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Autore: paige95    22/08/2019    4 recensioni
~ IN REVISIONE ~
È il 1 settembre del 2017, l'orologio del binario 9 3/4 sta per spaccare le 11 in punto. Nella stazione di King's Cross c'è tanto fermento e commozione. Un nuovo anno sta per iniziare, ma i nuovi studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts subiranno le conseguenze del passato da cui discendono e del presente in cui vivono.
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N.B È importante aver letto Harry Potter e i doni della morte, soprattutto per il primo capitolo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Il trio protagonista, Rose Weasley | Coppie: Draco/Astoria, Hannah/Neville, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Il Boccino della concordia

 

[10 settembre 2017 ore 3:00 p.m. – in viaggio verso Edimburgo]
 
A metà della settimana di ferie concessa ad Harry si sarebbe tenuta l’amichevole tra le Holyhead Harpies e le Pride of Portree a Edimburgo, proprio nel cuore della fredda Scozia. Harry e Lily avevano deciso di seguire il consiglio di Ron, avrebbero raggiunto Ginny, ma preferirono non avvertirla del loro arrivo, una sorpresa le avrebbe senza dubbio fatto più piacere. Per giorni interi Harry come un disperato aveva cercato i biglietti per lui e la figlia, era forse riuscito a recuperare gli ultimi rimasti in circolazione per pura fortuna nei vicoli di Diagon Alley da qualche conoscente che aveva particolare ammirazione per il lavoro che svolgeva al Ministero. Era il primo viaggio che Lily intraprendeva fuori da Londra e ne era elettrizzata. La più giovane della famiglia Potter era un’avventuriera e quella era la sua occasione per conoscere l’affascinante territorio scozzese, prima ancora di iniziare la sua carriera scolastica. Da quando aveva imparato a leggere, si era cimentata varie volte in letture che riguardassero quelle terre, ma non aveva ancora avuto il piacere di visitarle in prima persona.
Erano giunti finalmente all’Aeroporto di Heathrow a Londra e la piccola Lily, da quando avevano messo piede in quel grande edificio, non aveva smesso di stringere il braccio di Harry. I grandi aerei bianchi spiccavano oltre le vetrate come se volessero investirla da un momento all’altro e ciò non faceva stare serena la bambina. Non aveva messo in conto quel piccolo inconveniente, non aveva mai visto un aereo da quella vicinanza e ciò attraverso gli occhi innocenti della sua età era spaventoso. Richiamò l’attenzione del padre, strattonandolo leggermente per il braccio che teneva stretto al petto per restare il più possibile vicino a lui ed evitare così di perdersi tra la fitta folla.
 
«Papà? Non possiamo Smaterializzarci per raggiungere la mamma oppure usare una Passaporta? O ancora meglio, che ne dici se prendiamo un treno?»
 
Harry la fissò interdetto, fermandosi nel mezzo dell’aeroporto con centinaia di viaggiatori che passavano loro accanto. Non avrebbe nemmeno potuto fare ulteriori passi, la figlia lo costrinse a non proseguire bloccandolo per il braccio, come se volesse in qualche modo ritardare il loro primo volo insieme.
 
«Leggi davvero troppi libri sul Mondo Magico, Lily. Comunque ti sfugge un dettaglio, tu non puoi Smaterializzarti, sei troppo piccola e inesperta, e ti sconsiglio le Passaporte, almeno per il momento. Se prendiamo ora un treno da King’s Cross, non arriveremo mai in tempo per la partita della mamma»
 
«C’è l’Hogwarts Express»
 
«Quello è un trasporto eccezionale, scorta gli studenti ad Hogwarts il primo settembre e li riporta a Londra al termine delle lezioni, non fa alcun servizio pubblico in città»
 
«La Metropolvere?»
 
«In effetti quella potrebbe essere una valida alternativa, ma non sono pratico di Edimburgo, non vorrei finire nel camino sbagliato»
 
Quelle notizie spaventarono la bambina, che tornò a guardare quei grandi mostri di metallo che la minacciavano con il loro enorme muso proprio rivolto verso di lei. Lily si stava rassegnando, se voleva raggiungere quella città non aveva altra scelta che salire su un aereo. Si strinse più forte ad Harry, invitandolo inconsciamente a proteggerla. Stavolta fu molto più chiaro al padre a cosa fosse dovuta quella reazione, avendo notato l’espressione crucciata della piccola rivolta alle vetrate. Accolse quella richiesta di protezione, la abbracciò, anche se riteneva non ci fosse alcun pericolo.
 
«Cosa c’è, tesoro, hai paura?»
 
«Non sono mai salita su un aereo, papà»
 
Harry le sorrise con dolcezza e si abbassò alla sua altezza, lasciandosi alle spalle le vetrate, la cui vista si estendeva sulle piste di decollo. Lily era la sua unica bambina e ultimogenita, nei suoi confronti il desiderio di protezione era più accentuato rispetto a quanto ne provasse per Albus e James. Le strinse la mano e accarezzandola con il pollice sperò di allontanare tutte le sue paure.
 
«Lo so, Lily, ma ti sono accanto, in poco tempo saremo arrivati a destinazione, non hai nulla da temere. Ho dovuto prendere anche io l’aereo un paio di volte: la prima volta ero con la mamma e siamo partiti per il nostro viaggio di nozze, mentre la seconda per lav …»
 
«E dove siete andati tu e la mamma?»
 
Harry la fissò diffidente per un secondo, dopodiché si alzò, tenendo stretta nella sua mano quella della piccola.
 
«Eh no, signorina, questa scusa non è buona per ritardare il volo»
 
Le sistemò la mollettina, con la quale evitava alla lunga frangia di coprirle gli occhi ed iniziò a tirarla verso il bancone per l’imbarco.
 
«Coraggio, vieni»
 
La bambina, un po’ più convinta dopo il rassicurante tono del padre, gli strinse più forte la mano. Insieme raggiunsero il banco del check-in ed Harry fu costretto a lasciare libera la mano di Lily per poter fornire i documenti e pagare i due biglietti. La piccola seguì attentamente e con impazienza tutti i gesti del padre. Aveva recuperato il portafogli dalla tasca dei pantaloni, un gesto che non era solito fare, lui non si prendeva mai il disturbo di riporre i Galeoni, le Falci e gli Zellini ordinatamente in un portamonete, ma li conservava direttamente in qualsiasi tasca avesse a disposizione, che fosse della divisa, dei pantaloni o della camicia. La incuriosì particolarmente quel gesto. Stava estraendo con naturalezza da una fenditura del portafogli due tessere che lei non aveva mai visto, eppure su di esse aveva riconosciuto chiaramente le loro foto.
 
«Papà, cosa sono?»
 
Harry non aveva tempo di risponderle, la signorina dall’altra parte del bancone aveva comunicato a lui una cifra che Rose suppose riguardasse la spesa per i biglietti. Poco dopo Lily aveva notato che quelle strane tessere erano rimaste incustodite sul bancone e prima che Harry potesse riporle, la bambina le recuperò per analizzarle. Non perse però di vista le azioni del padre e strabuzzò gli occhi quando notò nelle sue mani dei fogli di carta colorati che lei non aveva mai visto in vita sua. Nell’attesa di ricevere le carte d’imbarco, Harry rivolse un sorriso all’espressione curiosa e allo stesso tempo ansiosa della figlia.
 
«Papà, qui ci sono scritti i nostri nomi, le foto sono strane e non dice che tu sei un Auror e lavori al Ministero, mentre sul tuo distintivo è scritto»
 
Sperò che la ragazza dall’altra parte del banco non avesse sentito sua figlia, non poteva rispondere liberamente a Lily davanti ad una Babbana, così recuperò i due biglietti aerei e si congedò con cortesia. Nonostante avesse catturato nuovamente la mano della bambina e si stessero allontanando dalla folla dell’open space per avvicinarsi alle piste di decollo, dove il rumore dei motori avrebbe camuffato le sue parole, Harry preferì comunque abbassare il tono della voce e quasi sussurrò per colmare la sua curiosità.
 
«Tesoro, noi siamo cittadini inglesi e quelle carte d’identità lo dimostrano. Non è scritto che sono un Auror, perché i Babbani non sanno nemmeno cosa siano. Le foto non si muovono per ovvie ragioni, non vorremmo certo che la signorina di prima si insospettisca e scopra il nostro Mondo»
 
«So che i Babbani non conoscono il nostro Mondo, ma … non hai pagato con dei soldi normali»
 
«Ho pagato con le Sterline. Te le farò vedere un giorno»
 
Recuperò dalle mani della figlia le tessere e le ripose nel portafogli. Fece cenno alla bambina di seguirlo porgendole una carezza sui capelli, ormai non mancava molto prima del decollo. Dopo le disavventure con il metal detector, mandato in tilt per pura casualità dalla bacchetta di Harry - si era totalmente dimenticato dalle esperienze passate di quell’eventualità - e il conseguente scampato intervento di Scotland Yard, riuscirono ad arrivare finalmente al gate che li avrebbe fatti imbarcare sull’aereo con destinazione Edimburgo. Avevano mostrato le loro carte d’imbarco, si trovavano già nel tunnel che li avrebbe guidati direttamente sul loro aereo, ma Lily si bloccò a pochi passi ed Harry si accorse di non averla accanto solo qualche metro più avanti.
 
«Lily. Tesoro, così perdiamo il volo»
 
Si avvicinò a lei quando vide che era ancora spaventata. Cercò di avere pazienza e di convincerla a seguirlo con tutte le argomentazioni che conosceva.
 
«Non vuoi più raggiungere la mamma?»
 
«Sì, voglio»
 
«E allora qual è il problema? Guarda, i nostri posti sono vicini sull’aereo»
 
«Ho paura del decollo»
 
Harry le aveva appena mostrato i biglietti come prova che non le stesse mentendo, ma non aveva altro tempo, l’ultima chiamata rimbombava nel tunnel, così la afferrò delicatamente per il polso e la condusse verso le porte dell’aereo. Lily non ebbe altra scelta se non quella di seguire il padre. Harry cercò, una volta saliti, di aiutarla ad allacciare le cinture, ma la bambina seduta accanto al finestrino, non riusciva a smettere di guardare la pista e la grande ala dell’aereo la spaventava ancora di più.
 
«Voglio la mamma»
 
«Ora la raggiugiamo»
 
L’areo iniziò a muoversi pochi istanti dopo che anche Harry ebbe allacciato la sua cintura. I sobbalzi della fase di decollo fecero sussultare la piccola che si strinse contro il fianco del padre.
 
«Tesoro, non è successo niente, l’aereo si è solo mosso, ma non stiamo ancora volando»
 
Quando l’aereo ebbe iniziato a staccarsi dal suolo, Harry credette di poter emozionare la figlia sulla fase di volo e le consigliò di guardare il panorama che si stava aprendo sotto di loro, invece la piccola nascose il viso contro il fianco di Harry, invitandolo ad abbracciarla sollevandogli un braccio, per non vedere ciò che le stava succedendo intorno.
 
«Va bene, ho capito. Lily, ora stai esagerando. Come fai ad avere paura delle altezze? Non ti piacerebbe diventare una Cercatrice come la mamma un giorno?»
 
«No, io voglio essere una professoressa, come Neville»
 
Harry riuscì a cogliere appena la voce ovattata della figlia contro la stoffa della sua giacca, ma comprese molto bene le sue parole e riuscì a strappargli un sorriso.
 
«Neville sarà felice di saperlo»
 
 
[10 settembre 2017 ore 4:30 p.m. – Campo di Quidditch, parte magica di Edimburgo]
 
Ginny era pronta, ma come ad ogni partita l’ansia da prestazione non tardò a farsi sentire. Attendeva impaziente l’ingresso delle squadre in campo in compagnia della sua Firebolt. Aveva una responsabilità davvero molto grande, aveva assunto, poco dopo il suo ingresso in squadra, il ruolo di Cercatrice e la vittoria era come sempre tutta nelle sue mani. Nella sua divisa di Quidditch custodiva il miglior portafortuna che potesse avere, che ora rigirava agitata tra le dita. Era un piccolo ciondolino che Ginny era solita portare durante la gravidanza e con Lily non aveva cambiato abitudini. Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando la sua compagna di squadra, nonché cognata, l’aveva raggiunta, anche lei vestita di tutto punto. Angelina si diresse verso di lei con un grande sorriso stampato in volto.
 
«Stai pensando a quando lo userai di nuovo?»
 
Ginny sussultò alla voce del Capitano e ripose quella collana con un lieve rossore in volto.
 
«Io ed Harry non ci pensiamo nemmeno. Credo sarà più facile per te e George»
 
«Qualcosa non va con Harry?»
 
«Angelina, mi hai fraintesa, non c’è nulla che non vada, ci siamo solo dati un limite dopo la nascita di Lily»
 
«Bene, perché in caso contrario mi sarebbe sembrato strano aver visto mio cognato e mia nipote tra il pubblico»
 
Ad un tratto l’espressione della Cercatrice mutò, le sue pupille si dilatarono e la sorpresa la colse insieme alla perplessità.
 
«Mi trovi impreparata, io non sapevo nulla»
 
Si alzò con uno scatto, l’impulso le suggerì di raggiungerli, ma Angelina non fu indulgente.
 
«Ehi, Weasley, abbiamo una partita da vincere, non è il momento ora per abbandonarsi ai saluti»
 
Concordava con il suo Capitano, anche se le mancavano entrambi tantissimo e un bacio portafortuna le sarebbe servito. Ascoltò Angelina, non ebbe altra scelta ed entrò in campo con la squadra. Non appena si fu alzata in volo, in attesa che la pluffa venisse lanciata tra i giocatori, il suo sguardo si infilò tra gli spalti alla ricerca concitata della sua famiglia. Non fu nemmeno quella la volta buona, il contatto visivo si interruppe proprio quando la pluffa le passò davanti agli occhi. Era talmente deconcentrata che l’istinto le dettò di prenderla o comunque recuperarla, quando invece il suo obiettivo era un altro: catturare il Boccino. Lo cercò tra Cacciatori, Battitori e Portieri e quando vide la sua controparte avversaria lanciarsi all’inseguimento di un oggetto piccolo e luccicante, non indugiò ad accelerare. Anche se lei non era riuscita ad individuarli tra la folla, Harry e Lily erano concentrati sulla sua traiettoria di volo.
 
«Papà, la mamma è bravissima!»
 
La bambina si era alzata per seguire meglio la partita e fare il tifo per Ginny, con la speranza che lei potesse sentire le grida orgogliose di sua figlia.
 
«Sì, tesoro, è davvero molto brava … lo è sempre stata»
 
Harry seguiva ammirato il gioco di Ginny e quando la sua Firebolt sfrecciò proprio sopra le loro teste, gli venne l’istinto di invitare con poca grazia Lily a sedersi. Bastarono quei pochi secondi di vicinanza e il gesto inaspettato di Harry per attirare l’attenzione della giocatrice. Si era voltata indietro e aveva sorriso a loro, nonostante stesse cercando di non perdere di vista il Boccino. La bambina la salutò con la mano, ricambiando il sorriso, mentre Harry, che conosceva molto bene le regole del gioco, le indicò la sua preda, invitandola a non deconcentrarsi. Trovati marito e figlia, con la certezza che loro fossero davvero lì per lei, diede un’accelerata alla Firebolt, sforzandosi di allungare la mano verso il Boccino.
 
«Forza, mamma, ci sei quasi»
 
La bambina sussurrava dagli spalti, senza la pretesa che potesse sentirla. Lily non era l’unica con il fiato sospeso in quei momenti, Harry seguiva nervoso quei secondi che sapeva sarebbero stati gli ultimi della partita. Solo quando la moglie riuscì ad afferrare il Boccino, mantenendo con qualche difficoltà l’equilibrio sulla scopa, Harry tirò un sospiro di sollievo e poté iniziare a gioire per le Holyhead Harpies che avevano vinto quella partita lampo grazie a Ginny.
Non riuscì ad aspettare di cambiarsi e nemmeno di passare negli spogliatoi per posare la scopa. Ora che sapeva dove erano situati sugli spalti suo marito e sua figlia, corse proprio in quella direzione. Eluse i festeggiamenti con la squadra, Angelina dopo una vittoria simile le poté concedere qualche ora di svago, e finalmente li raggiunse con il fiato corto e il sudore che colava sulla tempia. Urlò nella speranza che non dovessero ripartire presto, non sapeva con che mezzo l’avessero raggiunta.
 
«Harry!»
 
Si fece largo tra gli spettatori, che per sua fortuna non le bloccarono la via per esaltare la sua prestazione. Quando finalmente li raggiunse, sfidando il tempo per non rischiare di perderli, rimase totalmente incredula per il fatto che loro fossero davvero davanti ai suoi occhi. Harry le rivolse un grande ed orgoglioso sorriso, ma prima che lui potesse salutare sua moglie, Lily le era già corsa incontro. Ginny lasciò cadere rovinosamente la scopa per terra per poter essere libera di stringere a sé la sua bambina. Senza troppe cerimonie, nonostante l’età della piccola, la giocatrice sollevò Lily e la tenne tra le sue braccia, quasi commossa di vederla.
 
«Tesoro mio, ma cosa ci fate qui? Come siete arrivati?»
 
«Volevamo farti una sorpresa. Abbiamo preso l’aereo, mamma, ma io ho avuto tanta paura. Sei stata fenomenale!»
 
Lily senza troppi problemi aveva svelato a Ginny tutti i loro spostamenti ed Harry, nel dubbio che si potesse arrabbiare per l’iniziativa avuta, si avvicinò alla moglie non perdendo il sorriso e schioccandole un bacio sulle labbra per salutarla.
 
«Amore, è una meravigliosa sorpresa, ma Lily non è mai salita su un aereo in vita sua»
 
«Lo so, ma, tranquilla, avevo tutto sotto controllo»
 
Un po’ incerta sull’idea repentina che suo marito aveva avuto, decise di lasciar cadere quel discorso, dopotutto stavano entrambi bene e la paura della bambina sembrava essere passata grazie ad Harry. Si rivolse così a Lily per informarsi sui suoi giorni di assenza e come stesse proseguendo la settimana di ferie di Harry, per la prima volta esclusivamente dedicata alla famiglia. Fece alla piccola una leggera carezza sul naso per attirare la sua attenzione.
 
«E tu, signorina, ti stai comportando bene con papà? O lo stai facendo impazzire?»
 
«È un angelo, Ginny. A parte la sua maniacale collezione di ogni sorta di libro, stiamo trascorrendo una settimana molto piacevole insieme. Vero, tesoro?»
 
Lily confermò con un lieve cenno del capo e con un sorriso talmente luminoso da descrivere in pochi istanti l’immensa gioia e il meraviglioso regalo che aveva ricevuto a poter passare quei giorni con il suo papà.
 
«Quindi, Ginny, torna pure quando vuoi, noi non ti mettiamo alcuna fretta»
 
«Devi tornare al lavoro, Harry, suppongo che Hermione abbia bisogno di te e poi pare che voi mi manchiate più di quanto io manchi a voi»
 
Si mostrò fintamente offesa per la conclusione inaspettata a cui era giunta.
 
«Per dimostrarti che ci manchi, ti invitiamo a fare un giro con noi. Né io né Lily siamo mai stati ad Edimburgo, ci fai da guida?»
 
Ginny accettò di buon grado, dal suo punto di vista avrebbe gradito qualunque proposta pur di trascorrere del tempo con loro. Si prese solo qualche minuto per potersi togliere la divisa e indossare abiti più comodi, ma quando lo fece non ebbe alcun dubbio sull’attrazione che avrebbe mostrato loro in quelle poche ore che avevano a disposizione. In quelle fredde giornate di settembre in cui il tramonto giungeva rapidamente, guardare l’orizzonte sul fiume oltre il ponte in compagnia diventava la soluzione migliore in qualunque città si trovassero. Ginny li aveva accompagnati proprio in quella parte della città babbana, dove il rossiccio del tramonto filtrava l’infrastruttura del ponte, fino ad adagiarsi sulla superficie del fiume. Si erano seduti tutti e tre su una panchina e ammiravano insieme quello spettacolo. La piccola Lily però aveva trovato talmente conforto e sollievo tra le braccia della mamma che si era addormentata prima di riuscire ad assistere a quel fenomeno. Ginny se ne accorse quando iniziò a sentire il suo peso addosso farsi maggiore e il suo respiro diventare più profondo. Sussurrò per farsi sentire solo dal marito, spezzando quel momento di magico silenzio che era sceso tra loro.
 
«Harry, nostra figlia si è addormentata, forse è il caso che cominci ad avviarti verso casa»
 
L’uomo fissò sorpreso la bambina e il suo volto sereno lo lasciò perplesso.
 
«Mi ci vogliono ore per farla addormentare, mentre con te ci impiega un secondo»
 
«Allora non è vero che è stata un angelo»
 
«È il mio angelo preferito, è la mia bambina»
 
Harry conosceva le sue colpe senza che lei gliele ricordasse, sapeva bene la ragione per la quale Lily preferiva la madre a lui. Non era abituata a stare sola con lui, ma avrebbe potuto fargliene una colpa? Harry rimase per un istante ad ammirarla. Si era perso davvero tanto dell’infanzia di sua figlia e prima che potesse accorgersene, lei avrebbe dovuto iniziare Hogwarts e lui avrebbe perso anche con Lily l’opportunità di essere più presente. Ginny lo riscosse dai pensieri, quando la vide posare un bacio tra i capelli della bambina e invitarlo a prenderla in braccio. Harry le fece segno di attendere, si tolse la giacca e la usò per coprire la schiena della figlia, dopodiché fu finalmente pronto per accogliere la piccola tra le sue braccia. Ginny non aveva alcun dubbio di lasciare Lily in buone mani, ma la separazione fu comunque sofferta.
 
«Ti direi di mandarmi un gufo quando arrivi a Grimmauld Place, ma temo sia troppo stanco anche tu per scrivere»
 
«Non mi servono ore e nemmeno molte energie per farti sapere che stiamo bene»
 
Sorrise al marito, grata per la sua comprensione, ma subito dopo tornò seria.
 
«Hai notizie di Jamie e Al?»
 
Harry capì che l’interesse di Ginny era rivolto soprattutto al minore dei due fratelli.
 
«Sembra vada tutto bene, Albus non ha avuto più problemi con Scorpius»
 
«Salutamelo. Mi dispiace tantissimo dover rinunciare alla sua prima partita»
 
«Capirà, tranquilla, infondo il papà cattivo sono io, non tu»
 
«Harry, finiscila, non è così e lo sai»
 
«Vado, altrimenti Lily prende freddo e poi lascio andare a dormire anche te»
 
Glielo disse con un velo di malinconia negli occhi e nella voce, ma per evitare di subire parole di conforto da parte della moglie preferì alzarsi dalla panchina. Ginny si alzò a sua volta e approfittò del riposo della figlia per lasciargli sulle labbra un bacio più profondo. Senza allontanarsi di molti centimetri dal suo viso sussurrò sotto il chiarore del sole al tramonto che stava ormai lasciando spazio alla luna.
 
«Mi manchi»
 
«Anche tu, amore»
 
Aveva entrambe le mani impegnate per poterla abbracciare o anche solo sfiorare, ma ci pensò lei a compensare quella mancanza accarezzandogli il viso con la promessa silenziosa che si sarebbero rivisti presto. Si strinse nelle spalle, mentre osservava parte della sua famiglia allontanarsi nuovamente da lei. Ma era davvero a quello che desiderava continuare ad assistere? Si ripromise di parlare con Hermione alla fine di quella settimana di trasferta, lei non voleva più sprecare nemmeno un secondo lontano dalla sua famiglia.
 
 
[10 settembre 2017 ore 6:30 p.m. – Casa Granger/Weasley]
 
Nella modesta abitazione al numero 11 di Grimmauld Place, Hermione era rincasata qualche ora prima rispetto all’orario usuale – che in funzione delle ferie del cognato stava diventando davvero ingestibile per la sua famiglia e per le sue energie, che stavano lentamente esaurendo -, riuscendo a tornare persino in tempo per la cena. Aveva aperto la porta sfinita, aveva posato il suo soprabito sull’appendiabiti e solo dopo aveva annunciato la sua presenza al marito e al figlio. Aveva chiamato Ron e Hugo un paio di volte, ma le era ritornato sempre e solo silenzio. Si convinse che non ci fossero e che probabilmente fossero usciti. Ma infondo di cosa si lamentava? Era stata lei per prima a proporre a Ron un po’ di svago insieme al figlio per sopportare meglio e accorciare le sue lunghe assenze. Li avrebbe aspettati sul divano, necessitava di coricarsi qualche minuto prima di cenare, aveva bisogno di riprendere le forze perse, altrimenti non sarebbe stata in grado neppure di alzare la forchetta e di portarla alla bocca. Aveva spedito dall’ufficio un gufo a casa per avvertirli del suo arrivo, questo lo ricordava nonostante la forte stanchezza mentale, ma probabilmente non lo avevano ricevuto, anzi, quasi sicuramente, se non si trovavano tra quelle mura ad attenderla.
Quando Ron ed Hugo ritornarono a casa, la trovarono con loro grande sorpresa addormentata. Si tolsero entrambi la giacca e la riposero a loro volta ordinatamente sull’appendiabiti. Il piccolo non stette più nella pelle, corse incontro alla madre senza porsi il minimo scrupolo che potesse essere stanca.
 
«Piano, Hugo, la mamma …»
 
L’entusiasmo del bambino fu talmente grande che non fece in tempo a fermarlo, il piccolo si era già catapultato addosso ad Hermione, incurante degli avvertimenti di Ron. L’aveva svegliata l’energia di suo figlio e quando aprì gli occhi, trovò il viso di Hugo a pochi centimetri dal suo, anche se impiegò qualche istante per metterlo pienamente a fuoco.
 
«Ehi, tesoro, sei tornato»
 
Sorrise al bambino, mentre assonnata si risedeva sul divano, sollevandosi dalla comoda posizione coricata che aveva assunto. In quel gesto incrociò l’espressione imbarazzata del marito.
 
«Dove siete stati? Credevo di trovarvi a casa»
 
Hermione lo chiese con assoluta naturalezza come se quella domanda fosse semplice routine, complice anche il sonno che ancora incombeva su di lei. Fu nuovamente Hugo a parlare e ad anticipare il padre.
 
«Io sono stato dai nonni e poco fa è arrivato anche papà»
 
«Poco fa? Tu non avresti dovuto finire di lavorare un’ora fa?»
 
Hermione si rivolse direttamente a Ron e stavolta, per sua sfortuna, sembrava aver riacquistato in breve tempo la sua solita lucidità.
 
«T-tu come mai sei a casa così presto? A cosa dobbiamo il miracolo?»
 
Prima di rispondere a quelle lecite domande, lo fissò diffidente, non le era affatto sfuggito il tentativo del marito di fuorviare i suoi quesiti.
 
«Vi ho spedito un gufo, ma non credo lo abbiate letto, non essendo a casa. Inizialmente ho pensato di farvi una sorpresa, ma sembra io ve l’abbia fatta comunque. Non hai risposto alla mia domanda, cosa avevi di così urgente da fare in un’ora?»
 
«Hugo … vai a prendere in camera il libro che ti ha regalato la mamma e cambiati, stasera usciamo. Non so cosa tu abbia fatto oggi dai nonni, ma sei tutto sporco di cioccolata»
 
«Io e la nonna abbiamo cucinato»
 
Aspettò che il figlio gli ubbidisse e scomparisse oltre le scale, dopodiché si sedette pesantemente nello spazio del divano lasciato libero, seguito dallo sguardo interdetto della moglie. Intuì dall’atteggiamento e dall’umore di Ron che avesse allontanato il figlio con una scusa, benché tutte le ragioni fossero fondate, aveva solo colto l’occasione per non farlo assistere alla loro conversazione.
 
«Hermione, non ho voglia di litigare ancora, ci tengo a dirti questo, sono davvero sfinito dalle nostre continue discussioni»
 
«Perché dovremmo litigare? Per quale ragione metti le mani avanti? Non è da te prevedere che mi arrabbierò»
 
Ron indugiò e si perse nei suoi terrificanti pensieri e pronostici.
 
 - Che brutta parola arrabbiarsi. Che bisogno c’è di arrabbiarsi … lei come minimo si infurierà, non prenderà nemmeno in considerazione l’idea di arrabbiarsi -
 
Estrasse dalla tasca dei pantaloni un biglietto piegato in due, il biglietto del Quidditch che aveva usato proprio quella sera per assistere alla partita della sua squadra del cuore, e lo passò ad Hermione con un leggero tremore alla mano. Hermione lo afferrò con grande diffidenza e, benché non fosse una grande amante di quello sport, impiegò davvero poco a capire di cosa si trattasse.
 
«Sei stato ad una partita? Perché tanto mistero per una partita di Quidditch?»
 
«Perché non è la prima volta che lascio Hugo dai miei per una partita … sono mesi»
 
L’imbarazzo mise Ron in notevole difficoltà, non avrebbe mai pensato quella sera di sentirsi così vulnerabile sotto lo sguardo di sua moglie che faceva una gran fatica a reggere. Aveva però imparato da quella situazione che le bugie avevano vita breve e il destino aveva fatto in modo che quella menzogna venisse a galla senza che lui potesse impedirlo.
 
«E perché non me lo hai detto prima? Non mi sono accorta di nulla»
 
 - Bellissima domanda, amore mio. Forse perché sono un idiota? -
 
«Bhe, non è una novità che tu non ti accorga di ciò che ti accade intorno, non credo di essere io un bravo bugiardo. Non te l’ho detto, perché ciò avrebbe implicato dirti che mi sento soffocare dalle responsabilità e non volevo confessartelo, lo sai bene, se sono stato zitto per tutti questi anni un motivo c’era … infondo me la sono sempre cavata con i bambini, senza grossi problemi»
 
Aveva un pizzico di fastidio nella voce ed Hermione lo colse subito.
 
«Va bene, senti, mi assumo la colpa anche di questo, ma aiutami a sistemare questo casino. Non voglio essere la causa di un tuo disagio o ancora peggio di un tuo allontanamento»
 
 - Dopo queste tue parole mi sento ancora più idiota, sai? -
 
Ron si voltò incredulo per ciò che aveva appena sentito, non si sarebbe mai aspettato che potesse essere così comprensiva. La fissò negli occhi al limite del commosso e del preoccupato. Non gli era affatto sfuggito che lei gli stesse chiedendo aiuto e il cielo solo sapeva cosa potesse avere ancora in serbo per lui.
 
«Cosa posso fare più di quello che faccio già?»
 
«In questi giorni sto iniziando a preparare le mie dimissioni e mi sono resa conto di non avere un sostituto. Senza un sostituto però non ho la possibilità di essere più presente per voi»
 
«Ed io in cosa posso aiutarti? Devo cercarti un sostituto? Hermione, non saprei con quale criterio sceglierlo»
 
«Veramente pensavo potessi aiutarmi tu»
 
Glielo disse a bassa voce, dimostrando lei stessa di aver avanzato una proposta paradossale. Per Ron non ci fu lo spazio per il fraintendimento, l’espressione del Ministro in carica fu molto eloquente. Ora Ron comprese l’indulgenza della moglie sulle sue bugie, infondo lei per prima avrebbe dovuto vergognarsi per aver avanzato una proposta del genere.
 
 - Come dicevo, sono un grandissimo idiota … un idiota troppo innamorato di sua moglie -
 
«Hermione, ma tu esattamente chi pensi di aver sposato? Pare tu abbia aspettative troppo elevate nei miei confronti. Senza contare che non posso sdoppiarmi, le mie giornate sono formate esattamente come le tue da ventiquattro ore. A parte quel paio di ore che dedico al Quidditch, non ho un secondo libero»
 
«Ho pensato che potremmo dividerci il lavoro, finché non trovo un sostituto definitivo, che senso avrebbe chiedere a te di essere il nuovo Ministro?! Certo dovrai forse diminuire le tue ore al negozio per un periodo limitato … e comunque penso di aver sposato l'uomo migliore che esista»
 
Ron alzò gli occhi al cielo per quelle evidenti sviolinate, ma Hermione proseguì comunque, sempre con quel velo di imbarazzo e titubanza in volto. La diffidenza e la freddezza del marito nell’accogliere quella proposta non la aiutarono ad affrontare quel discorso serenamente. Ron non era propriamente l’uomo più comprensivo che esistesse, ma sperò nel suo buon cuore e nel fatto che il suo contributo avrebbe portato beneficio alla loro famiglia.
 
«Poi chi lo sa, ti dispiacerà talmente tanto lasciare il Ministero che penserai di entrare nel Quartier Generale degli Auror»
 
Glielo disse con un sorriso, il primo da quando quella conversazione aveva preso avvio, ma lui la fulminò subito, voltandosi verso di lei con uno scatto e spegnendo così quella battuta sul nascere. Hermione comprese di averlo infastidito ancora di più e non le parve il caso di innervosirlo proprio quando avrebbe dovuto accettare una proposta tanto delicata, cercò così di rimediare come poté a quella che per suo marito sembrava essere una battuta infelice.
 
«Era solo per dire, non sei obbligato»
 
«E ci mancherebbe»
 
«Comunque non ti vedo particolarmente entusiasta della mia proposta»
 
«Ah, perché secondo te è una proposta vantaggiosa?»
 
Hermione abbassò lo sguardo triste. No, non lo era, doveva ammetterlo. Stava mettendo sulle spalle di quell’uomo troppe responsabilità, quando lui invece le aveva espressamente comunicato di essere arrivato al limite della sopportazione. Percepiva gli occhi di Ron puntati su di lei e sicuramente senza pronunciarsi ad alta voce la stava riempendo delle peggiori parole. Come faceva a biasimarlo? Aveva in mente di sfruttare un uomo che negli ultimi anni non aveva fatto altro che prodigarsi per lei e i loro figli. Era necessario fare sacrifici per la propria famiglia, ma lei non aveva mai sentito la necessità di ricordarlo a Ron ed ora iniziava a chiedergli di affrontare un’impresa che andava ben oltre le sue reali capacità.
 
«È l'unico modo che ho per essere più presente, ne trarrebbe vantaggio la nostra famiglia. Amore, scusami, non so cos’altro fare. Sto solo cercando di aiutarti»
 
«Aiutarmi?! Tu mi vuoi vedere morto»
 
«Certo che no!»
 
Ron si alzò incredulo per quella proposta e rivolse persino lo sguardo al soffitto in cerca di una risposta o semplicemente di un aiuto divino per non andare in escandescenza. Con la mano sul fianco si stropicciò gli occhi. Aveva tutta l’aria di essere un uomo sfinito dagli eventi, questo era quello che stava osservando sua moglie. Rifletté sulla fattibilità di quella proposta, ma fu difficile persino per lui immaginarsi in quel ruolo, figuriamoci doverlo vivere, non era sicuro di essere un aiuto per lei o di diventare piuttosto solo un intralcio.
 
«Hermione, non so nemmeno da che parte iniziare. Perché non ti affidi ad Harry? Lui è molto più esperto di me negli affari del Ministero. Io non ho un diploma e non ho esperienza, parto svantaggiato. Tu necessiti di qualcuno che ti dia una mano nel migliore dei modi, non che arranchi nella speranza di non aver fatto qualche cavolata. Il Ministero nelle mie mani è una responsabilità enorme, non riesco nemmeno a capire come abbia fatto a venirti in mente, visto che sono un gran pasticcione nella maggior parte delle cose che faccio, figurati in quello in cui non ho una minima preparazione»
 
«Ron, ma ti rendi conto del periodo che sta attraversando tuo cognato? Non ha bisogno di altro lavoro. Mi fido semplicemente di te e so che nonostante tutto metti cognizione in tutto ciò che fai. Tesoro, i bambini sono stati nelle tue mani per sette anni, se sono stata serena per la loro incolumità, come potrei non esserlo affidandoti il Ministero»
 
«Sei tu a non renderti conto del periodo che sto attraversando io! E quando sembrava che lo avessi capito, pare proprio che non sia così. Hermione, tra i bambini e il Ministero c’è un’enorme differenza! Loro sono i miei figli, ho un minimo di istinto paterno, ma che istinto vuoi avere tra quelle decine di questioni ministeriali?!»
 
Non riusciva più a litigare con lui, iniziava ad infastidirla il tono elevato del marito e la cosa peggiore era che aveva innescato lei quell’ennesima discussione. Abbassò disperata le palpebre, avrebbe tanto voluto ritornare al maledetto giorno in cui era diventata Ministro della Magia, avrebbe svenduto qualsiasi cosa pur di non vedere l’espressione delusa di suo marito. Eppure ricordava che quel giorno Ron era così orgoglioso di lei, le continuava a ripetere quanto fosse fiero di essere suo marito e quanto lo sarebbero stati Rose e Hugo della loro mamma non appena fossero stati abbastanza grandi da capire l’importante lavoro che svolgeva per l’intera Comunità Magica. Ora non rivedeva più nulla di tutto ciò negli occhi cristallini di Ron, traspariva solo tanta delusione e rabbia.
 
«Ron, io non faccio miracoli, non posso andarmene senza aver lasciato un sostituto fidato, lo sto cercando, ma non è semplice. Ci sarò io con te, ti farò da mentore per quel breve periodo. Sarà un periodo breve, te lo posso garantire»
 
«Neppure io faccio miracoli per poter essere il tuo sostituto»
 
Ron sussurrò quelle ultime parole, non appena sentì i passi di Hugo accanto alle scale, si era reso conto tardi di aver alzato la voce e non desiderava che suo figlio dovesse assistere anche alle loro liti, l’assenza della madre era una sofferenza sufficiente. Si limitò così a lanciare un’occhiata seria e allusiva ad Hermione. L’entusiasmo con cui il bambino li raggiunse lasciava intendere quanto fosse felice della proposta di quella cena in famiglia e quanto l’avesse presa sul serio dalla bocca del padre.
 
«Mamma. Papà. Andiamo? Ho fame!»
 
Hermione ci rifletté un secondo, seguendo i movimenti euforici del figlio. Il piccolo le sorrideva, non sembrava aver sentito la loro discussione, desiderava solo godere della compagnia dei suoi genitori. Fu proprio Hugo ad ispirarla.
 
«Che ne dite se invece rimaniamo a casa e cucino io?»
 
Entrambi, padre e figlio, la fissarono pensierosi ed Hermione temette di aver mosso un’ennesima proposta discutibile.
 
«È un'idea così brutta? Non vi fidate più delle mie doti culinarie? Hugo, sbaglio o dovevi raccontarmi tutto sul Quidditch? Eh dai, ragazzi, ho solo bisogno di trascorrere una serata tranquilla con la mia famiglia»
 
«Sì, ma stasera non cucini, usciamo. Andiamo, Hugo, vieni, iniziamo a salire in auto, mamma ci raggiunge, deve prima cambiarsi. Hermione, mi raccomando sbrigati, inizio ad avere una certa fame anche io»
 
Hermione lo vide recuperare la giacca dall'appendiabiti e passarla anche al figlio, aiutandolo ad allacciarla. Decise di accogliere l’invito del marito, ma prima di salire il primo gradino, si rivolse nuovamente curiosa a loro.
 
«Dove mi portate?»
 
«Papà, dove la portiamo?»
 
Rimase per un istante incantata ad osservare Ron, mentre stava ancora allacciando i bottoni della giacca del figlio. Le rispose lanciandole qualche occhiata tra un bottone e l’altro. Ad Hermione non sfuggì la dolcezza e la dedizione con cui si occupava di suo figlio. Si sentì una stupida, le proteste di suo marito non erano infondate, il ruolo di padre gli calzava a pennello.
 
«La signora dove vuole andare?»
 
«Qualunque posto andrà più che bene … purché con voi»
 
 
[10 settembre 2017 ore 8:05 p.m. – Tottenham Court Road, Londra babbana]
 
Ron aveva portato Hermione e Hugo nei pochi luoghi di Londra non dominati dalla magia che conoscesse. Era stata Hermione a mostrargli ai tempi del loro fidanzamento quel grazioso locale, in cui avrebbero potuto cenare in tranquillità, nonostante il ruolo rilevante di Hermione nel Mondo Magico. Forse Ron avrebbe sperato in una serata più serena, le sue intenzioni erano buone, invece la tensione tra lui e la moglie era palpabile. Non tornarono sul discorso in presenza del bambino, ma le conseguenze di quella conversazione erano ancora visibili. Lei gradì che suo marito si fosse ricordato di quel grazioso luogo quella sera, ma ciò poteva solo che contribuire a farla sentire una moglie orribile, lui le mostrava attenzioni e premure che non era più sicura di meritare. Tra quelle mura le tornarono in mente più ricordi di quanti credeva di averne in memoria. Suo marito nel tentativo di non incrociare il suo sguardo preferiva aiutare Hugo a non sporcarsi. L’unico a tenere vivo l’umore fu proprio quel bambino con i suoi racconti sul Quidditch.
 
«Quindi, Hugo, mi stai dicendo che a Quidditch non è concesso neanche il più piccolo fallo, altrimenti si rischia l’espulsione?»
 
Hermione si mostrò interessata, benché fosse a conoscenza suo malgrado delle regole base e non fosse nemmeno così appassionata di quello sport. In realtà ciò che desiderava più di ogni altra cosa era trascorrere un po’ di tempo in compagnia del suo bambino. Ron seduto al tavolo con loro intervenne d’impulso e si inserì nella conversazione, lui, a differenza della moglie, era un grande esperto o almeno così diceva.
 
«Ma non è vero! V-voglio dire, non ricordo di essere mai stato espulso»
 
«Forse perché non baravi, papà»
 
«No, tesoro, forse perché ero il portiere»
 
Hermione sorrise divertita per quel piccolo scambio di battute, si era dimenticata quanto fosse piacevole vedere l’uno alle prese con l’altro, visto che il piccolo Hugo aveva ereditato lo spirito spensierato e gioioso del padre. Ron venne subito contagiato da sua moglie. Ad entrambi fece piacere quell’attimo di spensieratezza dopo tanti pensieri. Ron non riuscì a scollare gli occhi da Hermione, si era accorto solo osservando il suo sorriso quanto fosse bella quella sera, a partire dal suo vestiario e quel rossetto così accuratamente messo sulle labbra senza ostentarne troppo, come solo lei sapeva fare e che la rendeva graziosa, mai esagerata. Hermione ricambiò lo sguardo del marito, ma invece di smettere di ridere l’osservarlo con più attenzione le fece stranamente notare particolari che prima le erano sfuggiti, come accadeva la maggior parte delle giornate, immersa da mille questioni ministeriali.
 
«Cosa c’è di così divertente?»
 
«Ron, me ne sono accorta ora … ma come sei vestito oggi?»
 
Si guardò stranito senza capire quale fosse il problema.  A lui non venne affatto da ridere, anzi quella considerazione lo lasciò perplesso, così Hermione, vedendolo vagare nel nulla, decise di dargli un suggerimento.
 
«I colori, Ron»
 
«Cos’hanno che non va?»
 
«Verde e blu insieme? Lo Statuto Internazionale di Segretezza ti farebbe radiare dalle Sacre Ventotto»
 
«Peccato che io non vi faccia più parte da quando ti ho sposata»
 
La prese in contropiede, non si aspettava una simile considerazione. Non c’era stata alcuna sorta di cattiveria in quelle parole, era semplicemente una delle solite battute pungenti di suo marito, eppure si sentì chiamata direttamente in causa. Come era solita fare, conoscendolo, la interpretò come tale e la prese con leggerezza, senza dare a vedere quanto l’avesse fatta riflettere, complice quel difficile e lungo periodo che la sua famiglia stava attraversando. Lui aveva perso privilegi a causa sua, aveva scelto lei nonostante tutto - benché lui infondo  non avesse mai sentito il peso di quella scelta - e lei lo ricambiava con mille assenze. Non era quello il comportamento consono ad una moglie, questo lo aveva capito.
 
«Giusto, amore»
 
«Mamma, cosa sono lo Statuto Internazionale di Segretezza e le Sacre Ventotto?»
 
Ron ed Hermione non dovettero indugiare per molto tempo a parlarne, terminata la cena il piccolo di casa era crollato tra le braccia della mamma quando erano ancora a tavola. Usciti dal ristorante, dovettero percorrere un breve tratto di strada a piedi per raggiungere l’auto. Anche quel tragitto sarebbe trascorso nel pieno silenzio, se Ron non avesse esternato ad alta voce un pensiero.
 
«È strano si sia addormentato così presto, di solito devo faticare per fargli prendere sonno. Saranno gli effetti benefici della sua mamma, è evidente che gli manchi, Hermione, questo lo dimostra»
 
Notò subito di averla rattristata, infondo gli era ben noto quanto in quei giorni si stesse sentendo in colpa nei confronti della sua famiglia, così tentò di rimediare.
 
«E poi finisce che diventi più ricercata perché stai fuori casa più tempo, mentre io sono il solito papà guastafeste. Mi hai lasciato decisamente la parte peggiore dell’essere genitore, sai?»
 
Raggiunsero proprio in quel momento l’auto, ma Ron non era riuscito a stemperare la tensione, forse perché aveva un umore pessimo e a lui per primo quella donna mancava.  Fece per aprire la portiera posteriore per poter adagiare Hugo sul sedile, ma Hermione lo fermò, obbligandolo a lasciare il pomello, benché l’avesse già aperta di uno spiffero.
 
«Ron»
 
Strinse più forte a sé il figlio comodamente adagiato con la guancia sulla sua spalla e rivolse uno sguardo al cielo sovrappensiero. Ron attese e a bassa voce la incitò a parlare.
 
«Che c'è? Ho fatto qualcosa che non dovevo?»
 
«Non è stata la serata piacevole che avrei voluto. Non abbiamo detto molte parole a tavola e la maggior parte grazie ad Hugo … ma cosa ci sta succedendo? È colpa mia, vero?»
 
Ron diede sospirando un leggero colpo allo sportello per richiuderlo.
 
«Hermione, senti, non sono la persona più adatta per gestire insieme a te gli affari del Ministero. Se mi chiedi di stare un'ora in più con i ragazzi lo so fare, ma quello non è nelle mie corde. Mi dispiace che tu non sappia cosa fare ora, ma mi stai chiedendo troppo. Sono sempre io e non cambieranno le mie doti per necessità. E poi mi vesto pure male, lo hai detto tu, non vorrai mostrarmi in pubblico presumo»
 
«Ron, tu hai un sacco di doti che non sfrutti e non è vero che ti vesti male, dai, cercavo solo di fare conversazione, non puoi offenderti davvero per una simile cretinata»
 
Riaprì la portiera con convinzione, udendo alle sue spalle le leggere e incredule risate della moglie. Hermione provò a proseguire con la speranza di convincerlo, sapeva di chiedergli tanto in aggiunta a quel tanto che aveva sempre fatto e sapeva anche che per ogni scelta che prendeva nel bene e nel male non poteva fare altro che coinvolgere suo malgrado il marito. Erano sposati certo, ma lei gli chiedeva costantemente grossi sacrifici.
 
«Sei l'unica persona di cui io mi fidi per quel ruolo, tanto da affidarti le chiavi del mio ufficio e dei luoghi più sensibili del Ministero»
 
«Grazie, tesoro, mi fa piacere sapere che ti fidi di me»
 
Si voltò solo per prendere Hugo dalle braccia della moglie e farlo coricare sul sedile posteriore, non era certo intenzionato ad invitarla a proseguire con quegli inutili tentativi. Hermione però non demorse e fece un tentativo persino quando lui fu a pochi centimetri da lei e intrecciò le braccia alle sue intorno al corpo del bambino. Ron si stava concentrando per non svegliare il figlio e lei era indecisa se parlare o limitarsi ad osservarlo mentre svolgeva il ruolo che sapeva ricoprire meglio, così decise di sussurrare.
 
«Ron, sono seria»
 
«Seriamente, Hugo necessita di un letto, quindi sali»
 
Le diede quel suggerimento con una certa ruvidezza nella voce e senza degnarla di uno sguardo. In auto lungo il tragitto verso casa calò ancora quel muro di silenzio. Come Hermione gli aveva fatto notare, era stata la vivacità di quel bambino a mantenere viva la serata. Alla luce dei lampioni londinesi si voltò verso il marito cogliendo in penombra la sua espressione seria concentrata sulla strada.
 
«Ron ...»
 
«Hermione, sono stanco, non ho più voglia di parlare, specie di argomenti simili. Ho solo voglia di seguire l'esempio di nostro figlio e andarmene a dormire»
 
«Perché mi hai mentito sulle partite?»
 
Ron era davvero fisicamente e moralmente sfinito, così cercò di concentrarsi il più possibile sulla guida, senza pensare ad altro. Hermione non accolse la sua richiesta, voleva tentare di vincere il fastidio del marito.
 
«Senti, ho capito il motivo che ti ha spinto ad avere necessità di qualche ora di svago, ma per quale ragione non me lo hai detto? Io per prima te l’ho proposto. Mi conosci, voglio solo che tu stia bene e non sei un bambino, sei in grado di gestire la tua vita e le tue responsabilità in autonomia. Avrei solo preferito fossi sincero, credevo non ci fossero segreti tra noi, almeno su quello ero convinta»
 
«Ti interessava davvero il mio benessere? A me sembra di no, visto che ora vuoi mettermi sulle spalle anche il Ministero!»
 
Le aveva lanciato una mezza occhiata allusiva e aveva alzato il tono nervoso.
 
«Ron, abbassa la voce, così svegli Hugo»
 
«Allora non stuzzicarmi, ti avevo detto di non voler parlare, quindi tantomeno discutere»
 
«Volevo solo ci fosse dialogo tra me e te»
 
Ron rise con sarcasmo continuando a percorrere le trafficate vie di Londra, sperando di arrivare a casa il prima possibile per troncare quella scomoda conversazione.
 
«Dialogo, Hermione?? E con chi avrei dovuto avere il dialogo negli ultimi anni? Con le pareti di casa? Quindi capirai il motivo che mi ha spinto a mentirti»
 
«C'è per caso altro che non so e che non mi hai detto perché io non avevo il tempo di ascoltarti? Anche due parole in piena notte mi sarebbero bastate, mi avrebbero fatto capire che, nonostante tutto, avevo un marito a casa ad aspettarmi e, nonostante tutto, avresti potuto contare su di me»
 
«Bhe, Hermione, dopo tutto quello che faccio durante il giorno, se me lo consenti, crollo prima che arrivi notte»
 
Era delusa di se stessa per la piega che aveva assunto la sua vita e non sapeva più come rimediare senza peggiorare la loro situazione, perché se ne rendeva perfettamente conto anche lei, le sue idee erano controproducenti per suo marito.
 
«Certo ... Grazie per la cena, sei stato molto gentile»
 
Ron vide di sfuggita l'espressione demoralizzata di Hermione e l’ultima cosa che desiderava era trascorrere la notte con quell’umore. Cercò di avere pazienza e con un ennesimo sospiro le andò incontro.
 
«No, Hermione, non ti nascondo altro»
 
«Sicuro? Non ci sarà il rischio che poi io scopra qualche tua relazione clandestina, vero? Non è per quello che mi hai mentito, giusto?»
 
«Relazione clandestina? Hermione, ora mi vuoi fare il terzo grado anche per un tradimento inesistente? Ho capito, vuoi dialogo, ma hai anche una fervida immaginazione»
 
«Sei tu che continui a sottolineare quanto io sia assente»
 
«Godric me ne scampi, una donna, assente o no, mi è più che sufficiente. Un briciolo di amor proprio mi è rimasto, su questo ci puoi contare»
 
Hermione scoppiò a ridere senza che ne avesse la reale voglia, ma non poté evitare di riscoprire un po’ di serenità dopo quella notizia.
 
«È così divertente quello che ho detto?»
 
«Immensamente, amore»
 
«Possiamo dichiarare definitivamente chiusa questa lunga ed estenuante conversazione? E posso guidare per i chilometri che mi restano in pace fino a casa?»
 
Hermione si voltò verso il sedile posteriore per appurare che il bambino avesse ancora gli occhi chiusi. Hugo stava riposando tranquillamente, nonostante la voce dei suoi genitori rimbombasse nell’abitacolo.
 
«A patto che guidi bene, povero Hugo, per fortuna sta dormendo, altrimenti avrebbe già vomitato»
 
«Sai, Hermione, ripensandoci, rimanere celibe non mi sarebbe dispiaciuto»
 
Gli arrivò un manrovescio dritto sul braccio ed Hermione non prestò molta attenzione alla forza impiegata.
 
«Hermione, ti ricordo che sto guidando e Hugo è in macchina con noi»
 
«Allora evita simili battute totalmente fuori luogo per due il cui matrimonio è appeso ad un filo, abbi almeno un po’ di rispetto per il periodo che stiamo attraversando»
 
Stavolta fu lui a sorridere all'espressione offesa della moglie. Si era girata a guardare il panorama fuori dal finestrino, ma in realtà i suoi occhi non notavano i grandi edifici che sfrecciavano alla sua sinistra. Ron tenendo gli occhi sulla strada e sugli specchietti retrovisori le aveva allungato una mano in segno di pace.
 
«Eh dai, Hermione, stavo scherzando. Da chi pensi di divorziare senza il mio consenso?»
 
Hermione non gli afferrò la mano e non colse nemmeno quell’ulteriore evidente battuta, visto che Ron non perdeva il sorriso sulle labbra. Non poté costringerla dalla sua posizione delicata, dovette limitarsi ad usare la mano per cambiare la marcia. Cercò di tornare serio, sapeva da solo che il loro matrimonio non andava a gonfie vele, sapeva anche che era colpa di sua moglie, ma preferì tenerlo per sé. Ciò di cui era certo però era che nessuno dei due aveva intenzione di divorziare, era forse tra le certezze più importanti, il resto si sarebbe sistemato. Hermione quella sera non aveva proprio alcuna intenzione di scherzare.
 
«Ho passato comunque una bella serata in tua compagnia. È bastata la tua presenza per renderla migliore di tante altre e sono certo sia stato così anche per nostro figlio»
 
Senza alcun preavviso sentì la mano di Hermione su quella che era rimasta sul cambio. Ron le sorrise e senza voltarsi verso di lei, la catturò per posare un bacio sul dorso.
 
«Bhe, pare che delle tue bugie tu debba rendere conto a tua figlia»
 
«Che c'entra Rose, scusa?»
 
Hermione lo guardò di sottecchi per qualche istante e giunse senza troppe difficoltà al suo verdetto.
 
«Appunto»
 
«Hermione, appunto cosa?!»
 
Si stava innervosendo nuovamente e quando era così enigmatica non la sopportava. Lasciò la mano della moglie e tornò a tenere il volante saldamente con entrambe le mani.  
 
«Appunto che hai la memoria corta, nessuna novità»
 
«Hermione, o parli chiaro o ti giuro che fermo l'automobile e non ripartiamo finché non mi avrai spiegato. È questo che vuoi?»
 
«Innanzitutto l'unica che può minacciare a casa nostra sono io»
 
«No, se mi fai innervosire»
 
«Tu sei già nervoso senza che io faccia la mia parte, Ronald ... deve essere l'età»
 
Gli lanciò quella frecciatina talmente all’improvviso che Ron, impegnato sulla guida, impiegò qualche istante a cogliere le parole della moglie.
 
«Appunto ... Cosa?? Scusa, puoi ripetere? Mi hai appena detto che sono vecchio?»
 
«Precisamente»
 
«Fai poco la furba, ti ricordo che sei più vecchia di me»
 
«Peccato che io porti meglio i miei anni»
 
Ron trattenne un sorriso e scalò la marcia in prossimità di Grimmauld Place con fare di chi la sapeva più lunga di lei, ma non osava esporsi più del necessario per paura delle conseguenze.
 
«Ed ora cosa vorresti insinuare?»
 
«Niente»
 
«Pensa piuttosto a tua figlia che ti ha chiesto una partita di Quidditch da almeno sei mesi, ma non ti sei degnato di accompagnarla una sola volta. Eh sì, Ronald, ho qualche ruga e qualche capello bianco, ma ti devo ringraziare, perché parti di essi me li sono procurati dando due figli a te»
 
Non appena l’auto fu totalmente ferma e costeggiò il marciapiede, Hermione scese arrabbiata, sbattendo la portiera dietro di sé e non degnandolo di uno sguardo.
 
«E la portiera che colpa ha per le tue smagliature?»
 
Gli rispose dal sedile posteriore, mentre si prodigava con attenzione a prendere in braccio Hugo senza svegliarlo.
 
«Ho evitato di inveire violentemente contro di te»
 
Hermione era finalmente riuscita con delicatezza ad appoggiare nuovamente il figlio sulla sua spalla, quando voltandosi per poco non si scontrò con il marito che trafelato l’aveva raggiunta e si era appoggiato al tettuccio della macchina ostacolandole il passaggio.
 
«Quindi dici che Rose è arrabbiata con me?»
 
«Questo non lo so, ma ha certamente la memoria più lunga della tua. Rimbocco le coperte a Hugo, se mi lasci passare»
 
«Ti aspetto in camera, non riesco più a tenere gli occhi aperti»
 
Hermione si diresse verso la stanza del bambino senza fare il minimo rumore e lo adagiò sul letto, ma prima cercò con la massima attenzione di sfilargli la giacca. Decise di non fargli indossare il pigiama per non svegliarlo, così si limitò a togliergli le scarpe e a rimboccargli le coperte. Stava per dirigersi verso la porta, quando si accorse, velocizzando il passo senza più il bambino tra le braccia, di produrre troppo rumore con il mezzo tacco che aveva sotto le scarpe, così le tolse e percorse tutto il corridoio a passo felpato, fino a raggiungere la sua camera. Trovò opportuno non accendere la luce e nella penombra intravide appena il marito coricato e voltato su un fianco verso il muro. Appoggiò le scarpe e iniziò a spogliarsi sfinita. Era convinta che Ron fosse ancora sveglio, così si rivolse proprio a lui.
 
«Sono stanca anche io, il Quartier Generale degli Auror è nel caos senza Harry. Pensa che oggi ho dovuto persino reimpostare un percorso per una ronda, pare ci fosse più urgenza altrove. Ah, Harry mi ha scritto, dicendomi che ti ha proposto di lavorare a stretto contatto con lui. Vedi? Se ci fossi stato tu oggi non avrei sfiorato la pazzia. Hai intenzione di rifiutare sempre tutte le mie proposte?»
 
Attese qualche istante, convinta che lui le avrebbe risposto con il suo solito tono scocciato, invece ricevette solo silenzio.
 
«Ron?»
 
Sentì il respiro del marito più pesante, così entrò sotto le coperte e si sporse per vederlo in volto. Appurò solo in quel momento che aveva gli occhi chiusi e stava anche iniziando a russare come al suo solito. Sorrise accorgendosi di aver parlato da sola, non si era neppure cambiato, solo tolto le scarpe, ma infondo gliel'aveva detto che era stanco. Gli diede un leggero bacio sulla guancia, lasciandogli per sbaglio un sottilissimo segno del rossetto che aveva indossato in occasione della loro cena. Vi passò delicatamente sopra un dito per toglierlo.
 
«Era proprio questo che intendevo prima ... non abbiamo più il tempo né la forza per noi, amore. Scusa, ma stasera sono davvero molto stanca e non riesco a riposare al tuo fianco se russi in questo modo»
 
Decise che il divano in quella notte così chiassosa sarebbe stata per lei la soluzione migliore, così riscese le scale, lasciando Ron a dormire tranquillo, tanto era perfettamente consapevole del fatto che svegliarlo sarebbe stato del tutto inutile. Per Hermione però non fu ancora tempo di riposo, per raggiungere il soggiorno era dovuta passare nuovamente davanti alla cameretta del figlio, il quale era rimasto in allerta su ogni singolo rumore. Non appena Hugo vide passare la madre, si precipitò giù dal letto e la seguì.
 
«Mamma! Vai via?»
 
«Certo che no, tesoro, raggiungo solo il divano, papà fa troppa confusione e non riesco a riposare»
 
«Posso stare con te sul divano?»
 
Non riuscì a negargli quella richiesta, così fece un po’ di spazio anche per lui accanto a sé. Attese prima che il bambino si riaddormentassi, così tenendo su la sua testa con un braccio, gli accarezzava il viso, facendo passare dolcemente e lentamente le dita tra i fulvi capelli del piccolo. Era talmente concentrata su suo figlio che non si era nemmeno accorta dei passi trafelati di Ron che scendevano le scale. Si stupì e rimase senza parole, quando la trovò sul divano impegnata a far addormentare Hugo con qualche carezza.
 
«Fammi indovinare. Avevi anche tu paura che me ne fossi andata? Russi solo troppo»
 
Ron assonnato non le rispose, ma diede in quel modo una risposta affermativa.
 
«Ah, Ronald, hai pensato a quello che ti ho proposto prima?»
 
La fissò stavolta con aria infastidita e quasi assente, cercando di eludere la domanda.
 
«Buonanotte, Hermione»
 
Fece per salire le scale, fingendo di non averla sentita. Lei fu piuttosto comprensiva e non insistette.
 
«Sogni d’oro, tesoro»
 
Si affacciò però poco dopo dalla ringhiera della scala con un dubbio che desiderava colmare prima di ripiombare in un sonno profondo.
 
«Quindi non sei più arrabbiata con me per le piccole omissioni delle partite, giusto?»
 
«Non direi, domani il divano è tutto tuo»
 
«Ma, Hermione ….»
 
«Sshh, Ronald. Hugo sta cercando di dormire»
 
«Sarà meglio che io me ne torni a dormire, prima che rischi di finire sullo zerbino della porta»
 
«Sono d’accordo con te»
 
La guardò dall’alto male e spaventato, ma sul volto di Hermione si dipinse solo un sorriso.
 
 
[15 settembre 2017 ore 9:10 a.m. – Villa Malfoy]
 
La notizia che spiccò in prima pagina quella mattina sulla Gazzetta del Profeta lasciò Draco senza parole, fu per lui totalmente inaspettata.
 
«Astoria!»
 
Si alzò con uno scatto dalla sua poltrona e andò alla ricerca della moglie. Ovunque lei si trovasse evidentemente non lo aveva sentito e lui aveva una gran voglia di condividere con qualcuno la gioia per quella novità. Dopo aver esaminato mezza Villa, finalmente la intravide in giardino attraverso i grandi finestroni del soggiorno. La raggiunse senza alcun indugio ed era talmente concitato che il suo passo rapido e improvviso a fianco di Astoria la fece trasalire. In un momento in cui la moglie aveva terminato di annaffiare una pianta e si apprestava a raggiungerne un’altra, Draco colse l’occasione, prima che l’acqua uscisse nuovamente dall’innaffiatoio, per metterle sotto gli occhi il giornale. La donna lesse velocemente la notizia su cui il marito le aveva chiesto di posare la sua attenzione.
 
«Hermione vuole dimettersi??»
 
«Già»
 
Al contrario del ghigno soddisfatto di Draco, Astoria era esterrefatta, non si sarebbe mai aspettata un cambio al vertice in quel periodo, visto che Hermione aveva ancora una brillante carriera davanti a sé.
 
«Quale ragione può averla spinta ad un gesto simile?»
 
«Ma chi se ne importa, Astoria!»
 
Aveva il sospetto che a suo marito potesse solo che far piacere quella notizia, ma ora dopo le sue parole ne ebbe la certezza e questo non le piacque. Lo rimproverò con il tono della voce.
 
«Immagino tu sia contento»
 
«Di certo non mi è mai andato a genio che una Mezzosangue ricoprisse quel ruolo»
 
«E chi pensavi dovesse ricoprirlo? Tu?»
 
«Fai poco la spiritosa»
 
Astoria riprese infastidita ad annaffiare le sue piante per provare a distrarsi e a rilassarsi. Non aveva alcuna voglia di litigare con suo marito, ma quando esternava quel suo pensiero così ottuso e retrogrado lo avrebbe Schiantato.
 
«Odio la Gazzetta del Profeta, Draco. Butta fango su chiunque in modo totalmente gratuito e ti consiglio di stare attento, un giorno potresti finirci tu in prima pagina»
 
«Se ci finirò, sarà solo per elogiarmi, sono un Malfoy, ricordi?»
 
Le sorrise come se volesse stuzzicarla. Sapeva di aver osato un po’ troppo davanti a sua moglie, lei non sopportava simili considerazioni, così decise di togliere il disturbo lui e la Gazzetta. Con tono allegro si voltò solo un istante verso di lei.
 
«Ci sono gli elfi domestici per innaffiare le piante, non è necessario che la signora Malfoy si sporchi le mani di terra»
 
Quando Draco fu scomparso oltre i ciliegi spogli, Astoria non riuscì più a trattenere un pensiero.
 
«Odio essere la signora Malfoy, quando ragioni così»
 
Si era agitata e aveva versato sbadatamente un po’ troppa acqua sui girasoli.
 
 
[5 ottobre 2017 ore 3:15 p.m. – Hogwarts/Infermeria/qualche minuto prima della prima partita della stagione di Quidditch, GrifondoroVSSerpeverde]
 
Neville, prima di assistere a quella partita tanto attesa, decise di seguire il consiglio di Rose e raggiungere Hannah in Infermeria. Non entrò subito, la intravide però lavorare e si appoggiò allo stipite della porta aperta osservandola. Madama Abbott - così veniva chiamata da quando aveva ricoperto quel ruolo a Hogwarts - non percepì la presenza del marito, ma nella sua candida tenuta da Guaritrice cambiava le lenzuola ai letti vuoti, pronti ad accogliere qualche sventurato giocatore che quel pomeriggio si sarebbe ferito durante la dura partita che stava per iniziare. Non mancava però di occuparsi con delicatezza, attenzione e dedizione dei malati già ricoverati e dei medicinali che li avrebbero potuti aiutare. Hannah aveva sempre avuto una grande propensione ad aiutare gli altri, era una degna Tassorosso e ciò aveva contribuito ad amarla. Si avvicinò a lei proprio mentre nei suoi frettolosi movimenti si stava voltando e allontanando da un letto appena rifatto. Riuscirono ad evitare l’impatto tra loro per un soffio. La prese in contropiede la presenza del marito, si soffermò qualche istante ad ammirare i suoi occhi e lo stesso fece lui, da troppo tempo lo sguardo della sua consorte era sfuggente. Con un filo di voce Hannah riuscì a rivolgersi a lui e non mancò d’istinto di appurare le sue condizioni fisiche per paura del motivo che lo aveva spinto fin lì.
 
«Neville, cosa ci fai qui? Hai bisogno di cure?»
 
Lui impiegò qualche secondo in più senza riuscire a parlare, ma continuava a fissarla con la grande voglia di porgerle un bacio anche leggero, un gesto che non compiva da diverso tempo ormai. Sapeva però di doversi trattenere, non era né il luogo né il momento per simili effusioni.
 
«Neville, ti senti bene?»
 
«S-sì, scusa. Ero passato per chiederti se ti andava di assistere insieme a me alla partita che si gioca oggi»
 
Stando ben attenta a non sfiorarlo, lo superò per riprendere il suo lavoro da dove si era interrotta.
 
«Mi piacerebbe, ma i Grifondoro sono contro i Serpeverde e prevedo una carneficina»
 
«Non puoi farti sostituire? Hannah, non ti fermi mai»
 
In realtà quando non era indaffarata ad Hogwarts trovava comunque un modo per tenere la mente impegnata altrove, ma il suo diversivo non era mai lui, semmai era il suo costante tormento.
 
«Oggi è proprio il giorno peggiore per prendersi una pausa. Ti consiglio di andare, se non vuoi perderti il fischio di inizio. Per chi tiferai, visto che Rose e Albus sono in due squadre differenti?»
 
Cercava di sviare l’attenzione da lui e dal loro rapporto, a Neville non fu difficile capirlo, ma decise di assecondarla, infondo non era facile nemmeno per lui affrontare determinati argomenti e senza una minima intenzione da parte di Hannah non riusciva a riscoprire il coraggio necessario.
 
«Suppongo entrambe»
 
«Sei affezionato a quei ragazzi»
 
«È come se fossero figli miei»
 
Si accorse dopo di ciò che aveva detto senza alcuna malizia, anzi con un grande orgoglio nello sguardo, ma si sentì in imbarazzo, lei era l’ultima persona a cui esternare quei sentimenti.
 
«C-cioè volevo dire …»
 
«Neville, non c’è niente di male … dopotutto io non sono riuscita a darti alcun figlio, è normale cercare di compensare questa mancanza. Anzi, sono felice che tu sia riuscito a superarlo, quei ragazzi sono molto fortunati ad avere il tuo affetto e a poter contare su di te»
 
Lei proseguì il suo lavoro apatica, come se quell’argomento fosse di poco conto e gli passò accanto per raggiungere l’armadio dei medicinali. Sua moglie non riusciva a capire quanto la ferita fosse ancora aperta anche nel suo cuore e quanto avrebbe desiderato dare tutto quell’affetto al loro bambino, se il destino fosse stato favorevole. La loro lontananza lo faceva sentire tutt’altro che bene e il fatto che lei non stesse meglio non gli poteva infondere certo serenità. Prima che lui potesse replicare, Hannah aveva già cambiato discorso.
 
«Neville, avresti ancora qualche fiore di Valeriana?»
 
Non rispose subito, il comportamento chiuso e inusuale della moglie lo prese alla sprovvista.
 
«Sì, dovrei averne nella Serra. Nei prossimi giorni te li porto»
 
«Non è necessario, posso passare io»
 
Lei riprese ad esaminare l’armadio con professionalità, come se Neville, il marito con il quale stava vivendo una grossa crisi, non fosse più a pochi passi da lei, ma lui non demorse e cercò di trovare il coraggio di parlarle, in caso contrario la situazione non si sarebbe mai sbloccata.
 
«Hannah?»
 
Annuì continuando nel suo lavoro. Quando lui vide che non si decideva a voltarsi, si avvicinò sfiorandole appena il braccio per attirare la sua attenzione. Solo allora si degnò di rivolgergli uno sguardo. Sorse un lieve imbarazzo tra i due a quel contatto, Neville se ne accorse e ritirò subito la mano.
 
«Senti, Hannah, non so per quanto riuscirò a reggere questa situazione»
 
Hannah riprese il suo lavoro in un ultimo disperato tentativo di non ascoltarlo e evitare di affrontare l’argomento, ma stavolta era più pensierosa. Si interruppe poco dopo triste e Neville, oltre a seguire con pazienza i suoi gesti, colse anche il suo stato d’animo.
 
«Hai ragione, tu meriti di meglio»
 
«Non ho detto questo, sono solo stanco di trattarti come se fossi un’estranea, nessuno vedendoci direbbe che siamo sposati»
 
«Forse sarebbe meglio se lo fossi, non ci guadagni nulla ad essere mio marito»
 
Tentò invano di mantenere fermezza nella voce, ma non fu facile mentire a lui e continuare a trafficare in quell’armadio come se nulla stesse succedendo nel suo cuore.
 
«Hannah, puoi smettere un attimo e guardarmi? Se dimentichi per un minuto il lavoro, i tuoi pazienti non moriranno»
 
Non lo ascoltava, così le tolse con la forza dalle mani quello che stava esaminando - Godric solo sapeva cosa fosse, lui non si prese il disturbo di capirlo, era troppo arrabbiato - e la afferrò di nuovo per un braccio, stavolta con più energia senza alcuna sorta di delicatezza, costringendola così a voltarsi verso di lui. Non era sua intenzione farle male, aveva usato forse un po’ troppa veemenza, ma si era comprensibilmente spazientito davanti alla testardaggine di Hannah di nascondere i suoi sentimenti e il suo malessere.
 
«Ma cosa ci sta succedendo?!»
 
Hannah non riusciva nemmeno ad incrociare i loro sguardi, ma da quel tocco percepiva tanta rabbia da parte del marito.
 
«V-vai alla partita, Neville, il professore di Erbologia non può mancare»
 
«Hannah, non è semplice neppure per me»
 
«Sono stata io a perdere questo bambino, non tu e sono sempre io a non poterne più avere altri»
 
«Quindi secondo te a me non importerebbe nulla, giusto? Dove avresti sentito una simile sciocchezza? È una tua ipotesi, vero?»
 
Stava tornando verso i malati, intenzionata a troncare quella scomoda conversazione, non aveva alcuna voglia di litigare e agitarsi, ma lui le bloccò prontamente la via.
 
«No, Hannah, sono due anni che mi eviti, ora basta»
 
«Cosa vuoi che ti dica?!»
 
«Cosa ti tormenta, suppongo. Aiutami a recuperare quello che c’era tra noi, da solo non riesco, ho bisogno della tua collaborazione»
 
«Sai benissimo perché non riesco ad essere la moglie che ero prima, è stata una delusione troppo grande, Neville! Se tu riesci a rimpiazzare nostro figlio con i figli dei nostri amici, io non ci riesco e non riesco neppure a consolarmi di avere te al mio fianco, scusami, ma è più forte di me. Nessuno più potrà ridarmi quel futuro che abbiamo perso e nemmeno tu purtroppo, per quanto lo vorrei»
 
«Hannah, sono passati due anni da quel giorno. Per quanto possa risultare difficile, dobbiamo provare ad andare avanti insieme. A me fa più male la tua lontananza»
 
«Mi manchi anche tu … ma non riesco a fare finta di niente»
 
Le voci provenienti dall’esterno delle mura del Castello attirarono la loro attenzione, ricordando loro la partita e i loro doveri. Hannah gli porse una carezza sul viso per tranquillizzarlo, si rese conto tardi di essere stata esageratamente severa nei confronti di quell’uomo che desiderava mostrarle solo il suo amore e che lei nonostante tutto continuava ad amare.
 
«È ora che tu vada, non deludere i ragazzi»           
 
Neville indugiò qualche secondo, non poteva pensare che una partita di Quidditch fosse più importante del loro rapporto.
 
«Ne riparliamo? Hannah, se mi dici di no, resto ora. Vedrai, lo supereremo. Non perderò la speranza, finché dirai di amarmi ancora»
 
«Certo che ne riparliamo e certo che ti amo. Ora vai, io mi preparo nel caso qualche giocatore per qualche sventurato caso dovesse farsi male»
 
Le sorrise e per l’ennesima volta dovette trattenersi dal porgerle un bacio. Stavolta però la speranza che lei gli aveva donato lo incoraggiò a schioccarle un bacio sulla guancia, prima di raggiungere gli spalti. Quel contatto per troppo tempo mancato le fece bene all’anima.
 
 
[5 ottobre 2017 ore 3:15 p.m. – Hogwarts/Campo di Quidditch/qualche minuto prima della prima partita della stagione di Quidditch, GrifondoroVSSerpeverde]
 
Quando Ron ed Hermione arrivarono nei pressi di Hogwarts, il loro primo incontro non fu dei più piacevoli. Proprio in quel momento anche Draco aveva raggiunto i territori del Castello e li aveva incrociati per puro caso in prossimità del cancello di ingresso, mentre raggiungeva Astoria che lo aveva anticipato di qualche minuto prendendo posto sugli spalti senza di lui. Il tono sarcastico di Draco li colpì direttamente al suo passaggio, ma l’uomo non li degnò nemmeno di uno sguardo.
 
«Buongiorno, Ministro. È un piacere trovarla qui, visto che le sue dimissioni sono ormai scritte ovunque»
 
«Dacci un taglio, Malfoy»
 
Solo dopo l’evidente fastidio di Ron si decise a voltarsi verso di loro, bloccando il suo cammino.
 
«Che c’è? Sei nervoso perché a breve non potrai più godere dei privilegi del Ministero e tornerai ad essere il solito poveraccio di sempre? Non che tu abbia mai smesso di esserlo, sia chiaro»
 
Ron fece per inveire contro Draco, era esattamente ciò che lui si sarebbe aspettato, conosceva molto bene il poco contegno di quella famiglia, peccato che Hermione si intromise per fermarlo, frapponendo un braccio tra i due e invitando il marito a restare al suo posto. Draco ci rimase male, non aspettava altro che sfoderare la bacchetta e metterlo a tacere con l’eleganza che lo contraddistingueva da quelli che per lui erano solo degli zotici.
 
«Ron, non vale la pena, è solo Malfoy. Abbiamo problemi più importanti a cui pensare. Non dargli alcuna soddisfazione»
 
Grazie alla moglie che aveva lucidamente capito il gioco di Draco, si placò prima di compiere qualche gesto inconsulto. Ron si limitò così a minacciarlo con le parole.
 
«Dì a tuo figlio di stare lontano da mia figlia, guai a lui se osa anche solo rivolgerle la parola»
 
«Difficile che possa farlo, a breve si sfideranno in campo. Non lo sapevi? Mio figlio è il nuovo Cercatore dei Serpeverde. Però stai tranquillo, non ho alcun piacere a sapere mio figlio trascorrere del tempo, nel bene o nel male, con quella sporca mezzosangue della tua prole»
 
«Questa me la paghi! Sei solo uno schifoso …»
 
Stava sfoderando la bacchetta con rabbia e convinzione, quando Hermione dovette nuovamente fermarlo con la forza, bloccandogli stavolta la mano.
 
«Ron, calmati, lo fa apposta, vuole darti un pretesto per infuriarti. Non ascoltarlo, dai»
 
Glielo disse a bassa voce sfiorandolo con dolcezza, ma non era sicura che ciò fosse sufficiente, al tatto lo sentiva tremare, impaziente di attaccarlo.
 
«Questi sono i ringraziamenti per averlo tolto dai guai anni fa»
 
Ron rimase scioccato dalla notizia sulle squadre e Draco una volta lanciata quella bomba raggiunse con un sorriso soddisfatto la moglie, lasciando i coniugi Weasley sbollire da soli il nervoso che aveva fatto loro prendere.
 
«Hermione, perché sento odore di guai?»
 
Pensieroso non si accorse delle braccia della figlia che all’improvviso lo avevano cinto in vita. Rose era corsa ad abbracciarlo e lui ci mise quale istante a realizzare chi avesse tra le braccia, complice l'infausto incontro che avevano avuto e che aveva turbato i suoi nervi. Quando Ron la riconobbe, non indugiò a ricambiare.
 
«Papà!»
 
«Ehi, tesoro, ciao»
 
Quando sciolsero l’abbraccio, Ron si preoccupò subito per quella partita che Draco aveva annunciato non essere semplice.
 
«Pronta per la partita? Ho appena saputo che ci sarà Malfoy, cerca di essere prudente»
 
Rose gli sorrise per tranquillizzarlo e si rivolse ad Hermione.
 
«Ciao, mamma»
 
Le sorrise veramente felice di vederla, ma non si gettò tra le sue braccia ed Hermione ci rimase male, avrebbe sicuramente gradito un altro tipo di accoglienza da parte della figlia che non vedeva da più di un mese. Ricambiò comunque il sorriso della ragazza nonostante la delusione. Ron capì quell’evidente reazione, così provò ad aiutarla.
 
«Rose, hai visto che oggi la mamma è riuscita venire? E non sai la novità! Ha deciso di dimettersi, non appena troverà un sostituto. Per il momento l’aiuto io, così potrà comunque trascorrere del tempo con te e Hugo»
 
«Cosa??»
 
Rose ed Hermione risposero in coro, una più scioccata dell’altra. Dopo un primo istante di sorpresa, la ragazza si rivolse arrabbiata alla madre.
 
«Ora ci vuoi portare via anche papà??»
 
«No, Rose, non è così»
 
«Ah, no? E com’è?»
 
Ron tentò nuovamente di rimediare, ma la figlia rispose male anche a lui rivolgendosi infuriata alla madre, la quale non sapeva cosa dire per difendersi. Rose senza indugiare andò a prepararsi per la partita, mentre i genitori la guardarono allontanarsi senza sapere come fermarla e tranquillizzarla prima di quello scontro in campo.
 
«Avevo capito non fossi intenzionato ad accettare la mia proposta»
 
«Pensavo di rendere felice Rose»
 
«Difficile che le mie idee possano renderla felice»
 
 
[5 ottobre 2017 ore 4:24 p.m. – Hogwarts/Campo di Quidditch/prima partita della stagione di Quidditch, GrifondoroVSSerpeverde]
 
Dopo quasi un’ora di partita, i Grifondoro si mostrarono sottotono. Uno dei loro migliori Cacciatori non riusciva a concentrarsi sul suo compito, le parole del padre continuavano a frullare nella mente della primogenita di casa Granger/Weasley. Non vedeva nemmeno la pluffa che le sfrecciava davanti, avrebbe avuto bisogno di una pausa, in quel modo non riusciva ad essere utile alla sua squadra. In quella sorta di oblio in cui vagava, sentì la voce di suo cugino urlare spaventato.
 
«Rose, attenta!»
 
Capì solo una manciata di istanti dopo cosa Albus intendesse. Un bolide la stava per centrare, Rose abbassò le palpebre stringendole forte in attesa di un impatto che non arrivò mai. Quando riaprì gli occhi, il cugino era proprio davanti a lei, si era frapposto tra lei e la minaccia e l’aveva difesa con la sua mazza. Si voltò subito dopo verso la ragazza per appurare che non fosse ferita.
 
«Ehi, tutto bene?»
 
«Sì … grazie, ero distratta»
 
«Cerca di rimanere concentrata»
 
Albus seguì lo sguardo della cugina e vide che per una frazione di secondo era puntato verso i suoi zii, intuì così che riguardasse loro la sua distrazione. Rose comprese la preoccupazione del ragazzo e ciò non consentiva neanche a lui di giocare serenamente.
 
«Sto bene, Al, gioca»
 
Quella disavventura aveva fatto perdere diversi battiti al cuore di Hermione, Ron ed Harry, i quali si tranquillizzarono solo dopo l’intervento tempestivo di Albus. Nonostante il ragazzo, capito l’umore di Rose, stesse giocando su entrambi i fronti per aiutarla, non riuscì a difenderla da quei suoi compagni Serpeverde che non aspettavano altro di sfruttare la vulnerabilità della loro avversaria, la quale girava voce si fosse mostrata molto forte durante gli allenamenti con la sua squadra. La fecero cadere dalla scopa senza troppe difficoltà e la fortuna volle che lei non si trovasse a molti metri da terra. Albus dovette assistere alla scena inerme, non poté abbandonare il campo, a soccorrerla ci pensarono i suoi genitori e lo zio insieme al professor Paciock.
La prima immagine che si parò davanti a Rose quando si riprese in Infermeria fu suo padre seduto sul letto accanto a lei e un rumore che per lei era assordante. Appurò subito da dove provenisse e vide Hannah trafficare con alcune medicine sul suo comodino. L’amica le sorrise rincuorandola e se ne andò lasciando soli padre e figlia e smettendo di importunarla con il tintinnio delle boccette di vetro.
 
«Tesoro, come stai?»
 
Si voltò dall’altra parte, non appena suo padre iniziò quella conversazione. Non era intenzionata a parlare con lui, visto che difendeva le assurde intenzioni della madre.
 
«Vattene, papà, lasciami sola»
 
 «Da quando mi mandi via?»
 
 «Da quando mi menti»
 
Reduce dal dialogo con Hermione sulle sue partite di Quidditch clandestine, comprese subito a cosa la figlia si stesse riferendo.
 
«Intendi … Rosie, mi dispiace, non l’ho fatto con malizia. Scusa, ma a te chi lo ha detto, se alla mamma non parli?»
 
«Poco importa. Vattene»
 
Qualcosa non quadrava a Ron, quando l’aveva visto si era gettata tra le sue braccia, quindi quello delle partite doveva essere solo un pretesto e arrabbiata per la notizia ricevuta prima della partita, gli stava attribuendo ogni possibile colpa. Indugiò qualche istante, ma non era pronto ad affrontare quella discussione e nemmeno quella ragazza dopo l’incidente, Hannah non gli aveva raccomandato altro di riposare. Si diresse rassegnato verso la porta, ma quando fece per aprirla, la voce di Rose, molto più accondiscendente, raggiunse le sue orecchie.
 
«Mi mancherai papà»
 
«Tesoro, ma io non sparisco. Diamo alla mamma il tempo di trovare un sostituto, nel frattempo le do una mano, ma ti garantisco che saremo entrambi presenti»
 
«Tu ci credi veramente, vero?»
 
«Certo che ci credo ... per quale ragione non dovrei credere a tua madre?»
 
«Forse perché non è così semplice quello che vuole fare»
 
Lo stupì la razionalità della figlia, ma infondo, nonostante l’età, aveva sempre dimostrato una certa maturità.
 
«Ma tu hai ancora undici anni, vero? Poco più di un mese lontano da casa e sei diventata una signorina»
 
«Papà, sono seria»
 
«Anche io, tesoro, e non ho alcun motivo di non fidarmi della mamma»
 
«Io non sto dicendo che non devi fidarti di lei, ma non è detto che risolverete il problema così. Papà, Albus mi ha aiutata a capire quanto tu abbia fatto per me e Hugo in questi anni, l'ho dato per scontato. Non risolverai alcun problema con la mamma, se ti lascerai coinvolgere al Ministero, ma anzi peggiorerà tutto con noi e con lei»
 
Ron rifletté sulle parole della figlia, per giorni non aveva fatto altro che pensarci e valutare pro e contro, forse come mai aveva fatto nella sua vita.
 
«Sai, Rose, se dovessimo avere bisogno di una consulenza matrimoniale, sarai la prima che interpelleremo»
 
Ritornò indietro appositamente per porgere con un sorriso un bacio sulla fronte della ragazza.
 
«Ora riposa, piccola»
 
Stava uscendo stavolta più convinto, ma Rose glielo impedì nuovamente.
 
«Papà. Chi ha vinto?»
 
«Serpeverde»
 
Rose sorrise, nonostante il padre non sembrasse altrettanto entusiasta per come quella partita si era conclusa. La vittoria però dal punto di vista di Rose avrebbe senza dubbio aiutato Albus a sentirsi più a casa e ciò era molto più importante di qualsiasi coppa.
 
«Sei felice di aver perso?»
 
«Albus ha vinto e poi se lo meritava dopo avermi aiutata»
 
«Giusto, dimenticavo, tu e tuo cugino siete inseparabili. Rose, so che ti sei distratta per colpa mia, avrei dovuto parlarti del mio lavoro al Ministero dopo la partita, mi dispiace, per fortuna non ti sei fatta troppo male, altrimenti la mamma mi avrebbe sicuramente ucciso per aver parlato senza un accordo con lei. La prossima volta non avrai motivo di deconcentrarti e potrai giocare nel pieno delle tue capacità, sono sicuro che sarai bravissima. Ti va di dare un saluto veloce alla mamma prima di riposare un po’?»
 
«Non mi va di vederla»
 
Non insistette, l'espressione della figlia non lasciava spazio ad alcuna replica, così uscì dalla stanza triste e appena fuori, proprio in prossimità della porta, trovò Hermione.
 
«Come sta?»
 
«Sta bene, ma …»
 
«… non vuole parlarmi, ho sentito. Non ha tutti i torti, infondo la sto privando di un papà che l’ha cresciuta»
 
Una lacrima scese lungo la guancia di Hermione, ma il fatto che si fosse voltata verso il corridoio lasciò Ron perplesso sul motivo di quella reazione. Lei tentò quasi subito di colmare i dubbi del marito.
 
«Ricordi … quando sono stata pietrificata? Era il nostro secondo anno ad Hogwarts»
 
«Hermione, non capisco cosa c’entri»
 
«L’erede di Serpeverde aveva aperto la Camera dei Segreti»
 
«Tesoro, era stato Voldemort … anzi mia sorella sotto la sua influenza»
 
«Come abbiamo fatto a non accorgerci dell’astio che c’è tra Grifondoro e Serpeverde? È ancora presente ad Hogwarts, insieme a quelle assurde idee sulla purezza del sangue. E la cosa peggiore è che ora questa Scuola viene frequentata da nostra figlia e dai figli di quei compagni che avrebbero solo voluto vedere morta una mezzosangue come me. Oggi Rose è finita in Infermeria per questa ragione»
 
Lo prese in contropiede, anche lui aveva capito che quel problema fosse presente e stava coinvolgendo sua figlia, ma iniziava ad essere in seria difficoltà, era circondato da problemi che lo riguardavano in prima persona.
 
«O-ok, frena, una questione per volta. A questo penseremo. Innanzitutto Rose si è distratta per colpa mia e, consentimi, i Battitori dei Grifondoro non hanno svolto il loro lavoro. Fossi nella McGranitt darei una punizione anche a loro e non solo ai Serpeverde che l'hanno attaccata»
 
«Non c’è più tempo di aspettare, con che spirito pensi che lascerò mia figlia in questa scuola? In balìa di chi la vuole vedere morta? Scorpius e i ragazzi si sono scontrati per divergenze passate, hai sentito Malfoy, uno che parla ancora così cosa può aver insegnato a suo figlio?»
 
«Se per divergenze intendi che ho una gran voglia di rompere i denti a Malfoy»
 
«Ron!»
 
Alzò le mani in segno di resa e innocenza.
 
«Ma non lo farò, tranquilla. Purché lui non infastidisca me e la mia famiglia, io non infastidirò lui»
 
«No, Ronald, tu non risponderai alle sue provocazioni, a prescindere da tutto. Voglio che questo assurdo astio finisca e se dobbiamo essere noi a muovere un passo verso loro affinché ciò accada, lo faremo senza alcuna condizione»
 
L’arrivo di Albus e Scorpius, ancora con indosso le loro divise di Quidditch, li interruppe senza dare modo a Ron di opporsi. Il nipote sembrava essere piuttosto preoccupato.
 
«Zia! Come sta Rose?»
 
«Meglio»
 
«Mi dispiace, ho provato a proteggerla»
 
«Non spetta a te difendere un componente della squadra avversaria, tranquillo, tesoro»
 
Hermione notò solo in quel momento che Albus era arrivato in compagnia.
 
«Ciao, Scorpius. Siete diventati amici?»
 
«Ora non esageriamo, zia»
 
Scorpius non rispose e non ricambiò nemmeno il saluto, si limitò ad andarsene confermando i timori di Hermione circa il conflitto tra le loro famiglie. Non riuscirono a capire quali parole, se quella di Hermione o di Albus, potessero averlo infastidito.
 
«È strano quel ragazzo, sai, Al?»
 
«È un Malfoy, che cosa ti aspetti?»
 
 
 
 


Ciao ragazzi!
 
Il ritardo è colossale ed anche la lunghezza di questo capitolo, perdonatemi per entrambe le cose, non sono riuscita ad aggiornare prima questa storia e nemmeno a spezzare il capitolo, tenere insieme le due parti era l’unico modo che aveva per dare un filo logico alla narrazione.
 
Ringrazio in modo particolare la mia carissima amica HarryPotter394 che mi ha dato delle preziose dritte sulla questione arei e aeroporti, un terreno parecchio ignoto per me XD
 
In questo capitolo credo di aver affrontato ogni sorta di problema e aver narrato, poco o tanto, di tutte le coppie/famiglie coinvolte, spero di non aver fatto troppa confusione e di non avervi annoiato.
 
Vi ringrazio come sempre di cuore per la pazienza con cui mi seguite <3
 
Alla prossima!
Baci
-Vale
   
 
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