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Autore: Mary P_Stark    18/06/2016    3 recensioni
1803. Yorkshire. La guerra infuria, in Europa, e Napoleone Bonaparte non nasconde le sue mire nei confronti della ricca Inghilterra. Christofer Harford, figlio cadetto del Conte Spencer, viene costretto dal padre a maritarsi prima della partenza per la guerra. Le imposizioni non sono mai piaciute al rampollo di casa Spencer, che mal sopporta l'ordine, e finisce con il rendere vittima la dolce e docile Kathleen, sua moglie contro ogni aspettativa. Le privazioni della guerra e la morte prematura del conte Harford richiamano in patria un Christofer distrutto dal dolore, che si ritrova ad affrontare non solo la morte del conte, ma anche una donna che non riconosce essere sua moglie.
Perché la nuova Kathleen è forte, non si piega alle avversità e, soprattutto, sa tenere testa al marito come mai aveva fatto prima della sua partenza. Ma cosa l'ha cambiata tanto?
Christofer è deciso a scoprirlo, così come è deciso a redimersi dalle sue colpe come marito. Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte, minando la possibilità dei due coniugi di conoscersi, di instaurare un vero rapporto.
Saprà, Christofer, difendere la moglie da questo pericolo ormai alle porte e, nel suo cuore, potrà trovare spazio anche per l'amore?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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23.
 
 
 
 
01-x-1806
 
 
Addormentato al fianco della moglie, che aveva avuto una nottata assai agitata e priva di tranquillità, Christofer si svegliò di soprassalto, quando la sentì sibilare.

Un attimo dopo, si ritrovò ad affogare tra le coltri che la moglie, negligentemente, aveva scostato, gettandole addosso a lui.

Scostandole in fretta e furia per capire cosa le fosse preso, la fissò mentre, in piedi di fronte al camino, osservava il suo ventre enorme con aria furiosa.

A un esame più attento, però, Christofer dovette ammettere che non quello, ma altro, aveva attirato la sua attenzione.

E questo lo fece impallidire di puro terrore.

Raggiuntala in pochi, rapidi passi leggermente claudicanti – zoppicava sempre un po’, la mattina – la afferrò gentilmente alle spalle e, sorridendole stentato, mormorò: “Tesoro, perché non torni a letto mentre io chiamo Gwen?”

“Prova a indovinare perché non torno a letto…” sbuffò lei, simile a una pentola di fagioli.

“Si è bagnato il letto?” ipotizzò lui, notando subito lo sguardo furente della moglie. “D’accordo, lasciamo perdere. Vado subito da Gwen, ma tu non ti agitare.”

“Sei tu a essere agitato, Christofer Robert Walter Spencer, conte Harford.”

Rabbrividendo nel sentire il suo nome per esteso – non gli era mai piaciuto – il conte affrettò il passo fino a raggiungere la stanzetta di Gwen, dove bussò in fretta.

In pochi attimi, la donna aprì e, nel vederlo in camicia da notte, comprese al volo cosa fosse successo.

Prese in mano le redini della situazione, entrò nella stanza della sua signora e, al padrone di casa, disse perentoria: “Chiamate Bridget, Margareth e Bethany, poi fate informare il dottore, giù al villaggio. Avrò bisogno di un bel po’ di mani, qui. E di tanta acqua calda.”

Christofer assentì più volte e, nell’afferrare la sua vestaglia da camera, diede un bacetto alla moglie e sgattaiolò fuori.

In corridoio, scorse Alfred già al lavoro e, trasmesse a lui le indicazioni di Gwen, corse poi in camera sua e abbaiò ordini su ordini a Julian perché lo aiutasse a vestirsi.

Nel breve decorrere di dieci minuti, tutta la villa fu desta, dallo stalliere al fabbro e alla cuoca, e tutti erano in trepidante attesa di notizie dalla camera padronale.

Il medico fu mandato a chiamare – William non ebbe neppure il coraggio di uscire dalla villa, tanto era nervoso – e, per i corridoi, servitù e nobiltà si fecero silenti e tesi.

Whilelmina e Georgiana attendevano fuori dalle stanze, poiché all’interno erano già presenti fin troppe persone.

Christofer, Wendell e Myriam, invece, si trovavano nella saletta della colazione, seduti al tavolo con espressioni parimenti ansiose.

Anthony, suo malgrado, era dovuto partire poco tempo dopo la visita rocambolesca di Grenview, richiamato a Londra dal Ministero della Guerra.

Aveva comunque promesso di tornare entro breve, non appena il caos che lo aveva ricondotto alla capitale, fosse scemato.
A momenti alterni, Christofer si levava dallo scranno per passeggiare nervosamente, chiedendosi perché impiegassero tanto tempo, o se tutto stesse andando bene.

“Non agitarti… è normale che sia così…” mormorò Myriam, prima di guardare Wendell, evidentemente a disagio. “Perché non vai nella nursery con Randolf, e vedi se si sta annoiando? Tanto, qui non abbiamo nulla da fare.”

“Va bene” assentì grato il ragazzino, andandosene quasi di corsa.

Sorridendo poi a Christofer, la donna asserì: “Era inutile che se ne stesse qui a rimuginare. E’ ancora troppo piccolo, per queste cose.”

“E io troppo grande per lasciare che siano altri a occuparsi di mia moglie” dichiarò lapidario il conte, uscendo di gran carriera dalla stanza, seguito a ruota da Myriam.

Incurante del ton, delle regole di condotta, di tutto quanto, Christofer oltrepassò madre e suocera e, senza dire nulla, aprì la porta della stanza ed entrò.

Le donne presenti lo fissarono sgomente, e il dottore sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, non aspettandosi di certo la sua entrata in scena.

Il conte, però, non degnò di nota nessuno e, dopo aver circumnavigato il letto enorme, salì sul lato libero e scorse infine la moglie.

Kathleen se ne stava appoggiata a diversi cuscini, il volto sofferente e accaldato e, coperta in parte da un telo, se ne stava a gambe aperte fino allo stremo.

Mancò poco che Christofer non svenisse.

“Che diamine ci fate, qui? Non è posto per voi!” sbottò la moglie, fissandolo bieca.

Al marito venne quasi voglia di ridere.

Come le fosse venuto in mente di usare le forme di cortesia in un momento simile, quando stava così male, solo lei lo sapeva!

Baciandole la fronte, le afferrò una mano stretta a pugno e, apertala, vi infilò la propria, asserendo: “Starò qui con voi, e sfogherete su di me la vostra rabbia, come è giusto che sia.”

“Non si dovrebbe fare…” brontolò lei.

“Me ne infischio. Siete mia moglie, e state per partorire mio figlio. Il mio posto è qui” replicò lui, assentendo con vigore.

Una contrazione strappò la parola a Kathleen che, inarcandosi, spinse quando il dottore le diede il via libera.

Christofer stette male per lei in ogni momento. Giurò anche a se stesso di non volere nessun altro figlio, e di non toccarla mai più in quel modo.

Non voleva che soffrisse un’altra volta per causa sua. Neppure per tutto l’oro del mondo.

Quando, però, il dottore tenne tra le mani il neonato, e questo pianse con la forza di un drago, Kathleen sorrise.

Sorrise così raggiante da cancellare tutto il dolore patito fino a quel momento e, nel volgersi verso il marito, esalò: “Ce l’abbiamo fatta…”

“Ancora un momento, contessa… pare che non sia del tutto finita…” sorrise sornione il medico. “… un’altra spinta, per favore…”

“Come?” esalò Kathleen, prima di sottostare al bisogno insopprimibile di contrarre i muscoli addominali.

Un attimo dopo, un secondo vagito seguì il primo e, sorpresi, i due coniugi si guardarono basiti, gli occhi sgranati e pieni di meraviglia.

Mentre il coro di vagiti si espandeva per la stanza, Gwen consegnò il primo dei bambini alla madre, dicendo orgogliosa: “Un bel maschietto, milady.”

Il dottore, invece, consegnò il secondo fagotto al conte, asserendo: “E una femminuccia in salute a voi, signor conte. Congratulazioni. Sono entrambi forti ed energici, anche se sono arrivati con un po’ di anticipo.”

Ancora incredulo, Christofer fissò quel tenero frugoletto dal viso grinzoso e, con delicatezza, ne baciò la fronte, sussurrando: “Ben arrivata, amore mio.”

Kathleen, pur se ancora assai frastornata da quella sorpresa imprevista, mormorò: “Come li vuoi chiamare?”

Lui la guardò, la baciò con delicatezza, in barba all’etichetta e quant’altro, e dichiarò con sicurezza: “Lui sarà Andrew. Andrew Christofer Spencer, futuro conte Harford, mentre lei…”

Tornando a guardare la figlia, mormorò ammaliato: “… lei si chiamerà Elizabeth Kathleen Spencer.”

“Sono nomi bellissimi…” sussurrò la moglie, carezzando una guancia al marito.
 
***

“Se anche abbandoni per un attimo le culle, loro non andranno da nessuna parte” lo richiamò a un certo punto Kathleen, sdraiata sul fianco sull’enorme lette il viso puntato in direzione del marito.

Le felicitazioni per la coppia si erano protratte fino a tarda ora e, pur se adesso che la casa era silenziosa e tutti riposavano, Christofer ancora non voleva lasciare i gemelli.

Era stato straziante veder soffrire a quel modo la moglie, non poter far nulla per alleviare le sue pene, eppure…

Eppure, da quell’immenso trauma, era sorto qualcosa di unico. Di speciale.

Ancora non poteva crederci. Due bambini.

Un fruscio di stoffe lo riportò al presente e, quando il conte vide la moglie fuori dalle coltri del letto, corse immediatamente da lei per bloccarla.

In fretta, la sollevò tra le braccia e, torvo, borbottò: “Cos’ha detto, il dottore? Totale riposo.”

“Era l’unico modo che conoscevo per farti tornare da me” ammise lei, facendo spuntare la punta della lingua con fare impertinente.

Christofer, allora, la accompagnò fino alle culle e, sempre tenendola in braccio, mormorò: “Non sono bellissimi?”

“La penserai diversamente, quando ti sveglieranno perché hanno fame” ironizzò lei, pur pensandola esattamente come il marito.

“Non lo farò mai” scosse il capo lui, poggiando il capo contro quello della moglie. “Anche se ripenserò ogni attimo a ciò che ti ho fatto patire.”

“Un parto gemellare,… svolto con assoluto successo, e senza danno né per me, né per i bambini?” esalò sorpresa Kathleen. “Tesoro, come pretendevi che uscissero?”

“Non facendoti così male” protestò scioccamente lui.

Lei allora sorrise, gli baciò la punta del naso e, strette le braccia al suo collo, gli mormorò all’orecchio: “Torna a letto con me e massaggiami la schiena. Sono dolente, e ho bisogno di qualcuno che mi faccia un po’ di coccole.”

“Perfida” sbuffò Christofer, pur accontentandola.

Depositatala con gentilezza sul letto, le sollevò la camicia da notte, esponendo al suo sguardo la carne pallida e le forme morbide.

Dopo aver preso gli unguenti per il massaggio, ne sparse un po’ sulle mani e, con movimenti circolari, sciolse la muscolatura tesa della moglie, che mugolò.

Socchiudendo gli occhi, Kathleen mormorò: “Potrei passare la mia vita così…”

“Anch’io” sorrise lui, arrischiandosi a massaggiarle una natica.

Lei rise sommessamente, e Christofer risalì, tornando al suo scopo primario.

Fu dopo molti minuti passati a massaggiare quelle carni tenere e profumate, che il conte si accorse che la moglie si era infine addormentata.

Sorridendo, la coprì con le coltri e, dopo aver preso per sé un pannetto, andò a sistemarsi su una poltrona, accanto ai pargoli.

Si era strenuamente rifiutato di farli portare nella nursery, scatenando le ire della bambinaia e le sue reprimende.

Il conte, però, non l’aveva minimamente ascoltata e, dopo averle baciato una mano – facendola avvampare – l’aveva pregata di tornare solo la mattina seguente.

Per quella notte, voleva essere lui a badare ai suoi piccoli.

Non avrebbe concesso questo onore a nessun altro.

Sistemando accuratamente una delle copertine, Christofer ripensò ad Andrew, al suo sguardo perso e sognante quando era nato Randolf.

E al suo senso di sconforto quando, nonostante tutto, aveva scelto di partire per la guerra, lasciando a casa figlio e moglie.

Sapeva del litigio tra lui e Myriam, sapeva che la moglie, alla fine, l’aveva perdonato, ma non era del tutto certo che Andrew avesse avuto il tempo di perdonare se stesso.

A discapito di tutto, del suo umore  perpetuamente allegro, Christofer aveva sempre saputo che, nel cuore dell’amico, era pulsato anche il rimorso per quella scelta.

Carezzando il capo del piccolo Andrew, su cui brillava una spruzzata di capelli biondi, lui mormorò: “Ti sei sempre sentito come spezzato in due, amico mio, lacerato da desideri ugualmente forti e contrastanti tra loro… ma non temere, mi prenderò cura sia di Randolf, che di Myriam. E amerò i miei figli con tutto l’amore che saprò dargli.”

Andrew scelse quel momento per muoversi nella culla e, sempre dormendo, afferrò una delle dita del padre, avvolgendola con la piccola mano.

Una lacrima sfuggì all’uomo che, pur se in una  posizione scomodissima, preferì non muoversi.

Dopotutto, suo figlio aveva desiderato un contatto con lui, e Christofer non gliel’avrebbe negato per nulla al mondo.

Lo avrebbe distrutto, il mondo, se qualcuno avesse tentato di fare loro del male.
 
***

Era forse troppo, un mese, per essere ancora in ansia per la moglie e i loro bambini?

Le donne erano liete e allegre, tutte sembravano galleggiare serene e tranquille e nessuna, tra di loro, dava segno
di preoccuparsi di qualcosa.

Quindi, perché essere così nervosi?

Sorseggiando del whisky assieme a William, Christofer non ebbe bisogno di spiegazioni, per scoprirlo.

Nell’oscurità della notte, rade luci si scorgevano all’orizzonte, appartenenti al non lontano villaggio.

Tutto appariva tranquillo, eppure non era sicuro di poter mollare ancora la presa.

Anthony era parso assai perplesso dalla frase di Johnathon riguardante l’incidente occorso a Londra.

Da una mente abituata al sotterfugio come quella dell’amico però, non si era stupito delle sue elucubrazioni mentali, e l’aveva lasciato parlare.

Quando, infine, Anthony gli aveva spiegato la sua teoria, Christofer aveva ammesso a sua volta come, quel particolare, fosse assai strano.

Come aveva fatto, Jonhathon, a sapere che anche Randolf era stato minacciato dal cecchino appostato nel parco dietro Grosvenor Square?

Nessuno lo sapeva, a parte la servitù e l’agente di Bow Street e, le poche notizie che erano circolate sull’evento, avevano riguardato solo Kathleen.

Quindi, perché lui ne era al corrente?

Era più che certo che nessuno dei domestici di Londra avrebbe mai parlato con lui e, soprattutto, di questioni così personali e riguardanti gli Spencer.

Anthony non si era sentito tranquillo, in merito e, visto il suo obbligo di tornare a Londra, aveva espresso l’intenzione di seguire a distanza Johnathon, così da sincerarsi di un suo eventuale coinvolgimento.

L’omicidio di Annelyse, poi, non smetteva di tormentare la sua mente.

Non era collegato alla moglie, eppure… non riusciva a darsi pace. Chi mai avrebbe voluto la sua morte?

Nessuno dei suoi amanti, visto che tornava comodo a entrambe le parti che i loro … sollazzi rimanessero privati.

Perché attirare l’attenzione sui Gordon-Lewis, allora?

“Pensieri profondi, Christofer?” mormorò William, servendosi un po’ di whisky.

Si erano rifugiati nello studio dell’ala est, lontano dai festeggiamenti che alcune domestiche avevano messo in piedi per la loro signora.

Guardando il cognato, i cui strani occhi ambrati sembravano sondarlo fin nell’anima, il conte asserì stanco: “Non so che pensare, William… sembra tutto così calmo! Come se non fosse mai successo nulla, eppure…”

“Eppure, non sappiamo più niente di Peter Chappell, o del misterioso cecchino che ha attentato alla vita di Kathleen” assentì lui, torvo in viso. “E’ come essere circondati dai lupi, mentre noi siamo stremati e feriti, in attesa che loro decidano di darci il colpo finale.”

Storcendo il naso, Christofer annuì tra sé. L’esempio calzava alla perfezione e, con la nascita dei gemelli, questa sensazione si era solo acuita.

Se solo avesse conosciuto i motivi di quell’attentato!

“Notizie dai cacciatori?” domandò Christofer, per nulla speranzoso.

“Pattugliano il bosco ma, per ora, non hanno trovato nulla di strano” gli riferì William, scuotendo impotente il capo.

Sospirando, Christofer si levò in piedi per raggiungere la finestra che dava sul giardino e lì, scrutando verso il basso, mormorò: “Ora mi sembra che tutto quello che mi circonda sia inutile, persino pericoloso. Se vivessimo in un luogo più piccolo, e circondati da altre persone, forse…”

“Kathleen si trovava in un luogo pieno di gente, circondato da miriadi di case, eppure il cecchino ha cercato comunque di colpirla” gli ricordò William, sorridendo spiacente. “Il modo si trova sempre.”

Imprecando tra sé, Christofer annuì, passandosi una mano tra i lunghi capelli rilasciati sulle spalle.

Ormai, avrebbe dovuto tagliarli, ma a Kathleen piacevano, per cui…

Lanciata un’occhiata di straforo al cognato, il conte disse con discrezione: “Katie mi ha detto che non hai ancora parlato al padre di Bridget. Ci sono dei problemi, per caso?”

William rise nonostante tutto e, raggiuntolo alla finestra, chiosò: “Quella chiacchierona non si smentisce mai, vero?”

“E’ una donna” dichiarò Christofer, come se questo bastasse a spiegare tutto.

Tornando serio, l’attendente asserì: “Voglio aspettare che tutto sia a posto, e Bridget è d’accordo. Anche lei è preoccupata per Kathleen.”

“Le cose non cambieranno, anche se tu e lei vi sposate” gli fece notare per contro il conte. “E, a tal proposito, pensavo di farvi dono di quel casolare che c’è lungo il sentiero nel bosco, a cinque minuti da qui.”

“Come?” esalò William fissandolo a occhi sgranati.

Continuando a scrutare il paesaggio notturno, lui proseguì dicendo: “Ho già mandato alcuni operai a ristrutturarlo, e stanno anche sistemando uno steccato robusto, e riassestando la stalla, che sarà a prova di lupo.”

“Christofer, aspetta… fermati.”

Ma lui non lo ascoltò.

“E’ una casa a due piani, abbastanza grande per una famiglia, se vorrete avere dei figli, ed è vicina a Green Manor, così che nessuno dei due abbia difficoltà a raggiungerci, la mattina, o a tornare a casa la sera. Vi fornirò anche di un calessino e di un paio di cavalli, non preoccuparti” lo informò Christofer, sorridendogli.

“Non se ne parla neppure!” sbottò a quel punto William, accigliandosi. “Mi comprerò da solo la casa e, quanto al resto, non è proprio necessario.”

Il conte allora ghignò e replicò: “E come vorresti impedirmelo, scusa?”

“Come, prego?” esalò William, fissandolo stralunato.

Divertito suo malgrado dall’apparente ritrosia del cognato ad accettare i suoi doni, Christofer disse serafico: “Mi domando come tu possa rifiutare una cosa che è già tua. Certo, sei davvero sbadato a non esserti mai accorto di avere una casa, ma a questo ho posto rimedio io. I lavori di ristrutturazione sono un dono di nozze di mia moglie. E tu sai che ci rimarrebbe malissimo, se tu non accettassi.”

William lo fissò arcigno per diversi istanti, istanti in cui il conte gongolò non poco, compiaciuto di se stesso.

Aveva ipotizzato fin dall’inizio che William si sarebbe opposto con tutto se stesso, a quel dono, così aveva preparato di suo pugno l’atto di vendita, facendo poi firmare la moglie.

Il fatto che Kathleen si fosse dimostrata un’abile falsificatrice di firme, aveva aiutato.

Consegnati i documenti al suo notaio, aveva fatto mettere poi tutto agli atti, in modo che la compravendita risultasse legale.

“Come diavolo siete riusciti a…? Chi ha firmato i documenti al posto mio?!” borbottò William, ancora ombroso in viso.

“Tua sorella. Un’ottima truffatrice. Avrebbe una carriera assicurata, se perdessimo tutti i nostri soldi” ironizzò il conte, battendogli una mano sulla spalla. “Non hai scampo, William, a meno di non ferirla al cuore.”

“Siete subdoli… entrambi voi” gli fece notare l’attendente, sospirando esasperato.

“Verissimo. Ma ormai ti conosciamo, e sapevamo che non avresti mai accettato” dichiarò Christofer, tornando serio. “Accetta. E’ una delle poche cose legali che posso fare per te. Non posso restituirti il titolo che meriteresti, ma posso offrirti almeno una casa in cui crescere la tua famiglia.”

“Non voglio la baronia. Non l’ho mai voluta. E’ di Randolf, come prima era di Andrew” scosse il capo William, accennando un sorriso. “Ma grazie… anche se tu e Kathleen avete barato spudoratamente.”

“Accontentati” sorrise allora Christofer.

“Non ho molta scelta, mi pare.”

“No, affatto” assentì il conte, scoppiando poi a ridere con il cognato.
 
***

La neve stava scendendo leggera quando, di colpo, Kathleen si volse sospettosa nell’udire un discreto trambusto fuori dalla porta.

Trovandosi nella nursery, che guardava verso il retro della villa, non aveva idea di chi fosse eventualmente arrivato per turbare tanto gli abitanti di Green Manor.

Dubitava vi fosse un incendio in casa perciò dedusse che, una simile confusione, fosse attribuibile all’arrivo di un ospite inatteso.

Lasciati un istante i bimbi nelle loro culle, mentre la bambinaia la scrutava con espressione parimenti confusa, Kathleen si avviò verso la porta per indagare.

Si bloccò, però, un attimo dopo quando, trafelato e con il volto rosso per la corsa, Wendell entrò e disse: “Sorella…è arrivato…”

Christofer raggiunse il fratello proprio in quel momento e, torvo in viso, lo fissò scuotendo il capo. Infine, lo pregò di raggiungere la madre.

Wendell, però, storse il naso e replicò: “Sto con i miei nipoti.”

Ciò detto, entrò nella nursery con passo deciso e il fratello non poté dire nulla per fermarlo.

Se c’era una cosa che avevano notato tutti – e subito – era che i gemelli adoravano il giovane zio.

Quando neppure le coccole della madre bastavano, interveniva Wendell per riportare la pace tra i gemelli, facendoli smettere di piangere.

Kathleen ne era rimasta così colpita che, in barba alle convenzioni, aveva iniziato a chiedere spesso l’aiuto del giovane cognato per occuparsi dei propri figli.

Christofer non aveva avuto nulla da ridire, in merito, visto che la cosa rendeva felice entrambi.

Inoltre, sapeva cosa volesse dire desiderare di essere utili in qualche modo e, se questo poteva aiutare il fratello, ben volentieri lo avrebbe lasciato fare.

Aveva passato troppo tempo della sua giovane vita a essere bistrattato da un padre insensibile, e ora voleva dargli tutte le gioie possibili.

Era ancora così fragile da non voler lasciare nulla di intentato, per dargli quello che il resto della sua famiglia gli aveva sempre negato.

Perciò, lasciò che restasse e, presa la moglie per le spalle, dichiarò roco: “C’è tuo padre.”

Kathleen impallidì visibilmente e la bambinaia, trattenendo a stento un singulto, esalò: “Signore Iddio!”

Christofer scrutò per un attimo Peggy, colei che era stata anche la sua bambinaia,  prima di tornare a scrutare la moglie.

Assentendo preoccupato, mormorò: “Non avrei saputo dirlo meglio. Tua madre e mia madre sono dabbasso, cercando di darci un po’ di tempo, e William è già qui. Aspetta solo di sapere come…”

Scuotendo il capo, Kathleen bloccò le sue rassicurazioni con un gesto e disse: “Che venga pure. Non ho paura di lui.”

“Non ho nessunissima intenzione di permettere che lui ti turbi, è chiaro?” sbottò Christofer, adombrandosi in viso.

Lei allora gli sorrise, carezzandogli una guancia col dorso della mano e, annuendo, dichiarò: “Lo so. E, proprio per questo, so di poterlo affrontare. Non sono sola. Ho te, e Wendell, e Peggy, l’intera Green Manor mi protegge. Non devo fare tutto con le mie sole forze, ora lo so.”

Il marito le baciò con fervore la fronte, stringendola poi in un rapido abbraccio e, con un tono che non ammetteva repliche, disse: “Resterò qui con te, e interverrò solo se capirò che non puoi più sopportare la sua presenza. Va bene?”

“Benissimo” assentì lei, prendendo un gran respiro. “Fallo salire.”

Christofer annuì, si concesse un altro secondo per scrutare quegli occhi volitivi e, dopo aver raggiunto la porta con pochi passi, si affacciò e disse: “William, fate salire il barone.”

“Come desiderate, Vostra Signoria” assentì l’uomo, scambiando uno sguardo d’intesa con il cognato.

Se le cose fossero crollate di colpo, lui sarebbe intervenuto. Non era la prima volta che lo faceva.

Nel percorrere le scale che portavano dabbasso, William pregò quasi che accadesse qualcosa che lo costringesse a intervenire.

Aveva davvero una voglia matta di mettere le mani addosso al barone Barnes.

Per il momento, comunque, si sarebbe attenuto alle volontà della sorella e sarebbe stato tranquillo.

Più o meno.

L’idea di sapere Kathleen e il barone nella stessa stanza, non lo solleticava per nulla.

Quando infine raggiunse l’imponente atrio, in cui si trovavano la contessa madre e la baronessa, William procedette più calmo fino a raggiungerli.

Con un inchino formale, poi, asserì: “Sua Signoria la contessa ha accettato di riceverla, barone. Se mi permettete, vi scorterò personalmente presso le stanze ove si trova lady Spencer.”

Barnes, ritto e fiero nel suo completo da equitazione – il mantello e la tuba erano già stati ritirati dai domestici – assentì e si avviò assieme a William.

Georgiana e Whilelmina lo scrutarono silenziose risalire la grande scalinata centrale di Green Manor, mentre alcuni domestici lo osservavano turbati dai vicini corridoi.

Non occorse molto per raggiungere la nursery e, dopo aver bussato, William si fece da parte per lasciare Barnes, che lo degnò solo di una distratta occhiata.

La rabbia bruciò feroce in lui e, quando incrociò lo sguardo del cognato oltre lo specchio della porta, comprese che anche il conte stava provando la stessa ira.

Forse, non per gli stessi motivi, ma anche la sua ardeva possente.

Quando infine richiuse il battente, sperò che il barone non commettesse un errore di troppo, con Kathleen, o lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani.
 
***

Kathleen non era certa se aver temuto, o bramato, questo incontro fin da quando erano nati i gemelli.

Ora che vedeva suo padre lì dinnanzi a lei, ritto come un fuso e fiero del suo titolo al pari di un grido lanciatole contro con violenza, seppe che non l’avrebbe mai perdonato.

Non quell’uomo, che aveva ferito una donna come Christine Knight, mettendola alla porta dopo averla sfruttata e distrutta.

Non quell’uomo, che aveva preso in giro per una vita la moglie, insozzando il suo nome con tutte le amanti che aveva avuto.

Non quell’uomo, che aveva portato nelle loro vite Peter Chappell, costringendoli a vivere nel dubbio e nella paura.
No, per lui non avrebbe avuto alcuna pietà.

Che pensassero i santi e il Paradiso a concedergli il perdono, perché lei non ne aveva più da donare a chicchessia.

“Benvenuto, padre” disse perciò con estrema e fredda cortesia, assisa sul suo scranno al pari di una regina, il piccolo Andrew stretto tra le braccia.

Christofer, in piedi alla sua destra, teneva stretta a sé Elizabeth, che stava giocherellando con il suo plastron bianco neve.

Barnes li guardò entrambi, ignorando la bambinaia e Wendell, prima di mormorare con tono fermo: “Ben trovata, Kathleen. Vedo che la gravidanza non ha lasciato strascichi.”

“Sto bene, sì. E anche i bambini” dichiarò lei, levando un fine sopracciglio con aria vagamente interrogativa.

Sarebbe stato dunque così? Un’indifferente sequela di domande scontate?

Barnes si guardò intorno, cincischiò con i guanti di pelle che aveva tenuto per sé e, infine, disse: “Devo parlarvi di Chappell.”

Di tutte le cose che avrebbero mai potuto udir scaturire da quella bocca dura e ripiegata, quella fu davvero l’ultima, e la più imprevista.

Christofer si irrigidì immediatamente e, dopo aver passato Elizabeth a Wendell, mosse i primi passi verso il barone, ben deciso a sbatterlo fuori.

Kathleen allora si mosse lesta, passò Andrew a Peggy e, bloccato il marito a un braccio, si volse verso il padre e dichiarò rigida: “Cosa vorreste dirci, esattamente?”

“Forse so dov’è.”








Note: Spero che la nascita di Andrew ed Elizabeth possa compensare il finale completamente in sospeso con cui vi lascio. :)
Cosa vorrà dire il fatto che Grenview sapeva troppi particolari dell'incidente occorso a Kathleen? Era presente? Qualcuno a parlato? O c'è dell'altro? E l'ultima frase bomba di Barnes? 
Vi lascio con dei quesiti da risolvere e, almeno in parte, troveranno risposta la settimana prossima.
A presto, e grazie per essere arrivate fino a qui assieme a me!
  
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