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Autore: Rota    21/06/2012    0 recensioni
-... Posso giocare?-
Antonio quasi sobbalzò quando sentì la voce di Jake – distaccata, professionale, neanche si stesse trattando di compilare il modulo di iscrizione per chissà che cosa. Aveva non solo l'aria da tecnico, ma persino le movenze e la parlantina.
Il fatto che sapesse persino parlare la lingua umana fu una cosa talmente sconvolgente per tutti che nessuno parlò per qualche secondo, dopodiché Miguel si fece avanti con una mano tesa e lo invitò a sedersi con tutti loro.
-Se sei capace, prego.-
Jake si mise accanto ad Antonio, come nessuno aveva in realtà mai osato fare: i giocatori erano i più abietti superstiziosi del pianeta Terra e circolavano voci strane sulla fortuna di Antonio, per esempio quella che la carpisse direttamente dalla prima persona a lui vicina e la facesse propria di punto in bianco, neanche avesse fatto un patto con chissà quale stregone nero. Jake, però, non dava neanche l'aria di uno che, conoscendo quelle voci, avrebbe dato loro retta.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magical Harmony'
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*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 6 – Marzo
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale, Romantico
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash
*Rating: Giallo
*Parole: 1560
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore:  Settimo e ultimo capitolo della raccolta (L) e sì, dopo di questo chiudo quanto concerne Jake e Antonio (almeno, /per ora/) (L) Temo mi mancheranno alquanto, mi ci sono affezionata di brutto in quest'ultimo periodo D: Penso si sia notato, dal momento che ho sfornato un'intera long su di loro e una raccolta di sette one shot XD
Siamo però giunti alla fine ed è tempo di tirare le somme D: Non l'ho fatto troppo lungo perché mi sembrava che avrei messo non altro che troppa pateticità, ho descritto brevemente la situazione e affermato che sì, loro due possono andare avanti. L'hanno capito anche loro, contateci (L)
Spero che vi sia piaciuto, tutto questo. Io mi sono molto divertita a scriverlo, mi sono entrati nel cuore :D
Quindi, buon ultimo capitolo (L)




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Ernest aveva smesso già da qualche tempo di girare sulla sua ruota e questo preoccupava, non poco, il suo padrone, che ogni tanto sostava di fronte alla gabbia per sincerarsi che la povera creaturina non fosse passata a miglior vita – probabilmente ne avrebbe risentito parecchio a sua volta.
Quel topo durava da un sacco di tempo, in certe situazioni si era ritrovato a essere l'unica compagnia che Jake avesse per sé. E anche se, a pochi giorni dal suo subentro in famiglia, si era scoperto che fosse femmina, il nome “Ernest” non gli era stato cambiato e lei aveva continuato a svolgere il suo lavoro da animaletto da compagnia nel migliore dei modi. Durava da più di due anni, quell'affarino, e ormai era anzianotto: non usciva neanche più tanto spesso dal suo mucchio di segatura, mangiava sempre di meno, si muoveva sempre di meno. Quando il Mago lo prendeva in mano lo annusava, seguiva la linea del suo braccio come si era stato insegnato, fino al gomito, poi però si stancava e rimaneva lì fisso, senza fare un solo altro passettino.
Jake era decisamente sconfortato per tutto quello.
Antonio aveva avuto la pessima idea di dirgli, in un tentativo di conforto assai maldestro, che non c'era alcun problema a tal proposito: ne avrebbero preso un altro così da farlo subentrare al suo compagno più anziano. Il Mago l'aveva guardato come se dovesse ucciderlo con lo sguardo appena, si era stretto Ernest al petto e aveva cambiato stanza nel giro di due secondi – Antonio non osò ripetersi una seconda volta, dopo quella scenata.
Il punto era che troppe cose stavano cambiando e non era facile, per nessuno dei due, adeguarsi alla velocità degli avvenimenti.
Jake aveva cambiato lavoro ormai da un mese e mezzo, dopo che aveva deciso finalmente di non voler più sopportare le cattiverie dei suoi colleghi di lavoro che ogni santa mattina lo vedevano scendere dall'auto dello stesso fidanzato di sempre. Aveva presentato domanda a un capo sbalordito, parecchio restio a perdere uno dei suoi migliori uomini – quello stesso uomo che però l'aveva raccomandato ad un'altra ditta con fare totalmente disinteressato. Ora lavorava anche più vicino casa e non aveva bisogno di chiedere un passaggio ad Antonio: con la linea 15 del tram arrivava a destinazione nel giro di venti minuti scarsi.
Antonio, di suo, era diventato rappresentante sindacale all'interno del corpo insegnanti, convinto nel profondo di fare la cosa giusta per più persone. Si era reso conto quasi da subito che non era per niente facile passare tutto il suo tempo a litigare con le persone, a fare da mediatore, a dover rendere conto anche degli errori dei colleghi troppo animosi. Tuttavia veniva ripagato totalmente dalla sensazione di fare qualcosa, concreto, per poter risolvere i problemi entro la propria piccola scuola e di venire a capo di questioni che in altro modo non sarebbe stato possibile.
Jake aveva cominciato a fumare, Antonio ad apprezzare quel piatto esotico che era tonno, cipolle e fagioli. Jake gli aveva presentato sua sorella Jordan, Antonio tutta la famiglia al completo – ben sedici persone in una sola volta, accidenti a lui. Erano andati in Spagna insieme ma anche in Francia e persino in Scozia. Favoleggiavano di prendere la Transiberiana e sicuramente uno dei loro sogni nel cassetto era di visitare Cina o Giappone, meglio ancora l'India.
Vivevano assieme, nella vecchia casa di Antonio che mai, prima di allora, era sembrata così piena di vita. Probabilmente era anche merito di “Buck”, il piccolo barboncino bianco che la nonna cara di Antonio aveva loro regalato, in vista del compleanno del nipote sempre più prossimo.
Di tutti gli anni che avevano passato assieme, quello era stato di sicuro quello più ricco di avvenimenti.
La cosa più bella, poi, era che Jake non si vergognava più e che Antonio non gli dava motivi per farlo. Il Mago prendeva per mano di propria iniziativa il Cavaliere, anche per strada, e non lo guardava male quando si avvicinava troppo a lui per chiedergli qualche coccola dolce e senza pretese; d'altro canto, l'uomo continuava a predicare l'amore libero in ogni sua forma ma evitava di urlare ai quattro venti che il suo ragazzo era proprio quello, quello lì che stava tentando di nascondersi dietro una colonna e che aveva l'aspetto di un impiegato sfigato. Insomma, si erano concessi l'un l'altro qualcosa di piccolo nella sostanza ma essenziale per il loro rapporto.
Jake fissò ancora la gabbia del suo animaletto, sconsolato come non mai. Con la punta delle dita fece girare un poco la ruota verde – quella che aveva applicato lui stesso con estrema fatica quando l'altra si era rotta e non girava più – e ricordò i momenti in cui Antonio lo malediva perché quell'essere odioso e diabolico andava avanti tutta notte con le sue passeggiate solitarie e non lo lasciava dormire neanche un minuto. Sorrise appena al ricordo, senza tuttavia essere di buon umore. Anche quel topo aveva avuto la sua parte, nella loro storia, e gli era tanto affezionato che gli era fin troppo doloroso lasciarlo andare.
Persino nel periodo più brutto della loro relazione, quando Antonio cambiava compagnia in maniera sfacciata ogni tre giorni circa, Jake aveva sempre resistito dal restituirgli Ernest, trattenendolo a sé neanche fosse stata la sola cosa che lo poteva legare all'altro uomo. E per certi versi, nel suo intimo più vergognoso, Jake aveva sempre calmato la disperazione a quel modo.
Il topolino andò da lui, per annusargli le dita e salirgli sul palmo. Aveva piacere a farlo, perché per lui le mani del Mago erano sempre calde e morbide, e l'uomo passava anche minuti interi ad accarezzarlo sulla pancia, non fermandosi mai. Aveva provato a farlo anche Antonio, ma era troppo maldestro e Ernest aveva quasi squittito di dolore all'ennesima carezza energica che quasi lo aveva schiacciato.
In compenso, Buck azzannava alle caviglie Jake ogni volta che entrava in casa e invece faceva le feste come un dannato al Cavaliere, saltandogli in braccio come se nulla fosse. Era evidente che neanche in quello potevano dirsi simili.
Non era poi tanto importante, infondo.
Ernest gli offrì la pancia e il Mago cominciò ad accarezzarlo piano. I topi avevano un modo tutto loro di comunicare quando qualcosa gli piaceva, ed era muovere il musino in continuazione – la cosa divertiva tantissimo Jake.
L'uomo non sobbalzò quando due mani forti, sicuramente umane, lo strinsero a livello della vita e un bel naso aquilino, di quelli lunghi e affilati, si strofinò contro la sua nuca con tutta la dolcezza del mondo, ma anzi si sporse all'indietro e inclinò il viso di lato.
-Eccoti qua, assieme al tuo topo!-
Antonio aveva sempre un modo tutto suo, cattivo, di dire la parola “topo”, che sembrava quasi dovesse indicare una leggera e sottocutanea gelosia. Jake rideva alla sua pronuncia dura, trovandola spassosa.
Glielo mostrò, ancora in estasi per le coccole ricevute.
-... É bello.-
La presa sul suo corpo si strinse e lui ricevette due o tre baci sulla nuca.
-Tu sei bello, non quell'affare. Tu!-
Sorrise, apprezzando la coccola, e quando voltò il volto verso Antonio, questi lo baciò anche sulle labbra, con dolcezza, abbracciandolo sul petto. Era così strano condividere quei momenti dolci, quasi la loro si trattasse di una situazione comoda, adagiata, brillante: avevano problemi come tutti, e proprio per questo erano in grado di apprezzare appieno i singoli momenti di beatitudine.
Jake ripose il topolino nella gabbia, con grazia. Quello, appena toccata la segatura, zampettò verso il sua giaciglio e vi si nascose dentro con tutto il corpo, coda rosa compresa.
Il Mago lo guardò a lungo, sovrappensiero, prima di stringersi contro il compagno e chiudere gli occhi.
-... Mi dispiaccio troppo, per un animale.-
Antonio lo accarezzò sui capelli e gli sorrise, come a un bambino piccolo e dolce. Aveva preso familiarità anche con quel sentimento di tenerezza, a lungo andare, e non provava più vergogna a confidargli che piuttosto che una sessione di sesso lunga mezz'ora preferiva stringersi a lui per ore intere, senza fare altro che scambiare con lui qualche bacio di tanto in tanto.
Era maturato e se ne rendeva conto a stento.
-No, non direi. Ernest è stato una parte di te per molto tempo, te ne sei preso cura come non avevi mai fatto con altre creature viventi. Penso piuttosto che tu gli voglia bene davvero, Jake. É il tuo animale.-
Gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo in faccia.
-Sai però cosa penso? Che Ernest sia come una fase, uno di quei periodo della vita che hai vissuto tanto intensamente e che per ovvi motivi arrivano alla loro conclusione. Allora sei frastornato, confuso, spaurito, perché ogni volta che termina una fase ne inizia un'altra. E chi può dire che questa sarà meglio della prima? Chi può affermare con convinzione che non ci aspettano che momenti felici e cose meravigliose?-
Jake gli sorrise, rivelando agli angoli della bocca quelle piccole rughe che facevano di lui un uomo più vicino ala quarantina che alla trentina, un uomo che ha la concreta necessità di sentire qualcosa sotto i piedi sul quale non traballare più.
Un uomo che aveva deciso su quale base appoggiarsi, in maniera definitiva.
-... Basta che resti qui. Il tempo può anche passare.-
Lo baciò, lo baciò molto.
Per quel passato che li aveva avvicinati, per quello che li aveva fatti incontrare, per quello che li aveva uniti, per quello che li aveva resi felici, anche per quello che li aveva separati e riempiti d'odio doloroso – per tutto quegli anni passati assieme si fecero la tacita promessa di vivere un futuro radioso, meraviglioso, assieme.
E mentre si chinavano a fare l'amore sul pavimento, presi da una passione folgorante e momentanea, la ruota di Ernest cominciò a ruotare, sospinta dall'esigua forza del topolino, in mille cigolii diversi.

Il sesto anno, l'ultimo passo di una fase travagliata e piena d'ostacoli, si presentò come la fine e l'inizio assieme, nella dicotomia che rendeva il Marzo piovoso tanto speciale – dove la speranza si scrolla di dosso ogni residuo di paura e guarda solo avanti, decisa a seguire la propria strada.
   
 
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