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Autore: Halley Silver Comet    15/10/2014    16 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 4



- Capitolo Quarto -
Vento di Sospiri




Dopo aver rimesso la tovaglia al suo posto, Anna Laura sbatté con forza il cassetto della cucina. Non solo la giornata era stata pessima, si era anche dovuta preparare il pranzo da sola! Dov’era quella buona a nulla di Beatrice? Perché non le aveva fatto trovare l’insalata di arance? Per colpa di quella sciagurata aveva dovuto ingurgitare un panino intero, ossia mangiare carboidrati. E al diavolo la sua dieta!
Sbuffando e brontolando contro la cugina, la ragazza si avviò verso il salotto, con tutta l’intenzione di buttarsi sul divano a leggere uno dei suoi fotoromanzi preferiti, così da dimenticare l’orribile mattinata trascorsa; in realtà, avrebbe dovuto intraprendere una sessione di shopping sfrenato con Ramona, invece quell’idiota della sua amica si era rotta il tarso facendo finta di giocare a tennis, mentre cercava di attirare l’attenzione del suo istruttore.
Per giunta, poiché tutte le altre ragazze erano impegnate con i preparativi per la festa dell’indomani, Anna Laura era tornata a casa prima del tempo e senza lo straccio di un vestito nuovo.
Come avrebbe fatto a far colpo sul dj? Se quella scellerata di Beatrice avesse avuto un po’ di sale in zucca, come minimo, avrebbe dovuto cucire per lei, tutta la notte, un abito all’ultima moda. Che mettesse a frutto la passione che aveva per ago e filo!
Un vociare indistinto catturò l’attenzione della ragazza. Si fermò in mezzo al corridoio che portava alla sala ed invertì il senso di marcia: sembrava proprio che ci fosse qualcuno vicino al loro cancello, forse i soliti adolescenti cretini che venivano a fare gli scherzi.
Arrivata alla finestra che dava sul giardino, Anna Laura scostò un po’ le tende, così da sbirciare senza essere vista dalla strada, e ciò che vide la lasciò di sasso: sua cugina stava parlando e ridendo con Marcello Tornatore.
Proprio così, parlando e ridendo con quell’Adone sceso in terra.
La prima cosa che le venne in mente fu di uscire e mettersi a gridare al ragazzo di smettere di perdere tempo con quell’insulsa di Beatrice, in quanto avrebbe potuto dedicare le proprie attenzioni a donne molto più meritevoli (per esempio a lei). Ciò che la spinse a fermarsi, e a comportarsi con più raziocinio, però, fu il pensiero che le venne in mente subito dopo: avrebbe potuto vendicarsi della parente in maniera molto più lenta e subdola, se solo avesse agito d’astuzia.
Innanzi tutto, avrebbe avvertito il cugino Guido delle scappatelle che faceva quella svergognata, sicura che, per via della storia aperta con Navarra, lui avrebbe messo subito la sorella agli arresti domiciliari; in seconda battuta, ne avrebbe parlato con sua madre, convincendola a caricare Beatrice anche di quei lavori domestici che, comunemente, erano considerati piuttosto pesanti.
Anna Laura rise malignamente, mentre si figurava la cugina intenta a portare in casa cataste di legna da ardere, magari mentre fuori infuriava una tempesta.
Stando attenta a non farsi vedere, si ritirò nella penombra del salotto, pregustandosi il momento in cui Beatrice avrebbe rimesso piede dentro casa, ma non senza prima aver lanciato uno sguardo adorante, con tanto di sospiro, a Marcello.

«Sei sicura che non ci sia nessuno in casa?» domandò il ragazzo, mentre scrutava le pessime condizioni della facciata di Villa dei Salici.
«Guido dovrebbe tornare stasera tardi. La zia Assunta aveva delle commissioni da sbrigare, ha addirittura detto che non sarebbe rientrata per cena, e l
Anna Laura dovrebbe essere in qualche boutique, a scialacquare gli ultimi risparmi» affermò Beatrice, con tono pratico.
«
Ah, be’, meno male» commentò Marcello, sollevato. «Il giorno giusto per chiamare è sempre il mercoledì?»
«
Sì, sempre quello. Se l’impegnatissimo messere riesce a trovare un po’ di tempo» lo punzecchiò la giovane, sorridendogli divertita.
Lui inarcò un sopracciglio, increspando le labbra.
«Il fatto che l’abbia dimenticato una volta, non ne fa una regola. Chiamerò: è una promessa
».
Per esserne certa, Beatrice prese la mano sinistra del ragazzo e vi intrecciò il mignolo con il proprio.
«
Adesso l’hai giurato, quindi devi ricordartene a tutti i costi» esclamò, pentendosene un attimo dopo. Era stata decisamente una mossa infantile e non si sarebbe meravigliata se Marcello non si fosse più fatto sentire: si era comportata proprio come una sciocchina.
Invece, oltre ogni aspettativa, il biondo strinse il dito di rimando, incurvando dolcemente le labbra.
«Sì, l’ho giurato».
La fanciulla avvampò e si ritrovò a pensare che fosse un vero peccato che quel giovane non sorridesse più spesso poiché, quando lo faceva, la sua espressione acquistava una grande soavità, senza contare che diventava ancora più bello. Le dispiacque non poco sentirlo allentare la presa.
«D’accordo. Io vado, prima che tornino tutti: non vorrei essere costretto a dare spiegazioni sulla mia uscita» disse lui, alzandosi il bavero della giacca. «Buona serata, Beatrice. A presto».
La giovane agitò la mano in risposta, un po’ delusa: aveva sperato che Marcello le concedesse un saluto più affettuoso, ma dovette accontentarsi. Magari, si sarebbe sciolto con il tempo e, allora, avrebbe assunto con lei un atteggiamento più confidenziale. 
Sorridendo, la ragazza salì i gradini ed aprì il portone di ingresso.
«
Ciao, Bea» l’accolse, dall’interno, una voce venata di perfidia.
Beatrice si voltò di scatto, sobbalzando allertata.
«
Anna Laura! Mi hai spaventata!» esclamò, portandosi una mano al petto. «Cosa ti è saltato in mente? Non è uno scherzo di buon gusto!»
«Oh, non volevo urtare la tua sensibilità» rispose l’altra, con una finta vocina addolorata. «Ti è piaciuta la passeggiata?»
«
Quale passeggiata? Sono solo andata a...»
«Non mentire!» gridò la donna, pestando i piedi in terra. «Ti ho vista, baldracca! Sei tornata a casa con Marcello!»
La fanciulla sbiancò: lo sapeva, era inutile continuare a mentire, sua cugina sapeva tutto. Alla sua reazione, Anna Laura si quietò e ghignò soddisfatta.
«
Oh-ho, siamo nei guai, cara la mia cuginetta. Vedrai, domani, quando lo saprà mamma!»
***

Allo scoccare delle cinque del pomeriggio, Gerardo guardò con apprensione l’orologio appeso alla parete di fronte. Essendo l’ultimo giovedì di ottobre, fuori avanzava già il crepuscolo, rendendo l’atmosfera ancora più cupa. 
«Carter è di nuovo in ritardo
» affermò, sbuffando d’impazienza. 
Marcello smise di mettere a posto, per l’ennesima volta, i resoconti che aveva portato e disse: «Ti meravigli? Abbiamo capito già da tempo che alla primadonna piace far attendere
».
«Non si tratta così la gente!»
«
Stai tranquillo che non fa aspettare le persone che gli servono veramente».
«
Quindi, sei sempre dell’idea che siamo fuori a priori?» domandò l’amico, accavallando le gambe ed incrociando le braccia.
«
Vuoi la mia sincera risposta? Sì. Scommetto che ha già deciso da chi accettare il prestito e, se continua a fare questa farsa della gara d’appalto, è solo perché c’è di mezzo lo stato britannico» affermò il biondo, sicuro come non mai di ciò che stava dicendo.
«E non credi che questo possa far sperare in almeno un briciolo di legalità?» avanzò l’altro, forse sperando di trovare un barlume di onestà anche in Edward Carter. Era una delle migliori qualità di Gerardo, sperare che in tutti vi fosse del buono, anche se quest’attitudine, in passato, l’aveva esposto a molteplici derisioni. Non che fosse un sempliciotto, ma aveva un’eccessiva propensione a fidarsi del prossimo.
«No, affatto. Tipi come quell’avanzo di galera sanno sempre come aggirare la legge» rispose Marcello, seguendo con il dito una venatura del tavolo particolarmente contorta. «Sempre».
Gerardo si alzò e cominciò a misurare a grandi passi la stanzetta dove li aveva fatti accomodare il cameriere, un giovanotto che non avevano visto la volta precedente, dicendo loro che il magnate sarebbe arrivato molto presto.
Erano già passate quasi due ore.
I ragazzi stavano quasi per alzarsi ed andarsene, quando John Miller entrò nello studio, salutandoli con un sorriso falso come una banconota da trentamila lire.
«
Perdonate il ritardo, eravamo in trattativa con un cliente» esordì, tappezzando il tavolo con i suoi stupidi documenti.
«Gli affari necessitano di tempo e pazienza
» considerò Carter, sedendosi al tavolo. Prima che si potesse cominciare qualsiasi discussione, entrarono due camerieri che apparecchiarono un tavolino accessorio lì vicino, servendo vino e tartine con caviale e paté de foie gras
«
Oggi abbiamo saltato il pranzo, per tanto abbiamo disposto che venisse servito un piccolo rinfresco» addusse il magnate a mo’ di giustificazione, mentre si riempiva il piatto. «Servitevi pure».
«
Grazie della gentilezza, stiamo a posto così» si affrettò a dire Gerardo, scrutando quelle tartine come se fossero veleno.
Marcello non poté che essere d’accordo: non era un accanito animalista e ad una buon piatto di carne non diceva mai di no, tuttavia non riuscì a non provare pietà per oche e anatre, ingozzate a forza per produrre quell’orribile poltiglia. Inoltre, si meravigliò anche del fatto che un sostenitore di prodotti originari dell’Inghilterra come Carter (la volta scorsa aveva vantato l’unico vino autoctono inglese) consumasse cibo di provenienza chiaramente francese. Stranezze da miliardari.
Miller cercò di convincere Gerardo a prendere almeno un po’ di vino, invece ignorò del tutto il biondo, dimostrando di voler seguire la stessa linea che aveva adottato durante il loro precedente incontro. Per fortuna, a Marcello non importava un fico secco né di Carter né del suo pomposo assistente, per tanto decise che sarebbe stato al suo gioco: avrebbe interagito solo con l’imprenditore e solo se l’avesse ritenuto necessario.
Dopo che i due si furono rimpinzati a sazietà, John Miller si dilungò nell’aggiornare i presenti, o meglio chi tra i presenti era meritevole del suo tempo, circa i nuovi sviluppi in merito alla costruzione della piattaforma, sostenendo che i lavori sarebbero iniziati non appena si fosse giunti alla stipulazione del contratto.
«
Una volta stabilita la società che ci darà il minor tasso d’interesse sul prestito, si potrà dare il via ufficiale al progetto» spiegò l’uomo, gonfiandosi come se l’idea fosse stata tutta sua.
«
Esattamente, quante società concorrono per questo... appalto» chiese Gerardo, indugiando sull’ultima parola, come se non fosse completamente convinto che fosse la più giusta da usare.
«Undici
» rispose pronto Miller. «Cinque inglesi, una araba, tre olandesi, voi ed un’altra di Roma».
«
Ah, credevamo di essere gli unici italiani» notò il giovane, senza riuscire a reprimere il proprio stupore.
«La piattaforma sarà un simbolo di progresso energetico, una proiezione verso il futuro
» illustrò l’assistente. «Anche il vostro paese vuole evolversi verso nuove frontiere, il carbone appartiene al passato. Senza contare che non avete giacimenti attivi».
«
Il settore energetico è molto redditizio, bisogna solo avere l’audacia di investire. Nelle vecchie fonti energetiche, ma, soprattutto, nelle nuove...» aggiunse il magnate, lisciandosi i baffetti alla Rhett Butler. «Ed anche in questo caso, peccate molto: avete tre centrali attive ed una in costruzione, pochine, considerando il fabbisogno medio».
«Intende centrali nucleari2, Lord Carter?» intervenne Marcello, non riuscendo a trattenere la domanda.
«Esatto. La sicurezza del futuro comincia da lì
».
«O, forse, dai detriti di Chernobyl
» commentò il giovane, alludendo al recente disastro ambientale che aveva coinvolto tutta lEuropa. 
Il magnate ed il suo assistente (questa volta Miller non poté far finta che non ci fosse) gli lanciarono uno sguardo penetrante: non aveva detto nulla di esplicito, ma la sua affermazione si sarebbe potuta prestare a diverse interpretazioni. Quella reale supponeva che il giovane non avesse affatto fiducia nella coscienza di Carter e, molto probabilmente, i due l’avevano intuito. Tuttavia Marcello non aggiunse altro, volendo avvalersi del beneficio del dubbio.
Al momento di scrivere l’offerta, fu consegnata a Gerardo una cartellina di pelle nera, contenente un foglio bianco e una bustina. Lui estrasse dal taschino interno una penna e scrisse ciò che doveva; quando ebbe finito, firmò la proposta e la mise nella busta di carta, sigillandola per bene, quindi la consegnò a Miller, il quale la intascò prontamente.
«Domani riceveremo l’ultima offerta, perciò, tra non più di una settimana saranno resi pubblici gli scrutini
» disse l’uomo, sorridendo giovialmente al ragazzo e facendo finta che accanto a lui ci fosse solo aria.
Il momento dei saluti fu piuttosto rapido, con due veloci strette di mano ai ragazzi da parte di Carter ed una sola da parte del suo assistente.
«Quando hai nominato Chernobyl, ho pensato che volessero farti fuori
».
«Sì, con una spada da cavaliere Jedi.
Andiamo, quei due sono troppo impegnati a fare progetti con il finanziatore che hanno già scelto, per pensare seriamente a noi» commentò Marcello, radunando i suoi documenti. «Secondo me, credono solo che io sia uno sbruffone, arrogante e presuntuoso, che non arriverà tanto lontano e che ti trascinerà con me nel declino».
«Declino?
» chiese l’altro, sorpreso, mentre lo aiutava a sistemare tutto.
«Be’, anche sui giornali di finanza dicono che non reggeremo a lungo la concorrenza. Lo strano caso degli imprenditori neolaureati da contratti milionari: è così che ci etichettano» spiegò il biondo, con una smorfia di disappunto.
«
E allora dobbiamo impegnarci per smentire queste voci e rimanere a galla il più a lungo possibile! Senza venir mai meno alla coscienza, ovvio» ribatté Gerardo, determinato, battendo un pugno sul palmo aperto. «Alla faccia di Carter e di chi non crede in noi».
«
Ed è esattamente quello che faremo!» confermò il biondo, con un sorriso sottile.
Quando uscirono dal locale, era già calato il buio e l’umidità stava rapidamente aumentando, costringendoli a imbacuccarsi bene nei loro cappotti di panno. Il freddo invernale non avrebbe tardato ad arrivare, l’odore di legna bruciata ed i comignoli fumanti erano segni del fatto che già molte persone avevano acceso i caminetti per scaldarsi.
«
Vieni da Vittoria, dopodomani?» chiese Marcello a bruciapelo, voltandosi verso l’amico.
«Da Vittoria?
»
«Sì, ha chiesto di passare da lei il prima possibile, ed effettivamente è un po’ che non la vediamo. Vorrei proprio sapere come se la sta cavando con i preparativi per la mostra».
Tutto d’un tratto, Gerardo si adombrò: «A me non ha detto nulla. Che tu sappia, c’è ancora il carciofone che transita per casa sua?
»
«
Credo proprio di sì, mi pare che adesso sia qui in città».
Il ragazzo non rispose, chiudendosi in un silenzio cupo. Marcello non aggiunse altro, tuttavia rimase abbastanza turbato dal comportamento dell’amico: perché aveva cambiato così repentinamente umore a sentir parlare di Vittoria e della mostra?
Continuarono a camminare, senza aggiungere altro e, al momento di salutarsi, all’incrocio con Via della Conciliazione, il biondo notò che il suo amico era davvero molto pensieroso e distratto. Un atteggiamento così strano, secondo Marcello, non aveva spiegazioni, a meno che Gerardo non gli avesse tenuto nascosti dei particolari. E se... All’improvviso, ebbe come l’impressione di essere arrivato a comprenderne la causa, per poi sfuggirgli di mente subito dopo, come se fosse stata talmente assurda da non meritare nemmeno d’esser presa in considerazione.
Scrollando la testa, si avviò verso la via di casa.
***

L’oscillazione del pendolo scandiva ogni secondo che passava e Beatrice odiava quel rumore, perché le metteva ansia. Fin da bambina, non aveva mai amato particolarmente sostare nell’ufficio della zia Assunta, pervaso dall’odore della polvere e arredato con tappeti tarlati dalle tarme. Ogni dettaglio conferiva a quell’ambiente un’aria d’abbandono, profondamente diversa dall’immagine che aveva il salotto di casa sua, sempre pulito e ben curato.
Alla contessa Elena, infatti, piaceva lustrare e profumare la casa, anche se da tempo non si poteva più permettere una donna che l’aiutasse con le pulizie, e non mancavano mai fiori freschi a decorare la tavola, un ricordo che strideva tremendamente con il pout-pourri secco e svanito che, in quel momento, aveva davanti la giovane.
La signora Assunta, una tarchiata donna sulla sessantina, sbuffò sonoramente, scuotendo la testa.
«
Sei sempre stata una piaga» commentò, scrutandola con i suoi occhiacci neri.
«
Io non ho fatto alcun male, zia» rispose Beatrice, spostando la sua attenzione dai fiori secchi alla parente. «L’Anna Laura non ha diritto a...»
«Taci!» esclamò la donna, alzando una mano, provvista di unghie lunghe, ricoperte di smalto scheggiato. «Tua cugina è stata fin troppo magnanima! Sicuramente non mi ha raccontato tutto, pur di proteggerti!»
«Proteggermi?
» insorse la giovane, sentendosi oltraggiata. «Ma se ha ingigantito il tutto!»
«Smettila di dire bugie, scostumata! Grazie a mia figlia abbiamo evitato il peggio! Se quel Navarra sapesse che ti diverti con altri ragazzi, non ti vorrebbe più e rimarresti sul mio groppone a vita!»
«Io non mi stavo divertendo con nessuno!»
«Ancora parli? Zitta, bagascia! Sei una donnaccia, esattamente come tua madre!»
Dopo questo insulto, Beatrice tacque: che sua zia si divertisse ad insultare lei, poco le importava, considerata la scarsa stima che aveva nei suoi confronti. Ma non doveva permettersi di infangare la memoria di sua madre, specie se non aveva ragione per insultarla: Elena, infatti, era infinitamente più bella della cognata e, sebbene avesse avuto un fior fiore di corteggiatori, aveva sposato il padre di Beatrice solo per amore.
Assunta si passò una mano tra i capelli grigi ed unti.
«Devo trovare il modo di farti stare al tuo posto... Adesso vedrai! Bettina!
»
Dopo un rumore di passi affettati, una donna di mezz’età comparve sulla soglia, mostrando sul volto i segni dell’ansia.
«Mi ha chiamata, signora?
»
«
Da domani dovrai lasciare il servizio presso di noi» pronunciò freddamente la padrona di casa, come se si trattasse di una sentenza di morte. E alla povera Bettina tale dovette sembrare, perché trattenne il fiato e spalancò gli occhi.
«Ma... ma signora, perché... Ha forse qualche motivo per lamentarsi del mio lavoro?
»
«No, no. Ma non possiamo più permetterci una domestica. D’ora in poi ci penserà mia nipote Beatrice a fare le pulizie
».
La ragazza aprì la bocca per parlare, ma ogni suono le morì in gola: già si occupava della pulizia della casa! Ciò significava che doveva sobbarcarsi, da sola, l’intera manutenzione della villa!
La cameriera continuò, dando voce ai pensieri della fanciulla: «Signora, la casa è grande, a stento io e la signorina Beatrice riusciamo a mettere in ordine tutto.... E poi
lo sa, con tre figli e lo stipendio misero di mio marito non ce la facciamo ad arrivare a fine mese. Io ho bisogno di questo lavoro...»
«
Non sono affari miei» tagliò corto la signora Assunta e, con un gesto sbrigativo, la congedò. «Prego, puoi andare. Ricordati di portare via con te tutti i tuoi effetti personali».
La donna rimase impalata, lì sulla soglia, con le mani strette intorno al piumino che stava adoperando per spolverare.
«
Ti ho detto di andare!» le tuonò la padrona di casa, facendo tremare la vetrinetta con tutti i ninnoli esposti.
Bettina balbettò qualcosa di confuso, quindi fece una maldestra riverenza e richiuse la porta. Beatrice fu certa di aver udito distintamente un singhiozzo, prima che la domestica si allontanasse.
«
Da domattina, prenderai il posto della cameriera. Ricordati che la mia colazione deve essere servita qui, alle sei e mezza. Non un minuto più tardi. Per quanto riguarda le abitudini di Anna Laura, ne parlerai direttamente con lei».
Come se non stesse aspettando altro che quel momento, la ragazza fece il suo ingresso, quasi saltellando dalla gioia.
La fanciulla la scrutò, aggrottando la fronte, e trattenendosi a stento dall’alzare gli occhi al cielo, esasperata da tanta cattiveria e stupidità.
«Eccomi qui, mamma! Allora, Bea, apri bene le orecchie: voglio che mi sia servita a letto, alle otto in punto. Il caffè deve essere tiepido. ma non troppo, con mezza pastiglia di dolcificante; lo yogurt, invece, deve essere quello magro, guarnito con un po’ di frutta di stagione a pezzetti
. Infine, il succo di pompelmo deve essere bello ghiacciato, servito in un bicchiere alto. Capito?»
Beatrice la fissò come avrebbe guardato una psicopatica e, molto probabilmente, era quello che effettivamente era Anna Laura.
«
Tuo fratello, invece, si arrangerà da solo, perché appena noi saremo uscite dovrai pulire da cima a fondo tutta la casa. E se trovo un solo granello di polvere, dovrai ricominciare da capo!» decretò Assunta, incrociando le possenti braccia come un gendarme. Al suo fianco, la figlia sembrava una bambina che aveva appena vinto il più bello dei giocattoli.
La giovane avrebbe tanto voluto dire che, per far tornare a splendere quella topaia, si sarebbe fatto prima a raderla al suolo e poi ricostruirla, ma lasciò perdere per evitare di aggravare maggiormente la sua situazione.
«Prova a ribellarti o a risponderci male e ti garantisco che mi impegnerò io stessa, affinché Navarra ti sposi entro il prossimo Natale!» la minacciò la zia, come se avesse intuito i suoi pensieri.
Infuriata per come la stavano trattando, Beatrice si morse l’interno della guancia fino a farsi uscire il sangue: quelle due arpie l’avevano messa nel sacco e, almeno per ora, stavano avendo la meglio.
***

Novembre avanzava tranquillamente, portando con sé i primi freddi e le prime piogge, ingrigendo il cielo che sovrastava la Capitale e rendendo l’aria più malinconica.
Udendo un tuono in lontananza, Marcello percorse, correndo, l’ultimo tratto che lo separava da casa di Vittoria, facendo scricchiolare le foglie marroni e arancioni degli ippocastani sotto le proprie suole.
Aveva promesso all’amica che sarebbe passato nel pomeriggio a trovarla, per sapere come stessero procedendo i preparativi della mostra, mentre Gerardo era stato irremovibile: essendoci alte probabilità di trovare Bartolomeo in circolazione, aveva preferito dare direttamente forfait.
Il biondo suonò il campanello ed immediatamente venne ad accoglierlo Agnese, l’anziana domestica. La casa di Vittoria sorgeva nella zona dell’Eur, a pochi passi da Via Cristoforo Colombo, ed era comoda perché poteva arrivarci tranquillamente con la metro, senza dover prendere l’auto. 
Nonostante potesse permettersi automobili costose, ancora non si era deciso a prendersene una personale, avvalendosi, alla necessità, di quella di suo padre e rinviava sempre la scelta, dato che amava prendere i mezzi pubblici per spostarsi: gli piaceva stare in mezzo alla gente, immergendosi nel via vai continuo e caotico di Roma. Osservare le persone, condividere con loro anche solo quei pochi istanti di viaggio, lo faceva sentire davvero parte integrante dell’umanità. Era un concetto che aveva sempre cercato di comprendere pienamente da quando lo aveva sentito durante le lezioni di filosofia, nei quali si parlava dei grandi dell’Antica Roma, come Tacito, Seneca, Cicerone, si erano affannati nello spiegare la complessità dell’Umanitas, ovvero di ciò che rende l’uomo simile ad un altro uomo.
Mentre percorreva i corridoi della villa, Marcello si ritrovò a passare accanto a copie d’autore di grandi quadri, come L’Ultima Cena di Leonardo, Le Nozze di Cana del Veronese oppure La Madonna Sistina di Raffaello, tutti capolavori che ben testimoniavano a quali livelli si potesse elevare l’espressività umana.
Agnese lo lasciò davanti alla porta della camera di Vittoria, quindi tornò alle sue occupazioni. Il ragazzo, invece, bussò energicamente, attendendo che l’amica gli venisse ad aprire.
«Sei una persona senza cuore!
» le sentì gridare dall’altra parte.
Accigliato, bussò ancora e, questa volta, la giovane fece la sua comparsa al di là del battente.

«Oh, Marcello! Ti stavo aspettando
» gli disse, sorridendogli.
«Con chi ce l’avevi?» chiese, però, lui, sospettoso, poiché era rimasto talmente sconcertato dalle sue urla furibonde da passare direttamente al dunque, senza nemmeno salutarla.
In risposta, l’altra inclinò da un lato la testa e, perplessa, domandò: «
Per cosa?» 
«
Chi sarebbe la persona senza cuore?»
A quel punto, Vittoria agitò una mano, come a voler sminuire con quel gesto l’entità della cosa e spiegò: «Ah, con nessuno d’importante... era solo Leandro».
La ragazza non nominava spesso il fratello, più grande di lei di diversi anni, che aveva lasciato ormai da parecchio tempo l’Italia, avviando così una brillante carriera da diplomatico. Le sue visite a casa era sempre rare e molto brevi, pertanto Marcello non aveva avuto molte occasioni di conoscerlo di persona, così da capire che tipo fosse, anche se, attraverso i racconti della giovane, non aveva avuto una buona impressione su di lui.
«Cosa voleva?
» le chiese il giovane, a bruciapelo.
«Ha appena ottenuto un importante incarico come consigliere di legazione1 a Dublino, perciò dice di non riuscire a tornare per febbraio, in tempo per la mostra. Ma so bene che, in realtà, è perché non gli interessa» rispose la ragazza, infastidita, invitando l’amico a seguirla.
«Magari davvero non può» azzardò l’altro, più per tranquillizzare l’amica che per difendere il suo fratello.
Tuttavia, l’altra scosse tristemente la testa e si abbandonò ad un mesto sospiro: «
No, lo conosco bene. Per lui, questo evento è solo una perdita di tempo, come il novanta percento delle cose che riguardano sua sorella».
Notando l’espressione avvilita sul volto della sua amica, Marcello decise di affrettarsi a proseguire nella conversazione.
«E così, Leandro è finito in Irlanda?»
«
Sì, dallo scorso agosto, perché la Polonia non gli piaceva. Mirava alla Germania dell’Ovest, ma il posto vacante non era lì» raccontò Vittoria, mentre apriva la porta di uno dei salottini.
La stanza era molto areata e luminosa, ammobiliata con una semplice libreria bianca colma di volumi antichi, un tavolinetto con il ripiano in vetro ed un paio di divani dalla tappezzeria azzurro pastello.
«
Ho detto a Agnese che, quando sareste arrivati, avrebbe subito dovuto mettere a scaldare l’acqua per il tè e preparare la cioccolata per Gerardo. Ma lui non è venuto, a quanto vedo» notò con una punta di delusione lei, accomodandosi su uno dei sofà.
«
L’ho sentito stamane, ha detto di non sentirsi troppo bene».
Vittoria irrigidì la schiena, si mise a braccia conserte e sibilò: «Marcello Tornatore, non sperare che io mi beva una fandonia come questa! Davvero mi ritieni così stupida?
»
«
Non lo sto coprendo, se è questo che stai insinuando. Ti sto solo riferendo quello che mi ha detto».
La ragazza abbandonò tutta la sua rigidità e si accasciò contro i cuscini del divano.
«Lo so che non vuole venire più qui. Da quando Bartolomeo transita in questa casa per allestire la sua mostra, Gerardo non si è fatto più vedere
».
«Non è un mistero che non lo trovi simpatico
» notò Marcello, senza andare tanto per il sottile.
«So benissimo che tra quei due non corre buon sangue. Comunque, oggi Bartolomeo non è venuto, perché doveva rifinire delle cose con la sua fantastica assistente. Perciò, il signorino Preziosino sarebbe potuto venire benissimo, almeno mi avrebbe aiutato anche lui. Non è giusto che ci sia solo tu».
Con una certa sorpresa, il giovane notò un certo astio di Vittoria nei confronti del suo fidanzato, tuttavia verso il loro amico le sembrò quanto mai indispettita, così decise di sondare ulteriormente il terreno, chiedendo: «
Io non ti basto?»
Accigliandosi, l’altra lo guardò, rispondendo solo dopo una breve pausa: «
Be’, con Gerardo saremmo stati in tre, avremmo ragionato meglio. Tu non sai quante cose ancora devo fare per questa mostra! Gli inviti, provvedere al servizio di catering, catalogare le opere, decidere quali sale mettere a disposizione...»
Marcello, nell’osservare la sua amica, fece una smorfia divertita: si vedeva che era agitata e che sentiva la mancanza del terzo componente del gruppo; in effetti, nemmeno secondo il biondo, Gerardo si stava comportando bene verso la ragazza, giacché aveva chiesto aiuto e loro, in qualità di migliori amici, erano tenuti a darglielo, a prescindere dagli attriti personali verso chicchessia.
«
Vittoria, tu credi che Agnese abbia già messo su l’acqua per il tè?» chiese poi il ragazzo, pensieroso.
«Posso chiamarla e chiederle a che punto è. Perché?»
«
Vedi» esordì lentamente lui, lisciandosi il mento, «penso che sia meglio se andiamo a farci una passeggiata e, magari, prendere qualcosa fuori. Tu hai bisogno di distrarti».
A quelle parole, la giovane sorrise, sinceramente riconoscente.
«
Sapevo che avresti capito al volo di cosa ho bisogno davvero» ammise, con dolcezza.

Non volendosi allontanare di molto, Marcello e Vittoria trovarono rifugio, dal vento gelido che sferzava fuori, in un piccolo bar lontano dalla strada. Essendo praticamente vuoto, riuscirono a sedersi subito ed attirare l’attenzione di una cameriera piuttosto rotondetta e dall’aspetto simpatico per ordinare due té con un vassoio di pasticcini.
«Dovresti rallentare i tuoi ritmi, ti vedo molto pallida
» commentò il ragazzo, mettendo di lato la carta delle ordinazioni. 
«
Oh, è che ci sono così tante cose da fare ed io sono sola!» spiegò la sua interlocutrice, giocherellando con i nastrini della sua maglia di lana.
«
Gerardo ed io siamo sempre pronti per aiutarti, lo sai» ci tenne a precisare il biondo, ma, vedendo l’espressione di disappunto comparsa sul volto di lei, si corresse. «D’accordo, Gerardo ultimamente è stato un po’ latitante, ma sono sicuro che non riuscirà a starti lontano ancora per molto».
Meravigliata, Vittoria trasalì e spalancò gli occhi nocciola.
«
Perché, cosa sai? Cosa ti ha detto?» chiese, concitata.
Interdetto da quella reazione, Marcello la fissò per qualche istante, prima di rispondere: «
Non ha detto niente, ma sai benissimo che entrambi ti siamo sempre stati vicini, soprattutto nei momenti difficili, perciò sicuramente anche lui vorrà darti una mano».
Tuttavia, di fronte a tale spiegazione, la giovane parve delusa.
«
Ah, in questo senso? Certo, certo, ovviamente» mormorò, scrollando la testa come a scacciare un pensiero indesiderato.
Sempre più perplesso, il giovane stava quasi per chiederle altre spiegazioni, quando la paffuta cameriera servì loro le bevande che avevano ordinato, accompagnandole con un vassoio contenente una grande varietà di piccole dolcezze: una gioia per gli occhi e, sicuramente, anche per il palato.
«
Non mi hai detto come è andata con Carter» constatò di punto in bianco Vittoria, cambiando argomento e allo stesso tempo facendo rapidamente sparire una crostatina con crema pasticcera e frutti di bosco. «Chiedo a te perché, sai, non posso parlare con gli assenti».
Anche se ora appariva più distaccata, il ragazzo avvertì che, in realtà, l’amica non aveva affatto mandato del tutto giù l’assenza di Gerardo; il modo risentito con il quale continuava a citarlo ne era un indizio e, forse, sarebbe stato prudente parlarne il prima possibile con il diretto interessato, così da evitare un litigio tra i suoi due migliori amici.
«
Non c’è molto da dire» rispose Marcello, servendo prima il tè all’amica e poi a se stesso. «Più che affari, quel tipo sembra che concluda traffici illegali».
«
Ne avete le prove?»
«
No, ma non mi è piaciuto come si è comportato, si è visto che non è interessato ad averci come soci. Voleva semplicemente studiarci e capire se fossimo allocchi raggirabili o meschini come lui».
Dopo una simile affermazione, Vittoria arricciò il naso, come se avesse percepito fisicamente odore di imbroglio: «Quindi le voci sul suo conto sono vere. Da come ne parli, sembra proprio l’essere viscido che tutti descrivono».
«E dovresti vedere il suo assistente, è più viscido del suo principale» commentò il biondo, ripensando con disgusto a quel John Miller, ai suoi toni melliflui e falsamente condiscendenti.
«
Grazie, non ci tengo, ne ho già abbastanza, di esseri viscidi. Sai che Ascanio mi ha mandato un mazzo di rose rosse?»
Il biondo aggrottò la fronte, convinto di aver esaurito le parole per descrivere in maniera opportuna Colonna. Non si era mai fatto scrupoli a corteggiare donne impegnate e, per giunta, Bartolomeo Davoli non era esattamente il prototipo di fidanzato geloso, ciononostante quell’imbecille aveva decisamente toccato il fondo. Non gli bastava fare il cascamorto con le contesse, ai ricevimenti, e con le commesse nei negozi?
«
Mi auguro tu le abbia buttate dritte dritte nell’inceneritore» commentò, pescando un diplomatico al caffè dal vassoio.
La giovane sorrise, per la prima volta in quel pomeriggio.
«
Le ho donate al centro anziani, almeno hanno reso felici le amabili vecchiette alle quali faccio volontariato».
«
Avresti dovuto rifilarle alla cassiera della libreria di Via della Conciliazione, piuttosto!»
«Ah, vero! Vabbè, non è l’unica alla quale Colonna fa il filo.
A proposito di quell’episodio, non mi avevi detto di aver preso un libro per Beatrice? Vi siete rivisti? Glielo hai portato?»
E fu così che venne fuori il nome della fanciulla, un’occasione per fare a Marcello il terzo grado che Vittoria non si lasciò certo sfuggire.
«Sai benissimo che ci siamo rivisti» notò il biondo, sbuffando. «Ti ho già riferito che mi ha detto del vostro incontro e del tuo invito alla mostra, dimentichi?».
«Sì, hai ragione, ma l’altra volta avevo poco tempo e non mi sono soffermata!» esclamò Vittoria, riprendendo un po’ di colore sul suo volto smunto. «Ora, invece, abbiamo tutto il pomeriggio davanti e voglio sapere tutto! Sono anni che sogno di vederti frequentare una ragazza, fuori i particolari!» 
Il giovane alzò gli occhi al cielo, rassegnato. Suppose che quelle fossero le condizioni per aver ridato a Vittoria il buon umore.
«
È venuta lei a cercarmi a casa, per riportarmi il soprabito, otto giorni fa» le riferì, dopo aver inghiottito un altro pasticcino. Poi fu costretto ad ammettere: «Mi sono dimenticato di chiamarla al telefono, seppur gliel’avessi promesso...»
«Ti sei dimenticato di chiamarla?
» chiese l’altra, incredula, interrompendosi mentre portava, cautamente, la tazza fumante alle labbra. «Sei incredibile! Beatrice deve essere molto paziente. Ed anche coraggiosa: lo sa che ha rischiato di trovarsi faccia a faccia con quella megera di tua madre?»
«
No, per fortuna lei era uscita in quel momento. Comunque, non l’ho fatto apposta» si giustificò lui, un po’ in difficoltà, «la vicenda di Carter mi ha assorbito parecchio. Non volevo mancarle di rispetto».
Vittoria sorrise, scuotendo la testa.

«Devi piacerle molto per essersi spinta a tanto. Di solito, le ragazze aspettano che sia l’uomo a farsi avanti. Però è anche vero che, con un pezzo di legno come te, ci vuole inventiva».
«
Pezzo di legno?» esclamò il biondo, risentito, rimanendo con la bustina di zucchero tra le dita. «Mi sono scusato con lei e, a dirla tutta...»
«
Dai, non te la prendere, era una presa in giro bonaria!» si schermì la ragazza, ridendo.
La conversazione, però, gli aveva fatto improvvisamente tornare in mente il fatto che Beatrice, quella mattina, non gli aveva risposto. Eppure gli aveva garantito che il mercoledì era il giorno giusto per telefonarle.

«Marcellino, stavo scherzando! Non c’è bisogno di mettermi il muso per così poco!» esclamò Vittoria, avendo probabilmente notato il suo cambio d’espressione.
«
No, non è per quello. È solo che questa mattina non mi ha risposto, nonostante mi abbia esplicitamente detto di chiamarla il mercoledì» spiegò Marcello, rendendola partecipe dei propri pensieri.
«Magari ha avuto un imprevisto ed è dovuta uscire, riprova».
«
Già. Volevo proporle di vederci anche la settimana prossima» mormorò il ragazzo, sovrappensiero. «Secondo te, aspettare un mese non è eccessivo, prima di poter rivedere una persona che vuoi conoscere meglio?»
«
Se io avessi l’opportunità di uscire con il mio uomo, lo vorrei vedere tutti i momenti» commentò la giovane, malinconica. La particolare enfasi, che aveva impresso alla parola mio, diede al biondo la fugace impressione che lei non stesse alludendo a Bartolomeo. Tuttavia, Vittoria tornò presto alla solita allegria, tanto è vero che insinuò, sorridendo sorniona: «La tua rossa fiorentina deve essere davvero speciale se le riservi tutte queste attenzioni; sarebbe un peccato farla aspettare, non credi?»
Marcello non replicò, limitandosi a fissarla e a sorseggiare il suo té.
***

Guido, seduto al tavolo della cucina, sfogliava annoiato il giornale, rimpinzandosi di patatine al formaggio e sbuffando di tanto in tanto: secondo gli ordini impartiti dalla signora Assunta, avrebbe dovuto sorvegliare la sorella finché non avesse ultimato le faccende e solo allora sarebbe potuto uscire.
Poco più lontano, Beatrice, livida dalla rabbia, stava lavando i piatti, stando attenta a sbatterli con quanta più forza possibile e sperando che si sbeccassero tutti: non poteva sopportare di essere stata schiavizzata ancora di più di quanto non fosse già, senza aver fatto nulla per meritarlo.
La ragazza si scansò, con l’avambraccio, una ciocca di capelli dalla fronte e, approfittando del momento di pausa, lanciò un’occhiata velenosa al fratello.
Questi dovette notarlo, poiché disse: «
Avanti, Cicci, non mi guardare così».
Beatrice gettò la spugna nel lavabo dove stava lavando le stoviglie, facendo schizzare schiuma tutt’intorno, quindi si mise a braccia conserte e, così facendo, si asciugò le mani bagnate sulle maniche: infatti, la cugina non aveva ritenuto necessario farle indossare dei guanti.
Si avvicinò pericolosamente al tavolo e si rivolse al fratello, stizzita: 
«E come dovrei guardarti? Mi stai vietando di mettere piede anche in giardino, stai assecondando i lavori forzati che mi comanda l’Anna Laura e hai organizzato un appuntamento con Navarra, senza avere il mio consenso!»
«Cicci, sai bene che dopo quello che hai combinato era il minimo che potesse accaderti» rispose il giovane, continuando a mangiare patatine.
«
Quello che ho combinato? E cosa avrei fatto di così grave, per meritare tutto questo?»
«
Ti sei vista di nascosto con un ragazzo, uno che non è il tu’ fidanzato. Per fortuna, Navarra è in Spagna a sistemare delle cose, così non saprà niente di questa storia...»
Beatrice tornò al lavabo e prese una padella insaponata, agitandola pericolosamente sotto il naso di Guido.

«E, da quando, di grazia, quello schifoso sarebbe il mi’ fidanzato?
»
Il ragazzo si decise a guardarla in faccia e sbatté le palpebre, rimanendo in silenzio.
«
Non rispondi, vero?» incalzò la ragazza, sbattendo la padella sul ripiano della cucina. «Da quando gl’hai promesso che sarei stata sua in cambio di soldi! Così da poter estinguere il debito che hai con lui
«Bea, lo sai che non ho alternative. Vedrai che Conrado sarà un buon marito
» le rispose il fratello, piegando con cura il giornale e sistemandolo sul tavolo.
La fanciulla scoppiò in una risata isterica.
«
Buon marito? Certo, quando non mi piccherà, violenterà o mi concederà ai su’ luridi amici, potrebbe anchessere un buon marito. Perfino ottimo, nel momento in cui sparirà per concludere qualcuno dei su’ sporchi affari. In fondo, anche Saddam Hussein, quando non è impegnato a bombardare l’Iran, l’è una personcina adorabile».
«Beatrice...»
«Come diavolo hai potuto!»
Guido perse la pazienza e si alzò in piedi, gridando: «
Beatrice, finiscila! Basta!»
L’altra non si ritrasse, anzi rimase a scrutarlo, furibonda; l’unico sentimento che sentiva ora verso il fratello, infatti, era un misto di pietà e disprezzo.
Il giovane dovette percepirlo, infatti abbassò lo sguardo e biascicò: «Io... Scusa... Non volevo alzare la voce con te...»
«
Non importa, Guido. Hai ragione, per stasera basta così» disse la ragazza, rimettendosi a sciacquare le pentole. Guido fece per aggiungere qualcosa, ma rimase con la mano alzata a mezz’aria e la bocca aperta. La richiuse poco dopo, abbassando anche il braccio e allontanandosi mestamente, a capo chino.
«
Ricordati solo una cosa» aggiunse Beatrice, senza voltarsi, «la prossima volta, per sanare i tuoi debiti, impegna solo la tu’ vita e non quella degli altri».
Il giovane si arrestò quel poco tempo necessario ad incassare quelle parole taglienti, poi uscì definitivamente dalla cucina.
La fanciulla fissò il suo riflesso pallido e triste nel vetro della finestra posta sopra al lavandino: si sentiva debole e sola, come se fosse esposta alle peggiori intemperie, senza avere un riparo.
Udì la porta d’ingresso che si apriva e si chiudeva subito dopo: sicuramente era Guido che usciva per ritrovarsi con i suoi balordi amici. Suo fratello combinava i guai, a lei toccava rimediare e lui si prendeva anche la ricompensa: era sempre stato così. Ma questa volta non si trattava di marachelle di bambini, c’era in gioco la sua felicità e la sua vita.
Beatrice sospirò, sentendosi improvvisamente vuota.
Finì di mettere a posto le stoviglie, quasi meccanicamente, poi cominciò a salire i gradini, con tutta l’intenzione di mettersi a letto il prima possibile, un po’ per riposarsi dal duro lavoro, un po’ per porre termine a quella giornata infernale.
Mentre si spogliava per mettersi il pigiama, si sentì come spiata, anche se convenne che doveva essere tutto frutto della sua immaginazione, violentemente scossa dall’ingombrante e minacciosa presenza di Navarra nel suo futuro. 
Quell’essere le faceva ribrezzo e non avrebbe mai potuto rassegnarsi all’idea di diventare sua moglie, soprattutto non dopo aver conosciuto Marcello, per il quale ormai era certa di provare più che una semplice simpatia.
Si mise a letto e tirò fuori, da sotto al cuscino, il libro che le aveva regalato il giovane: meno male che aveva nascosto quel regalo in borsa, prima che lo potesse vedere sua cugina, altrimenti Anna Laura se ne sarebbe appropriata senza fare tanti complimenti.
Sfogliando le pagine, emananti quel buon odore di carta nuova stampata, Beatrice si perse ad ammirare i contrasti di luce e di ombra, tipici della pennellata caravaggesca: contrasti che erano sempre presenti anche nella sua vita, anche se ora, a dirla tutta, sembrava proprio che stesse prevalendo l’oscurità. Si fermò, così da lasciare lo sguardo libero di vagare sulla parete bianca di fronte a lei e divenne improvvisamente molto triste, come se avvertisse di non poter essere più felice.
Aveva una gran voglia di piangere, eppure era troppo stanca anche per quello, per tanto lasciò che fosse la spossatezza a prendere il sopravvento, guidandola nel mondo dei sogni, unico luogo in cui, al momento, poteva sperare di essere più libera.





***
Per la revisione, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto che si rivela, ogni volta, un’ottima consulente.

***

[N.d.A]
1. consigliere di legazione: è il secondo grado della carriera diplomatica italiana;
2. centrali nucleari: le centrali nucleari italiane sono state in realtà cinque. Di queste, quella di Montalto di Castro non ha mai funzionato, poiché la sua costruizione non era ancora terminata quando ci fu il Referendum del 1987. Quella di Sessa Aurunca ha smesso di lavorare nel 1982, in seguito ad un guasto. Le altre tre sono Latina, Trino e Caorso, le quali hanno smesso di lavorare tutte in seguito al già citato Referendum

***


Salve a tutti!
Come promesso, questa volta ho aggiornato secondo i tempi previsti! E, per me, è una conquista, considerando che sono riuscita a far passare anche un anno prima di riprendere questa storia.

La buona notizia è che ho già scritto buona parte dei prossimi capitoli e, spero, aggiornerò con costanza.
Scrivendo, mi auguro di non aver preso sfondoni storici: ricordo che questa vicenda è ambientata negli anni 
80, pertanto i riferimenti ai fatti storici citati li ho inseriti per renderla più veritiera, tuttavia mi sto basando su racconti fatte da altre persone, che erano presenti, o resoconti letti qua e là, poiché all’epoca dei fatti non cero ancora.
Se voi doveste notare qualcosa di poco preciso, non esitate a farmelo presente.
Ringrazio chi legge, chi segue in silenzio, chi trova tempo e forza di volontà per farmi sapere la sua, chi ha messo questo racconto in uno dei suoi elenchi, chi mi farà sapere la propria opinione in seguito.
So bene che è una storia da “tè delle cinque”, tuttavia sto cercando di metterci impegno: a mio parere, la semplicità non è una scusante ad un modo di scrivere grossolano.
Il prossimo appuntamento sarà i primi di Novembre; intanto, vi lascio il link al mio blog, dove troverete uno spoiler tratto dal quinto capitolo.
Saluti,
Halley S. C.


  
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