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Autore: Amy Tennant    22/03/2013    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Jackie entrò nella stanza senza aspettare che le fosse risposto e si ritrovò davanti agli occhi quello che per un istante le parve uno spettro e poi realizzò essere l’ologramma di John. Non era certo la cosa più strana che avesse avuto modo di vedere neanche in tempi recenti, visto che gli stranissimi congegni del Dottore erano spesso in giro per casa, ma rimase lo stesso interdetta. Poi rivolse lo sguardo stupito verso la figlia.
-          Rose… - esitò con preoccupazione - ma cosa sta succedendo qui?
-          Va tutto bene, mamma è… un messaggio di John – Jackie si avvicinò alla figlia e poi notò Catherine accanto a lei.
-          Lei è la dottoressa Lane…? – Catherine non ebbe modo di rispondere.
-          Mamma, mi sta aiutando…  
-          Ma… Aiutando? E cosa…?
-          Signora Tyler, John ha chiesto di fare urgentemente una cosa ed io e Rose stiamo facendo come ci ha indicato – Catherine era a disagio. Quella donna le faceva davvero una strana impressione. Diversa da quando l’aveva conosciuta. Sembrava quasi un’altra. Cercò di concentrare la mente altrove perché la distraeva.
Ma Jackie si stava agitando e Catherine pensò che le dava davvero sui nervi in quel momento.
Lo pensò anche a Rose.
-          Rose…  - insistette – dimmi che sta succedendo! Dov’è, John…? – Rose emise un sospiro e la prese per le spalle.
-          Non posso dirti tutto ora. Dobbiamo finire, è una cosa complicata ma… non dire nulla a papà, per favore. E’… importante – Jackie aveva compreso, dal tono della figlia, che il momento era delicato. Ormai anche lei aveva visto troppe cose per meravigliarsi di trovare un messaggio olografico nella stanza oppure per chiedersi cosa stesse facendo Rose per John. Ma certamente, anche alla luce degli ultimi avvenimenti, se Rose le chiedeva di non dire nulla a Pete aveva le sue ottime ragioni.
-          Ero venuta a chiamarti per la cena… non pensavo di trovarvi qui, in camera da letto – aggiunse più perplessa ma guarda in giro in quella stanza, sempre un po’ disordinata, nonostante la penombra notò una catasta di oggetti strani, sicuramente quelli messi insieme dal Dottore per passatempo. Fece un sospiro preoccupato – vorrei potervi aiutare…
-          Lo farà egregiamente non facendo niente ed evitando che suo marito entri qui dentro, per ora – disse Catherine quasi soprapensiero e Jackie sgranò lo sguardo su di lei e poi su Rose chiedendole conferma di quel che le era parso evidente in modo impressionante: per un momento era parso di sentire parlare LUI.
Rose rispose alla domanda silenziosa della madre scuotendo il capo e Jackie capì che era confusa, quindi  la spinse di nuovo verso la porta con una certa decisione.
-          La dottoressa ha ragione, fai come ti ha detto…
-          Ma… - Jackie esitò ancora guardando la donna che nella penombra fissava l’immagine di John con preoccupazione e disagio ma anche altro. C’era decisamente altro in quello sguardo e lo vedeva chiaramente – Rose, senti … ma lei …? - Rose comprese che intendeva dire.
-          Lo so mamma, lo so – le sussurrò – ma il Dottore non ha fatto niente di male – Jackie la guardò ed annuì, poi aprì la porta e uscì dalla stanza.
Rose rivolse lo sguardo verso Catherine. Sua madre aveva notato un’evidenza assoluta, come la donna guardasse l’immagine del Dottore ed insieme come gli somigliasse. Ma c’era anche qualcosa ed era quello, più del resto, che la turbava. E si trattava di quello che non riusciva a capire.
-          Ti prego di credermi quando ti dico che vorrei che i miei sentimenti fossero… meno evidenti – le disse ad un tratto Catherine e Rose neanche si meravigliò di come avesse compreso quanto fosse trasparente.
-          Che lei tenga a John sinceramente è il suo bene, in questo momento – mormorò Rose e Catherine annuì.
-          Lui… - no. Rose lo sapeva. Non c’era bisogno di dirlo e non c’era altro da dire, in fondo.
Purtroppo non c’era altro.
Catherine la guardò un istante e poi premette nuovamente il tasto del congegno del Dottore. La registrazione riprese il suo corso.
 
… per aprire i suoi occhi tu devi solo…
… cantare…
 
Rose e Catherine lo guardarono con la medesima espressione con gli occhi spalancati.
-          Coooosa? – lo dissero contemporaneamente e parve davvero che John le avesse sentite perché nella registrazione sorrise divertito.
 
… adoro l’espressione che fai quando ti prendo alla sprovvista e mi dispiace davvero non essere, lì… !
Immagino la cosa ti appaia stranissima eppure è la più semplice, in questo caso.
Quando Lei mi ha suggerito come chiamarla mi ha più volte ripetuto: i tuoi occhi e la sua voce…
Ho capito che doveva vedere e dovevo aprirle io gli occhi ma…
.. LA VOCE! No, non mi è venuto subito in mente!
Eppure era la cosa più scontata, Rose!
 
-          Non direi, Dottore… - mormorò Catherine.
-          Non lo direi per niente – aggiunse Rose.
 
… Forse ci sarei arrivato prima, qualche secolo fa … sto invecchiando? Ah, forse…
anzi, sì… sto invecchiando! Fantastico…! ... anche se…
… Ad ogni modo, pensa: il carillon e la mappa dimensionale sono quel che ti ho detto e il Tardis può usare per accordarsi a questo universo, per accordarsi al tutto… qualcosa che è “dove deve essere”, ma viene da “dove dovrebbe andare”. Ma non è per questo che la tua voce è ciò che serviva, sebbene io la trovi meravigliosa… se non canti quelle cose orribili sotto la doccia…
 
… Rose Tyler…
 
la sua voce ebbe un accento così dolce che lei sorrise e Catherine sentì quella fitta nell’animo che ben conosceva.
 
… Lei ti ricorda, come tu non puoi ricordare.
E come tu sei cambiata dentro dopo aver guardato nel cuore del Tardis, per venire a prendermi … così, incredibilmente, è cambiata anche Lei. Questa ragazzina è parte di Lei e TU… sei una delle cose più sicure a cui possa aggrapparsi per venire da me perché … ti conosce dentro e forse da questo dipende anche quanto cerchi di essere umana… e non per me, come pensavo ma…
… perché lo sei tu. E lei sta cercando di salvarmi a tutti i costi perché è la cosa che sente di dover fare …
Lo sa perché lo hai fatto tu. Forse è per questo che succede.
Ed io… Io lo trovo bellissimo, Rose…
 
-          Lo è…! – sussurrò incredula Rose guardando - lo è ma… È pazzesco…! - Catherine guardò la ragazza. Non sapeva a cosa si riferisse John nel messaggio ma la cosa era assurda. Assurda in una logica umana ma decisamente comprensibile in altro senso. Anche se cominciava a pensare che non avrebbe dovuto capire nulla, come invece stava facendo in quel momento. Rose era spiazzata e la guardò, gli occhi lucidi dalla tensione e per il timore.
 
…ed ora che sai… non prendere sul serio niente di quel che ti ho detto…!
 
Le due donne impallidirono. L’immagine di John rise ma Catherine vide ancora tremolare dentro di essa qualcosa di diverso e confuso. Distolse lo sguardo tirando il fiato.
 
… no, non proprio “niente”; diciamo che non dovrai “cantare”. Basta che la tua voce risuoni sulla carta dispiegata. Hai il dispositivo di contenimento, è importante che sia attivo e ben funzionante oppure potrebbe essere un disastro, ricordatene. Controlla che funzioni correttamente… Secondo le mie ultime stime dovrebbe coprire un raggio d’azione… approssimativamente corrispondente alla Gran Bretagna e spero che basti…  
 
-          Speriamo …  – mormorò Catherine che l’aveva già preparato e attivato.
-          Perché dite “speriamo”?
-          Perché è una delle incognite, Rose –  le rispose controllando il congegno. Sembrava appena risplendere dentro, come un bicchiere di vetro vuoto in controluce.
 
… Attivato, creerà attorno al Tardis una sorta di “gabbia” … si tratta di compensare lo scarto tra la definizione della matrice in senso fisico e la sua effettiva costituzione in essere ossia… con l’aspetto che ha normalmente un Tardis e che non può assumere subito. Lei non avrà un aspetto definitivo in questa fase, penso di averlo chiarito. Sarà presente qui ed ora in una sorta di versione incompleta… la definirei persino “esplorativa”. Pochi minuti, pochissimi. Ma spero abbia già i mezzi per consentirmi di…
 
Esitò un momento ma lo aveva già detto. Era partito per il Torchwood sperando di poter essere portato fuori dal Tardis.
 
… Ad ogni modo, Rose… la mappa inizierà a ruotare e vibrare posizionandosi correttamente rispetto ad un asse teorico che poi… non è un asse, visto che si parla di un punto in dodici dimensioni differenti...
 
-          Dottore, ti odio quando fai così…! – mormorò preoccupata Rose. E Catherine la guardò con comprensione.
-          Parla troppo… - sorrise e sorrise tesa anche Rose.
 
… Questa mappa musicale va orientata con l’accordatura e perché Lei capisca cosa fare, essa avverrà tramite la tua voce. In pratica le tue corde vocali, vibrando, emetteranno una traccia tra i due universi di cui essa descrive degli estremi: un punto di partenza, che Lei conosce, e quello di arrivo. E’ un accordo, Rose. Le coordinate esistenziali di questa dimensione, per dirlo semplicemente.
Tu, qui, ora. E Me.
E quindi, Rose, ti serve una PAROLA. Non una frase, non una canzone. Basta…
Una singola parola.
Ma una parola potente, molto potente. Perché più colore avrà il tuo timbro, più la traccia sarà chiara e… poiché c’è qualcosa di umano in Lei, almeno questa reminiscenza di TE…
Lei ha bisogno di qualcosa di importante per te. Qualcosa che mi faccia trovare. Ora… pronuncia quella parola e portala da me, Rose. Perché ora… sono certo che avrò bisogno di Lei.
Cercami. Trovami.
… Fallo un’altra volta…
 
-          Va bene, John… - Rose si sfregò nervosamente le mani mentre Catherine sospendeva il messaggio – e dunque… eccoci qui – mormorò guardando con occhi sgranati il reticolo luminoso sulle loro teste. Era talmente strano cercare di seguire quel divenire di volumi uno dentro l’altro e il vibrare di quei fili che non erano tali ma sembravano corde, che Rose dovette smettere di immaginare quanto potesse essere profondo quel che osservava così in piccolo.
-          L’avevi già vista dispiegata a questo modo? – le chiese Catherine. Rose annuì.
-          Ora però devo capire il punto che…
-          L’ha calcolato lui. È questo – indicò sicura Catherine sfiorando con le dita una corda. Che vibrò e le vibrò dentro facendola irrigidire per la sorpresa ma poi sorridere. Rose la guardò con un mezzo sorriso – ma… è…!
-          Che colore ha sentito…?
-          Blu… - disse stupita – ho visto il blu…!
-          Sì, si sentono i colori ed è… una stranissima sensazione …
-          È una sinestesia procurata – precisò Catherine inclinando lo sguardo. Rose distolse l’attenzione da come guardava le cose, da come tendeva le dita verso la mappa.
Ripensò a lei e John nel laboratorio del Torchwood, quando aveva aperto la mappa del carillon la prima volta. Ripensò alle loro mani strette insieme su quella corda. A lui, che aveva sentito con lei quella nota e quel colore. Ripensò a come indicava la mappa a come i suoi occhi cercavano e trovavano l’orientamento in quel meraviglioso e complesso reticolo. E poi vide che Catherine Lane era proprio così. Come lui. LUI. Ma non solo.
Il suo mordersi le labbra soprapensiero, socchiudendo gli occhi… persino il suo sorridere con la lingua leggermente tra i denti e l'arricciare le ciocche di capelli fissando altrove.
Ebbe uno scatto istintivo e si scostò. Si scostò impaurita.
Non poteva essere.
Eppure lo era. LO ERA DECISAMENTE.
-          Oh mio Dio… - pensò ed ebbe un brivido - ecco perché tacevi su di lei, Dottore...! – di colpo Rose comprese cosa le faceva paura in Catherine Lane.
Era stata da lui il pomeriggio. E poi lui era andato via, al Torchwood.
Aveva improvvisato la cosa ma per ore e quindi fino ad un certo punto. Rose pensò che lui le aveva lasciato un incarico che difficilmente sarebbe riuscita a portare a termine da sola ma allo stesso tempo aveva parlato di Catherine, nel messaggio. E in un modo che sembrava essere piuttosto inopportuno, se pensava alla sua possibile presenza lì. Ma in certe cose il Dottore finiva per essere anche troppo spontaneo e forse, a quel punto, per lui era stato più importante spiegarle il senso del suo atteggiamento verso la dottoressa piuttosto che nascondere a quella donna qualcosa che sapeva essere ormai fin troppo evidente. Ed infatti Catherine non aveva reagito perdendo il controllo ma solo prendendo atto di ciò che già sapeva.
E questo John l’aveva certamente previsto.
Catherine Lane era in un certo modo e quindi Lui sapeva come.
Più ci pensava, più Rose ne era convinta: John era sicuro che Catherine, dopo quel pomeriggio, sarebbe tornata indietro. E che l’avrebbe aiutata.
Perché quel qualcosa di strano che anche lei ora riusciva a vedere in quella donna…
quella donna lo percepiva verso sé stessa. Per questo era tornata indietro, non per altro. Sapeva che il Dottore aveva capito e voleva una spiegazione.
Qualunque cosa fosse sottesa, nascosta dentro Catherine Lane, stava venendo fuori con prepotente evidenza. E Rose lo percepiva come terribilmente sbagliato e spaventoso.
John doveva averlo trovato addirittura agghiacciante.
Lei era come lui.
E come lei. Insieme.
 
**
 
Erano circondati e non c’era speranza di poter scappare. In realtà il piano era stato meno efficace di quanto avessero sperato, nonostante i mesi di preparazione. Avevano perso molti informatori, scoperti e poi spariti nel nulla. Avevano perso molti contatti, gli equipaggiamenti. Ormai erano rimasti in pochi, armati male e tenuti insieme dai comandanti che erano rimasti vivi o che erano diventati tali in un momento di emergenza. Lei apparteneva a quest’ultimo caso. Si era ritrovata la responsabilità del comando improvvisamente ma il suo temperamento l’aveva messa in grado di far fronte agli impegni nonostante la paura di non essere all’altezza. Ma era inesperta, purtroppo. In quel momento era quello che pensava avesse fatto la differenza tra il loro fallimento e una possibile riuscita ma non avevano avuto alternative.
La loro resistenza era stata progressivamente annientata, politicamente erano considerati ormai antagonisti del governo e delle forze di difesa. Avrebbero dovuto sciogliere l’organizzazione e perdersi nell’anonimato ma non era da coloro che erano rimasti.
In fondo sapevano che non rinunciare al proposito di cercare e trovare il pozzo, era stata una follia. Ma almeno ci avevano provato. Non sembrava abbastanza, vista la situazione e il prezzo che si apprestavano a pagare, ma Martha Jones pensò che morire con la coscienza pulita e la certezza di aver tentato di fare anche l’impossibile per fermarli, era forse meglio che sopravvivere a quel che sarebbe venuto dopo.
Intanto la piccola squadra mandata in avanscoperta non era lì.
Era riuscita a trovare i laboratori e le prigioni? Si augurava davvero che qualcuno fosse ancora vivo. Guardandosi attorno, pensò che forse quelle erano le ultime cose che avrebbero visto: le forze speciali del governo in uniforme oscura, le armi avveniristiche contro, Tashen sopra il soppalco metallico che si affacciava su quel laboratorio in cui erano stati fermati e sopra tutto e tutti … quell’orribile COSA. Che emetteva un suono insopportabile, continuo. Una vibrazione che Martha sentiva come aspirarle dentro qualcosa. La svuotava…
E faceva più paura di ogni altra cosa lì dentro. E lì fuori.
 
**
 
L’ansia faceva battere troppo veloce il suo cuore e la temperatura del suo corpo era troppo bassa, persino più di quella che avrebbe avuto nel suo corpo originale. Era insopportabile. Le dita erano rigide, i muscoli erano contratti dolorosamente. Non aveva senso stare a quel modo.
Puntò il cacciavite sonico su di sé ed esaminò i dati. Le sue labbra si strinsero con forza mentre tentava di reprimere le emozioni.
Scosse il capo con gli occhi umidi e cercò di tenere calmo il proprio respiro. Ma non vi riusciva.
Quel corpo era meno dominabile, più fragile, estremamente più insidioso.
Stava già accadendo e non se n’era accorto. Nel suo corpo da signore del Tempo avrebbe sentito cedere ogni parte singolarmente, momento per momento; saputo esattamente cosa stava accadendo. Gli umani invece morivano improvvisamente.
Maledì di aver diminuito le dosi del farmaco del Torchwood. Non avesse sentito così tanto dolore, avrebbe almeno avuto una mente più limpida e ferma, in quel momento.
-          Che cos’è questo rumore infernale! – urlò spaventato il capo del gruppo. John lo guardò con occhi lucidi e strani. Era un ragazzo ottuso, stupido e arrogante. I pensieri che stava avendo su di lui erano persino violenti, in quel momento. Non era da lui. Non era da lui da molto tempo. O forse lo era per quello che era diventato? Vide che Lakil cercava di mantenere una calma che fino ad allora non aveva avuto. Avrebbe voluto sentire che pensava ma non sentiva più niente, solo quel rumore. Lo guardava e stava ricordando frammenti di favole che non ascoltava da secoli, che erano sepolte nella sua memoria e che stavano affiorando con una chiarezza impressionante proprio in quel momento. Era straniante.
Il rumore faceva gemere tutti, entrava in testa.
Persino la luce sembrava tremare.
-          Una maledetta trivella dimensionale – mormorò con espressione tesa e voce nervosa – una… spaventosa trivella dimensionale…!
-          Cosa vuol dire, Dottore?
-          Vuol dire che in un mondo parallelo, per l’ennesima volta e in modo ancora peggiore… il Torchwood ha utilizzato in modo improprio qualcosa che ha sottratto con la forza! – quasi ringhiò per l’esasperazione e il dolore. I suoi occhi stavano diventando davvero terribili, Lakil guardandolo ebbe un brivido perché gli fu più che mai evidente che il signore del Tempo poteva essere pericoloso come non pensava, come non credeva. Lo era. A stento trattenuto da una volontà fortissima.
-          Dottore… stai…?
-          La sento dentro, la sento dentro! – gli si rivolse esasperato – quest’orrore non dovrebbe esistere da molto molto molto tempo! E a ragione…! – soffocò un gemito rabbiosamente – questa… cosa faceva enormi buchi …  - si piegò su di sé con una smorfia di dolore e il ragazzo robusto lo sostenne perché sembrava essere sul punto di crollare nuovamente a terra. Si sentì artigliare da lui quasi disperatamente e vide il suo fiato freddo fumare – sta…. sta bucando il tempo… probabilmente è arrivata qui proprio da un buco fatto altrove! Se ne sono perse parecchie in giro e questa è stata… PERSA chissà quando e loro… LA USANO, LA STANNO USANDO!
-          E’… insopportabile! – gridò quasi Lena, tenendosi una mano sul petto. John scosse il capo e alzò lo sguardo attorno. Le celle vibravano, tutto vibrava in modo sordo, cupo.
-          Dottore…!
-          Do… dobbiamo capire da dove vengono le urla – disse con sforzo aggrappandosi al ragazzo robusto - … devo… capire se…
…devi chiudere gli occhi…
Emise un gemito di sorpresa e scosse il capo.
-          Non posso…  – sussurrò come tra sé.
Quella voce nella sua testa, gentile. Insisteva.
-          Dottore… cosa…?
-          No, non puoi capire – disse rivolto al ragazzo – usciamo, seguiamo queste urla…
-          Non c’è nessuno da salvare, non c’è nessuno! – disse forte il capo del gruppo rivolto a lui e soprattutto agli altri della squadra – dichiaro la missione fallita, cerchiamo di andarcene …!
-          Io sento le urla, loro ci sono! – disse Lakil venendo avanti – non puoi abbandonare tutti, ogni cosa sarà stata inutile…
-          Se restiamo qui moriremo!
-          No… no… non succede questo – disse John faticosamente e tutti lo guardano turbati – non avete capito, non potete… capire.
-          Allora spiega, spiega! – gli urlò contro Sophie – spiega cosa sta succedendo!!!
John la fissò cercando di trattenere la rabbia, cercando di rimettersi in piedi dritto nonostante il dolore che lo attraversava dentro.
Ormai non bastava più un pensiero complesso. Non riusciva a sentire vicina neanche Rose, non in quel momento. Era su un abisso, da solo. Persino coloro che gli erano accanto gli sembravano irreali, un incubo…
… devi chiudere gli occhi, devi…
Chiuse gli occhi lentamente. Il suono fu una fitta lancinante nell’animo.
La voce animata di Sophie era come rallentata, attutita da quel che sentiva, dal gelo che lo avvolgeva. Sentì che stava per prenderlo, aspettò di esserne sfiorato e quindi raccolse tutte le sue forze. Spalancò gli occhi sulla luce, di nuovo, e riuscì a rimettersi in piedi da solo.
Fieramente dritto guardò la ragazza con occhi così bui che la fecero spaventare.
-          Stanno tornando i passati – disse con voce calma e irreale. Sembrò stranissima da sentire dopo che appena prima era stata rotta dalla sofferenza. Lo guardarono turbati, tremando quasi più per quello che per la vibrazione cupa sul fondo di tutto ma Lakil, che lo sentiva dentro, lo fissò con paura.
-          Cosa significa tutto questo…?
-          Il passato sta tornando come fosse presente. Sarà presente… alcuni passati lo sono già anche se ancora ombre ma stanno tornando indietro – li sentiva, staccarsi lentamente da sé.
Altri uomini, altre persone…
Non fece una piega quando sentì il suo cuore urlare perché al limite.
…shhh…
-          Dottore…  – il ragazzo robusto accanto a lui lo chiamò come per scuoterlo da uno stato di trance nel quale sembrava quasi perduto. Ma John era cosciente. Perfettamente.
Solo spaventosamente oltre un certo limite e non sapeva quanto avrebbe potuto resistere.
Stava cadendo. Stava cadendo senza sentirlo.
La voce gentile gli chiedeva di chiudere gli occhi ma lui non poteva.
Gli occhi del Dottore erano fissi sul tempo come buio che fissava altro buio.
E lo guardava con occhi scurissimi, con occhi gelidi, con occhi color miele, con occhi verdi…
E il buio era in tutti gli occhi che fino a quel momento il Dottore aveva avuto e già chiuso per andare oltre. Ma gli occhi scuri dell’uomo che era, sarebbero stati gli ultimi.
In ogni caso.
  
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