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Autore: Deruchette    23/12/2020    2 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 30

In the still of the night

 

 

 

 

30.

 

- Perché non fanno nulla per salvarlo? – chiedo per l’ennesima volta ad Haymitch. – Perché lo lasciano lì a soffrire? Lo stanno facendo morire!
- Perché per loro è poco più di un doppiogiochista, e loro non li salvano, i doppiogiochisti – Haymitch è arrabbiato quanto me, o forse anche di più. – Cosa credi, che non ci abbia già provato a convincerli? Non vogliono nemmeno prendere in considerazione l’idea.
- Finché è stato utile ai loro scopi però lo hanno tenuto in considerazione, eh? – me ne esco. – Finché cercavano di ammazzarci all’interno dell’arena, andava tutto bene! E andava bene anche a te, visto che eri in combutta con loro!
- Frena la lingua, ragazzina…
- Perché? Ha ragione lei – dice Gale.
- Lo so che ha ragione, lo so benissimo! – urla, frustrato. – So che è anche per colpa mia se il ragazzo si ritrova in quell’inferno di posto, e rimpiangerò per tutto il resto della mia vita di non averlo salvato in tempo.
- Non per tutta la vita – dico, risoluta, avvicinandomi a lui. – Se Peeta muore prima che facciate davvero qualcosa per salvarlo, ci penserò io stessa ad ucciderti.
- Katniss… - mi ammonisce Gale.
- No, ragazzo, lasciala parlare. Mi sta bene – Haymitch ricambia il mio sguardo. – Ma non riuscirai a farlo, se ci arrivo prima io al suicidio.
- Non provarci, Haymitch. Me lo devi. Hai infranto un patto, ricordatelo – Peeta vive, io muoio. – E adesso devi correre ai ripari.

 

Ma nessuno è ancora corso ai ripari.
Il diverbio tra me ed Haymitch è vecchio di giorni, ormai, e da allora non è ancora accaduto nulla. Non ci sono stati altri Pass-Pro in onda per tutta Panem e non ci sono state altre comparsate di Peeta in diretta televisiva. Non so se sta bene, se è peggiorato. Non so se è ancora vivo. Ma immagino che me lo avrebbero fatto sapere, se fosse morto. Il presidente Snow non mi lascerebbe mai con questo dubbio, nell’eventualità.
In questi giorni di stasi non faccio niente, assolutamente niente. Sul mio programma non ci sono accenni alle riprese o quant’altro, quindi mi viene naturale abbandonare i miei doveri e tornare a rintanarmi nei miei soliti nascondigli per evitare gente. Evito Haymitch, evito Plutarch e la sua assistente, evito Effie. Evito persino Cressida, che trovo simpatica e che non ha mai fatto nulla di male nei miei confronti. So che sta realizzando alcuni interventi video insieme a Finnick, una sorta di ricordo per tutti i vincitori che sono caduti durante l’Edizione della Memoria e durante i primi giorni della rivolta, quando il presidente Snow espresse l’ordine di ucciderli tutti quanti. Ci sono pochi superstiti: i quattro che si trovano al 13, i quattro che si trovano a Capitol City… e, forse, nessun altro. Per Finnick deve essere difficile raccontare ciò che ricorda degli altri vincitori perché li ha conosciuti quasi tutti. Anche per Haymitch deve essere difficile, ma lui non vuole prendere parte a nessuna registrazione. E non mi importa molto di Haymitch, ora come ora. Potrebbe anche tornare ad ubriacarsi, per quel che mi riguarda.
In questi giorni evito anche Gale. Non voglio vedere nessuno, e se non fosse per l’alloggio che condivido con la mia famiglia, non vorrei vedere neanche loro. Gli unici momenti in cui incontro gente sono quelli destinati ai pasti, e capita solo perché non posso restare a digiuno per sempre; dopo aver mangiato in fretta e furia la mia razione di cibo, scappo di nuovo via.
Dopo il lieve miglioramento, sono di nuovo ricaduta nel mio oblio fatto di solitudine autoinflitta. E mi sta bene. La sopporto più che volentieri, la solitudine. Non posso ferire nessuno se sono da sola.
La solitudine però termina quando, una mattina, incontro Boggs in un corridoio. E lui mi rincorre e mi ferma prima che possa andare a rifugiarmi da qualche parte.
- Sei desiderata, soldato Everdeen – dice, stringendo la presa sul mio avambraccio.
Cerco di divincolarmi, ma smetto praticamente subito. Prima o poi doveva accadere.
Boggs mi accompagna fino alla mia destinazione e non molla un istante la presa su di me. È come se mi tenesse al guinzaglio, come se fossi un cane sfuggente e male addomesticato e lui fosse il mio padrone con la pazienza di un santo. Non mi porta al Comando, però, ma al Rinnovamento. Il quartier generale di Cressida.
- Perché sono qui? – chiedo bruscamente.
- Hai del lavoro da fare – si limita a dire. Apre la porta e mi fa segno di entrare.
Cressida ha bisogno di me e di Gale, oggi, per tornare al Distretto 12 e realizzare delle riprese. Vuole che il pubblico ci veda sui luoghi in cui siamo cresciuti e che abbiamo perso quella fatidica notte, durante i bombardamenti. Ovviamente, ci chiede se ce la sentiamo di tornare a casa.
- Va bene – dico, senza attendere la risposta del mio amico.
Qualsiasi cosa mi va bene, a patto che non sia restare qui senza poter fare nulla di concreto, col pensiero fisso su Peeta torturato. O morto.
Dopo il breve volo in hovercraft siamo di nuovo sulla piazza, davanti al Palazzo di Giustizia distrutto. Non è cambiato molto da quando sono stata qui, poco più di dieci giorni fa. Come potrebbe cambiare qualcosa, dopotutto? L’unica cosa diversa è che non sono da sola, a guardare lo scempio in cui è stato ridotto il mio vecchio distretto. Ci sono Cressida e la sua troupe, e Gale naturalmente. Nessuna scorta, solo noi. Io e Gale abbiamo le nostre armi, ma non dovrebbero servirci. Sono solo per scena.
A nessuno verrebbe in mente di attaccarci qui. A chi verrebbe in mente di attaccare un distretto completamente raso al suolo e privo di vita?
Dovrei essere ormai abituata all’orrore che mi circonda. Ci ho trascorso un pomeriggio intero, dopotutto, ma allo stesso tempo è come se lo vedessi per la prima volta. È come se fossi caduta dalle nuvole, è come se la devastazione fosse accaduta soltanto pochi giorni fa. Per Gale deve essere lo stesso: lo vedo nel modo in cui si guarda intorno, nel modo in cui cerca di distinguere le strane forme che ci circondano. Lui ha visto le bombe cadere e le fiamme, ma lo ha visto dai boschi, lo ha visto da lontano. Non ha mai visto davvero ciò che accadeva qui.
Cressida ci riprende mentre percorriamo la strada per il Giacimento. Ho paura di tornarci, perché so cosa ci aspetta una volta lì. Dentro di me, temo e spero allo stesso tempo di non essere costretta di nuovo a vedere i cani selvatici che si nutrono di ciò che rimane della popolazione del 12. Ma non ci sono cani selvatici, stavolta. I morti sì, però. Quelli non se ne possono andare. Gale mi aiuta ad attraversare la valle della morte perché io tengo gli occhi chiusi, incapace di sopportare oltre quella vista.
Facciamo visita alle nostre vecchie case. Cressida ci chiede di dire qualcosa mentre veniamo ripresi in mezzo a ciò che resta dei nostri oggetti personali. Della mia vecchia casa, quella in cui vivevo prima di trasferirmi al Villaggio dei Vincitori, è rimasto solo il caminetto, quasi intatto. La maggior parte delle nostre cose sono salve perché non si trovavano qui, al momento dei bombardamenti. Non dico nulla, mi limito a guardare il cielo attraverso l’enorme buco che si trova al posto del tetto. Gale fa lo stesso quando visita quella che è stata casa sua fino ad un mese e mezzo fa. Non riusciamo a dire nulla, perché tutto questo non ha bisogno di parole. Il silenzio è più che sufficiente.
Cressida passa allo step successivo e, dopo esserci allontanati dal Giacimento, chiede a Gale di ripercorrere quella lunga notte: una sorta di viale dei ricordi. Lo seguiamo mentre racconta ciò che ha fatto, come è riuscito a far fuggire ottocento persone attraverso la recinzione abbattuta fino ai boschi. Percorriamo lo stesso tragitto di quella notte, tra la calura e la vegetazione, fino al lago, dove i superstiti hanno trovato un rifugio temporaneo ed il modo di sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi, che li ha condotti poi al Distretto 13.
A questo punto ci fermiamo, decidiamo di concederci un po' di riposo dopo la camminata che ci ha condotti al lago e ci dedichiamo al pranzo a sacco che ci siamo portati dietro. All’ombra degli alberi, tra la quiete che circonda il lago, consumiamo il nostro pasto.
Ho sempre provato conforto nel tornare qui, ricordando i giorni spensierati che vi ho trascorso insieme a mio padre. Mi ci ha sempre portato, da quel che posso ricordare. Quando avevo cinque anni mi insegnò a nuotare, ed una volta che avevo imparato divenne veramente difficile convincermi ad uscire fuori dall’acqua per tornare a casa. Me lo diceva sempre, il mio papà, che ero nata nel posto sbagliato. E l’ho pensato anche io, nell’arena dell’Edizione della Memoria, quando sono riuscita a trovare conforto solo all’interno del mare della cornucopia.
Non sono tornata qui molte volte subito dopo la morte di papà; cominciai a tornarci regolarmente solo dopo aver preso a frequentare i boschi giornalmente, per via della caccia. E ci portai anche Gale, quando diventammo amici. L’anno scorso, questo posto è stato testimone silenzioso del nostro bacio. Il bacio rivelatore, come l’ho definito nella mia testa. Perché è stato grazie a quel bacio che capii che non avrei mai, mai potuto ricambiare i suoi sentimenti come avrebbe voluto che facessi. Perché un ragazzo gentile, dai capelli dorati e con gli occhi azzurri come il cielo, era arrivato prima di lui.
Ci ho portato anche Peeta, un paio di volte, sul finire dell’estate. L’ho praticamente costretto a buttarsi in acqua per insegnargli i rudimenti del nuoto e lui mi ha accontentata, divertito. E appena è stato in grado di starmi dietro dentro l’acqua ha cominciato ad affogarmi. Sono stati i giorni più belli, quelli. Senza problemi, senza paure, senza avere la sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato, o di proibito… senza sapere che il destino ci stava per riservare una brutta sorpresa.
Se penso che è stato grazie a me che ha imparato a nuotare, e che saper nuotare gli ha in qualche modo consentito di raggiungermi nell’ultima arena… sarebbe potuta andare molto peggio di così.
Perché non c’è mai limite al peggio.
Pollux, l’operatore di camera senza voce, ad un certo punto mi indica un uccellino nero che si è posato su una pietra poco distante da noi. Ho un brivido, ripensando alle ghiandaie chiacchierone che avevano assalito me e Finnick nell’arena, ma poi vedo le macchie bianche sotto le sue ali e capisco che non si tratta di quella specie in particolare. È la sua progenie.
- È una ghiandaia imitatrice – dico, sorridendo. È il mio alter ego, ma in carne ed ossa. E piume.
Mostro a Pollux il modo in cui le imitatrici riproducono i suoni che ascoltano, trasformandole in melodie affascinanti: fischio, variando di poco il motivetto di tanto in tanto, e loro lo rifanno quasi istantaneamente. Anche Pollux si unisce al mio gioco, fischiettando. In breve, non è più solo la nostra piccola ghiandaia a seguire le nostre note, ma anche le altre che ci stanno intorno, nascoste nel fogliame degli alberi, o che si librano nell’aria.
- E chi le azzitta più – se ne esce Gale ad un certo punto.
Pollux sorride, divertito. Mima una serie di indicazioni per me: più che indicazioni, una richiesta.
Mi chiede di cantare.

Cantare. Di nuovo. Avevo giurato a me stessa che non avrei cantato mai, mai più. Ma ho infranto la promessa la sera prima di entrare nell’arena. Ci sono così tante canzoni che conosco tra cui scegliere… e la scelta, alla fine, ricade su un motivetto semplice, che si ripete per quattro volte con poche ed infinitesimali varianti, che sentii anni fa dalla bocca di mio padre. È una canzone proibita, al Distretto 12, una canzone che nessuno vuol sentire per il macabro e cupo significato che si trascina dietro. È una canzone vecchia di anni, di decenni, forse. Non so chi l’abbia scritta, e per quale motivo l’abbia fatto. Ma ormai non esiste più, il Distretto 12, e nessuno verrà a lamentarsi se la canto di nuovo. Nessun vecchio abitante del 12, a parte Gale che è qui insieme a me, ascolterà più questa canzone.

 

Are you, are you,
coming to the tree
they strung up a man
they say who murdered three?...

 

Pollux mi fissa mentre canto, mentre le ghiandaie imitatrici e tutti gli altri uccellini si zittiscono nel sentire il suono della mia voce. Come facevano per mio padre. Dicevano tutti che aveva una voce bellissima, ed io me la ricordo a malapena. Il tempo la sta cancellando piano piano. Sento un ronzio alle mie spalle e lo riconosco per quello che è: il ronzio di una telecamera in azione. Mi stanno riprendendo. Cerco di ignorare il ronzio e continuo a cantare, guardando un punto imprecisato davanti a me.

 

if we met at midnight
In the hanging tree…

 

Quando termino la mia canzoncina, un improvviso silenzio ci circonda tutti quanti, ma viene velocemente rimpiazzato dai suoni riprodotti dalle gole delle imitatrici. L’Albero degli Impiccati, riprodotta dalle loro voci, è ancora più struggente. È bellissima.
Pollux, accanto a me, ha cominciato a piangere.

 

- Ma dove le tiri fuori certe cose? – mi chiede Plutarch, ammirato. – Se ce le inventassimo noi, non ci crederebbe nessuno!
Subito dopo cena, la sera stessa della nostra tappa al Distretto 12, un messaggio urgente è stato inviato al bracciale comunicatore di Gale con l’ordine di scostarmi velocemente al Rinnovamento. Cressida doveva aver già montato e preparato qualche nuovo pezzo da trasmettere via etere, ci siamo detti io e Gale mentre ci avviavamo per l’incontro, ma una volta lì abbiamo scoperto che aveva fatto qualcosa di più, del semplice montare.
Cressida ha preso i filmati singoli di me e Gale che camminiamo, spaesati e scossi, lungo tutto ciò che rimaneva del 12, e ha usato la canzone dell’Albero degli Impiccati come colonna sonora. Nel video le mie labbra sono serrate e rigide, non si muovono, ma la mia voce risuona comunque alta e forte, ed inconfondibile.
La regista lo ha mostrato a Plutarch per avere la sua approvazione e lui è rimasto così tanto sorpreso ed entusiasta del risultato da chiamarci per mostrarcelo subito, prima ancora che venga messo in onda.
- È fantastico – dice Gale, colpito. – Katniss è stata fantastica.
- Non l’ho fatto per le telecamere – dico, quasi giustificandomi, appena termina il filmato.
- Non saresti così sensazionale se lo facessi per le telecamere – esclama Plutarch, stringendomi una spalla soddisfatto. – Sei spontanea, Katniss, semplicemente spontanea. Continua così!
- Da domani andrà in onda su tutti i canali dei distretti – ci informa Cressida, compiaciuta. – Anche nel 2. E appena Beetee riuscirà a superare la sicurezza informatica di Capitol City, lo vedranno anche in città.
- Non ci è ancora riuscito?
- Non ancora, ma è sulla buona strada per farcela. È questione di pochi giorni, al massimo.
Così, come è accaduto anche pochi giorni fa, il nuovo Pass-Pro viene trasmesso regolarmente e replicato per la maggior parte della giornata e lo sarà anche per i giorni successivi. Stavolta, però, è inframmezzato da alcuni spezzoni di Finnick che racconta alla popolazione di Panem i suoi ricordi dei vincitori e dei tributi uccisi in anni e anni di Hunger Games. Ricorda persino i tributi che sono stati uccisi durante la sua edizione, alcuni dei quali è stato costretto ad ucciderli lui stesso. E ricorda quelli a cui ha fatto da mentore. Non accenna minimamente ad Annie, ma lo sguardo perso nel vuoto che assume durante le brevi pause è dovuto a lei. Ogni momento della giornata in cui non è impegnato in qualcosa è buono per pensare ad Annie.
Lo stesso discorso può essere rivolto anche alla sottoscritta. E da ieri la mia preoccupazione si è intensificata ulteriormente, dal momento esatto in cui Cressida ha detto che presto anche gli abitanti di Capitol City potranno vedere i Pass-Pro che stiamo registrando qui al 13. Non è il fatto che possano vederli a preoccuparmi, ma più quello che potrebbero fare a Peeta. Lo stato pietoso in cui vertono ora le sue condizioni è dovuto tutto al fatto che sta cercando di proteggermi, mentendo alla nazione e a colui che la governa… ma cosa potrebbero fargli, appena avranno l’effettiva certezza dell’esistenza dei Pass-Pro? Cosa impedirà loro di procedere con altri tipi di tortura e di brutalità? Nulla, a dire la verità.
Procederanno comunque, anche se non è colpa di Peeta. Procederanno al solo scopo di vendicarsi della Ghiandaia Imitatrice, accanendosi sull’unica persona che hanno a disposizione e che lei ama con tutta sé stessa.
Vorrei tornare indietro nel tempo e non aver accettato il ruolo di portavoce della rivolta, se questo significa garantire un minimo di sollievo alle sofferenze di Peeta. Ma non posso farlo, e non posso nemmeno cedere il mio posto a qualcun altro, a causa del patto che ho stretto con la presidente Coin. Essere la Ghiandaia Imitatrice in cambio dell’immunità per Peeta e per il resto dei vincitori prigionieri.

Ma cosa mi è saltato in mente?
- Non aggrottare così la fronte, Katniss! Ricorda: pensare troppo fa venire le rughe1 – mi ammonisce Effie, brandendo il pennello della cipria in modo minaccioso verso di me.
- Morirò rugosa, allora – sbotto.
- Non la penserai più così, tra trent’anni. Fidati, so di cosa parlo.

Perché, tra trent’anni sarò ancora viva? Sarebbe un miracolo insperato. Invidio l’ottimismo di Effie, che nonostante tutto non l’ha mai abbandonata e che continua a pensare ancora in pieno stile Capitol City. A chi importa se mi vengono le rughe? A nessuno importa, solo a lei.
È tutta presa e concentrata nel suo compito di cancellare quelle che mi sono già fatta uscire prematuramente, prima di spedirmi di nuovo davanti alle telecamere di Cressida. Non è prevista nessuna trasferta per oggi, nessun Pass-Pro degno di nota adesso che c’è ancora in circolo quello sul Distretto 12. Oggi, dovrò solo sedermi e parlare dei tributi che ho avuto l’opportunità di conoscere nelle mie due trasferte nell’arena. Ricoprirò lo stesso compito che ha svolto Finnick prima di me. Non sarà per niente facile ripercorrere quelle giornate e ripensare a chi non c’è più, soprattutto se penso che molti di loro non ho nemmeno avuto l’opportunità di conoscerli sul serio. C’è giusto Rue di cui vorrei parlare, e Mags. Loro sono le persone che ho conosciuto davvero, senza contare i pochi di noi ancora vivi.
Effie mi lascia andare, soddisfatta per la sua opera, ed io mi incammino fino ad arrivare al centro del teatro di posa, che ormai conosco così bene. Sul piedistallo c’è uno sgabello di metallo, su cui prendo posto. Cressida si trova di fronte a me e legge degli appunti che Messalla le sta mostrando su un bloc notes. Castor e Pollux sono invece posizionati rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra, pronti a riprendermi da ogni angolazione.
- Sei pronta, Katniss? – mi chiede Cressida, sorridendo.
Annuisco, stringendo le mani tra le ginocchia. Sono tesa, più che pronta.
Come se sapessero che sto preparandomi a fare qualcosa controvoglia e per cui non sono per niente a mio agio, delle persone spalancano la porta ed entrano nel teatro di posa in fretta, facendo un casino abnorme. Queste persone sono Gale ed Haymitch.
- Che succede? – chiede Cressida.
- Sta per iniziare un programma in diretta, da Capitol City. Parlerà Snow – dice Haymitch, col fiatone. – Beetee crede di riuscire a manipolare la loro trasmissione su scala nazionale.
Non era solamente questione di giorni, allora, ma di ore. Beetee è riuscito a superare persino sé stesso.
Scendo dallo sgabello e mi precipito fuori dal teatro, correndo dietro ai due uomini che sono venuti ad avvisarmi.

 

Siamo di nuovo al Comando, gremito di persone, in attesa che cominci il programma. Noto che c’è anche Finnick stavolta, quando normalmente a lui non è permesso di prendere parte a questo tipo di incontri. Potrebbe, forse, se non fosse per il suo piccolo problema di “confusione”, ma fino ad ora non era mai successo. Vado verso di lui ed annuncio la mia presenza mettendogli una mano sulla spalla. Finnick distoglie gli occhi dalla corda mezzo annodata che ha in mano. Non ha mai smesso di annodare quella corda da quando siamo arrivati al 13.
- Ehi, Katniss – mi saluta.
- Ciao, Finnick – ricambio.
- Pronta per lo show?
- Ovviamente – dico, ma non ci credo sul serio.
Lo schermo, che era nero fino ad un secondo fa, si illumina mostrando il sigillo di Capitol City, accompagnato dal solito inno. Ci azzittiamo di colpo, presi dalle immagini che seguiranno e di cui non abbiamo la minima idea di quali potrebbero essere. L’unica cosa che sappiamo è che parlerà il presidente Snow.
Ma di Snow, scopriamo, non vi è nessuna traccia.
C’è solamente Peeta, al centro dello studio televisivo. Una telecamera avanza lentamente su di lui, ritagliando la sua immagine fino a che non è inquadrata dal busto in su. Il movimento compiuto dalla telecamera ci ha permesso di vedere i piccoli cartoncini che stringe tra le mani, mani che adesso non si vedono più. Deve essere quello, il messaggio del presidente. Ma sarà Peeta a leggerlo. Sarà il messaggero per tutta Panem.
- Sta peggio – mormoro, guardando il suo viso. Le ombre ci sono ancora, e se possibile sembrano ancora più marcate. E stavolta non hanno fatto nessun vero sforzo per coprire i suoi lividi: ne ha uno bello grosso sotto l’occhio destro, che sta diventando verde.
Finnick mi stringe forte la mano.
Peeta prende un respiro prima di cominciare a leggere i cartoncini, e questo gli provoca una smorfia di dolore. Sta decisamente peggio, penso, raggelata. Fatica a respirare, e questo vuol dire solo una cosa: che sotto i bei vestiti con cui lo hanno ricoperto, c’è un corpo ferito.
- Cittadini di Panem, non c’è mai stato come oggi un così disperato bisogno di un cessate il fuoco. A nome del presidente Snow, mi rivolgo principalmente ai gruppi di Ribelli che stanno ignorando da settimane questa richiesta – dice Peeta, leggendo i cartoncini. - Ciò che fate, ciò che causate, non gioverà a vostro favore. La maggior parte dei distretti sta soffrendo per le azioni che commettete ogni giorno-
L’immagine di Peeta sparisce all’improvviso, lasciando il posto all’inquadratura della piazza distrutta del Distretto 12 e alla mia voce che canta la canzone.

 

Are you, are you,
coming to the tree
where I told you to run
so we’d both be free…

 

- Ce l’ha fatta! Beetee si è inserito! – urla Plutarch.
Le persone intorno a me applaudono ed esultano, mentre Beetee, che si trova a diversi livelli di distanza rispetto a dove siamo noi adesso, lascia di nuovo il campo libero a Peeta. Mi si stringe il cuore quando rivedo il suo viso: ha le lacrime agli occhi, la bocca aperta in un’esclamazione muta ed il respiro affrettato. Capisco che non è stata solo Panem a sentire la mia voce, ma che l’ha sentita anche lui. Ha sentito la canzone.
- Katniss – lo vedo mimare con le labbra. Gira la testa a destra e a sinistra, velocemente, e poi la abbassa. Riprende a leggere, ma la sua voce non è più ferma come pochi secondi fa. – Ci sono… ci sono state perdite ingenti di beni necessari alla sopravvivenza. La diga che fornisce l’energia elettrica a Capitol City è stata distrutta due giorni fa-
Beetee compie di nuovo la sua magia: sono sullo schermo, di nuovo al posto di Peeta. Cammino davanti a quella che una volta era la panettiera della sua famiglia.

 

Where dead man called out
For his love to flee…

 

Era la peggiore ripresa che avrebbero potuto scegliere di mandare in onda, e per giunta nel momento sbagliato. Peeta non sa cosa è accaduto alla sua famiglia, non sa nemmeno che il Distretto 12 è stato bombardato… e Beetee glielo sta sbattendo in faccia nel peggior modo possibile. È il modo peggiore per conoscere la sorte dei propri familiari e della città in cui è vissuto per diciassette anni.
Quando torna in onda, i suoi occhi sono spenti. Mi ha vista, ne sono sicura, ma non sono sicura sul fatto che abbia riconosciuto o meno il luogo in cui mi hanno ripresa. Se l’ha capito, però, non potrà portare a nulla di buono.
Peeta sta man mano perdendo il controllo di sé stesso: le lacrime che hanno invaso i suoi occhi adesso gli rigano le guance, scendono fino al mento, e cadono sui cartoncini che continuano a non voler inquadrare. Sembra che stia andando in iperventilazione, da com’è rapido il suo respiro.
- Katniss – dice con voce rotta. – Katniss, come finirà tutto questo? Nessuno è al sicuro-
Il messaggio di Peeta viene interrotto di nuovo dalla stessa ripresa di prima.

 

Where dead man called out
For his love to flee…

 

- Basta! - urlo, incapace di trattenermi. – Basta! Sta male! Smettetela!
- Controllati, dolcezza – sussurra Haymitch al mio orecchio, stringendomi con un braccio. – Controllati.
- Devono smetterla! – urlo ancora.
- Mandatela in onda – dice una voce.
- Che cosa?
È stata la Coin a parlare. Scossa, seguo lo sguardo di Haymitch e osservo la presidente che indica lo schermo. – Peeta Mellark riesce a sentire e vedere le registrazioni. Beetee potrebbe essere in grado di collegare la signorina Everdeen in diretta? Potrebbe essere in grado di farli parlare direttamente tra di loro?
- No – scuoto la testa e le lacrime iniziano a rigarmi le guance. – No, vi prego, no. Gli faranno del male, lo uccideranno… non fatelo, vi prego…
Le mie proteste però non vengono ascoltate. La proposta della Coin viene subito messa in atto e nel giro di nemmeno un minuto ho un microfono appuntato sulla camicia, e adesso mi dicono che devo soltanto attendere il segnale di Beetee per poter parlare. Cerco, piangendo, di togliere il microfono ma le mani di Haymitch me lo impediscono. Perché fa così?
- Non posso farlo – singhiozzo. – Non me lo fate fare, per favore… no…
- Fallo per Peeta, Katniss – mormora Finnick al mio orecchio. Non ha mai smesso di tenere la mia mano e adesso ha le braccia attorno alle mie spalle per farmi capire che non sono da sola. Mi bacia una tempia. – Fallo per lui.
- No…
La lunga interferenza con cui hanno coperto gli ultimi preparativi finisce, ed il volto di Peeta torna di nuovo sullo schermo. Il suo volto sembra il riflesso dei miei pensieri: anche lui sembra voler suggerire di mettere fine a tutto. Ma continua a pronunciare il messaggio che l’ultimo attacco di Beetee gli ha impedito di concludere come si deve.
- Nessuno è al sicuro, Katniss. Nessuno. – deglutisce, ed un’ultima lacrima gli solca il viso. – Non a Capitol City. Non nei Distretti. Nessuno è al sicuro…
- Vai, Katniss. Puoi parlargli adesso – mormora Haymitch.
- P-Peeta – balbetto, tirando su col naso. – Peeta? Riesci a sentirmi? Peeta…
La figura di Peeta si irrigidisce, seduto sulla poltrona; alza il viso, lo punta su qualcosa che ha davanti come se si aspettasse di vedermi… ma non può vedermi. Mi ha sentita, però. Ha sentito la mia voce.
- K-Katniss? Katniss, sei tu? Sei lì?
- Peeta! – dico con voce strozzata, cercando di reprimere i singhiozzi nella gola. – Perdonami, Peeta! Perdonami, non sono riuscita a… a salvarti…
- Katniss, no – dice lui, scuotendo la testa. – No, tesoro, non eri tu che mi dovevi salvare-
- Non volevo che accadesse niente di tutto questo, Peeta! Mi dispiace, io… io non volevo…
- Ti prego, Katniss, smettila. Ascoltami, ti prego – Peeta guarda davanti a sé, guarda la telecamera che gli hanno puntato addosso ed io osservo lo schermo che ho davanti. In qualche modo, è come se ci stessimo parlando guardandoci negli occhi. Tremo, guardando le nuove lacrime che gli scorrono sul viso. La presa di Finnick su di me si rafforza, e ad essa si aggiunge quella di Haymitch. - Ascoltami attentamente. Io ti amo, Katniss, ti amo tanto…
- Anche io ti amo, Peeta… - soffio, portandomi le mani sulla bocca.
- …ti amo come non ho mai amato nessun altro al mondo. Devi essere forte, e devi promettermi che… che ti salverai.

Salverai?
- Stanno arrivando al 13. Scappa!
L’ultima parola la urla dritta alla telecamera.
- Peeta! No! Peeta! – strillo, lanciandomi verso lo schermo, ma lui viene portato via.
E le parole della canzone, quell’ultima strofa che continua a risuonare nella mia mente, sembra prendere forma davanti ai miei occhi.

Dove il morto gridò al suo amore di fuggire.
Tra le mie urla e le sue, che cerca di resistere e contrastare i due Pacificatori che lo vogliono allontanare a forza dallo studio televisivo, l’uomo morto della canzone si reincarna nella figura di Peeta, che urla alla sua ragazza di fuggire via. Io sono quella ragazza.
Piango, ignorando il caos in cui è sprofondata la sala di Comando, concentrata su ciò che stanno ancora trasmettendo da Capitol City. La mano di Finnick stringe ancora la mia, ed il braccio di Haymitch è ancora sul mio corpo.
Loro sono con me quando vediamo un Pacificatore colpire Peeta in pieno viso.

E il suo sangue che schizza le mattonelle.

 

Peeta ci ha salvato la vita.
Grazie al suo disperato tentativo, Peeta ci ha avvisati dell’arrivo delle forze aeree che miravano a distruggere il Distretto 13. Grazie a lui, ha impedito che il 13 potesse diventare l’esatta copia del Distretto 12. Grazie a Peeta, abbiamo avuto il tempo necessario per raggiungere il livello più basso previsto dal distretto, un’enorme caverna adibita a rifugio temporaneo contro attacchi aerei e di altra natura, mentre la Coin e chi di competenza gestivano l’esercitazione antiaereo: la scusa con cui ci avevano condotti fin lì. Ma non è mai stata una vera scusa, perché l’informazione di Peeta era vera. Capitol City ci ha attaccato veramente, e a parte i livelli più superficiali, il Distretto 13 non ha subito un danno consistente. Non è morto nessuno durante l’attacco.
Grazie a Peeta, migliaia di persone sono riuscite a sopravvivere.

Chi è il traditore, adesso?

 

 

 

 

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1 I Simpson, 5x14, “Lisa contro Malibu Stacy”. Credo che questa sia una delle più belle puntate dei Simpson che siano mai state prodotte. Muoio dal ridere ogni volta che la vedo, ha dei dialoghi brillanti che il doppiaggio italiano ha reso iconici, e poi ha Leo Gullotta. Geniale. “Il fatto è che mandavo dinaro ai vietconghe”.

 

Credo che sia chiaro ormai a tutti che ho scelto di deviare dal percorso già segnato dalla Collins e deciso che Peeta, in questa storia, non è stato depistato. Il suo non è il comportamento di un ragazzo depistato. E poi la penso come molti di voi: il depistaggio è stata la mossa più crudele che zia Suzanne poteva regalarci. L’ho odiato con tutta me stessa. Ho dovuto mantenerlo segreto più che ho potuto altrimenti avreste capito subito dove sarei andata a parare ^^’ pardon.
L’ultima parte che avete letto è stato, invece, una sorta di esperimento: in Mockingjay part 1, durante la missione di salvataggio, mettono Katniss in collegamento diretto col presidente Snow per dare alla squadra del tempo in più per recuperare i prigionieri e metterli in salvo. Come aggiunta visiva mi è piaciuta molto, tanto che a un certo punto ho pensato di stravolgerla per consentire a Katniss e a Peeta di parlare prima del colpo di scena finale. Non so se su carta funziona altrettanto bene, ma ci tenevo almeno nel provare ad inserirla… fatemi sapere cosa ne pensate :)
E adesso?

 

Intanto che cercate di immaginarvi il proseguimento, vi lascio i miei auguri di buon Natale: spero che possa essere un Natale sereno e felice, nonostante la stranezza del periodo che lo accompagna :*
D.

   
 
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