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Autore: WillofD_04    08/10/2016    3 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ci misi un paio di giorni per finire il lavoro. Avevo dipinto accuratamente a mano entrambi i ciondoli che avevo rubato e quando si erano asciugati li avevo fatti passare attraverso un filo di cuoio che avevo tagliato e annodato personalmente. Non che fossi brava a fare queste cose, ma non potevo chiedere aiuto a nessuno. Non mi fidavo molto e non volevo essere in debito con alcuno dei miei compagni. L’unica cosa che avevo chiesto in prestito erano i colori acrilici. Per fortuna il ragazzo che me li aveva prestati non aveva fatto domande. La cosa positiva del fare parte dei Pirati Heart era che avevo imparato ad arrangiarmi. Due mesi prima non sapevo fare praticamente niente. Adesso, invece, me la cavavo egregiamente. O comunque, se non egregiamente, me la cavavo abbastanza da poter sopravvivere o da avere vestiti puliti da indossare ogni tre giorni. Chiusi l’enorme libro di anatomia – che mi era stato d’aiuto per pitturare il ciondolo destinato a Law – e misi i miei capolavori nelle rispettive confezioni, che riposi nel solito e fidato cassetto del comodino. Poi, quando fu notte e mi fui assicurata che tutti stessero dormendo, andai sul ponte e richiamai un News Coo. Per fortuna almeno di notte ci fermavamo ed emergevamo. Non avrei saputo come spedire il regalo altrimenti.
Fu strano. Maya mi aveva spiegato giorni prima come si doveva fare. Accesi la torcia e la puntai in cielo. Poi premetti il bottone del lumacofono che avevo preso dalla sala macchine per permettergli di emettere le proprie onde radio. I News Coo, mi aveva esplicato la mia amica, avevano un lumacofono portatile sempre con loro. In questo modo, oltre a consegnare i giornali, potevano captare i segnali inviati dalle persone che necessitavano del loro servizio di consegna. Rimasi in piedi sul ponte, a congelare al buio, per almeno mezz’ora. Pregai con tutta me stessa che ci fosse un gabbiano disponibile nella zona e a quell’ora. Ma soprattutto sperai che nessun altro avesse intercettato la frequenza. Sarebbe stato spiacevole un assalto notturno sul sottomarino da parte di altri pirati o peggio, da parte della marina. Mi augurai anche che nessuno della ciurma – specialmente il capitano – avesse udito il rumore che emetteva quel maledetto animale. Non che ce l’avessi con il lumacofono in sé, ma dover fare tutte quelle diavolerie per spedire un pacco mi pareva assurdo, considerato che nel mio mondo bastava chiamare una ditta di spedizioni. Ero persa in queste riflessioni nostalgiche, quando sentii un garrito. Mi spaventai non poco e puntai istantaneamente la torcia in direzione del rumore. Sulla ringhiera, proprio di fronte a me, c’era un News Coo. Girò la testa da un lato e si coprì gli occhi con un’ala, nel tentativo di evitare il bagliore emesso dalla torcia. Imprecai poco elegantemente contro di lui. Fortunatamente quello sciagurato non capiva cosa gli stessi dicendo. Si vociferava che fossero uccelli intelligenti e che riuscissero a capire e ad eseguire quanto veniva loro ordinato. A prima vista quello che avevo davanti non mi sembrava tanto sveglio, ma dovevo riporre le mie speranze in lui. Spensi il lumacofono e mi avvicinai al volatile. Gli porsi il secchio con il pesce crudo che avevo rubato in cucina, come mi aveva detto di fare la mia amica. Ultimamente non facevo altro che rubare. Ero diventata una criminale. Aspettai cinque minuti buoni che quel pennuto finisse di ingozzarsi e quando fu soddisfatto gli impartii gli ordini.
«Devi portare questo pacchetto a Marco “la fenice”» mi assicurai di scandire bene e lentamente ogni parola. Poi gli misi davanti il giornale con l’avviso di taglia di Marco e indicai la sua foto, come mi aveva detto di fare Maya. L’animale sembrò recepire e io misi nella borsa che aveva al collo tutto il materiale. Emise un verso di approvazione ed io lo salutai con la mano, augurandogli buon viaggio. Lo osservai allontanarsi finché non fu più possibile vederlo. Il giorno dopo avrei puzzato di pesce e avrei dovuto subire l’ira del cuoco, quindi mi auspicavo vivamente che il News Coo riuscisse nella sua impresa.
“Fuori uno” pensai, soddisfatta ma anche un po’ in pena. Il regalo sarebbe arrivato alla persona giusta? Sarebbe arrivato in tempo? Gli sarebbe piaciuto? Non lo sapevo, potevo solo aspettare e sperare.
Avevo deciso di regalargli una collana. Il filo era fatto dello spago che avevo precedentemente tagliato ed annodato, mentre il ciondolo era una fenice di cristallo, che avevo dipinto di blu e giallo, i colori dell’uccello leggendario di cui Marco prendeva le sembianze. Speravo che gli sarebbe piaciuta, anche se pitturare ciondoli non era esattamente il mio cavallo di battaglia. Quello di Law, però, mi aveva dato più filo da torcere. Non che me ne stupissi, era così anche nella realtà. Infatti, puntavo più sui biglietti di auguri. Il biglietto che accompagnava il pendente per Marco era semplice e informale.
 
Non è niente di speciale,lo so, ma questo è solo un piccolo presente per farti sapere che non ti sei liberato di me. Sono qui e ti penso. E non vedo l’ora di incontrarti di nuovo, nella speranza che ne avremo l’occasione un giorno. Mi auguro che sia il prima possibile, però, perché non vedo l’ora di batterti di nuovo a Machiavelli.
Tanti auguri, pennuto! Vediamo se indovini chi sono.
-C.
 
P.s. Nella speranza che torni a riprendere presto il volo e che, proprio come una fenice, tu risorga dalle ceneri e prenda finalmente ciò che ti spetta. Io continuo a credere in te, come ho sempre  fatto.
 
Mi fermai sul ponte per un po’ e tirai fuori il cellulare dalla tasca. Mi misi a scorrere le foto della galleria e mi soffermai su quella che avevo fatto con Marco, prima che ci separassimo. Un impercettibile sorriso si fece largo tra le mie labbra. Il mio ananas. Il mio Marco. La mia fenice. Guardai il modo in cui sorrideva arrogante, anche nella foto, e sentii il desiderio di rivederlo. Con lui si era instaurato un legame speciale, anche se era quello con cui avevo passato meno tempo. Non sapevo spiegarmi perché, sapevo solo che era così. Certo, volevo bene a tutti e con tutti avevo creato un rapporto, ma con lui era diverso. Forse perché aveva esaudito il mio secondo desiderio e mi aveva fatto provare il brivido di un’ora di totale libertà e spensieratezza. Sospirai e decisi che era ora di rientrare. Un’altra dura giornata mi avrebbe aspettato l’indomani.
 
Passarono altri tre giorni ed arrivò il giorno del compleanno di Marco, che era anche il giorno prima del compleanno di Law. Questa cosa mi faceva sorridere. Non credevo nell’astronomia – anche se credevo nel potere delle stelle. Come non farlo, dopotutto? – ma il fatto che quei due fossero dello stesso segno zodiacale rendeva il tutto ancora più realistico. In fondo, avevano in comune alcuni aspetti caratteriali da non sottovalutare. Entrambi erano calmi e freddi all’apparenza, ma dietro alle loro espressioni impassibili si nascondeva un mondo. L’unica differenza era che Marco era gentile. Giustamente, con il più stronzo dovevo averci a che fare io. Era a me che era capitato il più infame dei due come capitano. Scacciai dalla testa queste riflessioni ed andai a parlare con il cuoco. All’inizio fu irremovibile. Non voleva in alcun modo che io utilizzassi la sua cucina. Non aveva tutti i torti, nemmeno io mi fidavo del tutto di me stessa quando si trattava di mestoli e fornelli – o di armi, bucati e chirurgia – ma era di vitale importanza che mi lasciasse adoperare la cucina. Gli stavo chiedendo solo il tempo di fare una torta, gli ingredienti necessari e un piccolo spazio nel frigo. Gli feci perfino vedere la ricetta, che avevo miracolosamente ritrovato tra i promemoria del cellulare. Alla fine, dopo mezz’ora di discussione, accettò di farmi fare la torta a patto che ci fosse stato lui a controllare. Il cuoco era un tipo scorbutico, il contrario di Sanji, e non volevo farmelo nemico, per questo, in modo del tutto gentile, gli intimai che se avesse osato toccare la mia creazione se ne sarebbe pentito.
Nel tardo pomeriggio, quando Law si ritirava nel suo studio e gli altri usufruivano del loro tempo libero chissà per fare cosa, cominciai a preparare il dolce sotto la supervisione dello chef. Per i primi venti minuti in cui trafficavo con ingredienti, cucchiai e scodelle, mi guardò male. Poi si rilassò un po’ nel constatare che avevo tutto sotto controllo. Gli avrei cucinato la torta che avevo cotto nel mio mondo, per il mesiversario. Con quella andavo a colpo sicuro, dato che non l’aveva disprezzata la prima volta che gliel’avevo proposta. Quando ebbi finito, misi la torta nel frigorifero affinché si raffreddasse per poter applicare la glassa, anch’essa fatta da me.
Ero soddisfatta del risultato e lasciai la cucina felice. Mi feci una doccia veloce e scelsi l’outfit che avrei messo il giorno dopo. Optai per un completo non troppo elegante ma nemmeno troppo informale. Io potevo. Non avevo l’obbligo di indossare la divisa anche sul sottomarino. Nel pensarlo provai un leggero senso di superiorità, che si placò immediatamente quando Jean Bart mi disse che il capitano mi aveva ordinato di andare a pulire i bagni. Alzai gli occhi al cielo conscia che avrei dovuto farlo comunque e andai nel ripostiglio a prendere gli attrezzi.
 
Andai a letto distrutta e con la schiena a pezzi. Impostai la sveglia sul cellulare per le sei, perché dovevo finire di glassare la torta. Non avevo la forza di farlo quella sera. Forse non avrei avuto la forza di farlo nemmeno la mattina dopo, ma almeno a quel punto avevo la valida scusa del non poter più procrastinare.
Dormii un sonno profondo e senza sogni. Alle sei precise, la sveglia suonò. Emisi un suono gutturale e la disattivai, consapevole che sarebbe suonata dieci minuti dopo. C’era tempo, perché affrettarsi? Alle sei e dieci, puntuale come un orologio – del resto di quello si trattava – quell’oggetto malefico trillò ancora. Andai avanti così fino alle sei e mezza. Dovevo alzarmi, lo sapevo, ma ogni molecola del mio corpo si rifiutava di obbedire al mio cervello. Gridavano tutte insieme “al diavolo il compleanno di Law! Al diavolo il dolce, al diavolo il regalo, al diavolo tutto! Dormi, ne hai bisogno”. Fui quasi tentata di ascoltarle. Alle sei e quaranta la sveglia suonò ancora. Decisi di comune accordo con il mio corpo che per alzarmi avrei aspettato le sette.
«E che cazzo, Cami! Spegni quel maledetto affare! Sono le sei e mezza, cazzo! Fa un casino assurdo, si sente per tutto il corridoio!»
Alle sei e quarantadue, Penguin fece irruzione nella mia camera.
Il mio mugolio rimbombò per tutta la stanza.
«Ora...ora la spengo. Sì» mugugnai con la voce impastata. Allungai il braccio verso il comodino e con un occhio aperto e uno chiuso bloccai la sveglia.
«Stai bene?» mi chiese, un po’ apprensivo.
Annuii incapace di tenere sollevate le palpebre. «Dammi...dammi una mano a tirarmi su».
Penguin mi lasciò in bagno, dove mi feci una doccia rinfrescante e mi vestii. Gli chiesi se secondo lui Law poteva aver sentito l’incessante trillo della sveglia e lui mi rispose di no, perché la cabina del capitano era lontana. Era buffo. Non l’avevo mai vista. Non sapevo nemmeno dov’era.
Quando vidi che erano già le otto, mi fiondai in cucina. Stavo aprendo il frigo furtivamente, quando una voce alle mie spalle mi fece irrigidire.
«Come mai stamattina ci onori della tua presenza così presto?» Law era proprio dietro di me, ghignante. Richiusi il frigorifero con uno scatto deciso, tanto che pensavo di aver rotto lo sportello. Porca miseria, avevo aspettato troppo.
«Insonnia» dissi cercando di sembrare disinvolta.
«Per quello posso darti delle gocce» annunciò incastonando i suoi occhi ai miei. Era da un po’ che mi fissava e io non capivo che volesse. Ero appiattita contro lo sportello del frigo. Pregavo solo che si girasse e se ne andasse al più presto.
«Mi serve il latte» fece seccato. Di prima mattina era facile farlo irritare e raramente era di buonumore.
«No!» esclamai con fin troppa convinzione. Mi guardò interrogativo.
«È finito, capitano» comunicai al mio interlocutore
«Ce n’era un gallone pieno ieri» potevo vedere la vena del collo ingrossarsi. Forse era meglio spostarsi e fargli prendere il latte.
Alzai le spalle innocentemente. Lui mi rivolse un’occhiata truce.
«Capitano. La cerca Bepo» il cuoco mi salvò il sedere. Vidi il chirurgo posare la tazza di caffè fumante sul tavolo e sospirare nervosamente. Due minuti dopo si era finalmente dileguato. Lo chef mi squadrò eloquentemente. Io ricambiai lo sguardo, grata. Potevamo entrambi metterci nei guai per quello. Glassai la torta in meno di cinque minuti e spolverai sopra una pioggia di confettini colorati. Non era un brutto dolce, solo che si vedeva che non era stato fatto da un pasticcere. La rimisi ben nascosta in frigo e tornai in camera mia come se nulla fosse.
 
Presto arrivò l’ora di pranzo. Non che a tavola mi aspettassi festeggiamenti e celebrazioni, ma almeno che ci fosse un clima ilare e allegro. Invece c’era perfino più silenzio del solito. Tutti si avventavano sui propri piatti senza dire una parola. Con la coda dell’occhio guardavo Law, che al contrario degli altri mangiava compostamente, tagliare impassibilmente un pezzo di bistecca.
«Ma perché nessuno festeggia?» mi decisi a chiedere alla mia vicina di posto, intenta a gustarsi un boccone di carne. Sembrò cadere dalle nuvole. Mi guardò con uno sguardo interrogativo e inconsapevole.
«Perché? Che cosa dovremmo festeggiare?» chiese a sua volta con la bocca piena. Poi diede una gomitata a Omen e gli domandò la stessa cosa. Anche lui, come la sua compagna, parve cadere dal pero.
«Che c’è da festeggiare? Qualcuno ha trovato un tesoro?».
Capii che era meglio lasciar perdere. Che il chirurgo non avesse detto ai suoi uomini che oggi era il suo compleanno? Eppure ero sicura che qualcuno lo sapesse, se non altro i suoi sottoposti più fidati. Squadrai Bepo, poi Penguin, Shachi e infine Jean Bart. Sembravano tranquilli e rilassati come al solito. L’unico agitato era il cuoco – che scoprii chiamarsi Ryu – che sapeva tutto a causa mia e osservava nervosamente ad intervalli regolari prima me e poi il frigorifero. Lo pregai con gli occhi di non dire una parola. E pregai ancora di più che Law non intercettasse le nostre occhiate.
Finito il pranzo, sparecchiai e, visto che di celebrazioni non ce n’era nemmeno l’ombra, nel primo pomeriggio mi concessi un pisolino di un paio d’ore. Ne avevo bisogno. Fu rigenerante. Quando mi svegliai mi misi a consultare un volume di medicina che trattava di cardiochirurgia. Leggevo ma non ero davvero concentrata. Scuotevo la gamba sul materasso e di conseguenza facevo muovere tutto il letto. Posavo lo sguardo sul cassetto dove era custodito il regalo più spesso di quanto avessi voluto. Sospirai un paio di volte dalla frustrazione, imponendomi di continuare a studiare. Ma non ci riuscivo. Ero impaziente. Andai avanti così per due ore, ma smisi definitivamente quando sentii delle voci fin troppo contente in corridoio. Chiusi il libro e sbirciai dalla porta. Poco più avanti c’erano Bepo, Penguin e Shachi in compagnia del capitano. I due inseparabili amici si cingevano le spalle con le braccia a vicenda e barcollavano visibilmente. Bepo li rimproverava e diceva loro di fare silenzio. Solo in seguito mi accorsi che il medico stringeva in una mano una bottiglia di champagne. Per uno che non voleva festeggiare, si trattava piuttosto bene. Ubriachi alle sei di pomeriggio. Non male.
Ero lontana e in più quei due cretini biascicavano, ma mi parve di sentire un “ti invecchi, capitano!” seguito da un “ora basta, fate silenzio, idioti!” di Bepo. Il medico non si esprimeva, quasi come se non gliene fosse importato nulla. O forse era ubriaco anche lui. Il navigatore spintonò in camera loro i due bevitori, che si lamentarono del trattamento poco gentile subito, e li mise a letto. Poi si dileguò anche lui. Per fortuna a bordo c’era il visone che faceva da baby sitter un po’ a tutti. A me faceva anche da addestratore, ma quello era un campo in cui non l’avrei definito esattamente “tenero”.
Lasciai passare una mezz’ora. Mi accertai che il capitano fosse solo e che non ci fosse nessuno nel tragitto tra la cucina e il suo studio. Prelevai la torta e in meno di un minuto fui davanti alla sua porta. Esitai prima di bussare. Avrebbe potuto odiarmi, punirmi o peggio, ammazzarmi, per quello che ero in procinto di fare. Forse se detestava festeggiare il suo compleanno c’era una ragione. Ma io che ne potevo sapere? Mi dispiaceva anche che non avessi candeline da mettere sul dolce, ma non ci avevo proprio pensato. Sentii dei rumori di passi lungo il corridoio e mi affrettai ad entrare e a chiudermi la porta alle spalle. L’avevo fatto. Non potevo più tornare indietro.
Law mi squadrava da dietro gli occhiali rettangolari. Io stavo lì in piedi come un’ebete, senza sapere bene che dire. Ero nervosa allo stesso modo di una ragazzina al suo primo saggio di danza.
«Oggi ho letto alcune pagine del volume di cardiochirurgia che mi hai dato qualche giorno fa» affermai, pentendomi subito dopo della cazzata che avevo detto. Mi sarei presa a schiaffi, se non avessi avuto le mani impegnate a reggere la torta.
«Qualcosa non ti è chiaro?» domandò guardandomi come se fossi stupida
«No. È tutto cristallino» risposi, anche se non era vero
«Allora perché sei qui?» aveva lo stesso tono di un maestro che tenta di cavare le parole di bocca al suo alunno impreparato all’interrogazione. Decisi di parlare chiaro e smetterla – o perché no, cominciare – di rendermi ridicola.
«Io...ho fatto questa torta per te. So che oggi è il tuo compleanno e volevo fare qualcosa per il mio capitano. Non ci sono le candeline, lo so, ma...beh, c’è...la torta» alzai le spalle e mi avvicinai, permettendogli di osservarla meglio.
Rimase in silenzio per almeno due minuti, valutando il mio operato con espressione imperscrutabile.
Scossi la testa, mi girai ed andai verso la porta. «Sai che c’è? È stata un’idea stupida. Ora la rimetto in frigo e dico agli altri che...»
«No. L’hai fatta per me. Sarebbe un peccato sprecarla».
Rimasi piacevolmente colpita dalle sue parole e non potei fare a meno di sorridere. Mi ordinò di andare in cucina e prendere la bottiglia di vino che c’era in frigorifero – che nemmeno avevo notato –, dei calici e un coltello. Ero contenta come una Pasqua. Mi avrebbe permesso di festeggiare con lui!
Al mio ritorno trovai una sedia accanto alla sua. Mi ricordai del regalo che avevo in tasca e che dovevo dargli e iniziai inconsciamente a blaterare che sapevo che non lo avrebbe mai messo ma che avevo voluto lo stesso fare un tentativo, che lo avevo fatto io con le mie mani e che era il pensiero che contava, finché Law mi intimò di stare zitta e sedermi. Obbedii e gli consegnai la scatola. La aprì e dentro vi trovò un bracciale, con il filo fatto di cuoio – che avevo lavorato sempre io – e il ciondolo a forma di un cuore umano, dipinto da me nei minimi particolari. Beh, diciamo che ci avevo provato. Almeno a qualcosa il libro di cardiochirurgia mi era servito. Il biglietto recitava:
 
Così sono sicura che mi porterai sempre nel cuore, anche se molto probabilmente non lo metterai mai, perché odi gli orpelli.
Buon compleanno, Traffy. Anzi, Capitano.
 
«Un regalo fatto con il cuore» commentò dopo poco
«Più cuore di così» feci io, sorridendo. E forse per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, vidi sorridere anche lui, di un sorriso sincero. Se non lo avessi conosciuto avrei detto perfino grato. Ripensai a tutte le notti in cui avevo pianto, convincendomi che avevo fatto la scelta sbagliata. Ripensai al povero negoziante a cui avevo distrutto la gioielleria e al rimorso che avevo per averlo fatto. All’infarto che mi era preso nel ritrovarmelo a pochi passi da me su quell’isola su cui non dovevo assolutamente essere. Al mal di braccia che avevo avuto per giorni per aver remato incessantemente. Ai pesanti addestramenti di Bepo, che mi sfinivano ogni volta. A tutti i libri di medicina che avevo dovuto studiare, alle terribili autopsie che mi aveva costretto a fare, all’impertinenza di Shachi e Penguin, ai turni in cui mi toccava pulire i bagni. Alle volte in cui avrei voluto scappare via da quell’incubo e tornare nel mio mondo o correre dai mugiwara. A tutto ciò che mi era capitato e che mi sembrava orribile. Ma poi pensai che per quel sorriso ne valeva la pena. Tutto ciò che avevo passato era scivolato via in un istante. Era quello il potere di un sorriso sincero. Di un suo sorriso sincero.
«Suppongo che dovrei ringraziarti ora» disse, riportandomi alla realtà.
Io feci spallucce e gli porsi il bicchiere. «Oppure potresti versarmi del vino».
 
Mi appoggiai allo schienale della sedia, le braccia incrociate e il bicchiere mezzo pieno ancora in mano. Doveva essere il terzo, o forse il quarto. Avevo perso il conto, ma ero alquanto rilassata.
Risi sommessamente e indicai la bottiglia di vino ormai quasi vuota. «Dovresti compiere gli anni più spesso»
Law a sua volta indicò il piatto dove prima c'era la torta, ora contenente solo briciole. E pensare che l’avevo fatta per tutti.
«E tu dovresti cucinarmi torte più spesso».
Bevvi un lungo sorso di vino e alzai il calice. «Abbiamo un patto».




Angolo autrice
Salve a tutti! Eccomi qui con un altro capitolo. Volevo dire solo due paroline sul metodo di spedizione del regalo per Marco. Come avrete capito, è un metodo completamente inventato da me. In questa impresa mi ha aiutato la mia amica, anche lei scrittrice qui su EFP, _Lady di inchiostro_ , che si è sforzata di trovare una soluzione insieme a me ed infine ha concordato che suddetto metodo potesse essere il più azzeccato.
Quindi grazie di cuore _Lady di inchiostro_ <3 e un grazie in anticipo a tutti coloro che vorranno recensire! <3
Come sempre (lo ripeterò fino alla noia), spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
A presto!
   
 
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