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Autore: SilviaDG    04/09/2014    10 recensioni
SIGNORI E SIGNORE, RAGAZZI E RAGAZZE, ECCO A VOI GLI HUNGER GAMES FRA SHADOWHUNTERS E NASCOSTI!
[...]Clarissa Fray- Imogen pronuncia con enfasi il mio nome,sento una stretta al cuore.
Alzo la testa e vedo e vedo tutti gli sguardi rivolti verso di me.
Mi faccio coraggio e guardo Simon,gli rivolgo un sorriso forzato,forse sarà uno degli ultimi che vedrà sulle mie labbra,andrò nell'arena. [...]
[...] Ho imparato che l'amore- stacca lo sguardo- è difficile, ma meraviglioso, perfetto, fa dimenticare tutti i problemi, illumina la notte, ecco. Senza stelle non c'è amore, senza amore non ci sono stelle.[...]
~ Dal testo~
[AU-Shadowhunters/ Hunger Games]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clarissa, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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COME SAPETE, questo è il penultimo capitolo e, per non interrompere la storia e per altri motivi, abbiamo deciso di spostare l'angolo all'inizio e di annunciarvi che nel prossimo capitolo non ci saranno i nostri "appunti".
In più speriamo che scusiate il ritardo catastrofico, anche se non abbiamo alcuna scusa che lo giustifichi pienamente; in realtà siamo state liberissime in questi giorni, ma non riuscivamo proprio a scrivere e ci dispiace di avervi fatto attendere così tanto.
Purtroppo il capitolo non ci convince molto e scusate se non è uno dei migliori o se tutto accade troppo velocemente.
Speriamo di farci perdonare con il prossimo ed ultimo capitolo, che sicuramente sarà più lungo e curato meglio, a costo di farvi aspettare (purtroppo) anche un mese (speriamo di no).
Grazie per essere stati sempre con noi, per averci seguito e per essere ancora qui, siete fantastici.
Speriamo di tornare al più presto con il prossimo capito e, poi, con un'altra storia.
Buona lettura.
~Silvia a Chiara~



-Sei bellissima- sussurra Jace al mio orecchio, cogliendomi di sorpresa e facendomi sorridere.
Guardo lo specchio, posizionato a qualche passo da me, nel quale si riflette la mia esile figura e, più in lontananza, appoggiata alla porta chiusa, quella di Jace.
-Non dovresti essere qui- gli faccio notare, sorridendo, mentre torturo il vestito che indosso, fecendo scivolare le dita fra la seta dorata dell'abito nunziale.
Ricordo perfettamente il momento in cui lo provai per la prima volta e, dissociandomi dall'opinione di Izzy che lo riteneva troppo semplice per l'evento, pensai che fosse perfetto.
-Lo so- dice lui, avanzando a passi lenti e finendo accanto a me.
Mi stringe la mano, facendomi quasi commuovere per il gesto così semplice e al contempo amorevole e protettivo.
-Solo che non ho resistito, passando da qui- ammette, guardando poi lo specchio e pensando chissà cosa mentre fissa le nostre figure.
-Lo sposo non deve vedere la sua promessa prima della cerimonia- spiego, sorridendo e guardando anche io lo specchio.
"Clarissa Adele Herondale" è il mio primo pensiero.
- Jace, per me non è un problema,  ma stare qui è...
-JACE HERONDALE!- urla una voce, e percepisco furia e rabbia nel tono- FUORI! IMMEDIATAMENTE!
-Pericoloso...- sussurro, terminando la frase.
Il mio sorriso si allarga, mentre dallo specchio vedo una figura solcare la soglia della porta ormai aperta, per poi dirigersi correndo verso me e il mio futuro sposo.
Appena arriva accanto a Jace, lo guarda in cagnesco, con uno sguardo così intenso che anche un bambino capirebbe che il messaggio che vuole inviare è "potrei ucciderti, in questo momento".
La ragazza incrocia le braccia al petto, coprendo per un attimo la scollatura del suo fine ed elegante abito lungo fino al ginocchio che accentua e rende ben visibili le sue curve perfette.
Jace mi guarda con dolcezza e, dopo aver incontrato lo sguardo della mora, si morde il labbro inferiore e sgattaiola via.
-Ai suoi ordini, capitan Isabelle- dice, mentre esce dalla camera.
Izzy alza gli occhi al cielo e sospira, frustrata, cominciando a scuotere il capo.
Sembra quasi che sia lei quella che si sta per sposare.
-Lo sai che sono disposta ad andare a comprarti un altro vestito, adesso?- chiede, cominciando a battere freneticamente un piede, naturalmente in equilibrio su alti tacchi, sul pavimento di marmo- Adesso lui ti ha vista e...
-Calma, Izzy- la ferma qualcuno, e vedo entrare Simon, dirigersi ed arrivare affianco a lei e cingerle la vita con il braccio sinistro.
Nel suo smoking elegante sembra quasi un'altra persona e mi sciolgo pensando che è lo stesso bambino con cui ho trascorso la mia infanzia, il ragazzo con il quale ho passato la mia adolescenza, colui con il quale ho condiviso la mia vita.
-Clary- sorride, indicandomi con il capo- sei un incanto.
-Anche tu, Simon- rispondo, cercando di trattenere le lacrime di fronte alla sua figura che mi ha ricordato quanto tempo è passato, quanto sono cresciuta, quanto è cresciuto, quanto siamo cresciuti.
-Non c'è da stare calmi!- urla la ragazza, chiudendo gli occhi, nervosa, per poi li riaprirli qualche secondo dopo- LUI ha visto il vestito!- spiega, gli occhi rivolti verso il mio migliore amico.
Sorrido e scuoto il capo, ancora allibita dal comportamento euforico, esagerato e nervoso della mia amica.
-Aspetta- dice poi, spalancando gli occhi- TU- rivolge un'occhiata assassina a Simon- COSA CI FAI QUI?- chiede, urlando.
Lui si sposta in un istante, ridendo, e si avvicina a me.
-Sono solo venuto a dire a Clary una cosa- spiega, con voce seria- Qualcuno vorrebbe incontrarti per farti gli auguri... Deve subito andare via, dopo, quindi...
-Certo, Simon- sorrido- fai entrare questo qualcuno.
Lui sorride tristemente ed esce dalla camera e Izzy, dopo aver ricevuto un suo sguardo pieno di significato, esce a sua volta.
Si sentono dei passi che indicano che "qualcuno" si sta avvicinando e, subito dopo, sento qualcos'altro.
-Clary- sussurra una voce maschile, e vedo la persona che ha parlato appoggiata allo stipite della porta.
Gli abiti sgualciati, sicuramente indossati frettolosamente, lo fanno sembrare più disinvolto del normale e i capelli biondo cenere scompigliati aggiungono quel pizzico di disordine non da lui, così inusuale che mi fa spalancare gli occhi per la sorpresa.
-Jonathan!- sorrido e gli vado incontro, anche se i tacchi non mi permettono di muovermi in modo adeguato, e finisco fra le sue braccia.
-Non pensavo che saresti venuto- sussurro, la testa poggiata contro il suo petto, mentre cerco di trattenere le lacrime per non rovinare il trucco.
Credo che, se Isabelle sapesse che ho anche rovinato il trucco, si metterebbe a strapparsi i capelli, urlare e minacciare di rimandare il matrimonio.
-Lo sai che dovrei essere a lavoro, adesso- dice, stringendomi-Ma ho fatto uno strappo alla regola per venire a trovarti.
Certo, il lavoro.
-Come va a voi pacificatori, adesso?- chiedo.
-I ribelli sono tanti, molti, troppi- spiega, stringendomi ancora di più- e noi "interni" siamo pochi, per ora, ma stiamo aumentando di numero di giorno in giorno, ce la possiamo fare.
Sta rischiando, sta aiutando i ribelli dall'interno, vuole rovesciare Capitol City.
Da quando, negli ultimi Hunter Games, tutti i partecipanti si sono rifiutati di combattere e sono riusciti a scappare dall'Arena, è iniziata una vera e propria rivolta e noi la stiamo sorreggendo.
Lui la sta aiutando.
È da due anni che continiamo così, che scontri di ribelli e sostenitori di Capitol City si alternano, ed è proprio per questo che adesso mi sto sposando.
Forse è un po' presto, ma non importa, ho rischiato molte volte la vita, Jace ha rischiato molte volte la vita, e anche se siamo giovani, vogliamo compiere questo passo, prima che sia troppo tardi.
Jonathan non dovrebbe essere qui, è un matrimonio fra due tributi ribelli che si tiene nel Distretto 13, in incognito.
È tanto, se siamo ancora vivi, e lui è un pacificatore: è, ufficialmente, dalla parte opposta e, se venisse scoperto, sarebbe un problema.
Lavora ai confini del distretto 12, è riuscito a far credere di non essere dalla parte dei ribelli e ad ottenere un impiego minore, ma che comunque lo etichetta come sostenitore di Capitol City.
Non ha dovuto percorrere molta strada per raggiungerci, ma sta comunque rischiando molto, ha rischiato anche solo pensando ad un atto del genere.
Quando l'hanno ripreso fra loro, grazie anche all'aiuto e all'influenza di nostro padre, sono stati chiari: un passo falso e niente avrebbe più potuto aiutarlo.
Deve essere sempre attento e all'erta, anche perchè ci servono più spie possibili, e questo non è stato per niente un atto cauto, per quanto lo possa gradire.
Eppure ha preso le giuste precauzioni: il suo abbigliamento insolito, ad esempio, quello che mi ha colpita.
Nonostante sia ugualmente riconoscibile, se qualche pacificatore irrompesse qui dentro e lo vedesse di sfuggita, magari potrebbe non riconoscerlo e lui riuscirebbe a scappare.
-Sono fiera di essere tua sorella- ammetto, e lui mi lascia un bacio sulla testa- Vai, Jonathan- dico, a malincuore, ma sapendo che, trattenendolo, potrei rovinarlo.
Non voglio neanche immaginare quello che succederebbe, se lo scoprissero.
Lui si stacca da me e sorride tristemente.
-Auguri, sorellina- scuote il capo e mi guarda, come per dire "guarda come sei diventata grande" - e di' a quel ragazzo di non farti del male, altrimenti gli rompo le ossa.
Sorrido tristemente, mentre va via, e rimango ferma, i piedi piantati a terra, sulla soglia della porta della camera.
-Clary...- la voce di Isabelle mi giunge come lontana e mi accorgo che è davanti a me, che deve essere arrivata adesso, aspettando che Jon se ne andasse- Tutti ti aspettano.
Annuisco e prendo Izzy per un braccio, immaginando già Jace che mi attende, fantasticando sulla cerimonia, ma, mentre attraversiamo il corridoio, mi trovo davanti qualcuno.
-Ei, Clary.
È Alec, che viene correndo verso di me, la voce allarmata e il viso imperlato di sudore, come se avesse corso per chilometri per venire da me.
-Alec-rispondo- Come mai qui? Insomma...
-Clary, non capisci, manca poco- dice, agitato.
-Oh, lo so- sorrido- mi sposerò fra poco...
-Clary- sbarra gli occhi- Clary, non capisci, devi muoverti, devi svegliarti.
-Svegliarmi?- chiedo, guardando con aria preoccupata tutto cio che mi circonda.
-Clary, svegliati.




-Clary.
È un sussurro, il mio nome pronunciato in modo flebile, un rumore appena percettibile, ma che giunge chiaro e limpido alle mie orecchie.
Sento il mio corpo venire trasportato via dal mondo dei sogni e ritornare alla realtà, percependo la durezza del pavimento della grotta sopra il quale sono stesa, la sensazione di asciutto presente nella mia bocca e quella di bagnato sulle mie guance.
Apro le palpebre, accorgendomi della fatica che provo a compiere un gesto così piccolo,  come se fossero attaccate fra loro, strette in un abbraccio, e non volessero più allontanarsi l'una dall'altra.
Inizialmente mi sembra quasi di non aver aperto gli occhi, dato che il buio mi circonda, e non riesco a capire come sia finita qui, in questa oscurità, quando poco prima mi trovavo in un corridoio luminoso.
"Sogno" è la parola che rimbomba dentro di me, e accolgo con tristezza quella voce che giunge dalla mia testa e dà risposte alle mie domande nel modo più semplice e diretto possibile.
Sento una fitta allo stomaco, come una ferita di cui mi sono appena resa conto, anche se so che non è una sofferenza fisica, quella che adesso mi pervade, bensì la consapevolezza che tutto ciò che il mio cervello ha creato non potrà mai accadere.
Qualche volte ho sentito dire che il ritorno alla realtà, dopo un illusorio sogno perfetto, è sempre un doloroso lasso di tempo che sembra infinito, dei momenti che trascorrono come lunghe ore, degli attimi cui capisci che sei fuggito da quella bellezza effimera per ritornare in quella che è una cruda esistenza, e anche io, adesso, posso confermarlo.
Il mio sogno era il desiderio più nascosto e irrealizzabile che viveva nella mia mente, la realtà è la paura più consapevole che io abbia mai avuto: l'Arena.
E ricordare ogni minuto trascorso qui dentro, paraganandolo a quella finta vita così invitante, è una delusione.
Ma ciò che delude di più è sapere che l'ultimo ricordo che ho della mia vita reale è un lungo pianto, le lacrime strazianti che ho versato, l'opprimente senso di colpa che sembrava un flagello che mi volesse piegare sotto il suo peso insopportabile, le mie idee su quello che probabilmente era successo, le percentuali che affermavano la morte di Jace, le mille domande riguardanti quel fiume che volteggiavano nella mia testa.
-Clary- il suono si ripete e questa volta la voce mi sembra più calda.
Per quei brevi, infiniti istanti avevo dimenticato ciò che mi aveva strappato via dal mio sogno: la voce, quel sussurro che urlava a squarciagola.
Ci metto qualche secondo a mettermi in piedi, o forse qualche istante, e un lasso di tempo che il mio cervello non riesce a misurare per rendermi conto della figura in piedi a poca distanza da me.
Il primo pensiero che mi passa per la testa è di fiondarmi ad abbracciare il tributo che, secondo il mio cervello, può essere solamente Jace, ma qualcosa mi ferma.
Vedo, nell'oscurità, un baluginio blu, di quel colore che ho visto solamente negli occhi di una persona.
L'ho visto quando scoprivo con Meliorn, Tessa e Imogen chi erano i miei sfidanti; l'ho ammirato quando eravamo sui carri; l'ho studiato durante gli allenamenti; l'ho visto brillare la notte in cui ero nascosta con Jace in terrazza; l'ho riconosciuto quando Jonathan mi ha rivelato che avevamo degli alleati; ho colto tristezza e disperazione in esso nel momento in cui Isabelle andava via; ho riconosciuto sete di vendetta, delusione e debolezza quando sgozzava Camille.
E lo vedo adesso, spento eppure scintillante, uguale eppure diverso, impaziente eppure calmo, amorevole eppure assassino.
Riconosco ancora una volta quello sguardo.
-Alec...-sussurro, e punta il pugnale contro di me.



-Mi dispiace- dico.
Sono le uniche parole che riesco a sussurrare, mentre chiudo gli occhi e mi appiattisco contro il muro.
-Per Isabelle- spiego- mi dispiace tanto- bisbiglio.
-È questo che vuoi dire? Sono le tue ultime parole?- chiede, la voce non spavalda, ma confusa, quasi dispiaciuta.
Apro gli occhi e lo guardo, cercando di mettere a fuoco il suo viso, così da riuscire a decifrare la sua espressione, ma non riesco a vedere altro che i suoi occhi, quelli che ormai sono il suo biglietto da visita.
-Non avrei mai voluto ucciderla- sussurro- siamo qui per ucciderci a vicenda, ma- scuoto il capo- non avrei mai voluto che Jonathan le facesse male in quel- deglutisco- modo, né in altri.
-Neanche io vorrei ucciderti- scuote il capo, avvicinando la lama al mio corpo- ma- socchiude leggermente gli occhi- devo.
-Lo so- bisbiglio.
-E poi hai abbassato la guardia- spiega- si è presantata davanti a me un'occasione irripetibile.
Mi aveva vista, dopo aver ucciso Camille, e mi ha seguita, io stessa l'ho guidato da me attraverso le mie tracce, compiendo lo stesso errore di Maia.
È arrivato qui e mi ha trovata dormiente, una preda così facile da uccidere che chiunque avrebbe potuto sconfiggerla.
-Ma non capisco bene una cosa- ammetto- perché mi hai svegliata e non mi hai uccisa...
-Nel sonno?- chiede- È da codardi e poi- sospira- non ci sarei mai riuscito.
-Perché?- aggrotto le sopracciglia, desiderando quasi la mia morta come avrebbe dovuto essere: nel sonno, tranquilla, durante quel sogno ammaliante.
-Non sai chi è morto qualche ore fa, vero?- chiede.
-No- deglutisco- non so se Jace è vivo o morto...- rivelo.
-È vivo- risponde.
Sentendo quelle parole, il mio cuore comincia a battere più velocemente, mi lascio sfuggire una risata liberatoria e sorrido ampliamente, anche se un'arma è puntata contro di me e probabilmente, anzi, sicuramente, fra poco lascerò questo mondo.
-Grazie- dico- grazie, Alec.
Non posso dire che svegliarmi sia stato il gesto più intelligente da compiere, avrei potuto attaccarlo, ma è stato l'atto più gentile che abbiano mai compiuto per me.
E poi lo sapeva, lo sa, non sono una combattente esperta, non avrei mai potuto vincere contro di lui in un corpo a corpo.
Devo ammettere, però, che se fossi stata nei suoi panni, avrei agito nello stesso identico modo: avrei pensato a Jace, avrei pensato che se fosse stato lui al posto di Magnus l'avrei fatto, e credo che Alec abbia seguito lo stesso ragionamento.
-Se non vincerà Jace- dico- sarei comunque felice per te.
-Perché?- chiede, quasi confuso, eppure sono sicura che, nel profondo, sa già quale sarà la mia risposta.
-Per lo stesso motivo che ha spinto te a svegliare me per dirmi che Jace è vivo- sorrido tristemente- saresti felice con Magnus e mi piace pensare che almeno qualcun altro possa avere una storia a lieto fine.
Lui non risponde, rimane in silenzio, ma in quegli occhi così profondi leggo, adesso, una sfumatura che non avevo mai avuto il piacere di vedere: gratitudine.
-Se non fosse necessario, Clarissa, non lo farei- ammette, avvicinando il coltello al mio corpo- ma è pericoloso, Jace potrebbe arrivare, e non posso perdermi in chiacchiere. Ci tengo a vincere e ad avere il mio lieto fine- spiega.
Annuisco, capendo cosa intende: se Jace arrivasse, potrebbe attaccarlo e, dato che anche io sono dalla sua parte, anche se non sono un'abile combattente, potremmo sovrastarlo.
Per un istante spero che succeda questo, che Jace irrompa qui e uccida Alec, anche se vedere anche lui morire, sarebbe una tortura.
Ma poi cosa succederebbe?
Non potremmo mai tornare a casa insieme, è stato stupido sperare sempre, nel profondo, di poter vincere INSIEME a Jace.
È semplicemente impossibile, come lo è ciò che ho sognato poco tempo fa.
E sarebbe una situazione orrenda rimanere sola con Jace, essere sua nemica, vederlo sacrificarsi per me.
Perché so che lo farebbe, è questo il suo piano, che forse si sarebbe anche potuto realizzare, ma che adesso sta per diventare impossibile, o meglio i ruoli si stanno invertendo, forse, e lui potrebbe vincere grazie alla mia morte, se sconfiggesse Alec.
Aveva trovato un'altra soluzione, sicuramente meno piacevole, dato che ha sempre saputo che uscirne insieme sarebbe stato impossibile.
Io, invece, ho sempre sperato nell'impossibile.
Se Jace non ce la farà, la vittoria di Alec sarà più che corretta, ci sarà un lieto fine, una conclusione con i fiocchi e, da una parte, sarei davvero contenta per lui, per loro.
Eppure, dall'altra, se tutto ciò succederà, io, se da morta potrò, sarò invidiosa di non essere potuta essere al suo posto.
-Possa la fortuna essere sempre a tuo favore, Alexander- sussurro, sentendo una lacrima scendere lungo la mia guancia.
Ho versato troppe lacrime in questi giorni, sono stata troppo debole, mi sono arresa alla tristezza troppe volte, eppure mi abbandono di nuovo a tutto questo, nonostante avessi promesso a me stessa di non commettere più questo errore.
A cosa serve morire con onore, senza piangere, con un'espressione sicura, quando di onore non ne ho più da quando sono entrata qui, da quando hanno usato la mia vita come intrattenimento per degli stupidi capitolini?
Forse dovrei essere forte, mostrarmi salda per mia madre, che mi guarda da casa, che ha già visto morire un figlio qui dentro, per Luke, perché so che soffrirà come soffrirei io per lui, per Simon, che si renderà conto che non potrà mai arrivare un supereroe a salvarmi, in questo momento.
-Mamma, Luke, Simon, vi voglio bene- sussurro, mentre altre lacrime solcano il mio viso-Alec, se vedi Jace, digli che- deglutisco- che lo amo.
-Salutami Isabelle, Clary- risponde.
Poi si avvicina a me e, con un movimento esperto, infila il coltello nel mio petto.
Sento un dolore lancinante, qualcosa di indescrivibile, e vedo un fiotto di sangue sgorgare dalla ferita.
E non posso fare a meno di urlare.





Mi accascio a terra, contorcendomi, e percepisco il dolore nel mio corpo, paragonabile a nessuna ferita fisica o morale che mi sia stata inflitta fino ad adesso.
Mi piego sul pavimento della grotta, accogliendo il dolore come un vecchio amico, eppure volendo che se ne vada per sempre, che tutto finisca.
Chiudo gli occhi.
Non voglio vedere il viso di Alec, non voglio vedere il mio sangue, né la mia ferita, né altro.
-Alexander- riesco a sussurrare- ti prego...
Ha capito, ne sono sicura.
Voglio che mi infligga un altro colpo, per farmi morire più velocemente, perchè sarebbe una tortura rimanere agonizzante a terra per un altro solo secondo.
Ma non si avvicina, non percepisco dolore in altri punti del mio corpo.
Mi sempre di udire un urlo, come un richiamo, ma forse è solo qualcuno che mi invita ad avvicinarmi di più alla morte.
Chissà, forse c'è qualcuno che mi aspetta, che mi prenderà per mano e mi condurrà in qualche luogo sconosciuto.
"Lasciami andare" dice il mio corpo, dice il mio cervello, dice il mio cuore, eppure percepisco ancora il pavimento della grotta, capisco di essere ancora viva, agonizzante, ma viva.
Poi sento qualcos'altro, un romore flebile, ovattato, qualcosa che inizialmente non riesco a capire, come un oggetto che viene lanciato, come...
"Come una freccia che scocca e si infila nella carne di qualcuno".
E Alec non ha un arco.
Sento ancora delle urla, delle parole, suoni che non riesco a capire, anche se vorrei sapere il significato di ogni singolo termine della conversazione, e poi, ancora una volta, quel rumore.
E poi arrivano altri rumori: un'altra freccia che viene scoccata, quello che sembra un corpo che cade a terra e, un secondo dopo, qualcosa di inaspettato, che fino a qualche minuto fa mi avrebbe fatto esultare o tremare, ma che adesso mi giunge lontano e irreale: un colpo di cannone.
Mi sembra di aver raggiunto l'ultima pagina di un libro, gli ultimi minuti dentro questo posto, perché so che morirò, e con la mia morte anche i giochi termineranno.
E i morti saranno 23 e fra quelli ci sarà il mio nome, che diverrà solo uno stupido pegno da pagare perché i cittadini non si sono mostrati ubbidienti e accondiscendenti.
Poi sento dei passi, dei passi che mi raggiungono.
Percepisco una mano posarsi sulla mia guancia, e so di chi sono quelle dita, quelle dita abili, che riescono a volare sui tasti di un pianoforte, a impugnare delle armi letali, a stringersi fra le mie e a farmi sorridere, che sembrano state inventate per giocare con i miei riccioli.
-Non lasciarmi, non ora.
È un sussurro che mi giunge lontano, una voce sofferente, come non l'ho mai sentita, e non voglio morire con un ricordo infelice della sua voce.
-Raccontami qualcosa, Jace- sussurro, senza sapere neanche dove ho trovato le forze per parlare.
-C'era una volta un ragazzo- comincia, esaurendo il mio desiderio, mentre continua a formare cerchi sulla mia guancia col suo pollice- che era follemente innamorato di una ragazza che ai suoi occhi era perfetta- continua- ma il loro amore era impossibile, lei era un angelo e viveva in paradiso, lui viveva sulla terra- sospira- eppure trovarono il modo di amarsi. Bastava pensarsi e nel cielo una stella brillava più intensamente del solito, mentre sulla terra un albero allungava i suoi rami verso il cielo. A volte, i rami e la stella riuscivano a toccarsi, ma anche quando non lo facevano, il ragazzo e la ragazza ricordavano il loro amore- fa scendere il suo pollice verso le mie labbra, mentre sento le mie forze abbandonarmi- brilla per me, continua ad amarmi, come farò io- sussurra.
-Per me- sussurro, sperando che abbia capito, perché non ho forze per dire altro.
Spero che abbia capito che io brillerò per lui, come lui vivrà e crescerà per me, che vincerà, fra poco, per me, che dovrà sorridere per me, cantare per me, suonare per me, aiutare la gente per me, ribellarsi nelle piccole cose per me, non sottostare a Capitol City per me, bisbigliare messaggi di ribellione per me, ricordare, per me, che ciò a cui siamo stati sottoposti noi e saranno sottoposti gli altri è ingiusto.
E chissà, forse, un giorno, qualcuno ricorderà questi messaggi, qualcuno si ribellerà, vincerà, esulterà.
E il ragazzo e la ragazza potranno vivere insieme, unendo cielo e terra, acqua e spiaggia, fuoco e ghiaccio.
Due innamorati, un giorno, avranno un lieto fine, ma non noi.
  
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