È stato un capitolo dolcissimo, che lascia intravedere una lucina alla fine del tunnel. |
Che bello! Sono di nuovo sotto lo stesso tetto!! |
“…sussurra di uno Sherlock che non ho mai conosciuto…”: John è entrato al 221b, per prendere il violino, ma la sua mente è avida di catturare, il più possibile, tutto ciò che lo aiuti a ricostruire lo Sh di prima dell’incidente. Gli è, da subito, chiaro che il suo interesse non è puramente professionale e lo rivela il senso di disagio che lo coglie, sentendosi un intruso in quel mondo a lui sconosciuto. Dunque non è solo una necessità pratica a muoverlo lì, ma qualcosa di diverso (“…C’è una parte di me …) che si manifesta inesorabilmente dentro di lui ed è la tristezza di chi, tenendo molto ad una persona, desidera per lei ciò che, probabilmente, non succederà per ovvi motivi medici. John è addolorato anche per non aver potuto conoscere prima Sh, quando il suo fisico gli permetteva di esprimere quella che tu definisci efficacemente “voracità di vita”. Le riflessioni di Watson, cui tu ci fai partecipi, sono costruite in maniera coinvolgente, credibili ed umanissime. Pure Sh, comunque, comunica quasi empaticamente con lui, anche in sogno: è reciproco, quindi, il magnetismo che li porta ad avvicinarsi sempre di più. Piacevole e sorprendente lo scambio di messaggi al “– 142” in cui, John fa questo concretamente, meravigliosamente rispondente a quello che occorre ad Holmes per non morire dentro. Segue il battibecco tra i due, una dolce schermaglia tra chi si trova a scegliere ciò che il cuore gli detta. E questo vale per il gesto splendido di John e per il finto scandalizzarsi di Sh che ha desiderato quel momento inconsciamente chissà quante volte…Il capitolo si chiude con il mantra che ormai ha illuminato il buio in cui Holmes si era lasciato cadere:”…Lui che…Lui che…Lui che…”. È fatta, John è tornato. Io dico: meraviglioso. Tutto, da ciò che scrivi a ciò che ci fai provare dentro. |
Non ti farò perdere tempo, considerando come lo usi bene, parlando dell'accuratezza dei dettagli e delle scelte lessicali in questa storia. Voglio usarlo per raccontarti del viaggio che ho fatto negli occhi di John, attraversando tempo e spazio nel buio più illuminato dello spazio per poi |
Ma ciao! |
E alè finalmente il tanto agognato ricongiungimento, lo si aspettava da almeno tre capitoli. La voglia di strozzare Sherlock quando ho letto il messaggio delle quattro di notte, ma per fortuna in questo caso John non gli ha dato retta (ops ho detto forse 'in questo caso'? volevo dire come ogni santa volta). |
Ok, è un po' che seguo questa tua storia ma è la prima volta che lascio una recensione qui. |
Ah, meraviglioso John! |
Probabilmente sto diventando noiosa, ma ogni nuovo capitolo è più bello ed emozionante di quello che lo ha preceduto! |
Arrivo in ritardo, come al solito, ma ci sono. |
Hai fatto assolutamente bene a proseguire la tua storia. Non aveva senso che tu ti fermassi, dato che la hai cominciata prima. Non so come si svilupperà l'altra, ma ogni autore mette qualcosa di diverso (potrei quasi dire di se stesso, ma io scrivo certe storie che potrebbero fare pensare male di me, quindi non lo farò; -)) in ciò che scrive. Sarà interessante vedere come svilupperete la trama. |
Sono felice che tu abbia deciso di non lasciare questa storia perché è davvero la migliore che abbia letto fin ora. |
Il ritardo nelle mie recensioni non è certamente dovuto a crisi di gradimento o ad incontri nel fandom che mi abbiano distratto da "180 days". Si sta trattando solamente di intoppi di connessione o di limitata disponibilità di tempo dovuti al marasma estivo che mi ha travolto. Perciò arrivo a scriverti solo ora questa recensione con concetti che, purtroppo, mi escono distorti e vergognosamente inadatti a raggiungere la qualità di ciò che hai scritto in questo capitolo. Capitolo, anche questo, praticamente perfetto sotto tutti i punti di vista, siano essi linguistici o contenutistici. La tua eventuale decisione di non proseguire con la pubblicazione, non è che mi avrebbe ridotto come Sh di fronte alla “fuga” di John, ma molto vicino sì. La fame non l’avrei fatta perché sono una gaudente, da questo punto di vista, ma una profonda delusione l’avrei provata. Quindi, grazie per continuare. Dunque…Hai reso con efficacia la tensione di Holmes nel voler seguire la vita di John a distanza, nutrendosi della sua voce e della sua comunicatività anche in aula. Per il suo drammatico stato, infatti, sentirlo parlare e poterlo vedere, anche se a distanza, è come l’assunzione di una potente medicina che porta un flusso di vitalità ed energia. Bella la definizione che Sh offre del suo “conduttore di luce”, concetto uscito dalla serie televisiva e che tu hai rappresentato con efficacia: “…È come se non brillasse di luce propria, ma…”. Ed è proprio il parallelismo con qualcosa di luminoso che unisce le due anime sofferenti, visto che, a sua volta, Watson vede Sh come una fonte sicura di chiarore e di sicurezza (“…essere divenuto un faro…”). Il ponte su cui tentare di porsi in cammino per ritrovarsi è costituito da Greg, dalla sua disponibilità e dalla sua sincera amicizia, che spinge John a superare le ansie e le paure, perché Sh non ha bisogno di essere compatito, ma considerato ancora in grado di dare qualcosa a qualcuno. In questo caso, la comprensione, la voglia di condividere delle esperienze che arricchiscano come la musica o i casi da risolvere, l’amore. Ancora c’è della strada da fare, ma la lettera di Watson impedirà, credo, lo spezzarsi del filo rosso del destino. Vengo anch’io nel tuo viaggio verso il porto sicuro della scoperta che la speranza non è scomparsa dalla vita di chi sembra aver abbandonato la strada. |
L’allontanamento di John è devastante per Sh in quanto rompe il filo sottile che costituiva, sia pur inconsciamente, la possibilità di uno sguardo ad un futuro consolatorio e illuminato dalla luce di un sentimento profondo. È la speranza, cui tu fai riferimento a fondo pagina, affidandoti agli splendidi versi di Emily Dickinson, che, in silenzio e nascosta dall’amarezza di una quotidianità inaccettabile, ha portato Sh, grazie alla travolgente empatia con John, al pensiero che per lui, forse, sarà possibile vivere accanto a qualcuno che comunichi direttamente con la sua anima ed il suo cuore. Ma, ora, l’intervento di Mycroft e la conseguente, comprensibilissima scelta di Watson, hanno richiuso violentemente in faccia a Sh la porta che si apriva su un mondo che lui non conosceva prima e che, probabilmente, lo stava lentamente attirando verso la voglia di vivere ancora. Il mondo dei sentimenti, delle emozioni così nuove e così ricche di calore che la forza di John aveva rivelato. “…Vorrei John in piedi accanto a me, con gli occhi verso un mare…”: ecco il senso di quel grande, unico sentimento e cioè lo scambio simbiotico di energia vitale e di capacità di scoprire nell’altro il proprio “tassello” mancante. Come in uno specchio, la disperazione di John si riflette in quella di Sh, resa quasi eroica dalla decisione di allontanarsi soprattutto per non interferire, a causa del suo essere ormai legato a lui, sul progetto di farla finita scientificamente. “…Mycroft ha anche fatto ulteriormente…”: per quanto sia evidente e criticabile la sua fredda efficacia nell’occuparsi del fratello minore, non mi sento di condannare Mycroft per ciò che fa perché è così che esprime l’affetto per Sh, con l’organizzata costruzione di un ambiente pedantemente protetto dal mondo esterno. E la “macchina dell’accoglienza” viene rimessa in moto per Victor, nella speranza che lui possa costituire per l’infermo un motivo di un più docile atteggiamento di quest’ultimo nei confronti di chi lo accudisce e di se stesso. Le parole con cui il nuovo personaggio viene descritto nella riflessione di Sh sono di una crudezza sconvolgente e coinvolgono chi legge in un’atmosfera di soffocante solitudine interiore. “…Dovresti mangiare…”: il messaggio di John è come una carezza che lenisce la sofferenza per un attimo, inaspettato e dolce nella sua essenzialità. L’immediata risposta di Sh è un’unica, disperata invocazione (“…John…”), seguita, poi, da un fluire scomposto di rabbia, dolore, soffocata richiesta d’aiuto. E questo capitolo finisce con riflessioni sempre più struggenti, che non impegnano solo gli occhi e lo schermo del pc ma colpiscono direttamente l’animo, lasciando un senso di angoscia. Sana angoscia, quella che è il rovescio di un grande amore e che permette di non viaggiare in un’anestetica superficialità. Io vorrei trovare le parole più efficaci per esprimerti la mia ammirazione per la profondità di quello che hai scritto (e, sicuramente, scriverai), ma mi accorgo che la mia recensione è un elenco scollegato di appunti su ciò che provo. Scusa, e grazie, davvero. |
Eccomi, sono sopravvissuta. |