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Autore: IoNarrante    19/07/2015    6 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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Capitolo 27
 
Sesso.
Sesso, sesso, sesso, fame, fame, sesso, sesso, dormire, sesso, fame, sesso.
Le uniche cose a cui riuscivo a pensare in quei giorni successivi mi stavano mandando ai matti. D’accordo che la notte trascorsa insieme a Simone era stata wow, non potevo di certo lamentarmi, ma non mi era mai capitato di avere più della metà della mia concentrazione completamente assorbita dal sesso.
«Smettila!» dissi alla me stessa riflessa allo specchio, un po’ sudaticcia.
Ero alla Abbott&Abbott da quella mattina alle 8, ma era come se fosse piena estate. Nemmeno quando mia madre aveva attraversato il suo periodo di menopausa aveva avuto tante vampate, inoltre pensavo a Simone ogni istante della mia giornata.
Persino stamattina la marmellata sulla fetta biscottata che stavo mangiando aveva una parvenza del suo sguardo più ammiccante.
Sto impazzendo.
Uscii dal bagno sperando che la mia giornata migliorasse. Saremmo dovuto andare da George Wright, nella speranza che alcuni dei suoi avvocati avessero avuto il buon senso di conservare delle carte probabilmente non giunte nelle grinfie della Cloverfield.
«Ehi, spaghetti-girl tutto bene?» mi domandò James, comparendo alle mie spalle.
Per poco non mi strozzai con un po’ di saliva. «C-Certo, benissimo!» ridacchiai nervosa.
Ci dirigemmo nel suo ufficio, cercando di sistemare al meglio le carte e organizzare le giuste domande da fare all’attore senza incappare in delle figuracce da principianti.
«Tutto risolto?» mi domandò di punto in bianco l’avvocato.
Alzai un sopracciglio confusa. Non sapevo se si stesse riferendo alle carte, oppure a qualcos’altro. «Cosa intendi?»
James si fece serio. «Beh lo sai, mi riferisco a quella faccenda che è meglio che non si sappia,» specificò, mormorando l’ultima frase a bassa voce. Quando tentavo in tutti i modi di scacciare quel pensiero, Jamie tornava a tormentarmi proprio come avrebbe fatto il grillo parlante con Pinocchio.
Era un po’ la voce della ragione, quella parte di Ven che avevo smarrito stando a stretto contatto con quel decerebrato di Simo.
Che però ti scopa da Dio!
Dannazione smettila!
«Ci sto lavorando,» mentii.
James si accontentò ben poco di quella risposta solo che avrebbe dovuto anche capire che non era facile. Non potevo entrare in casa e dire a Simone che era meglio non vedersi più, almeno fino alla fine del processo, perché altrimenti il mio capo avrebbe potuto licenziarmi.
«Spero che risolverai presto.»
Sarebbe stato tutto da vedere. Purtroppo l’intenzione di fare qualcosa c’era, ma una volta che mi trovavo faccia a faccia con il calciatore ogni mia sicurezza vacillava e il mio intero essere si abbandonava a lui senza lasciarmi scampo. Era come una droga. Tante volte avrei ripetuto a me stessa di prendermi questa pausa, di “smettere” con Simone, ma ogni singola occasione era buona per ricascarci.
You’re an addict.
«Te lo prometto,» lo rassicurai.
James mi stava facendo un grandissimo favore comportandosi in questo modo, facendo sì che avessi ancora una chance di diventare socia dello studio ma non potevo sfidare troppo la fortuna. Già avevo Yuki che mi alitava sul collo, figuriamoci se qualcuno dei tirocinanti avesse scoperto qualcosa e lo avesse detto a Mr. Abbott.
Non avrei avuto scampo.
«Tutto pronto? Andiamo.»
Uscimmo dall’ufficio diretti a Chelsea, uno dei quartieri nuovi e più in della Londra borghese. Le palazzine bianche sfilavano l’una accanto all’altra, quasi si tenessero per mano, ed ognuna aveva una piccola scalinata con tanto di corrimano, protetta da un cancelletto in ferro battuto.
Tutte ville identiche l’una all’altra, quasi progettate in serie.
Tra tutte quelle case pressoché identiche ne spiccò una in particolare, diversa dalle altre, costruita in puro stile underground con i tipici mattoni rossi.
«Eccoci qui,» disse James, controllando meglio l’indirizzo sullo smartphone.
«Abita qui?!» domandai sorpresa.
L’avvocato annuì. Non era certo stupito quanto la sottoscritta ma ero abituata all’idea che le star vivessero tutte quante in mega ville con tanto di piscina olimpionica. Feci spallucce e decisi di seguire James fino alla porta d’ingresso.
Ad aprirci fu un maggiordomo tutt’altro che “normale”: aveva una lunga e folta barba brizzolata, quasi come un motociclista di Harley Davison americane, ed era completamente pelato. Indossava addirittura un gilet di pelle ed era a petto nudo. Diciamo che la vista di quell’uomo mi aiutò a superare le vampate di calore di quella mattina.
«Siamo qui per Mr. Wright,» disse James cordialmente.
Pensai che se alla porta si fosse presentata la regina madre in bikini, Jamie non avrebbe ugualmente battuto ciglio. Era una statua di sale quando si trattava di lavoro, era come se smettesse i panni bonari da ragazzo inglese di buona famiglia e si vestisse soltanto da avvocato.
«Seguitemi,» mormorò l’uomo-motociclista.
«Per quale motivo è conciato così?» chiesi sotto voce a James, sperando che il tizio non mi sentisse.
Lui ridacchiò divertito. «Si vocifera che George Wright abbia attraversato numerosi “periodi” della sua vita, ognuno dei quali caratterizzato da uno stile diverso. Si circondava addirittura ogni volta di persone affini all’ambiente che lui stesso aveva scelto.»
«Una sorta di Picasso dei giorni nostri,» pensai. «Solo che al posto dei colori, ha scelto l’underground.»
Il particolare maggiordomo che il signor Wright aveva assunto ci fece fare quasi tutto il giro della casa, fino a raggiungere lo studio dell’attore. Avevo letto che dopo essere stato sulle copertine di ogni giornale grazie all’impennata che ebbe recitando per una famosa serie tv della BBC, si ritirò quasi a vita privata e nessuno ne sapeva il motivo…
…tranne me, James e Bastian Force.
«Prego,» disse l’ometto, bussando alla porta.
Dall’altra parte si udì una voce che disse “Avanti” e non indugiammo oltre.
L’ufficio del signor Wright non era proprio come me lo aspettavo. Non che avessi mai conosciuto un attore famoso, ma mi ero sempre immaginata un’abitazione piena di poster dei più grandi successi ottenuti, insieme a premi, riconoscimenti e quant’altro. Lì invece gli unici trofei presenti erano disgustose teste di animali impagliati, schizzi di tatuaggi sparsi sul pavimento e un nauseabondo puzzo di sigaro.
«Quale piacere!» ridacchiò un uomo seduto dietro una grande scrivania di legno, su cui aveva poggiato i piedi fasciati da enormi stivali di pelle. «Conosco tuo zio da un sacco di anni ma non mi aveva mai parlato di te, James.»
Rimasi allibita, era come se si conoscessero da anni. «Mr. Wright, sono riconoscente che abbia accettato ad incontrarci, nonostante i suoi impegni.»
George Wright era innegabilmente un bell’uomo, o almeno lo era stato. Di tempo ne era passato poco, perché cinque anni non cambiano radicalmente un uomo, ma nelle foto che avevo visto era molto più curato. I capelli non avevano taglio e si cominciavano ad intravedere delle striature bianche, per non parlare poi della bandana di cattivo gusto con cui li aveva acconciati.
Pareva un pirata.
Stessa cosa la barba: era un principio di nido per uccelli, con tanto di rametti incastrati tra i riccioli. Tutto ciò non sembrò affatto turbare James, che come al solito rimase pressoché impassibile.
«Prego sedetevi,» ci disse cordiale, poi si rivolse al “maggiordomo”. «Charles, potresti portare qualche bottiglia di birra e del brandy? Oggi ci sono degli ospiti importanti, bisogna festeggiare con roba buona!»
Sgranai gli occhi. Non erano nemmeno le undici del mattino e quel pazzo già beveva del brandy? Scossi la testa completamente stupita.
«Bene, bene,» gli occhi dell’attore si posarono su di me. «E tu chi saresti, splendida creatura?»
Un brivido mi percorse lungo la schiena. «V-Venera Donati, signore.»
Mr. Wright scoppiò in una rauca e forte risata che rimbombò per tutta la casa. Mi fece addirittura saltare sulla sedia dallo spavento. «Signore?» e continuò a ridere senza sosta.
Cosa avevo detto di male, tentavo di essere cortese.
«Hai sentito James? Per caso quanti anni mi da questa qui!»
Ecco, da “splendida creatura” ero passata a “questa qui” in un battito di ciglia.
James tentò di intervenire. «Venera viene dall’Italia e quando si è trasferita qui a Londra non conosceva molto la cronaca mondana.»
Mr. Wright mi analizzò con lo sguardo. Nonostante l’aspetto trasandato e cespuglioso, le sue iridi erano molto espressive. Di un grigio-verde quasi color fumo, pensai fossero occhi che ne avevano viste tante, anche se non aveva molti più anni di me.
«Sono una collega di Mr. Abbott, comunque,» puntualizzai, sperando di non passare in secondo piano. «Lavoro per lo stesso studio.»
O comunque ci spero.
George Wright unì i polpastrelli delle dita l’uno all’altro, osservandomi. Sperai davvero di aver recuperato punti ai suoi occhi, dal momento che quello sarebbe stato il testimone chiave per la riuscita del nostro processo.
«E mi dica, signorina, a cosa devo questa visita?»
Di punto in bianco smise di rivolgersi a James e fu come se fossimo soltanto io e lui nella stanza, faccia a faccia. Era un test ed io lo sapevo. Cominciai ad essere nervosa, a torturarmi il labbro con piccoli morsi ma dentro di me sapevo che quella sarebbe stata l’unica chance di concludere qualcosa.
Prima di rispondere fece il suo ingresso Charles con tre Corona e un bicchiere di Brandy con il ghiaccio su un vassoio. Pensai per un attimo che una bibita fresca mi avrebbe schiarito le idee, perciò afferrai fulminea la bottiglia per portarla alle labbra ma la mano di James si frappose.
Lo guardai esterrefatta.
«Tranquillo, avvocato,» ridacchiò rocamente Wright. «La signorina ha ventun’anni e nessuno di noi andrà in galera per una birra.»
Jamie mi ammonì con lo sguardo. «Fino a quando non avrai quei risultati, questa la prendo io.»
A quella parola, compresi l’apprensione dell’avvocato. Non che fossi molto pratica, ma in genere alle donne in stato interessante era caldamente consigliato evitare di bere o di fumare. A tal proposito, stavo per infrangere la prima regola.
Wright sembrò non capire quel nostro linguaggio fatto di sguardi.
«Torniamo a noi,» disse sbrigativo. «Qual è il motivo per cui siete qui?»
L’espressione bonaria e scherzosa che l’attore aveva adottato all’inizio, stava lentamente scomparendo. Era come se la nostra presenza gli sottraesse del tempo prezioso, quasi doveva fare chissà che cosa.
James intervenne. «Siamo qui per farle delle domande riguardo Miss Elizabeth Cloverfield.»
A quel punto vidi nettamente il cambio di luce negli occhi di Wright. L’allegria iniziale era del tutto scomparsa, lasciando il posto all’ira cieca di un uomo che ancora non ha superato un tradimento.
«Fuori!» ringhiò, senza nemmeno darci il tempo di spiegare.
«Ma signor Wrigth…» lo invitò James, implorandolo di ragionare.
«Charles! Accompagna i signori alla porta e sprangala per bene!»
Una reazione di quel genere non me la sarei mai aspettata, soprattutto da qualcuno che era sempre stato abituato a trattare con il pubblico. Vidi la mia unica speranza di aiutare Simone scivolare per sempre dalle mie mani senza che potessi fare nulla per stringerla. Vidi il maggiordomo alternativo accompagnarci alla porta, l’ultimo sguardo all’androne dove l’attore ci guardava con occhi furenti e il volto di James sconfitto.
«La prego!» implorai, ma fu del tutto inutile.
Non appena il portone blu cobalto ci venne sbattuto letteralmente in faccia, realizzai che ogni speranza che avevo nutrito per quell’incontro era stata vana.
«Non avrei mai potuto immaginare che fosse ancora così scosso,» ammise James.
Nessuno dei due riusciva a scostarsi dal pianerottolo. «Dunque, è finita?» chiesi, terrorizzata dalla risposta.
L’avvocato mi fissò con quelle iridi piene di rammarico. «Mi dispiace Ven, ma non possiamo insistere. Potrebbe denunciarci…»
I personaggi dello spettacolo avevano molte armi dalla loro parte, tra cui le famose querele o denunce se per caso si violava la loro privacy. Ricordo di aver studiato molti casi di fotografi un po’ troppo curiosi, che si erano appunto beccati dei richiami in tribunale. James, poi, non poteva permettersi nulla di ciò altrimenti il nome dello studio ci sarebbe andato di mezzo e niente come la cattiva pubblicità distruggeva le piccole imprese.
Sospirai sconfitta. «E ora che facciamo?»
Se anche ci fosse stata la benché minima speranza di chiedere a George Wright di testimoniare, non appena avevamo nominato il processo di cinque anni fa, l’attore aveva avuto una reazione spropositata. Nemmeno tra mille anni avrebbe testimoniato. Avrei dovuto fare qualcosa, trovare una soluzione. Avevo detto a Simo che eravamo ad un punto di svolta, soprattutto dopo aver saputo che i risultati del St. Charles confermavano la tesi dell’accusa.
Mi veniva da piangere. Devo trovare qualsiasi cosa.
Sentii la mano di James stringersi attorno al mio polso tremante. «Non c’è più niente da fare, se Mr. Wright non ha intenzione di testimoniare o non possiede alcun documento che risalga a quel processo, siamo d’accapo. Credo che a questo punto sia meglio tornare a studio.»
Tornare alla Abbott&Abbott equivaleva ad una sconfitta per me. Con quale coraggio avrei detto a Simone che era tutto perduto? Quale forza avrei avuto di lasciarlo senza alcuna garanzia per il suo futuro? E poi avrei avuto le chance minime di diventare socia dello studio, una volta persa la causa.
Quella storia era tutto per me, valeva troppe cose.
«Vieni con me?» mi chiese James, dirigendosi verso la fermata della Tube.
Scossi il capo, un po’ forse impuntandomi come una ragazzina. «Io non mollo, James. Ho troppe cose in ballo per questa storia. Al di là della causa o del mio posto nello studio, lo devo a Simone. Gliel’ho promesso.»
James parve comprendere. «È fortunato,» sospirò solamente. «Molto fortunato.»
 
Era appena passata l’ora di pranzo e la fame cominciava a farsi sentire. Presi un kebab dietro l’angolo e continuai a tenere sotto osservazione la palazzina di Mr. Wright. Sapevo che sarebbe uscito prima o poi, il problema era solo quando. Dovevo tentare a tutti i costi, anche se fossi parsa una stalker o altro. James non poteva prendersi denunce, ma io ero solo una tirocinante e non m’importava. Avrei fatto di tutto per vincere quella causa, per avere una speranza in più di farla pagare ad una donna che nemmeno meritava di essere nella mia stessa categoria.
«Uscirà, me lo sento,» dissi a me stessa, infondendomi coraggio.
Il sole di metà giornata mi riscaldava tiepidamente, lì sulla panchina dov’ero seduta e mi misi a pensare. La notte appena trascorsa era stata magica, così decisi di scrivere a Simone un messaggio che gli ricordasse quanto fosse stato straordinario.
Erano cose che si facevano, oppure no?
Evitai di indugiare oltre e afferrai il mio Blackberry, scoprendo amaramente che la batteria era completamente scarica. Talmente travolta dalle sensazioni della notte prima che avevo dimenticato di mettere sotto carica il cellulare.
Dannazione.
Per fortuna non aspettavo nessun tipo di telefonata importante, salvo forse i risultati delle analisi ma al momento non ricordavo quale indirizzo o numero di telefono avessi lasciato alla clinica.
«Ven! Cosa ci fai qui?»
Una voce familiare mi riscosse dai miei pensieri. Alzai lo sguardo e vidi una donna alta, con i capelli castani raccolti in un piccolo chignon e un sorriso talmente cordiale che era impossibile non rimanere imbambolati a fissarla.
«R-Rose?» dissi incredula.
La cognata di Simone mi sorrise ancora più raggiante. Era come se avesse visto chissà quale apparizione incontrandomi, e forse un po’ avevo dimenticato quale fosse il calore che univa per davvero la famiglia Sogno.
«È da parecchio tempo che non ci vediamo, forse Natale? Come va il lavoro? La convivenza? Tutto bene con Simone?»
Quella valanga di domande mi fecero smarrire. Non sapevo quanto Sofia avesse detto di noi ai suoi parenti, ma ormai mi ero stufata di mentire. Era innegabile che io e Simone stavamo insieme, per quanto poco potesse durare, alla fine lo avevo ammesso anche a me stessa.
«A casa tutto bene, diciamo,» cominciai, stiracchiando le risposte. «La causa è un po’ in stand-by, io e James ci stiamo lavorando, ma speriamo di risolvere al più presto.»
Gli occhi da cerbiatta di Rose sembravano come avere il potere di sciogliere il ghiaccio attorno al mio cuore e riuscivano a guardarvi dentro, senza nemmeno chiedere. «Capisco,» disse solamente.
Non sapevo se avesse intuito dalle mie parole che eravamo ad un punto morto con la causa di suo cognato, ma sperai con tutto il cuore che non mettesse il fratello di Simo al corrente della nostra disfatta.
«Tranquilla,» continuò, sedendosi più vicina e mettendo una sua mano piccola e delicata sulla mia, sporca di salsa del kebab. «Comunque vada questa storia, sei parte della famiglia e noi non ti abbandoneremo.»
In quel momento volevo soltanto piangere. In tutta sincerità non ero mai stata un tipo da lacrima facile, ma da qualche settimana a questa parte ogni mio cambiamento d’umore era rapidissimo e quasi doppiamente intenso.
«G-grazie, » risposi, un po’ con la voce rotta, ma non sapevo sinceramente cosa dire. Era la prima volta che mi sentivo “a casa” pur essendo così lontana da Tivoli e dalla mia vera famiglia. In Simone avevo trovato un compagno, qualcuno che mi sostenesse anche nei momenti più bui della mia giornata, ma nella sua famiglia avevo addirittura trovato quei fratelli che i miei genitori non erano stati in grado di darmi.
Rose sorrise e mi accarezzò le spalle, infondendomi sicurezza. «Una di queste sere potreste venire a cena da noi, Susanna mi chiede sempre della “zia con il nome strano”,» e ridacchiò sincera.
«Volentieri,» dissi, anche se d’improvviso mi tornarono alla mente le parole di James e la separazione che avrei dovuto affrontare per salvare la mia carriera. Un’ombra s’impadronì del mio sguardo e feci di tutto per allontanarla, in modo da non turbare l’armonia di Rose.
«Tutto bene?» mi domandò sinceramente preoccupata.
Scossi la testa. Nessuno doveva sapere di questa cosa, altrimenti avrebbero avvertito Simone e lui non mi avrebbe mai lasciata andare. Dovevo allontanarlo a modo mio, dandogli un motivo più che valido per odiarmi e poi sperare che mi desse ugualmente il suo perdono più avanti.
«Sto bene,» dissi subito, cercando di dissimulare la tristezza. Parlai della prima cosa che mi venne in mente. «Sono stata dal dottor Ross.»
Forse ero passata dalla padella alla brace. Gli occhi di Rosie si illuminarono, quasi potessero diventare più castani di quanto non lo fossero già di natura. Non capii il perché di tutto quell’entusiasmo, in fondo le avevo soltanto detto di essere andata da un medico.
«Qualche novità?» insistette.
Feci spallucce. «Niente di nuovo, mi ha solo prescritto delle analisi di routine, sai, con il lavoro, lo stress e tutto il resto. Magari mi ci vuole una vacanza!» sdrammatizzai.
Rose parve un po’ delusa, in effetti. Erano due le motivazioni: o sperava stessi per morire, ma era totalmente da escludere, oppure aveva capito qualcosa della mia probabile condizione ancor prima che io stessa me ne accorgessi.
Anche lei è mamma, genio. Avrà riconosciuto i sintomi.
Annaspai in cerca d’aria. Forse avevo detto troppo e mi stavo rovinando con le mie stesse mani. Per fortuna, proprio in quel momento critico, il portone blu della palazzina in mattoni rossi si aprì, rivelando un trasandato Mr. Wright che usciva per una passeggiata.
Per un attimo Rose scomparve completamente dalla mia attenzione. Ero totalmente focalizzata sull’attore e sul modo più razionale che avessi di chiedergli un’altra volta udienza.
«Ven?» mi chiese lei, ma la sua voce mi parve quasi un brusio lontano.
«S-Scusami, devo andare assolutamente,» dissi, attraversando la strada senza nemmeno guardare se arrivassero autovetture.
Mr. Wright era solo. Camminava a testa bassa, con la solita bandana calcata sul capo e la barba incolta che svolazzava ad ogni suo passo.
«Signor Wright!» gridai, quasi come una di quelle groupie che rincorrevano le star.
Un po’ mi era dispiaciuto lasciare Rose da sola senza alcuna spiegazione, ma ottenere un’altra possibilità con George Wright era di vitale importanza per la causa. Dovevo convincerlo a darci qualsiasi informazione utile e tangibile da portare in tribunale contro quella strega.
L’attore si voltò e non appena mi riconobbe, cambiò direzione. «Le ho già detto che non abbiamo niente da dirci,» insistette, adottando un passo veloce.
Velocizzai anche io i miei movimenti, cercando di raggiungerlo in breve tempo. «La prego Mr. Wright,» insistetti, ero determinata ad ottenere ciò che volevo, anche se mi fosse costata una denuncia per stalking. «Ci serve assolutamente la sua testimonianza per un processo, il nostro cliente si trova nella sua stessa situazione di cinque anni fa. Miss Cloverfield ha riprodotto la storia un’altra volta, senza fare alcun errore con il DNA, quindi siamo senza alcuna prova tangibile della sua colpevolezza,» spiegai.
«Non mi interessa,» insistette l’attore.
Tentai di raggiungere il suo stesso passo, almeno per guardarlo in faccia mentre parlavo. «Ha l’opportunità di dare giustizia a qualcun altro, come l’ha avuta lei in passato!»
D’improvviso l’attore si fermò, fissandomi ferino. «Io? Giustizia? Cosa le fa pensare che abbia ottenuto quello che volevo da quella stupida vicenda?» ringhiò. «Lei non sa proprio un bel niente!»
A quel punto avrei potuto demordere, gettare la spugna, tornarmene allo studio come aveva fatto James, sconfitta e con la coda tra le gambe. Ma cosa avrei raccontato a Simone? Che non avrebbe avuto speranze? Che senza una prova concreta del piano che aveva architettato la Cloverfield, il suo destino era versare un assegno mensile per occuparsi di un bambino che probabilmente nemmeno esisteva?
No, avrei lottato fino all’ultimo.
«Mi aiuti a capire, allora!» gridai, attirando l’attenzione dei passanti. La gente che si riversava in strada quel pomeriggio assisteva ad una scena assai singolare. Un uomo barbuto e una ragazza discutibilmente alta che litigavano in mezzo a Walpole Street.
George Wright parve ancora di più su tutte le furie. «Non può capire,» si limitò a dire, scavalcandomi e proseguendo diritto. Raggiungemmo Burtons Court senza nemmeno accorgercene, passo dopo passo, litigata dopo litigata, alché l’attore si rifugiò dentro un piccolo caffè poco conosciuto.
Lo seguii senza indugiare.
«Chiamo la polizia,» minacciò, senza ulteriori preamboli. «Potrei denunciarla per stalking, signorina. Non mi sfidi a farlo. Non è né la prima né l’ultima, già qualche anno fa ho dovuto sistemare per bene un giornalista ficcanaso!»
Forse si riferiva a Bastian Force, il quale ci aveva avvertito che l’attore era molto cambiato da quando era sulle copertine di tutte le riviste.
«Ha detto bene,» continuai, ferma sulla mia linea. «Io non sono una giornalista, sono un avvocato. Non ho alcuna intenzione di speculare sulla sua vicenda, di ricavarne guadagno o venderla a chicchessia. Voglio soltanto aiutare il mio cliente, un ragazzo che non ha alcuna colpa se non quella di essere troppo ingenuo. Se non fossimo davvero così disperati, non insisterei tanto. Ho rispetto per lei, per quello che ha passato, per il suo lavoro. Capisco che non sia facile. Proprio per questo motivo, la imploro.»
Era la prima volta che mi lasciavo cadere così in basso. A causa del mio orgoglio, non avevo mai chiesto aiuto a nessuno, nemmeno all’università, mi ero sempre rimboccata le maniche per fare tutto da sola. Contavo unicamente su me stessa.
Quella volta però, sarei stata disposta a tutto per Simone.
Mr. Wright parve cambiare espressione. «Non ho alcuna intenzione di collaborare, non mi interessa!»
Ero all’ultimo giro di boa, dovevo tirare fuori gli assi nella manica. «Almeno mi consenta di raccontarle la storia, lei deve soltanto ascoltare e poi deciderà il da farsi. Purtroppo se non fosse l’ultima speranza che ci è rimasta, non avrei rischiato una denuncia. Stia sicuro.»
Dovevo tentare qualsiasi cosa, anche la più folle. Magari se avesse ascoltato per filo e per segno la vicenda, si sarebbe convinto che aiutare Simone sarebbe stata la cosa giusta da fare. Oppure mi avrebbe mandato semplicemente a quel paese.
L’uomo sospirò sconfitto. «D’accordo, ma sappi che non cambierò idea, e tu te ne andrai da dove sei venuta o chiamerò la polizia.»
Sperai che andasse tutto per il verso giusto. Iniziai da quando ero giunta alla Abbott&Abbott, gli parlai di Simone, della sua professione, di ciò che era diventato faticando e di quella famosa notte in cui la sua vita aveva preso una piega totalmente diversa da ciò che si era premeditato. Gli raccontai del processo, del test del DNA e di tutte le riprove che la difesa aveva chiesto, addirittura utilizzando la clinica privata convenzionata allo studio legale. Tentai di fargli capire che lui consisteva nella nostra ultima speranza, perché avevamo parlato con Force e non c’era alcuna prova scritta di quella vicenda, dal momento che l’attore aveva preferito non far associare il suo nome a tutto quello.
Cercai di trattenere l’emozione, ma a mano a mano che raccontavo, la verità si faceva sempre più vicina e l’idea di perdere tutto era troppo dura da affrontare. «Se soltanto avessimo una prova di ciò che è accaduto cinque anni fa, potremmo far cadere ogni documento presentato dall’accusa. Ogni loro punto di forza vacillerebbe perché questa storia ha delle evidenti coincidenze con il processo che l’ha riguardata,» conclusi.
George Wright analizzò mentalmente tutto ciò che gli avevo detto. Quei minuti parvero interminabili, proprio perché dalla decisione dell’attore ne sarebbe valso l’intero processo, il futuro di Simo e la mia carriera.
«Mi dispiace molto per la sua situazione,» disse sincero. «Ma purtroppo non posso aiutarla. Quella donna ha rovinato la mia vita e la mia carriera, il mio futuro. Ho dovuto sopravvivere in questi anni, tenendomi lontano da questa storia. Devo evitare di ricaderci, scusatemi.»
Si alzò dal tavolo, bevve il caffè tutto d’un sorso e si allontanò.
Il mondo intero stava per crollarmi addosso. Avevo aspettato parecchie ore davanti casa sua per tentare il tutto per tutto, ma non era servito a nulla. Eravamo punto e a capo, senza nulla in mano che potesse darci qualche speranza di risolvere quel casino. L’unica opportunità ci era sfuggita di mano, certo non per colpa nostra. Quella donna, volente o nolente, era riuscita a metterci i bastoni tra le ruote senza nemmeno prodigarsi più di tanto. Mr. Wright era rimasto talmente traumatizzato dalla giraffona che nemmeno voleva più sentirne parlare.
Sbattei violentemente i pugni sul tavolo, mordendomi il labbro per trattenere le lacrime. Ancora non riuscivo a crederci che non c’era alcun modo di arginare il problema, non avevamo più frecce da mettere al nostro arco. Era finita. Sarei dovuta tornare a casa e dare la brutta notizia a Simo, costringendolo ad un esistenza legata a quella serpe senza cuore.
«Ordina un altro caffè, stavolta amaro.»
Alzai lo sguardo ormai lucido e trovai nuovamente George Wright davanti ai miei occhi, con la stessa barba incolta di qualche minuto prima.
«S-Subito!» dissi.
Quasi non potevo crederci, forse tutto non era perduto.
 
***
 
George Wright alla fine si era convinto ad aiutarci. Parlando del più e del meno riuscii a convincerlo almeno a darci una sua testimonianza scritta e siglata. Non sapevo se fosse stato sufficiente o meno, però ci aveva garantito la sua piena collaborazione e aveva risposto a tutte le domande che gli avevo posto.
Ero corsa subito a casa, dato che il telefono era definitivamente passato a miglior vita, dovevo necessariamente trovare un apparecchio con cui avvertire James della svolta.
«Bonasera,» disse una voce, ben poco allegra.
Mi fiondai direttamente verso l’apparecchio, non curandomi affatto di Simone. La prima cosa da fare era comunicare con l’avvocato e avvertirlo della buona notizia. Alzai la cornetta e composi il numero dell’ufficio, sperando che ci fosse ancora qualcuno a cui poter lasciare un messaggio.
Il suono che avvertii fu come se non ci fosse linea.
«Per caso ci siamo dimenticati di pagare le bollette?» chiesi, rivolgendo finalmente la mia attenzione a Simone che mi fissava arrabbiato con in mano il cavo del telefono.
«Finalmente!» sospirò. «Credevo ti fossi completamente dimenticata che esisto.»
Odiavo le sue manie di protagonismo, era peggio di stare con una prima donna. Abituato ad avere attenzioni da tutti, fan e collaboratori, si sentiva sempre trascurato e ci andava di mezzo la sottoscritta.
«Dai non fare il bambino, fammi fare questa telefonata che è importante,» dissi, senza repliche.
«E a chi devi fare questa telefonata?» chiese.
Sapevo che stava cercando dei pretesti per litigare. «James e lo studio devono essere messi al corrente di una nuova svolta nel caso. Forse abbiamo la possibilità di vin-…» nemmeno mi fece finire la frase.
«James, James, James… esiste soltanto lui. È tutto il giorno che provo a chiamarti ma trovo il telefono spento. Il tuo primo pensiero quando rientri a casa è di chiamare lui!»
Okay, stavolta era davvero arrabbiato.
Partendo dal presupposto che avevo il telefono scarico, l’urgenza di comunicare con l’avvocato era prettamente lavorativa. «Devo soltanto dirgli di Mr. Wright e quello che ho ottenuto parlandogli,» spiegai. «Non è lui il mio primo pensiero. Smettila di fare l’infantile!»
Simone sbottò. «E certo! Adesso soltanto perché sono più piccolo devo sempre passare per quello immaturo!»
Mi stropicciai gli occhi esausta. «Non rigirarti la frittata, Simone,» cominciai anche io ad alzare la voce perché tutta quella storia doveva finire. Essere geloso di James era fattibile ma non doveva esagerare. «Se hai così poca fiducia in me, dovremmo farci due domande.»
Ecco, non volendo stavamo litigando di brutto.
Era vero che avevo promesso all’avvocato di allontanarmi temporaneamente dal calciatore, per il bene della mia carriera e della causa, ma mi ero immaginato una discussione adulta e razionale. Credevo ci saremmo messi d’accordo, perché Simone avrebbe compreso quanto fosse importante per me la carriera.
«La stai distruggendo la fiducia,» insistette. «Sto fuori tutto il giorno agli allenamenti, ci vediamo pochissimo e mai una volta che mi dimostri che per te sono importante! C’è sempre quello di mezzo!»
Okay, adesso stava sfiorando il ridicolo. «Ma ti senti come parli? Nemmeno tua nipote Susanna farebbe questi discorsi. Se ti fidi di me, devi farlo appieno. Con James ti assicuro che non c’è più nulla, per cui o ti fai andare bene questa cosa oppure è meglio che ci diamo un taglio.»
Stavo sbagliando, me ne rendevo conto.
Sentivo di dover evitare di metterlo alle strette, ma quella storia mi aveva davvero scocciato. Era tutto il giorno che mi facevo in quattro per lui, per permettergli di vivere una storia normale e magari poter stare insieme anche in futuro, eppure sembrava non apprezzare tutti i miei sforzi.
Simone si alzò, riattaccò il cavo del telefono e mi guardò fisso. I suoi occhi lampeggiavano ancora per la rabbia, era come se quella situazione fosse addirittura più ardua da sopportare rispetto al caso giudiziario che pendeva sulla sua testa.
«Ecco, ora puoi fare tutte le telefonate che vuoi,» ringhiò, lasciando la stanza e sbattendo la porta della camera da letto.
Ancora dovevo realizzare cosa fosse successo. Le immagini scorrevano ancora a rallentatore davanti ai miei occhi e pensai si trattasse soltanto di un incubo. Mi ero immaginata di tornare a casa e dargli la buona notizia, ricevere uno dei suoi meravigliosi sorrisi in cambio, invece avevo soltanto peggiorato le cose.
Ma non era colpa mia.
La possibilità di rimediare c’era. Sarebbe bastato entrare nella sua stanza, cercare un contatto, aspettare che la rabbia del momento svanisse e chiedere una seconda possibilità perché sapevo bene che l’indomani si sarebbe pentito di ciò che aveva fatto. Contro ogni fibra del mio corpo, strinsi i pugni e mi morsi la lingua. Avrei dovuto approfittare di quell’occasione per troncare tutto, per dare retta al consiglio di James e allontanarmi da Simone il più in fretta possibile, per non rischiare.
Sarebbe stata dura, era prevedibile.
Probabilmente se avessi continuato sui miei passi, non ci sarebbe stata più nessuna occasione di rimediare a quello che era successo. Lo feci principalmente per il mio e per il suo bene, perché adesso l’unica cosa che contava era farla pagare al nemico che ci accomunava e che non meritava di passarla liscia. Una volta archiviata la causa, una volta sciolto il legame che univa Simone allo studio dove lavoravo, avrei potuto pensare ad una soluzione.
Lasciai andare la cornetta del telefono e afferrai la borsa.
Per abitudine presi le chiavi dell’appartamento dalla ciotola vicino la porta d’ingresso, ma le lasciai ricadere subito dopo. Dovevo limitare tutte le opportunità di ritornare in quella casa, di riavvicinarmi a lui dopo la decisione che avevo preso.
Oltrepassai la soglia sentendo le lacrime che spingevano per uscire ai lati degli occhi.
Dopo quel passo non potevo più tornare indietro. Sarebbe stata una decisione definitiva su cui avevo avuto tempo per ponderare, ma vigliaccamente avevo sfruttato la prima occasione per ottenere lo stesso risultato. Sarebbe stato tutto più facile in questo modo.
Chiusi la porta d’ingresso alle mie spalle e quel clangore segnò la fine di tutto.
Avrei visto Simone soltanto negli incontri formali allo studio, niente di più. Mi doleva abbandonare tutto, non rivedere più Sofia, Rosie e anche la nonna. Avrei dovuto ripetere mentalmente che lo facevo solo per lui e per dare un senso a quella via che avevo deciso di intraprendere, senza buttare all’aria tutti i sacrifici fatti in passato.
Posai una mano sullo stipite, quasi immaginando che fosse la pelle di Simone.
«Lo faccio per noi,» dissi, più a me stessa che a una sua versione immaginaria. Non sapevo come sarebbe andata a finire, se il futuro ci avesse riservato qualcosa, ma sperai davvero che tutto non si riducesse soltanto a quello.
Avevo cominciato a sperare che valessimo molto di più.

Buonasera!!!
Allora, l'aggiornamento è avvenuto codesta sera perché domani dovrei partire e non so se posso reperire il capitolo XD
Detto ciò, sul gruppo Crudelie - Le originali (diffidate dalle imitazioni) ho lasciato uno spoiler di questo capitolo e ho promesso che se fosse arrivato ad un cospicuo numero di likes avrei pubblicato il capitolo.
ECCOLO QUI!!! 
Adoro quando mi seguite ovunque *^*

Dunque, siamo arrivati un po' al ''nocciolo'' della storia, ci addentriamo finalmente nella parte finale. Che dite? Come procede secondo voi la trama? Ho bisogno più che altro che mi diate un po' di conferme, così da capire bene se ne vale la pena pubblicarla o meno XD
Al prossimo lunedì dunque! (sperando riesca a pubblicare) LOL
Un bacione a tutti/e

Marty
   
 
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