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Autore: JulesBerry    26/08/2015    1 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 25


 

L’unico modo per non soffrire è non amare,
che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare
sei destinato a soccombere (II)


 
No, I just wanna hold ya
Give a little time to me or burn this out
We’ll play hide and seek to turn this around
All I want is the taste that your lips allow
My, my, my, my, oh give me love
 

Abigail era seduta sul letto e guardava, senza vederle, le pieghe delle lenzuola stropicciate; le gambe erano incrociate e le dita delle mani si annodavano tra loro, rincorrendosi in una danza frenetica e afinalistica.
Di lì a poco sarebbe stata servita la cena, ma lei non aveva voglia di lasciare quella stanza, sebbene il suo stomaco implorasse un po’ di cibo da quelle che erano ormai diventate ore, non avendo ritenuto sufficienti i precedenti pasti a base di lacrime. Queste avevano tenuto compagnia alla ragazza per tutta la giornata; una compagnia composta e silenziosa, ma al tempo stesso dannatamente amara e crudele, di quelle che attanagliano le viscere per poi demolirle, fino a quando nulla è più rimasto al proprio stato di integrità originario; una compagnia capace di ferire, di far male, di prenderti a calci e di sradicarti via l’ossigeno, tanto sovrastante da svuotarti di tutte le tue forze.
Era così che si sentiva lei: sfinita, quasi privata di ogni forma di emozione; semplicemente, apatica.

Qualcuno bussò alla porta. Era un tocco delicato, quasi indeciso, esitante; il tocco di qualcuno la cui ultima intenzione al mondo sarebbe stata quella di disturbarla.
«Avanti» disse Abigail, roca nella voce.
Margaret aprì di poco la porta della camera e infilò timidamente la testa nello spiraglio. «Ti ho portato la cena. Avrai fame, suppongo.»
«Entra» la invitò la bionda, rivolgendole un debole sorriso.
Meg si fece precedere dal vassoio stracolmo di roba da mangiare – che Levitò fino al letto –, prima di chiudersi la porta alle spalle e seguirlo, tenendo per mano un incerto Alexander alle prese con i primissimi passi in compagnia. Il bambino, però, ancor prima di raggiungere la destinazione decise di sedersi per terra con una mezza aria di protesta, al che la mamma lo prese in braccio e lo fece sedere con lei sul materasso, ignorando i suoi sguardi risentiti.
«Diventiamo capricciosi, adesso?» fece Abigail, retorica, scompigliandogli i capelli rossicci. Alexander le sorrise, sveglio, mostrando di aver apprezzato quel gesto.
«Non sono l’unica a pensarlo, a quanto pare! Fred continua a difenderlo, invece: sostiene che sia solamente un po’ più simpatico degli altri bambini della sua età!» disse Meg, esasperata, alzando gli occhi al soffitto; l’altra rise, finalmente, lasciandosi andare contro i cuscini e abbracciando il piccolo, che si sottopose molto volentieri alla sessione di baci della “zia Gail”.
«Simpatico lo è sicuramente, ma solo un papà follemente innamorato come lui potrebbe negare che sia anche capriccioso!»
«Ah, questi papà! Lasciano fare tutto il lavoro sporco a noi, le cattive della famiglia» commentò Meg, ma Abigail aveva smesso di ascoltarla: era troppo impegnata a lasciarsi tirar via i capelli da una piccola peste alta poco più di settanta centimetri, che di certo non aveva esitato a prendere il controllo della situazione.
La giovane mamma, abituata a vedere scene come quella a ogni santa ora del giorno, non intervenne; piuttosto, osservò meglio il viso della cugina, e quegli occhi cerchiati dal mascara sbavato – insieme a quell’inevitabile pallore diffuso – non fecero altro che confermare le sue ipotesi: non aveva smesso di piangere per un solo momento durante quel pomeriggio in cui loro erano stati via.
Così, Meg prese una porzione di roastbeef e gliela porse, rivolgendole uno sguardo affettuoso. Abigail, che non vedeva cibo da quella mattina, non se lo fece ripetere due volte e vi ci si fiondò senza pentimento.

Meg aspettò che finisse di mangiare ciò che Willow le aveva premurosamente preparato, prima di distendersi al suo fianco e abbracciarla.
L’altra ricambiò la stretta e poggiò la testa sulla sua spalla, ricordando per un attimo i bei vecchi tempi risalenti a più di dieci anni addietro, quando ancora nessuna delle due aveva sperimentato cosa fosse realmente il dolore.
Erano i tempi in cui, ingenuamente, si chiedevano come sarebbe stata la loro vita una volta diventate grandi; cosa sarebbe cambiato, cosa sarebbe rimasto lo stesso, quali nuove persone le avrebbero accompagnate durante quel cammino, o quanta felicità avrebbero conosciuto e per merito di chi, se non per merito di loro stesse. Non erano contemplate le difficoltà, nelle loro speculazioni sul futuro, né tantomeno le lacrime, la sofferenza, le ingiustizie, la morte: tutto ciò faceva parte di un mondo che non le riguardava, che non apparteneva loro, perché loro sarebbero state felici, invincibili, inespugnabili come una fortezza.

«Saremo davvero così felici, Maggie?»
«Assolutamente sì! E sai cosa facciamo se qualcuno prova a farci diventare tristi?»
«Lo affatturiamo?»
«Esatto! Ottima idea, Abbie!»
«Nessuno dovrebbe essere triste!»
«Già, soprattutto tu: non sono felice se qualcuno ti fa stare male...»


Non avevano ancora capito quanto potesse essere effimera, questa maledetta vita; quanto potesse essere forte, schiacciante, opprimente come un macigno sulle costole. Non avevano ancora idea di quante paure avrebbero dovuto affrontare, o di quanto dolore sarebbero state costrette a sopportare. Non sapevano che diventare la roccia di un’altra persona implicasse il doppio dei dispiaceri, il doppio degli ostacoli da superare, il doppio della sofferenza; tuttavia, sapevano alla perfezione quanto conforto tutto ciò potesse portare, e quanto calore umano, necessario alla sopravvivenza, fosse in grado di trasmettere.  
«Hai sentito la trasmissione, questo pomeriggio?» domandò all’improvviso Meg, rompendo il silenzio.
«Dalla prima all’ultima parola, insieme al mio nuovissimo fidanzato» rispose l’altra, voltandosi verso Alexander, che sembrava sul punto di addormentarsi sul suo braccio. «Non appena ha sentito le vostre voci, è quasi impazzito: non faceva altro che guardarsi intorno per capire dove foste.»
«Non avevo dubbi: sempre il solito mammone!» commentò la prima, intenerita, lasciando trapelare del divertimento dalla voce.
Abigail assunse un’espressione pensierosa per qualche secondo, prima di riprendere parola. «Mi è piaciuto davvero tanto il discorso che hai fatto. Era molto bello, con tutta quella questione della rabbia e... be’, della fiducia.»
«L’hai capito subito, non è così?»
«Che fosse rivolto a me? Sai, qualche neurone funzionante mi è ancora rimasto.»
«Volevo solo esserne sicura, tutto qui» si giustificò Margaret, sollevando le sopracciglia con fare eloquente.

Abigail, d’altro canto, prese a osservare il soffitto, silenziosamente in lotta contro tutte quelle domande che avrebbe voluto porre alla cugina e che ronzavano nella sua testa, fastidiose come zanzare in un’afosa notte d’estate. Erano così tante che trovava difficile persino ordinarle, decidere quale tra queste fosse la più urgente; era come se sceglierne una significasse non accordare alle altre la giusta, innegabile importanza.
Fu per questo che, dopo qualche attimo di riflessione, ne preferì una che, nella sua banalità, avrebbe potuto racchiuderle tutte.
«Cos’è realmente successo tra George e Virginia? La verità, ti prego.»
Margaret, che non aspettava altro che quella domanda, a stento si trattenne dall’esultare. «Da dove vuoi che cominci?»
«Da dove ritieni più opportuno.»
«Bene, ma sappi che sarà abbastanza lunga da raccontare» la avvertì Meg, prima di tirare un lungo respiro. «Qualche giorno dopo la tua partenza per Belfast, nel mese di luglio, Virginia Anderson ha intelligentemente pensato di fare un salto ai Tiri Vispi. Non sapeva di te, né della tua relazione con George, quindi non la definirei una vera e propria missione per soffiarti intenzionalmente il ragazzo... non all’inizio, almeno.»
«Non perderti in chiacchiere, Santa Morgana!» sbuffò Abigail, spazientita. L’altra fece finta di non aver sentito e proseguì indisturbata nel suo racconto.
«Non era un mistero che, in passato, le fosse piaciuto George – solo lui, stranamente, non aveva mai avuto il minimo sospetto –, ma non abbiamo dato molto peso alla cosa: dopo tutti quegli anni, eravamo certi che le fosse passata. Così, ha fatto finta di essere da quelle parti per puro caso e, con una simpatia e un garbo mai esibiti prima – o forse mai posseduti –, lo ha convinto a fare due chiacchiere in amicizia. Così, sono usciti insieme – unicamente in qualità di vecchi compagni di scuola – per un paio di settimane: lui le raccontava di te, di voi, convinto di aver trovato un’altra spalla amica disposta a sorbirsi i suoi problemi, mentre lei lo ascoltava, gli parlava della sua vita e gli chiedeva di mio figlio, come se gliene importasse qualcosa. In un primo istante ho realmente creduto che fosse cambiata e si fosse trasformata in una persona migliore, sai? Fino a quando la cosa non ha cominciato a puzzarmi...»
«In che senso?» chiese di nuovo la bionda, il cui ritmo cardiaco stava già cominciando ad accelerare. Si mise seduta, come se così facendo le fosse possibile ascoltare meglio ciò che la cugina le diceva.
«George ha iniziato a comportarsi in modo strano» spiegò Meg, che la imitò e poggiò le proprie mani sulle sue ginocchia. «Sembrava stordito, confuso... Per intenderci, aveva l’aria di uno che si era appena scolato tre litri di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio e che cercava di trattenersi dal vomitare.»
«Ottimo esempio, ho dei vaghi ricordi di numerose scene simili verificatesi nel corso della mia ventennale vita.»
«A chi lo dici» assentì la maggiore delle due, ricordando con una certa nostalgia le feste organizzate a casa sua, a Madrid, quando i suoi ignari genitori decidevano di concedersi le loro piccole vacanze estive. «In poche parole, aveva esattamente questo aspetto. Fred ed io abbiamo iniziato a preoccuparci; eravamo convinti che qualcuno gli avesse inflitto una Maledizione Imperius o l’avesse Confuso. L’abbiamo tenuto sotto stretto controllo per una settimana, non l’abbiamo perso di vista neanche per un solo secondo, abbiamo osservato ogni sua azione. Fred voleva andarci con le buone, ma a un certo punto mi sono stancata: l’ho costretto a mettersi seduto, gli ho fatto il terzo grado più terrificante che si sia mai visto nella storia, e poi gliel’ho chiesto... gli ho chiesto cosa gli stesse succedendo, e sai cosa mi ha risposto? “È tutta colpa di Virginia, Maggie. È a causa sua se sto così”
Abigail trattenne il respiro; sentì il cuore tremarle e gli occhi arrossarsi, e quando parlò la sua voce vacillava pericolosamente. «E poi?»
«E poi ho perso la testa» ammise Meg, che un po’ si vergognava di ciò che stava per raccontare. «Ero convinta che con quelle parole volesse dirmi che si era innamorato di quella vipera, che lei avesse ottenuto ciò che desiderava... aggiungiamo che avevo anche litigato da poco con quella sorta di bipede che ho sposato e... be’, non ci ho davvero visto più. Ho iniziato a scagliargli addosso la mia solita sequenza di fatture e a insultarlo, insinuando che fosse un traditore di merda, un bugiardo schifoso, un approfittatore, un mezzo uomo senza coraggio e incapace di controllare i propri istinti e... ti evito il resto, ti basti sapere che ci sono andata giù pesante. In tutto ciò, lui scappava per casa, Alexander strillava come un dannato, Willow si nascondeva dietro i divani e Fred era immobile in un angolo del salone, paralizzato e sotto shock.»
«Per Salazar e tutti i suoi discendenti» bisbigliò Abigail, quasi stentando a credere a ciò che sentivano le sue orecchie.
Meg, che ancora si sentiva in dovere di farsi perdonare dal migliore amico, era rossa dalla vergogna. «Non è finita qui, per fortuna. A un certo punto, infatti, sono riuscita a inchiodarlo: Merlino solo sa quanto fossi pronta a prenderlo a pugni, ma non è stato necessario. Morgana maledetta, mi sono sentita così in colpa...»

«Meg, ascoltami, devi aver capito male!» aveva protestato debolmente George, spalle al muro, osservando con un certo timore la bacchetta che Margaret gli teneva puntata sotto il mento. La ragazza, dopo un attimo di esitazione, aveva sollevato gli occhi al soffitto e aveva digrignato i denti, furiosa.
«Hai tre minuti, dopodiché ti prendo a pugni.»
«Mi sento strano, Meg. Non capisco cosa mi stia succedendo, ma sono certo sia tutta opera sua! È diventata così gradevole e così all’improvviso: è sveglia, mi sta ad ascoltare e ordina da bere al posto mio, ma una volta tornato a casa mi sento sempre scosso e... be’, anche un po’ in ansia, a dirla tutta.»
«Aspetta un secondo» l’aveva interrotto lei, percependo una piccola e nascosta lampadina accendersi. «In che senso ordina da bere al posto tuo?»
«Nel senso che va al bancone, ordina e torna indietro con i cocktail, n-no?» aveva risposto George, incerto: il suo sguardo era davvero troppo impegnato ad assicurarsi che quell’arma potenzialmente letale che l’amica teneva premuta contro la sua giugulare non gli facesse qualche scherzetto di dubbio gusto.
Meg, tuttavia, aveva sgranato debolmente gli occhi, incredula, mentre la mano che fino a quel momento aveva inchiodato il cognato alla parete allentava di poco la sua presa sulla stoffa della maglietta. «E tu gliel’hai lasciato fare?»
«Ho provato a offrirmi al posto suo, ma lei non ha voluto! E poi, me l’hai insegnato tu che non bisogna mai contraddire una donna, o sbaglio?!»
«Santissimo Merlino dai tanga leopardati! Fred!» aveva esclamato Margaret, diventata bianca come un cencio lavato adesso che aveva iniziato a intuire la causa di tutto il problema. Fred, sbucato da dietro la porta, aveva deglutito lentamente e poi aveva guardato il fratello, sempre più confuso.
«Sì, cara?»
«Manda un Patronus a mio cugino Dorian, digli che ho un urgente bisogno di lui. Ipotizza un caso di avvelenamento da pozioni: attirerà la sua attenzione come farebbe un biscotto con un Golden Retriever» aveva ordinato la ragazza, prima di pestare un piede a George e di tirargli i capelli con fare esasperato. «Quante volte ti ho detto di non accettare nulla dagli sconosciuti?!»


«Okay, ho smesso di capirci qualcosa dieci minuti fa! Cosa diavolo è scattato nella tua testa in quel momento? E cosa c’entra Dorian in tutto questo casino?» sbottò Abigail, saltando in piedi sul letto e portandosi le mani ai capelli: aveva chiesto la verità, non la sintesi di un romanzo di Bradwell1.  
Margaret la intimò con lo sguardo di rimettersi a sedere e, implicitamente, anche di mantenere la calma. «Se mi lasciassi finire, lo capiresti da sola. La realtà è che ero quasi certa che Virginia gli avesse somministrato qualcosa a sua insaputa, approfittando di quelle fantomatiche bevande che lei tanto si ostinava a portare al tavolo al posto suo. Ho mandato a chiamare Dorian perché era l’unico, in quel momento, che potesse darmi una mano e trovare una soluzione qualora le mie supposizioni si fossero rivelate fondate.»
«Perfetto, così anche tuo cugino è a conoscenza di questa storia» si lamentò Abigail, tetra, osservando l’altra con un pizzico di risentimento.
Questa scosse la testa e le fece un cenno noncurante con la mano. «Tranquilla, Dorian sa persino quante volte faccio lo shampoo in una settimana, è fidato. Ho pensato potesse essere meno umiliante per George rispetto a mia nonna Julia... anche se poi, alla fine, l’ha saputo pure lei.»

«E allora?» aveva rotto il silenzio Meg, tesa, balzando giù dal divano e avvicinandosi al cugino e al cognato, a pochi metri da lei. Il primo, rivolgendole un sorriso colpito, aveva iniziato a frugare nella sua valigetta medica, probabilmente alla ricerca di un particolare antidoto.
«Dimmi un po’, Margie: come l’hai capito?»
«Intuito femminile» aveva risposto vagamente lei, sempre più insospettita. «Avevo bisogno di una conferma.»
«E adesso ce l’hai» aveva commentato Dorian, porgendo a George una miscela dall’aspetto e dall’odore a dir poco rivoltanti. «Bevila, e ritieniti fortunato.»
«Non berrò niente fino a quando non mi avrai detto cosa mi sta succedendo» si era lamentata la povera vittima, quasi isterica. Dorian, allora, si era lasciato scappare una risata e aveva scosso la testa in modo compassionevole.
«Confusione, stordimento, mancanza di partecipazione o di interesse, apatia: amico mio, ti sei fatto rifilare qualche bella dose di Filtro d’Amore scaduto, o in alternativa preparato veramente da schifo, che miscelato con gli alcolici non è esattamente quello che definirei un toccasana. Quantomeno l’hai retto bene: in questi due anni di lavoro in Clinica ho visto gente ridursi molto peggio!»


«Cosa?!» fece Abigail, stridula, non potendo credere a una singola parola. «Quella meretrice gli ha davvero dato un Filtro d’Amore andato a male
«Più di uno, in verità» puntualizzò Meg, che di sicuro non si sarebbe fatta scappare per nulla al mondo l’opportunità di aggravare ulteriormente la posizione della Anderson. La cugina, per l’appunto, prese a boccheggiare.
«E lei sarebbe un’apprendista al San Mungo? Vorrebbe davvero salvare vite umane? Avrebbe potuto avvelenarlo! Avrebbe potuto ucciderlo, e a quest’ora staremmo piangendo sulla sua cazzo di tomba, e tutto per colpa di una folle psicopatica criminale come lei! Dovrebbero buttarla fuori da quell’ospedale a calci in culo, porca troia maledetta e ladra!» esplose, urlando tanto forte che l’altra fu costretta ad applicare un Incantesimo Muffliato alla porta della camera. La prima, ancora livida, scese giù dal letto e fece per infilarsi un paio di jeans di tutta fretta, al che per Meg – che cercava di far riaddormentare Alexander, spaventato da quell’improvviso baccano – fu inevitabile assumere un’espressione ai limiti del perplesso.
«Cosa... Cos’hai intenzione di fare, di grazia?»
«Vado a farle una sorpresa: d’altronde, non puoi cercare di prenderti il mio ragazzo e pensare che io non ti faccia arrivare sino all’Inferno e ritorno. Che mi consigli? Un bel Cruciatus, che è sempre di moda, oppure i tradizionali, vecchi e sani metodi Babbani che ci piacciono tanto
«Sta’ seduta, non ho finito» ordinò Margaret, che quasi iniziava a divertirsi. «Quella stessa sera, si sarebbero dovuti incontrare in un pub di Londra. George, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di presentarsi all’appuntamento, ma io ne avevo una voglia matta...»

«Meg, credimi, non è il caso!» aveva tentato George, che come un cagnolino stava seguendo la migliore amica fino all’ingresso di casa nella speranza di dissuaderla. Lei era rimasta in silenzio e aveva indossato il paio di tacchi vertiginosi che Dorian le aveva appena portato, non degnandolo di considerazione.
«Io vado, non ci vorrà molto. Come sto?» aveva chiesto, infine, indicando i pantaloni neri borchiati e il top grigio che aveva scelto per l’occasione: se doveva combattere, tanto valeva farlo con stile.
Dorian si era esibito in un lungo fischio d’approvazione e le aveva fatto l’occhiolino, incoraggiante. «Vai e uccidila, ma chérie, ma sempre con charme, come sai fare.»
«Sei sicura di non volere che ti accompagni? Potrei rimanere fuori ad aspettarti, no?» aveva proposto Fred, che invece trovava a dir poco inquietante quell’intesa tendenzialmente criminale tra cugini. Meg, però, gli aveva inviato un bacio via aerea e si era chiusa la porta alle spalle, decisa a porre fine a quella storia paradossale.
Si era Smaterializzata ed era riapparsa su Kesington High Street, proprio di fronte al locale in cui – ne era certa – Virginia aveva già preso posto, convinta di vedere arrivare da un momento all’altro il povero ragazzo che aveva tentato di manipolare senza successo durante le ultime settimane.
Così, Margaret si era fatta largo con passo sicuro all’interno del pub, attirando su di sé un bel po’ di sguardi a causa del rumore dei tacchi a spillo che battevano sul pavimento. I suoi occhi avevano scorto sin da subito l’altra ragazza, che – ignara di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco – si guardava attorno con impazienza, tormentando qualche ciocca di capelli biondo cenere. Una volta intravista la Stevens, però, questa aveva immediatamente sfoggiato un’espressione estremamente sorpresa, e di certo non era stata capace di reprimerla in tempo affinché Margaret non se ne accorgesse.
«Stevens?» aveva chiesto, retorica, fingendo interesse. Meg aveva provato a ignorare la sua straripante ipocrisia e aveva scostato con violenza una delle sedie del tavolino, prendendo posto.
«Tu ed io abbiamo un grossissimo problema, Anderson!» aveva ruggito, quindi, guardandola torva e rovesciando di proposito uno dei due bicchieri che l’altra aveva ben pensato di ordinare.
Virginia, capendo l’antifona, aveva abbandonato la sua solita maschera per abbracciare il suo vecchio, classico tono indisponente. «Fammi indovinare: sei qui in veste di mamma chioccia che protegge i suoi pulcini?»
«E che prende a calci in culo le stronze come te, per la precisione.»


«Non ci credo» commentò Abigail, come di fronte alla scena di un film innegabilmente interessante, quasi non riuscendo a stare ferma al suo posto. Meg fece un sorriso furbo e annuì lentamente, riassaporando mentalmente quei brevi momenti di gloria che la riempivano d’orgoglio.
«Credici pure, mia cara. È stata una chiacchierata piuttosto avvincente – mi dispiace da morire che ve la siate persa! –, e puoi stare sicura che, dopo il mio sentito e appassionato discorso, Virginia ci penserà altre mille volte prima di avvicinarsi di nuovo a George.»
«Come fai a dirlo? È talmente subdola che potrebbe stupire persino te» disse la prima, amareggiata, ma l’altra le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le diede un affettuoso buffetto sulla guancia.
«Fidati di me, Gail. Conosco parecchie cose sul suo conto, nonché su quello della sua famiglia, che se diffuse farebbero rabbrividire anche la Puffola Pigmea di mio figlio, o Tu-Sai-Chi in persona. Di certo, non le piacerebbe vedere rovinata la sua immacolata reputazione, schifosamente costruita ad arte durante questi anni; inoltre, se si venisse a sapere dei Filtri preparati male e del modo in cui li ha somministrati, senza dubbio dovrebbe dire addio per sempre alla sua futura carriera da Guaritrice, e non credo sia ciò che vuole.»

«Spero di essere stata chiara, Virginia. Sta’ lontana da George, o sarò costretta a ripetermi; e io odio ripetermi. Preferisco passare ai fatti: li ho sempre trovati molto più interessanti delle parole» aveva detto Margaret, sguardo eloquente, mentre riprendeva la sua borsa, comodamente adagiata sul tavolino. Virginia, che per ovvie ragioni aveva perso da qualche minuto la sua espressione beffarda, in quell’istante era pallida come un cadavere.
«Mai stata più chiara di così, Margaret» aveva mormorato, scossa, dal momento che non aveva certamente messo in conto che le sue azioni potessero avere delle conseguenze di quel tipo. Tuttavia, non aveva neanche aspettato che l’altra si voltasse per aggiungere, in un ritrovato tono acidulo: «Gran puttana.»
Meg aveva riso brevemente tra sé, prima di protendersi verso la vecchia compagna di scuola fino a pochi centimetri dal suo viso.
«The pot calling the kettle black
2» aveva soffiato, sarcastica, con qualche secondo di anticipo rispetto al sonoro schiaffo che, immediatamente dopo, la sua mano sinistra aveva riservato alla guancia di Virginia, apparentemente rimasta impassibile. «Non provocarmi, Anderson. È il mio ultimo avvertimento.»
A quel punto, Margaret aveva preso il suo Gin Tonic e si era diretta trionfalmente all’uscita, ignorando gli sguardi attoniti dei camerieri e di chi, in dei bisbigli, si domandava cosa diavolo fosse appena successo.


«Quindi... quello che mi ha raccontato era tutto falso?» chiese infine Abigail, che poteva distintamente percepire il senso di colpa farsi strada attraverso il suo corpo e salire fino agli occhi sotto forma di nuove lacrime. Meg annuì e fece una smorfia infastidita.
«Dalla prima all’ultima sillaba, in base a ciò che presumo ti abbia detto. A modo suo, voleva prendersi la sua piccola, meschina rivincita, ed io sono stata una stupida a non prevederlo. Credo proprio che le farò un altro bel discorsetto per rinfrescarle la memoria, una volta che questa guerra sarà finita.»
«Ma perché George non me ne ha mai parlato? Perché tenermelo nascosto?» domandò la Thompson, i cui occhi arrossati furono un ulteriore colpo al cuore per la cugina. Questa la abbracciò e le accarezzò i capelli, tentando in tal modo di tranquillizzarla.
«Non voleva che fosse un tuo problema, nonostante in parte ti riguardasse. Pensavamo fosse stato risolto, e quindi abbiamo preferito risparmiartelo, anche se in cuor mio ho sempre saputo che prima o poi tutto sarebbe saltato fuori. Speravo solo non così, non distorto da quella viscida stronza.»
«Ho combinato un disastro. Ho fatto tutto quel casino, non gli ho neanche dato il tempo di spiegare, l’ho trattato come il peggiore degli esseri umani, e non l’ha mai meritato. Non smetterò mai di odiarmi, per questo.»
«Non dirlo mai più, intesi?» intervenne Meg, prendendole il viso tra le mani e asciugandole le lacrime. «Eri arrabbiata, e quando si è così arrabbiati si possono dire cose che non si pensano. Eri convinta che ti avesse tradita, la tua reazione è stata quella che qualsiasi donna ferita avrebbe avuto. Nessuno te ne fa una colpa, tantomeno lui.»
«Dovrei andare a parlargli e...» cercò di dire Abigail, ma Meg scosse la testa, sorridendole dolcemente, per poi posarle un bacio sulla fronte.
«Hai bisogno di riposare, adesso. Domani sarà un nuovo giorno: ci sarà tempo per mettere ogni cosa al proprio posto.»
 


***
 

Abigail aprì lentamente gli occhi, che subito misero a fuoco la mano mollemente poggiata sul cuscino. Doveva essersi addormentata solo poche ore prima, come dimostravano le lancette dell’orologio da polso abbandonato sul comodino, che segnavano venti minuti alla mezzanotte.
Sbuffò impercettibilmente, infastidita da quel risveglio troppo anticipato, e richiuse le palpebre, pregando che il secondo tentativo fosse più fortunato del precedente; s’impose di svuotare la mente, di non pensare a nulla che potesse disturbarla, di scacciare via tutti quei pensieri fin troppo abili nel tormentarla, ma era ben conscia che ogni suo sforzo non sarebbe servito a nulla.
Era già pronta a prendersela con se stessa, dandosi della stupida ragazzina incapace di controllare le proprie emozioni, quando avvertì un leggero quanto indeciso tocco accarezzarle i capelli e soffermarsi sulle punte, che il misterioso visitatore attorcigliò con delicatezza alle proprie dita per qualche breve istante, prima di lasciarle ricadere sulle spalle della ragazza.
Questa percepì una certa agitazione mandarle in tumulto gli organi interni e, di conseguenza, renderla indecisa sul da farsi: avrebbe dovuto continuare a far finta di dormire, o avrebbe fatto meglio a dirgli che era sveglia e che non aspettava altro che parlare da sola con lui?
Prediligendo la seconda opzione, Abigail si rigirò con lentezza tra le lenzuola e poi puntò i propri occhi nei suoi, profondamente grata alla luce soffusa della camera che, in un certo modo, riusciva a nascondere il lieve rossore sul suo viso.
George, che non si aspettava di trovarla sveglia, a stento riuscì a evitare che la sua mascella toccasse il pavimento a causa dello stupore e di un certo logico imbarazzo, indotto dall’essere stato beccato mentre dispensava gesti d’affetto alla persona che, in quegli istanti, avrebbe dovuto odiarlo più di ogni altra al mondo. Nel tentativo di smorzare la tensione, dunque, si grattò la nuca e afferrò un cuscino a caso, guardandosi un po’ attorno per evitare di incrociare l’espressione indecifrabile della giovane.
«Sto andando via, non preoccuparti. Volevo solo prendere il mio cuscino, dormirò in un’altra stanza» si giustificò, incredibilmente sicuro di sé nonostante le circostanze, ma un cenno di diniego con la testa da parte di Abigail lo distolse da qualsiasi intenzione – già abbastanza debole in partenza – di lasciare quella stanza.
«Non… Non ce n’è bisogno, George» disse lei, raddrizzatasi, per poi sfiorare distrattamente le coperte che occupavano il lato del letto lasciato libero. «Vieni a sederti, per favore.»

Lui la accontentò, accomodandosi sul materasso, continuando a fissare un punto imprecisato al di là della finestra – o, per meglio dire, continuando a immaginare cosa potesse esserci oltre quelle tende che la coprivano. Poi, lasciandosi guidare da quello che doveva essere un impeto di coraggio, prese una delle mani della ragazza e la strinse nella sua.
«Abigail, io…»
«Meg mi ha raccontato tutto, non devi... non devi giustificarti. Lascia parlare me, ti prego» lo interruppe lei, ricambiando la presa con una forza che, dopo quella giornata estenuante, non pensava certamente di possedere. «Ho incontrato Filippo, prima di tornare a casa.»
«Filippo… Quel Filippo?» chiese George, la cui espressione stranita non era sufficiente a nascondere l’innegabile disprezzo che provava per quella sorta di uomo. Abigail annuì, seria, e distolse lo sguardo per rivolgerlo alla parete che aveva di fronte.
«Proprio lui, quel bastardo» commentò, grave, lottando contro quell’odioso, abituale bruciore al petto cui non sarebbe mai riuscita ad abituarsi del tutto. Probabilmente, era proprio per questa ragione che aveva intenzionalmente evitato di prendere l’argomento con la cugina, qualche ora prima, nonostante la tentazione fosse stata quasi sovrastante. «L’ho incontrato a Londra, prima che potessi Smaterializzarmi: diceva di essere arrivato fino in Inghilterra solo per me, ci credi? Ha cercato di convincermi che quest’ultimo anno l’avesse cambiato, che non fosse più la stessa persona di un tempo, e che si fosse finalmente reso conto di quanto ero importante per lui, e di quanto aveva sbagliato a trattarmi in quel modo meschino. Mi ha persino chiesto se davvero non provassi più nulla per lui.»
«E tu cos’hai risposto?» domandò istintivamente George, che mai più come in quel momento sarebbe stato tanto desideroso di prendere a pugni in faccia quell’insulso idiota, di cui bastava anche solo il nome per procurargli un’orticaria.
«Che per lui provo solo un profondo, irrimediabile disgusto; gli ho risposto che a nulla sarebbero servite le sue parole strabordanti di presunto pentimento, perché ho già tutto quello che mi serve; gli ho risposto che ho imparato a trovare la felicità nelle piccole cose: nel tè caldo delle cinque del pomeriggio, nella risata di un bambino di dieci mesi, in un lavoro che mi rende fiera delle mie scelte e dei miei sacrifici, e negli abbracci che mi svegliano al mattino e che mi solleticano il cuore. La sua presenza non è contemplata all’interno del quadro, né tantomeno è gradita» rispose Abigail, la cui mano non impegnata sembrava scossa da un leggero tremolio, a tal punto che la ragazza fu costretta a utilizzarla per stringere e tormentare il bordo delle lenzuola, sfogando su di esso i residui di rabbia che ancora portava dentro. 

George continuò a osservarla, come ipnotizzato da quell’aurea fatta di emozioni contrastanti e prepotenti che la circondava, e non poté che ritrovarsi a tratti spiazzato di fronte a quel viso stancato dal pianto e dagli immeritati dispiaceri, ma comunque bellissimo e pieno di vita; vita da lasciare esplodere, vita da ammirare nella sua determinata delicatezza, vita che voleva farsi strada attraverso quegli occhi grigi che di lì a poco si sarebbero nuovamente arrossati.
«Quando Virginia mi ha detto quelle cose...»
«Quali cose, precisamente?» la interruppe, ma lei non rispose e proseguì con il proprio discorso.
«Non ero disposta a crederle. Mi fidavo di te, quindi perché dare retta alle sue inutili parole? Mi avevano dato fastidio, ovviamente, ma avremmo risolto tutto: sarei tornata a casa, te ne avrei parlato e tu mi avresti detto la verità. Fine della storia» ammise, prima di abbandonarsi a un’aria più amareggiata. «Ma poi ho incontrato Filippo, e con lui la rovina dei miei buoni propositi. Non appena l’ho visto, nella mia maledetta testa si sono risvegliati troppi ricordi che hanno fatto vacillare ogni mia sicurezza. Lui mi ha ferita così tanto, George, da farmi pensare che non avrei più potuto amare di nuovo: ero certa che sarebbe stato impossibile, per me, fidarmi ancora di una persona a tal punto da consegnarle gratuitamente la chiave d’accesso della mia anima, senza chiederle nulla in cambio, se non la promessa di trattarla e rispettarla come se fosse la sua. Perché avresti dovuto essere diverso? Come potevo essere sicura che non ti saresti mai comportato come lui? E se la Anderson avesse detto la verità? Cosa mi rendeva tanto convinta che stesse mentendo? Ho dato troppo peso a questi interrogativi, e adesso non so in che modo potrò mai chiedere scusa a me stessa e a te, perché... perché, nel tentativo di proteggermi dal mio passato, sono arrivata a dubitare di te, e ti ho fatto del male.»

Calò il silenzio sulla stanza. Abigail avvertiva la stanchezza scorrerle nelle vene, sapendo di doverle resistere, mentre gli occhi avevano ripreso a pizzicarle sadicamente, per nulla collaborativi. Era come se, avendo detto ciò che doveva, si fosse liberata di quell’enorme peso che l’aveva gettata a terra per ore, e che una volta andato via l’aveva lasciata più spossata, debilitata di prima, ma non meno determinata a porre il sigillo definitivo a quel lunghissimo, interminabile capitolo.
George, d’altro canto, l’aveva ascoltata pazientemente, scrutando con circospezione il suo profilo, come timoroso di poterla disturbare; dentro di sé, constatò che sì, si era davvero e ingiustamente sentito in colpa per qualcosa che non aveva mai commesso, ma anche che mai avrebbe potuto pensare di farglielo pesare in alcun modo. 
Non aveva bisogno delle sue scuse: erano superflue, non necessarie, e assolutamente non richieste. Perché avrebbe dovuto scusarsi, poi? Per aver speso un’intera giornata a fare i conti con se stessa, rannicchiata su quel letto a fissare con sguardo assente le pareti? O forse per essersi comportata, ancora prima, come avrebbe fatto quasi chiunque in una tale circostanza? Rifletté che, a parti invertite, la sua reazione non sarebbe certo stata migliore, e difficilmente riusciva a immaginare come si sarebbe sentito, cosa avrebbe provato in una situazione simile, quando improvvisamente ci si ritrova a dover rimettere in discussione ogni sentimento, ogni certezza, e in primo luogo la fiducia riposta in una persona tanto amata.
Fu per queste ragioni che le sfiorò i capelli e poi si soffermò sul viso, che pian piano sembrava stesse recuperando il colore perduto.
«Vuoi che me ne vada?» le chiese con gentilezza, ma lei scosse la testa e ricambiò il suo sguardo, non vergognandosi di quelle lacrime che, finalmente, avevano smesso di graffiare e di lasciare i lividi, preferendo accarezzarle la pelle con premura e dolcezza.
«Voglio solo che tu mi abbracci tanto forte da togliermi il respiro» disse piano Abigail, che provò come poté a controllare la propria voce, che tuttavia rischiava ancora di rompersi. «Voglio che tu mi dica che non potrai mai farmi del male, perché non riuscirei a sopportare il contrario; voglio che tu mi prometta che proverai ad amarmi quanto ti amo io, e che me lo dirai se non dovessi riuscirci; voglio… voglio sentire le tue dita che si intrecciano ancora ai miei capelli e il calore del tuo corpo accanto al mio. Non potrei mai volere che tu vada via da me, George: si è mai visto il cielo rinunciare alle sue stelle?»
«Oh, piccola» sussurrò lui, che senza farselo ripetere due volte la strinse a sé con decisione, come intenzionato a non lasciarla andare più via. Poté avvertire distintamente quel respiro dolce e familiare infrangersi contro il suo maglione, proprio vicino al cuore, mentre quelle calde lacrime che ancora venivano versate gli bagnavano il collo, solleticandolo.
Abigail si aggrappò ancor di più a quell’abbraccio e continuò a tenere il volto affondato sul petto del ragazzo, che intanto le accarezzava lentamente la schiena. «Io ti amo così tanto
«Ti amo anch’io, non immagini nemmeno quanto» ricambiò George, che con il pollice e l’indice le aveva sollevato il mento affinché potesse guardarla meglio, nonché asciugarle quelle belle guance arrossate e rigate dal pianto. «Ecco, questo non dovrebbe succedere. Mi fai sentire un viscido verme, se piangi.»
«Non sei nulla di tutto ciò» lo rassicurò lei, stavolta sorridendo, mentre gli prendeva il viso tra le mani e lo avvicinava al suo. «Quindi baciami, e fallo come non mi hai mai baciata prima d’ora: voglio morirci, su queste maledette labbra.»
Lui, naturalmente, non vedeva l’ora di accontentarla.

Nel frattempo, fuori dalla porta, si erano riuniti gli altri quattro abitanti della casa – più Alexander, che gattonava in lungo e in largo e che, ogni tanto, cercava di tirarsi in piedi aggrappandosi a tutti quegli oggetti che, dall’alto dei suoi dieci mesi e mezzo di esperienza, era convinto riuscissero a sorreggerlo –, che si erano muniti di Orecchie Oblunghe e che, ormai da parecchi minuti – precisamente, da quando George era entrato in camera –, origliavano con interesse e come delle vecchie comari impiccione cosa stava accadendo al di là del muro.
La prima ad allontanarsi dai lunghi fili color carne fu nonna Julia, la cui attenzione fu inevitabilmente attirata dal respiro un po’ più appesantito della nipote, che neanche aveva provato a trattenere le lacrime. «Maggie, tesoro caro, i tuoi occhi diluviano.»
«Qualcuno le chiuda i rubinetti» scherzò Vittoria, allora, porgendole uno dei suoi fazzoletti di seta. Fred, di fronte a quella scenetta, non nascose tutto il suo divertimento.
«Secondo voi è normale che faccia sempre così?» commentò, scompigliando affettuosamente i capelli della ragazza, che sollevò un sopracciglio con un finto fare risentito e si asciugò il viso.
«Avete fatto comunella, voi tre?»
«Be’, ogni ta-…» iniziò Julia, che si bloccò improvvisamente non appena ebbe riavvicinato al proprio lobo destro l’estremità del filo delle Oblunghe. «È decisamente il caso di togliere il disturbo
«Direi proprio di sì!» assentì la consuocera, che stranamente arrossì, avendo origliato un notevole cambiamento di clima all’interno della camera. «Buonanotte, ragazzi!»
«Buonanotte!» ricambiarono i due giovani, che risero tra loro osservando le due nonne che si allontanavano con circospezione e portavano con loro il bambino, che per poco non si era appisolato sul tappeto del corridoio.

Dopodiché, Fred rivolse a Margaret uno sguardo orgoglioso e le sorrise con tenerezza, per poi tamponarle le guance ancora umide con il fazzoletto di Vittoria. «Il mio piccolo, sentimentale Pasticcino Aggiusta-Tutto. È anche per questo che ti amo così tanto, lo sai?»
«Non era per via delle mie meravigliose torte?» fece lei, fingendo stupore, come dimostrava la mano portata teatralmente al petto. Lui annuì e si lasciò scappare un sorriso sornione.
«E infatti ho detto anche» puntualizzò, quindi, scrollando le spalle con disinvoltura. Meg, invece, gli accarezzò il viso e lo guardò con tutto l’amore che aveva dentro, non dimenticandone neanche una singola goccia.
«E tu sai qual è una delle ragioni per cui ti amo?»
«Illuminami» la esortò Fred, con tanto di strizzata d’occhio di contorno. Lei si alzò in punta di piedi per potersi avvicinare un po’ di più alla sua altezza e gli gettò le braccia al collo.
«Ti amo perché dimentichi sempre di sistemare le lancette di quel dannato orologio dopo che Alexander l’ha preso a pugni.»
«In realtà non lo dimentico» confessò lui, percorrendo con le dita la spina dorsale della ragazza, dall’alto verso il basso e viceversa. «Lo lascio così perché mi fa tenerezza guardarlo e pensare che sia opera di quella piccola peste.»
Meg ne rimase sorpresa, ma durò un attimo: dopo pochi istanti, per l’appunto, sul suo volto si era già allargato un altro, radioso sorriso. «E allora ti amo perché sei il papà migliore del mondo.»
«Avevi dubbi a riguardo?» chiese Fred, retorico, prima che entrambi si lasciassero trasportare da una sana, spontanea, più che mai sincera risata, che nonostante fosse quasi sussurrata aveva rischiato di coprire il suono del rintocco dell’orologio da parete, che timidamente annunciava il passaggio a un migliore, nuovo giorno.
Margaret se ne accorse, così si strinse ancor di più a Fred e appoggiò la propria fronte alla sua. Non si sarebbe mai stancata di accarezzare quel volto. «È mezzanotte, sai?»
«Davvero?»
«Sì. Buon ventesimo compleanno, mio splendore» disse lei, per poi abbandonarsi a un bacio che di casto non aveva neanche l’ombra. Affondò le dita tra i suoi capelli, mentre quelle labbra si tormentavano a vicenda senza darsi tregua, e avvertì un piacevole brivido percorrerle interamente la schiena una volta che la mano di Fred si fu avventurata sotto la sua maglietta.
Questa tolse definitivamente il disturbo non appena la porta della camera da letto si fu chiusa, e con essa tutto il resto.

 
1: Nella mia mente malata, questo Bradwell è uno scrittore molto famoso nel Mondo Magico e i cui romanzi sono molto corposi. Li immagino un po’ come quelli di Dostoevskij, per intenderci.
2: L’equivalente italiano sarebbe “Il bue che dà del cornuto all’asino”, ma ho trovato più carina la versione inglese dell’espressione.  


- Angolo dell’autrice

Miei piccoli tortini di mele, ben ritrovati
Dopo un mese e qualche giorno, eccovi finalmente la seconda parte del capitolo. Avrei voluto pubblicarla un po’ prima, ma tra l’approssimarsi della sessione di settembre e quelle rare mattine al mare che riesco ancora a concedermi non c’è stato molto tempo. Spero solo che sia valsa l’attesa, anche se – tanto per cambiare, insomma – ho il sospetto che avrei potuto fare un po’ meglio. :D
Ma bando alle ciance: passiamo alle cose serie!
Innanzitutto, ci tengo a dirvi che scrivere tutti quei flashback è stata in assoluto la cosa che più mi è piaciuta: ho pensato che fosse il modo migliore non solo per farvi sapere dell’accaduto, ma soprattutto per farvelo vedere con i vostri occhi e quindi rendervi maggiormente partecipi.
E poi, devo ammetterlo, raccontare di Meg che picchia la gente è, per me, sempre fonte di grande gioia.
Forse, però, è il caso di procedere per ordine, quindi mettetevi comodi e prendete i vostri popcorn.

Abbiamo ripreso la narrazione quasi esattamente da dove ci eravamo lasciati: Abigail, povera stella, era rimasta a casa, rinchiusa in camera, a lasciarsi annegare tra le sue stesse lacrime, mentre quei tre soggetti poco affidabili Fred, George e la cara Margaret facevano la loro bella scampagnata tra i ruderi e si divertivano a perculare in diretta radiofonica il Signore Oscuro e i suoi compari (alla faccia della sintesi).
Vi avevo anticipato che ci sarebbero stati bei momenti Marbigail (Meg, Gail, perdonatemi per questo nome osceno), ed eccoci proprio qui. Con la partecipazione straordinaria di quel piccolo e pacioccoso terremoto chiamato Alexander George Weasley, ci pensa Meg a risollevare un po’ il morale della nostra blondie, che naturalmente non può che porle la fatidica domanda: cosa accidenti è successo tra Mr Lobo Solitario e quella lurida vagabonda la Anderson?
- ‘Sta gran zoc-*beep*
Via, Gail, più garbata.
Comunque, se – nel capitolo precedente – la gif di Mara Maionchi ci aveva dato un mezzo suggerimento, stavolta abbiamo avuto la conferma della stronzaggine di quella... di quella... scusate, non riesco a trovare nulla di anche solo minimamente educato che mi possa aiutare a definirla.
- Oh, ti do una mano io! GRANDISSIMA *beep* *beep* *e ancora beep*. La vuoi smettere di censurarmi?!
Avevo chiesto termini educati, Abigail! Santo Merlino!
Anyway, dov’eravamo rimasti? Sì, nel mese di luglio del 1997 – per intenderci, dopo il matrimonio di Fred e Meg e prima della missione dei sette Potter –, quella gran signora non aveva nulla da fare e ha deciso di fabbricare presunti Filtri d’Amore fatti in casa e di rifilarli a quella povera anima di nostra conoscenza, la cui unica intenzione era scolarsi i suoi sacrosanti chupitos di Tequila e poi tornarsene a casa sbronzo e felice. Cose che capitano, insomma.
Non so, ovviamente, quale effetto possa avere un Filtro d’Amore scaduto o preparato male, per cui anche in questo caso mi sono presa una piccola licenza, come avrete sicuramente capito dal discorso del carissimo Dorian Russell (che, per rinfrescarvi la memoria, è il figlio di Annabel Stevens e Landon Russell, gli zii di Margaret. Lavora come Guaritore in Clinica Morgana – la stessa dei genitori – e, ovviamente, non ha alcuna forma di parentela con Abigail).
In poche parole, quindi, George è assolutamente innocente; peccato che Meg non l’abbia capito subito, come ha dimostrato il suo atteggiamento molto caritatevole e accomodante *tossisce* nei confronti del caro, vecchio amico d’infanzia.
Lo sappiamo, d’altronde, che quando c’è da assestare pugni Meg non si tira certamente indietro, ed è qui che arriviamo ad una delle parti di questo capitolo che più ho amato scrivere: Margaret vs. Virginia.
Solo nei peggiori bar di Caracas”.
È in questi momenti che la nostra Stevens mi rende schifosamente orgogliosa di lei, giuro. Vorrei abbracciarla e prendere un drink con lei, ne approfitterei per farmi insegnare un po’ di sano atteggiamento da Ghetto Girl. In fin dei conti, però, è stata troppo buona: fossi stata al suo posto e avessi avuto la sua forza da ex Battitrice e da novella accoppatrice di Mangiamorte Ministeriali, la Anderson non se la sarebbe cavata con un fin troppo educato schiaffo sulla guancia. *fischietta allegramente*
La... La... Insomma, quella sorta di essere umano ritornerà, comunque – o almeno penso. Ho un’idea che credo vi piacerà, spero solo di trovare un piccolo spazio tra un paio di capitoli per metterla in pratica. :D

Ma torniamo al capitolo in questione e arriviamo a un momento che mi ha regalato molti, troppi feels durante la stesura: George e Abigail. 

Insomma, dovete sapere che – probabilmente ancora segnata dai lontanissimi e terrificanti tempi delle scuole medie, quando si ostinavano ad assegnarmi la parte della protagonista femminile nelle rappresentazioni teatrali (ebbene sì, miei cari, ho un passato da attrice/cantante di Musical, manco fossi Rachel Berry) – tendo sempre a interpretare mentalmente le battute dei personaggi mentre le scrivo, e spesso ciò mi porta a immedesimarmi più del necessario. E sì, insomma, succede un po’ un casino a livello emotivo.
Per farla breve, sono riuscita a scrivere quella parte solo con il supporto di un bel Mojito ghiacciato – Jules e gli alcolisti anonimi, parte 39204 –; troppo bombardamento emotivo e troppi episodi del passato che riaffioravano. *prende la bambola Voodoo di ex Crush e la lancia ripetutamente contro il muro*  
Ma ditemi voi, piuttosto: ve l’aspettavate il colpo di scena di Filippo? Come avreste reagito, voi, al posto di Abigail? Io dico solo che non so come si possa avere una tale faccia tosta, Santo Merlino. Ma non si vergogna? BAH.
Anyway, gli Georbie non hanno paura di niente e l’hanno dimostrato. “Ciò che non uccide fortifica”, e non potrei essere più d’accordo. 

Ho pensato di regalarvi anche un momento Frargaret: era da un po’ che quei due non ci inondavano di zucchero, ed era di vitale importanza rimediare. ♥ Anzi, vi anticipo sin da adesso che proprio loro saranno il fulcro di buona parte del prossimo capitolo; la doppia anticipazione che vi lascerò in fondo vi chiarirà un pochino le idee (o forse le confonderà? Eheh).

Comunque, per dovere di cronaca, siamo arrivati al 31 marzo/1 aprile del 1998. Nel prossimo aggiornamento faremo un salto di un mese esatto, ritrovandoci al pomeriggio/sera del primo maggio.
Chi vuole intendere, intenda. Gli altri in camper.

*Il Super Io solleva lo sguardo dall’Introduzione alla Psicoanalisi e si toglie gli occhiali da lettura, perplesso* “Giulia, andiamo. Tra diciotto giorni compi vent’anni. È un quinto di secolo, per Diana. Perché devi sempre fare la cretina?”
*L’Es arriva ballando a ritmo di Maria Salvador e accoppa il Super Io con una pala* “E anche stavolta l’abbiamo sistemato. Puoi continuare”.

Dicevo, ci ritroveremo catapultati direttamente al pomeriggio precedente quel fatidico 2 maggio 1998. Vedremo come i nostri protagonisti vivranno la vigilia della Battaglia che ci ha distrutto il cuore e che, in parecchi casi *alza la mano*, ci ha trasformati in dei fanwriter assetati di vendetta.
Solo la vigilia, eh. La Battaglia la tratteremo in quello successivo, che sarà il ventisettesimo capitolo – la cui stesura sarà un vero e proprio parto trigemellare, me lo sento.
Detto ciò, è arrivato il momento di concludere queste interminabili note.

Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, ladywLuna Paciock, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSikOrma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_Ssleepingwithwolves_Soleil Jonestenna96, TheDarkAngelvalepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

And RiddleCalypso_EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasleymax85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael,  _Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrongmax85, Orma_sleepingwithwolves_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e Angel_Mary, che hanno recensito il capitolo precedente. 


Il titolo è lo stesso della volta scorsa, quindi è di Oriana Fallaci, mentre la canzone in apertura è Give Me Love, di Ed ammettilo che sei un Weasley Sheeran.
Ora, mi dileguo. Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno al 24/25 settembre, dato che il 26 parto e sarò via per qualche giorno. Nel frattempo, spero di trovare qualche parere – o anche recensioni in cui mi si minaccia di lanciarmi pomodori, non siate timidi – che possa rallegrare questi angoscianti giorni di preparazione per la sessione autunnale. :D

Un abbraccio megagalattico 

Jules


- Dal prossimo capitolo:

1.
 
«Meg» la richiamò Fred, sporgendosi maggiormente verso di lei, ma venne ignorato.
«Sono stata una stupida egoista a pretendere che tu sopportassi, accettassi questa parte di me così controversa... e sono stata una stronza, perché non ho neanche provato a facilitarti questo compito, a renderlo meno gravoso» Margaret continuava a sputare fuori quelle parole dopo averle masticate con lentezza, dopo averne assaggiato quell’amara consistenza che le rendeva troppo pesanti da digerire. «Sono un disastro ambulante, condannata a non poter mai migliorare la mia condizione. Così facendo, penso, ho condannato anche te.»
«Meg» Fred stavolta alzò il volume della voce e scosse la mano che stringeva quella della giovane strega. Non voleva ascoltare altro, non voleva che lei continuasse a vomitare quella valanga di pensieri, perché difficilmente questo l’avrebbe fatta stare meglio.
Lei, però, si comportò come se non lo avesse udito [...].

2.
 
«Non puoi impedirmelo!» sbottò Lancelot, risentito, ma l’imporporarsi delle sue guance contribuì solo a renderlo terribilmente buffo. «Non puoi negarmi tutto il divertimento!»
«Il massimo del tuo divertimento, questa notte» s’intromise Desmond, posandogli una mano sulla spalla, «sarà una maratona di scacchi con Willow. Tua madre potrebbe uccidermi nella maniera più atroce e dolorosa se ti portassimo con noi.»
«Ma zio!» si lamentò il giovane, guardandolo con fare supplichevole. Ci pensò il fratello maggiore a porre fine ai suoi tentativi, che si sarebbero comunque rivelati nient’altro che vani.
«Zio Des ha ragione, Lance. Sei minorenne, non puoi venire con noi.»
«Dorian!» il ragazzo soffiò via una ciocca di capelli castani che gli era caduta sugli occhi, profondamente offeso. «Siete ingiusti! Cosa accidenti dovrei fare io qui?»
«Il baby-sitter! Sai cambiare un pannolino?» fece Meg, gustandosi l’espressione sempre più sconvolta del cugino, che non tardò a spalancare teatralmente le braccia.
«No!»
«Be’, c’è sempre una prima volta» commentò Fred, facendo spallucce.
   
 
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