la cena." commentò il medico, guardando il vassoio ancora intatto che i domestici avevano portato qualche ora prima.
    "Non ho appetito." rispose lui, chiedendosi per quanto a lungo avrebbe potuto resistere in quelle condizioni. Sperava solo di poter rivedere Clare e confessargli la verità sulla morte dei suoi genitori.
    "Dovete mangiare... So che non vi piace sentirvelo dire in continuazione, ma voi siete il mio re ed è mio dovere assicurarmi delle vostra salute."
    Edward soffocò un colpo di tosse e allungò la mano per prendere l'estratto di papavero, ma il dottore lo fermò.
    "Non sapete come curarmi, non sapete che malattia ho contratto, non sapete nulla... Almeno, concedetemi un sollievo temporaneo." sbottò Edward.
    "Troveremo una soluzione." si difese l'altro.
    No, non l'avrebbero trovata e il motivo era semplice. Nelle sue vene scorreva il sangue dell'angelo Enuwiel che permetteva al suo corpo di guarire molto più rapidamente di uno umano. Qualunque cosa gli stesse accadendo non era...
    Non era una malattia comune che poteva aver contratto per qualche assurdo motivo.
    Ebbe uno spasmo violento alla gamba che lo costrinse a stringere i denti e ad ansimare come se gli mancasse l'aria, ma in pochi secondi il dolore passò.
    "Riuscite a dormire?"
    "No, gli incubi mi tengono sveglio." replicò lui.
    "Forse potrei aiutarvi se mi raccontaste cosa sognate. Potreste-"
    "No." ripeté Edward, categorico. Non voleva raccontare di quei sogni con nessuno. Non era più sceso nelle rovine della città sotterranea, ma ogni notte, la ragazza, Azalya, gli faceva visita nella mente e lui non voleva spiegare al dottore cosa lo turbasse.
    La sognava china su di lui, gli occhi cremisi e feroci, i canini sporgenti e il resto del corpo nell'ombra. Rideva come la creatura rinchiusa alle sue spalle, mentre affondava le dita nel suo petto fino a trovarne il cuore. Poi glielo strappava e lo mangiava sotto il suo sguardo morente.
    L'angelo decaduto rideva e chiamava il nome della figlia, lei piangeva.
    Edward si svegliava vomitando il poco cibo che riusciva a mangiare, con il battito del cuore frenetico e le lenzuola bagnate di sudore.
    "Abbiamo finito?" chiese brusco.
    L'uomo sospirò, si strinse nel cappotto e borbottò qualcosa tra sé. "Sì." confermò.
    "Allora potete andare." lo congedò Edward, senza aggiungere altro.
     
     
    Era in piedi, accanto alla finestra aperta, troppo stanco per tentare di dormire con la possibilità di dover affrontare un nuovo incubo. Fissava il punto del giardino in cui Clare, protetta dal cristallo, affrontava il suo lungo sonno.
    I rovi che avvolgevano la teca stavano fiorendo, eppure Edward non poteva che pensare a come quelle piante sembrassero soffocare il corpo della ragazza.
    Aveva chiesto ai giardinieri di rimuoverle, ma ogni volta quelle ricrescevano più forti e numerose di prima. Una maledizione, avevano insinuato alcuni, e a nulla erano valse le sue parole o quelle dei mistici.
    Qualcosa attirò la sua attenzione e i suoi occhi si concentrarono nel seguire i movimenti di una figura che si muoveva guardinga lungo le siepi, cercando di evitare le zone più luminose ed esposte alla vista delle guardie.
    Un vampiro.
    Edward fece per chiamare le guardie, ma il fiato gli rimase intrappolato in gola e le forze lo abbandonarono di colpo. Si ritrovò inginocchiato sul pavimento con le braccia strette ai bordi della finestra nel tentativo di sorreggere il busto e vedere cosa stava accadendo.
    Le ali erano ferme, immobili, quasi in attesa come lui di conoscere l'avvenire.
    E il vampiro avanzò.
    Superò le fontane, oltrepassò il labirinto, calpestò il roseto e proseguì indisturbato sul sentiero sorvegliato notte e giorno dai soldati.
    Edward lo guardò rivolgere qualche parola alle guardie, fare loro un cenno del capo e reciderle le teste l'istante successivo.
    Di nuovo, lui tentò di avvertire la guardia reale, ma rantolò solo parole incomprensibili e troppo basse per essere udite. Quella sera aveva abusato della polvere di papavero e il suo corpo reagiva troppo lentamente ai suoi comandi.
    Non gli era rimasto più tempo.
    Il vampiro sfiorò il cristallo di Clare e un lampo di luce avvolse ogni cosa.

     
    ***
     
     
    "Stai scappando?"
    La voce riecheggiò tra le dune del deserto; un eco tra i sibili del vento.
    La tempesta di sabbia imperversava su tutto e lei rimaneva caparbiamente in piedi, insensibile a quel caos che avvolgeva ogni cosa attorno a sé.
    "No." la sua voce suonò chiara, malgrado le circostanze.
    "Questa è una menzogna. Stai fuggendo. Se così non fosse non ti troveresti qui."
    Lei fece un passo in avanti, scrutando pensierosa l'orizzonte. Tuttavia, non vi era nulla che potesse indicarle la provenienza o l'origine di quell'interlocutore invisibile.
    "Clare Rainsworth." tuonò la voce. "Tu fuggi, ma ancora non lo sai. Ti nascondi, ma ancora non lo sai." cantilenò.
    La sabbia le vorticò attorno al volto, obbligandola a ripararsi con un braccio e a socchiudere gli occhi. "Sbagli. Sto cercando qualcuno. Devo trovarlo." replicò.
    "Tu scappi, Clare. Chi stai cercando? Chi?" domandò la presenza, mentre lei cadeva in ginocchio, affondando in quel terreno instabile. "Non lo sai? No, vero?"
    "Qualcuno di importante."
    "Qualcuno di caro, prezioso." asserì la voce.
    A lei sembrava che provenisse da ogni luogo eppure da nessuno in particolare, come se la presenza fosse parte di lei. Ridicolo.
    "Non ricordi?"
    Il deserto mutò in un campo fiorito, e lei ora affondava in un terreno umido e scuro. La risposta a quella domanda era sulla punta della lingua, eppure non riuscì a pronunciarla. "Devo proseguire la mia ricerca."
    "Ne sei certa?" le insinuò, il dubbio, la voce.
    "Sì." Clare immerse le unghie nel terreno, strappando petali e steli ma, di nuovo, si ritrovò tra le mani la sfuggevole sabbia del deserto.
    La tempesta si era acquietata e alcune orme sconosciute puntavano verso est.
    "Seguile." le propose la voce. "In questo modo, ritroverai il luogo a cui appartieni. Il luogo dal quale stai fuggendo. Ricordi?"
    "Sì."
    Clare abbassò lo sguardo sulle impronte lasciate nella sabbia. Erano piccole, quasi tondeggianti, differenti da quelle umane. La sua mente elaborò velocemente la nuova informazione. Erano i segni del passaggio di un animale, forse un cavallo, ipotizzò.
    "Stai esitando." la accusò la presenza. "L'esitazione è per i deboli. Tu avevi deciso di essere forte, di non dipendere da nessuno."
    Lei non rispose. I suoi occhi erano stati catturati da una sagoma equina che si muoveva agile tra le dune. Il braccio si protese in avanti, quasi a voler cercare di afferrarla.
    "Sì. È esatto. Trovalo. Devi trovarlo." La voce si fece più distante, più incerta. "Segui le orme. Seguile. Trova ciò che cerchi e ritroverai pure te stessa."
    Clare abbassò la mano sul fianco, scoprendo solo il fodero vuoto di una spada. "Ti sbagli." sussurrò alla sabbia che la circondava. "Non sono io ad essermi persa."
    "Se non sei tu..."
    Il vento divenne un sibilo e Clare alzò la testa. "Ti sei smarrita, Cassandra... e hai perso ogni cosa. Ma lui ha bisogno di te." proseguì, indicando la sagoma scura di un unicorno. "Ora sei libera."
    Una figura umana emerse dalla nube di polvere e Clare la riconobbe.
    Non si dissero altro e la Guardiana rimase ad osservare Cassandra affiancare l'unicorno e svanire tra le dune del deserto.
    Sola, rimase a scrutare il cielo.
    Qualcosa di umido e scuro cadde dall'alto, scivolandole sulla guancia. Una pioggia nera, una goccia rossa.
    Le nuvole piangevano sangue.
     
     




     
    Questo capitolo non è stato betato.

    Note: Ed eccoci giunti alla fine! Nella storia conclusiva della trilogia le cose si faranno decisamente interessanti, perché tutti i singoli personaggi avranno qualcosa di diverso per cui combattere e tutti i segreti verranno a galla! Della serie: tutti contro tutti xD
    Sono davvero felice di aver finito CS-La Guerra Celeste e ringrazio tutti voi lettori che avete continuato a seguire la storia!
    Un particolare abbraccio
    a  Jales che adoro<3
    "Contratto di Sangue-Le spade gemelle" titolo del terzo volume non verrà pubblicato immediatamente. Diciamo che mi prenderò per un po' una pausa da CS per dedicarmi ad altre storie e strutturare al meglio quest'ultima. Inoltre, sono alle prese con la riscrittura de "L'ombra del principio" e per ora sono soddisfatta di come sta venendo, molto più ricco e con più enigmi da risolvere che darà un quadro più ampio rispetto ala prima stesura.
    Vi saluto e spero di incontravi nuovamente nel capitolo finale della trilogia! :)
     
     

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