In the still of the night
30.
-
Perché non fanno nulla per salvarlo? – chiedo per l’ennesima volta ad Haymitch.
– Perché lo lasciano lì a soffrire? Lo stanno facendo morire!
-
Perché per loro è poco più di un doppiogiochista, e loro non li salvano, i
doppiogiochisti – Haymitch è arrabbiato quanto me, o forse anche di più. – Cosa
credi, che non ci abbia già provato a convincerli? Non vogliono nemmeno prendere
in considerazione l’idea.
-
Finché è stato utile ai loro scopi però lo hanno tenuto in considerazione, eh?
– me ne esco. – Finché cercavano di ammazzarci all’interno dell’arena, andava
tutto bene! E andava bene anche a te, visto che eri in combutta con loro!
-
Frena la lingua, ragazzina…
-
Perché? Ha ragione lei – dice Gale.
-
Lo so che ha ragione, lo so benissimo! – urla, frustrato. – So che è anche per
colpa mia se il ragazzo si ritrova in quell’inferno di posto, e rimpiangerò per
tutto il resto della mia vita di non averlo salvato in tempo.
-
Non per tutta la vita – dico, risoluta, avvicinandomi a lui. – Se Peeta muore
prima che facciate davvero qualcosa per salvarlo, ci penserò io stessa ad
ucciderti.
-
Katniss… - mi ammonisce Gale.
-
No, ragazzo, lasciala parlare. Mi sta bene – Haymitch ricambia il mio sguardo.
– Ma non riuscirai a farlo, se ci arrivo prima io al suicidio.
-
Non provarci, Haymitch. Me lo devi. Hai infranto un patto, ricordatelo – Peeta
vive, io muoio. – E adesso devi correre ai ripari.
Ma
nessuno è ancora corso ai ripari.
Il
diverbio tra me ed Haymitch è vecchio di giorni, ormai, e da allora non è ancora
accaduto nulla. Non ci sono stati altri Pass-Pro in onda per tutta Panem e non
ci sono state altre comparsate di Peeta in diretta televisiva. Non so se sta
bene, se è peggiorato. Non so se è ancora vivo. Ma immagino che me lo
avrebbero fatto sapere, se fosse morto. Il presidente Snow non mi lascerebbe
mai con questo dubbio, nell’eventualità.
In
questi giorni di stasi non faccio niente, assolutamente niente. Sul mio
programma non ci sono accenni alle riprese o quant’altro, quindi mi viene
naturale abbandonare i miei doveri e tornare a rintanarmi nei miei soliti
nascondigli per evitare gente. Evito Haymitch, evito Plutarch e la sua
assistente, evito Effie. Evito persino Cressida, che trovo simpatica e che non
ha mai fatto nulla di male nei miei confronti. So che sta realizzando alcuni
interventi video insieme a Finnick, una sorta di ricordo per tutti i vincitori
che sono caduti durante l’Edizione della Memoria e durante i primi giorni della
rivolta, quando il presidente Snow espresse l’ordine di ucciderli tutti quanti.
Ci sono pochi superstiti: i quattro che si trovano al 13, i quattro che si
trovano a Capitol City… e, forse, nessun altro. Per Finnick deve essere
difficile raccontare ciò che ricorda degli altri vincitori perché li ha
conosciuti quasi tutti. Anche per Haymitch deve essere difficile, ma lui non
vuole prendere parte a nessuna registrazione. E non mi importa molto di
Haymitch, ora come ora. Potrebbe anche tornare ad ubriacarsi, per quel che mi
riguarda.
In
questi giorni evito anche Gale. Non voglio vedere nessuno, e se non fosse per
l’alloggio che condivido con la mia famiglia, non vorrei vedere neanche loro.
Gli unici momenti in cui incontro gente sono quelli destinati ai pasti, e
capita solo perché non posso restare a digiuno per sempre; dopo aver mangiato
in fretta e furia la mia razione di cibo, scappo di nuovo via.
Dopo
il lieve miglioramento, sono di nuovo ricaduta nel mio oblio fatto di
solitudine autoinflitta. E mi sta bene. La sopporto più che volentieri, la
solitudine. Non posso ferire nessuno se sono da sola.
La
solitudine però termina quando, una mattina, incontro Boggs in un corridoio. E
lui mi rincorre e mi ferma prima che possa andare a rifugiarmi da qualche
parte.
-
Sei desiderata, soldato Everdeen – dice, stringendo la presa sul mio
avambraccio.
Cerco
di divincolarmi, ma smetto praticamente subito. Prima o poi doveva accadere.
Boggs
mi accompagna fino alla mia destinazione e non molla un istante la presa su di
me. È come se mi tenesse al guinzaglio, come se fossi un cane sfuggente e male
addomesticato e lui fosse il mio padrone con la pazienza di un santo. Non mi
porta al Comando, però, ma al Rinnovamento. Il quartier generale di Cressida.
-
Perché sono qui? – chiedo bruscamente.
-
Hai del lavoro da fare – si limita a dire. Apre la porta e mi fa segno di entrare.
Cressida
ha bisogno di me e di Gale, oggi, per tornare al Distretto 12 e realizzare
delle riprese. Vuole che il pubblico ci veda sui luoghi in cui siamo cresciuti
e che abbiamo perso quella fatidica notte, durante i bombardamenti. Ovviamente,
ci chiede se ce la sentiamo di tornare a casa.
-
Va bene – dico, senza attendere la risposta del mio amico.
Qualsiasi
cosa mi va bene, a patto che non sia restare qui senza poter fare nulla di
concreto, col pensiero fisso su Peeta torturato. O morto.
Dopo
il breve volo in hovercraft siamo di nuovo sulla piazza, davanti al Palazzo di
Giustizia distrutto. Non è cambiato molto da quando sono stata qui, poco più di
dieci giorni fa. Come potrebbe cambiare qualcosa, dopotutto? L’unica cosa
diversa è che non sono da sola, a guardare lo scempio in cui è stato ridotto il
mio vecchio distretto. Ci sono Cressida e la sua troupe, e Gale naturalmente.
Nessuna scorta, solo noi. Io e Gale abbiamo le nostre armi, ma non dovrebbero
servirci. Sono solo per scena.
A
nessuno verrebbe in mente di attaccarci qui. A chi verrebbe in mente di
attaccare un distretto completamente raso al suolo e privo di vita?
Dovrei
essere ormai abituata all’orrore che mi circonda. Ci ho trascorso un pomeriggio
intero, dopotutto, ma allo stesso tempo è come se lo vedessi per la prima
volta. È come se fossi caduta dalle nuvole, è come se la devastazione fosse
accaduta soltanto pochi giorni fa. Per Gale deve essere lo stesso: lo vedo nel
modo in cui si guarda intorno, nel modo in cui cerca di distinguere le strane
forme che ci circondano. Lui ha visto le bombe cadere e le fiamme, ma lo ha
visto dai boschi, lo ha visto da lontano. Non ha mai visto davvero ciò che
accadeva qui.
Cressida
ci riprende mentre percorriamo la strada per il Giacimento. Ho paura di
tornarci, perché so cosa ci aspetta una volta lì. Dentro di me, temo e spero allo
stesso tempo di non essere costretta di nuovo a vedere i cani selvatici che si
nutrono di ciò che rimane della popolazione del 12. Ma non ci sono cani
selvatici, stavolta. I morti sì, però. Quelli non se ne possono andare. Gale mi
aiuta ad attraversare la valle della morte perché io tengo gli occhi chiusi,
incapace di sopportare oltre quella vista.
Facciamo
visita alle nostre vecchie case. Cressida ci chiede di dire qualcosa mentre
veniamo ripresi in mezzo a ciò che resta dei nostri oggetti personali. Della
mia vecchia casa, quella in cui vivevo prima di trasferirmi al Villaggio dei
Vincitori, è rimasto solo il caminetto, quasi intatto. La maggior parte delle
nostre cose sono salve perché non si trovavano qui, al momento dei
bombardamenti. Non dico nulla, mi limito a guardare il cielo attraverso
l’enorme buco che si trova al posto del tetto. Gale fa lo stesso quando visita
quella che è stata casa sua fino ad un mese e mezzo fa. Non riusciamo a dire
nulla, perché tutto questo non ha bisogno di parole. Il silenzio è più che sufficiente.
Cressida
passa allo step successivo e, dopo esserci allontanati dal Giacimento, chiede a
Gale di ripercorrere quella lunga notte: una sorta di viale dei ricordi. Lo
seguiamo mentre racconta ciò che ha fatto, come è riuscito a far fuggire
ottocento persone attraverso la recinzione abbattuta fino ai boschi.
Percorriamo lo stesso tragitto di quella notte, tra la calura e la vegetazione,
fino al lago, dove i superstiti hanno trovato un rifugio temporaneo ed il modo
di sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi, che li ha condotti poi al
Distretto 13.
A
questo punto ci fermiamo, decidiamo di concederci un po' di riposo dopo la
camminata che ci ha condotti al lago e ci dedichiamo al pranzo a sacco che ci
siamo portati dietro. All’ombra degli alberi, tra la quiete che circonda il
lago, consumiamo il nostro pasto.
Ho
sempre provato conforto nel tornare qui, ricordando i giorni spensierati che vi
ho trascorso insieme a mio padre. Mi ci ha sempre portato, da quel che posso
ricordare. Quando avevo cinque anni mi insegnò a nuotare, ed una volta che
avevo imparato divenne veramente difficile convincermi ad uscire fuori
dall’acqua per tornare a casa. Me lo diceva sempre, il mio papà, che ero nata
nel posto sbagliato. E l’ho pensato anche io, nell’arena dell’Edizione della
Memoria, quando sono riuscita a trovare conforto solo all’interno del mare
della cornucopia.
Non
sono tornata qui molte volte subito dopo la morte di papà; cominciai a tornarci
regolarmente solo dopo aver preso a frequentare i boschi giornalmente, per via
della caccia. E ci portai anche Gale, quando diventammo amici. L’anno scorso,
questo posto è stato testimone silenzioso del nostro bacio. Il bacio
rivelatore, come l’ho definito nella mia testa. Perché è stato grazie a
quel bacio che capii che non avrei mai, mai potuto ricambiare i suoi sentimenti
come avrebbe voluto che facessi. Perché un ragazzo gentile, dai capelli dorati
e con gli occhi azzurri come il cielo, era arrivato prima di lui.
Ci
ho portato anche Peeta, un paio di volte, sul finire dell’estate. L’ho
praticamente costretto a buttarsi in acqua per insegnargli i rudimenti del
nuoto e lui mi ha accontentata, divertito. E appena è stato in grado di starmi
dietro dentro l’acqua ha cominciato ad affogarmi. Sono stati i giorni più
belli, quelli. Senza problemi, senza paure, senza avere la sensazione di star
facendo qualcosa di sbagliato, o di proibito… senza sapere che il destino ci
stava per riservare una brutta sorpresa.
Se
penso che è stato grazie a me che ha imparato a nuotare, e che saper nuotare
gli ha in qualche modo consentito di raggiungermi nell’ultima arena… sarebbe
potuta andare molto peggio di così.
Perché
non c’è mai limite al peggio.
Pollux,
l’operatore di camera senza voce, ad un certo punto mi indica un uccellino nero
che si è posato su una pietra poco distante da noi. Ho un brivido, ripensando
alle ghiandaie chiacchierone che avevano assalito me e Finnick nell’arena, ma
poi vedo le macchie bianche sotto le sue ali e capisco che non si tratta di
quella specie in particolare. È la sua progenie.
-
È una ghiandaia imitatrice – dico, sorridendo. È il mio alter ego, ma in carne
ed ossa. E piume.
Mostro
a Pollux il modo in cui le imitatrici riproducono i suoni che ascoltano,
trasformandole in melodie affascinanti: fischio, variando di poco il motivetto
di tanto in tanto, e loro lo rifanno quasi istantaneamente. Anche Pollux si
unisce al mio gioco, fischiettando. In breve, non è più solo la nostra piccola
ghiandaia a seguire le nostre note, ma anche le altre che ci stanno intorno,
nascoste nel fogliame degli alberi, o che si librano nell’aria.
-
E chi le azzitta più – se ne esce Gale ad un certo punto.
Pollux
sorride, divertito. Mima una serie di indicazioni per me: più che indicazioni,
una richiesta.
Mi
chiede di cantare.
Cantare.
Di nuovo. Avevo giurato a me stessa che non avrei cantato mai, mai più. Ma ho
infranto la promessa la sera prima di entrare nell’arena. Ci sono così tante
canzoni che conosco tra cui scegliere… e la scelta, alla fine, ricade su un
motivetto semplice, che si ripete per quattro volte con poche ed infinitesimali
varianti, che sentii anni fa dalla bocca di mio padre. È una canzone proibita,
al Distretto 12, una canzone che nessuno vuol sentire per il macabro e cupo
significato che si trascina dietro. È una canzone vecchia di anni, di decenni,
forse. Non so chi l’abbia scritta, e per quale motivo l’abbia fatto. Ma ormai
non esiste più, il Distretto 12, e nessuno verrà a lamentarsi se la canto di
nuovo. Nessun vecchio abitante del 12, a parte Gale che è qui insieme a me,
ascolterà più questa canzone.
Are you, are you,
coming to the tree
they strung up a man
they say who murdered three?...
Pollux
mi fissa mentre canto, mentre le ghiandaie imitatrici e tutti gli altri
uccellini si zittiscono nel sentire il suono della mia voce. Come facevano per
mio padre. Dicevano tutti che aveva una voce bellissima, ed io me la ricordo a
malapena. Il tempo la sta cancellando piano piano. Sento un ronzio alle mie
spalle e lo riconosco per quello che è: il ronzio di una telecamera in azione.
Mi stanno riprendendo. Cerco di ignorare il ronzio e continuo a cantare,
guardando un punto imprecisato davanti a me.
…if we met at midnight
In the hanging tree…
Quando
termino la mia canzoncina, un improvviso silenzio ci circonda tutti quanti, ma
viene velocemente rimpiazzato dai suoni riprodotti dalle gole delle imitatrici.
L’Albero degli Impiccati, riprodotta dalle loro voci, è ancora più
struggente. È bellissima.
Pollux,
accanto a me, ha cominciato a piangere.
-
Ma dove le tiri fuori certe cose? – mi chiede Plutarch, ammirato. – Se ce le
inventassimo noi, non ci crederebbe nessuno!
Subito
dopo cena, la sera stessa della nostra tappa al Distretto 12, un messaggio
urgente è stato inviato al bracciale comunicatore di Gale con l’ordine di
scostarmi velocemente al Rinnovamento. Cressida doveva aver già montato e
preparato qualche nuovo pezzo da trasmettere via etere, ci siamo detti io e
Gale mentre ci avviavamo per l’incontro, ma una volta lì abbiamo scoperto che
aveva fatto qualcosa di più, del semplice montare.
Cressida
ha preso i filmati singoli di me e Gale che camminiamo, spaesati e scossi,
lungo tutto ciò che rimaneva del 12, e ha usato la canzone dell’Albero degli
Impiccati come colonna sonora. Nel video le mie labbra sono serrate e
rigide, non si muovono, ma la mia voce risuona comunque alta e forte, ed
inconfondibile.
La
regista lo ha mostrato a Plutarch per avere la sua approvazione e lui è rimasto
così tanto sorpreso ed entusiasta del risultato da chiamarci per mostrarcelo
subito, prima ancora che venga messo in onda.
-
È fantastico – dice Gale, colpito. – Katniss è stata fantastica.
-
Non l’ho fatto per le telecamere – dico, quasi giustificandomi, appena
termina il filmato.
-
Non saresti così sensazionale se lo facessi per le telecamere – esclama
Plutarch, stringendomi una spalla soddisfatto. – Sei spontanea, Katniss,
semplicemente spontanea. Continua così!
-
Da domani andrà in onda su tutti i canali dei distretti – ci informa Cressida,
compiaciuta. – Anche nel 2. E appena Beetee riuscirà a superare la sicurezza
informatica di Capitol City, lo vedranno anche in città.
-
Non ci è ancora riuscito?
-
Non ancora, ma è sulla buona strada per farcela. È questione di pochi giorni,
al massimo.
Così,
come è accaduto anche pochi giorni fa, il nuovo Pass-Pro viene trasmesso
regolarmente e replicato per la maggior parte della giornata e lo sarà anche
per i giorni successivi. Stavolta, però, è inframmezzato da alcuni spezzoni di
Finnick che racconta alla popolazione di Panem i suoi ricordi dei vincitori e
dei tributi uccisi in anni e anni di Hunger Games. Ricorda persino i tributi
che sono stati uccisi durante la sua edizione, alcuni dei quali è stato
costretto ad ucciderli lui stesso. E ricorda quelli a cui ha fatto da mentore.
Non accenna minimamente ad Annie, ma lo sguardo perso nel vuoto che assume
durante le brevi pause è dovuto a lei. Ogni momento della giornata in cui non è
impegnato in qualcosa è buono per pensare ad Annie.
Lo
stesso discorso può essere rivolto anche alla sottoscritta. E da ieri la mia
preoccupazione si è intensificata ulteriormente, dal momento esatto in cui
Cressida ha detto che presto anche gli abitanti di Capitol City potranno vedere
i Pass-Pro che stiamo registrando qui al 13. Non è il fatto che possano vederli
a preoccuparmi, ma più quello che potrebbero fare a Peeta. Lo stato pietoso in
cui vertono ora le sue condizioni è dovuto tutto al fatto che sta cercando di
proteggermi, mentendo alla nazione e a colui che la governa… ma cosa potrebbero
fargli, appena avranno l’effettiva certezza dell’esistenza dei Pass-Pro? Cosa
impedirà loro di procedere con altri tipi di tortura e di brutalità? Nulla, a
dire la verità.
Procederanno
comunque, anche se non è colpa di Peeta. Procederanno al solo scopo di
vendicarsi della Ghiandaia Imitatrice, accanendosi sull’unica persona che hanno
a disposizione e che lei ama con tutta sé stessa.
Vorrei
tornare indietro nel tempo e non aver accettato il ruolo di portavoce della
rivolta, se questo significa garantire un minimo di sollievo alle sofferenze di
Peeta. Ma non posso farlo, e non posso nemmeno cedere il mio posto a qualcun
altro, a causa del patto che ho stretto con la presidente Coin. Essere la
Ghiandaia Imitatrice in cambio dell’immunità per Peeta e per il resto dei
vincitori prigionieri.
Ma
cosa mi è saltato in mente?
-
Non aggrottare così la fronte, Katniss! Ricorda: pensare troppo fa venire le
rughe1 – mi ammonisce Effie, brandendo il pennello della cipria in
modo minaccioso verso di me.
-
Morirò rugosa, allora – sbotto.
-
Non la penserai più così, tra trent’anni. Fidati, so di cosa parlo.
Perché,
tra trent’anni sarò ancora viva? Sarebbe un miracolo
insperato. Invidio l’ottimismo di Effie, che nonostante tutto non l’ha mai
abbandonata e che continua a pensare ancora in pieno stile Capitol City. A chi
importa se mi vengono le rughe? A nessuno importa, solo a lei.
È
tutta presa e concentrata nel suo compito di cancellare quelle che mi sono già
fatta uscire prematuramente, prima di spedirmi di nuovo davanti alle telecamere
di Cressida. Non è prevista nessuna trasferta per oggi, nessun Pass-Pro degno
di nota adesso che c’è ancora in circolo quello sul Distretto 12. Oggi, dovrò
solo sedermi e parlare dei tributi che ho avuto l’opportunità di conoscere
nelle mie due trasferte nell’arena. Ricoprirò lo stesso compito che ha svolto
Finnick prima di me. Non sarà per niente facile ripercorrere quelle giornate e
ripensare a chi non c’è più, soprattutto se penso che molti di loro non ho nemmeno
avuto l’opportunità di conoscerli sul serio. C’è giusto Rue di cui vorrei
parlare, e Mags. Loro sono le persone che ho conosciuto davvero, senza contare
i pochi di noi ancora vivi.
Effie
mi lascia andare, soddisfatta per la sua opera, ed io mi incammino fino ad arrivare
al centro del teatro di posa, che ormai conosco così bene. Sul piedistallo c’è
uno sgabello di metallo, su cui prendo posto. Cressida si trova di fronte a me
e legge degli appunti che Messalla le sta mostrando su un bloc notes. Castor e
Pollux sono invece posizionati rispettivamente alla mia destra e alla mia
sinistra, pronti a riprendermi da ogni angolazione.
-
Sei pronta, Katniss? – mi chiede Cressida, sorridendo.
Annuisco,
stringendo le mani tra le ginocchia. Sono tesa, più che pronta.
Come
se sapessero che sto preparandomi a fare qualcosa controvoglia e per cui non
sono per niente a mio agio, delle persone spalancano la porta ed entrano nel
teatro di posa in fretta, facendo un casino abnorme. Queste persone sono Gale
ed Haymitch.
-
Che succede? – chiede Cressida.
-
Sta per iniziare un programma in diretta, da Capitol City. Parlerà Snow – dice
Haymitch, col fiatone. – Beetee crede di riuscire a manipolare la loro
trasmissione su scala nazionale.
Non
era solamente questione di giorni, allora, ma di ore. Beetee è riuscito a
superare persino sé stesso.
Scendo
dallo sgabello e mi precipito fuori dal teatro, correndo dietro ai due uomini
che sono venuti ad avvisarmi.
Siamo
di nuovo al Comando, gremito di persone, in attesa che cominci il programma. Noto
che c’è anche Finnick stavolta, quando normalmente a lui non è permesso di
prendere parte a questo tipo di incontri. Potrebbe, forse, se non fosse per il
suo piccolo problema di “confusione”, ma fino ad ora non era mai successo. Vado
verso di lui ed annuncio la mia presenza mettendogli una mano sulla spalla.
Finnick distoglie gli occhi dalla corda mezzo annodata che ha in mano. Non ha
mai smesso di annodare quella corda da quando siamo arrivati al 13.
-
Ehi, Katniss – mi saluta.
-
Ciao, Finnick – ricambio.
-
Pronta per lo show?
-
Ovviamente – dico, ma non ci credo sul serio.
Lo
schermo, che era nero fino ad un secondo fa, si illumina mostrando il sigillo
di Capitol City, accompagnato dal solito inno. Ci azzittiamo di colpo, presi
dalle immagini che seguiranno e di cui non abbiamo la minima idea di quali
potrebbero essere. L’unica cosa che sappiamo è che parlerà il presidente Snow.
Ma
di Snow, scopriamo, non vi è nessuna traccia.
C’è
solamente Peeta, al centro dello studio televisivo. Una telecamera avanza
lentamente su di lui, ritagliando la sua immagine fino a che non è inquadrata
dal busto in su. Il movimento compiuto dalla telecamera ci ha permesso di
vedere i piccoli cartoncini che stringe tra le mani, mani che adesso non si vedono
più. Deve essere quello, il messaggio del presidente. Ma sarà Peeta a leggerlo.
Sarà il messaggero per tutta Panem.
-
Sta peggio – mormoro, guardando il suo viso. Le ombre ci sono ancora, e
se possibile sembrano ancora più marcate. E stavolta non hanno fatto nessun
vero sforzo per coprire i suoi lividi: ne ha uno bello grosso sotto l’occhio
destro, che sta diventando verde.
Finnick
mi stringe forte la mano.
Peeta
prende un respiro prima di cominciare a leggere i cartoncini, e questo gli
provoca una smorfia di dolore. Sta decisamente peggio, penso, raggelata.
Fatica a respirare, e questo vuol dire solo una cosa: che sotto i bei vestiti
con cui lo hanno ricoperto, c’è un corpo ferito.
-
Cittadini di Panem, non c’è mai stato come oggi un così disperato bisogno di un
cessate il fuoco. A nome del presidente Snow, mi rivolgo principalmente ai
gruppi di Ribelli che stanno ignorando da settimane questa richiesta – dice
Peeta, leggendo i cartoncini. - Ciò che fate, ciò che causate, non gioverà a
vostro favore. La maggior parte dei distretti sta soffrendo per le azioni che
commettete ogni giorno-
L’immagine
di Peeta sparisce all’improvviso, lasciando il posto all’inquadratura della
piazza distrutta del Distretto 12 e alla mia voce che canta la canzone.
Are you, are you,
coming to the tree
where I told you to run
so we’d both be free…
-
Ce l’ha fatta! Beetee si è inserito! – urla Plutarch.
Le
persone intorno a me applaudono ed esultano, mentre Beetee, che si trova a
diversi livelli di distanza rispetto a dove siamo noi adesso, lascia di nuovo
il campo libero a Peeta. Mi si stringe il cuore quando rivedo il suo viso: ha
le lacrime agli occhi, la bocca aperta in un’esclamazione muta ed il respiro
affrettato. Capisco che non è stata solo Panem a sentire la mia voce, ma che
l’ha sentita anche lui. Ha sentito la canzone.
-
Katniss – lo vedo mimare con le labbra. Gira la testa a destra e a sinistra,
velocemente, e poi la abbassa. Riprende a leggere, ma la sua voce non è più
ferma come pochi secondi fa. – Ci sono… ci sono state perdite ingenti di beni
necessari alla sopravvivenza. La diga che fornisce l’energia elettrica a
Capitol City è stata distrutta due giorni fa-
Beetee
compie di nuovo la sua magia: sono sullo schermo, di nuovo al posto di Peeta.
Cammino davanti a quella che una volta era la panettiera della sua famiglia.
Where dead man called out
For his love to flee…
Era
la peggiore ripresa che avrebbero potuto scegliere di mandare in onda, e per
giunta nel momento sbagliato. Peeta non sa cosa è accaduto alla sua famiglia,
non sa nemmeno che il Distretto 12 è stato bombardato… e Beetee glielo sta
sbattendo in faccia nel peggior modo possibile. È il modo peggiore per
conoscere la sorte dei propri familiari e della città in cui è vissuto per
diciassette anni.
Quando
torna in onda, i suoi occhi sono spenti. Mi ha vista, ne sono sicura, ma non
sono sicura sul fatto che abbia riconosciuto o meno il luogo in cui mi hanno
ripresa. Se l’ha capito, però, non potrà portare a nulla di buono.
Peeta
sta man mano perdendo il controllo di sé stesso: le lacrime che hanno invaso i
suoi occhi adesso gli rigano le guance, scendono fino al mento, e cadono sui
cartoncini che continuano a non voler inquadrare. Sembra che stia andando in
iperventilazione, da com’è rapido il suo respiro.
-
Katniss – dice con voce rotta. – Katniss, come finirà tutto questo? Nessuno è
al sicuro-
Il
messaggio di Peeta viene interrotto di nuovo dalla stessa ripresa di prima.
Where dead man called out
For his love to flee…
-
Basta! - urlo, incapace di trattenermi. – Basta! Sta male! Smettetela!
-
Controllati, dolcezza – sussurra Haymitch al mio orecchio, stringendomi con un
braccio. – Controllati.
-
Devono smetterla! – urlo ancora.
-
Mandatela in onda – dice una voce.
-
Che cosa?
È
stata la Coin a parlare. Scossa, seguo lo sguardo di Haymitch e osservo la
presidente che indica lo schermo. – Peeta Mellark riesce a sentire e vedere le
registrazioni. Beetee potrebbe essere in grado di collegare la signorina
Everdeen in diretta? Potrebbe essere in grado di farli parlare direttamente tra
di loro?
-
No – scuoto la testa e le lacrime iniziano a rigarmi le guance. – No, vi prego,
no. Gli faranno del male, lo uccideranno… non fatelo, vi prego…
Le
mie proteste però non vengono ascoltate. La proposta della Coin viene subito
messa in atto e nel giro di nemmeno un minuto ho un microfono appuntato sulla
camicia, e adesso mi dicono che devo soltanto attendere il segnale di Beetee
per poter parlare. Cerco, piangendo, di togliere il microfono ma le mani di
Haymitch me lo impediscono. Perché fa così?
-
Non posso farlo – singhiozzo. – Non me lo fate fare, per favore… no…
-
Fallo per Peeta, Katniss – mormora Finnick al mio orecchio. Non ha mai smesso
di tenere la mia mano e adesso ha le braccia attorno alle mie spalle per farmi
capire che non sono da sola. Mi bacia una tempia. – Fallo per lui.
-
No…
La
lunga interferenza con cui hanno coperto gli ultimi preparativi finisce, ed il
volto di Peeta torna di nuovo sullo schermo. Il suo volto sembra il riflesso
dei miei pensieri: anche lui sembra voler suggerire di mettere fine a tutto. Ma
continua a pronunciare il messaggio che l’ultimo attacco di Beetee gli ha
impedito di concludere come si deve.
-
Nessuno è al sicuro, Katniss. Nessuno. – deglutisce, ed un’ultima lacrima gli
solca il viso. – Non a Capitol City. Non nei Distretti. Nessuno è al
sicuro…
-
Vai, Katniss. Puoi parlargli adesso – mormora Haymitch.
-
P-Peeta – balbetto, tirando su col naso. – Peeta? Riesci a sentirmi? Peeta…
La
figura di Peeta si irrigidisce, seduto sulla poltrona; alza il viso, lo punta
su qualcosa che ha davanti come se si aspettasse di vedermi… ma non può
vedermi. Mi ha sentita, però. Ha sentito la mia voce.
-
K-Katniss? Katniss, sei tu? Sei lì?
-
Peeta! – dico con voce strozzata, cercando di reprimere i singhiozzi nella gola.
– Perdonami, Peeta! Perdonami, non sono riuscita a… a salvarti…
-
Katniss, no – dice lui, scuotendo la testa. – No, tesoro, non eri tu che mi dovevi
salvare-
-
Non volevo che accadesse niente di tutto questo, Peeta! Mi dispiace, io… io non
volevo…
-
Ti prego, Katniss, smettila. Ascoltami, ti prego – Peeta guarda davanti a sé,
guarda la telecamera che gli hanno puntato addosso ed io osservo lo schermo che
ho davanti. In qualche modo, è come se ci stessimo parlando guardandoci negli
occhi. Tremo, guardando le nuove lacrime che gli scorrono sul viso. La presa di
Finnick su di me si rafforza, e ad essa si aggiunge quella di Haymitch. - Ascoltami
attentamente. Io ti amo, Katniss, ti amo tanto…
-
Anche io ti amo, Peeta… - soffio, portandomi le mani sulla bocca.
-
…ti amo come non ho mai amato nessun altro al mondo. Devi essere forte, e devi
promettermi che… che ti salverai.
Salverai?
-
Stanno arrivando al 13. Scappa!
L’ultima
parola la urla dritta alla telecamera.
-
Peeta! No! Peeta! – strillo, lanciandomi verso lo schermo, ma lui viene
portato via.
E
le parole della canzone, quell’ultima strofa che continua a risuonare nella mia
mente, sembra prendere forma davanti ai miei occhi.
Dove
il morto gridò al suo amore di fuggire.
Tra
le mie urla e le sue, che cerca di resistere e contrastare i due Pacificatori
che lo vogliono allontanare a forza dallo studio televisivo, l’uomo morto della
canzone si reincarna nella figura di Peeta, che urla alla sua ragazza di
fuggire via. Io sono quella ragazza.
Piango,
ignorando il caos in cui è sprofondata la sala di Comando, concentrata su ciò
che stanno ancora trasmettendo da Capitol City. La mano di Finnick stringe
ancora la mia, ed il braccio di Haymitch è ancora sul mio corpo.
Loro
sono con me quando vediamo un Pacificatore colpire Peeta in pieno viso.
E
il suo sangue che schizza le mattonelle.
Peeta
ci ha salvato la vita.
Grazie
al suo disperato tentativo, Peeta ci ha avvisati dell’arrivo delle forze aeree
che miravano a distruggere il Distretto 13. Grazie a lui, ha impedito che il 13
potesse diventare l’esatta copia del Distretto 12. Grazie a Peeta, abbiamo
avuto il tempo necessario per raggiungere il livello più basso previsto dal distretto,
un’enorme caverna adibita a rifugio temporaneo contro attacchi aerei e di altra
natura, mentre la Coin e chi di competenza gestivano l’esercitazione antiaereo:
la scusa con cui ci avevano condotti fin lì. Ma non è mai stata una vera scusa,
perché l’informazione di Peeta era vera. Capitol City ci ha attaccato
veramente, e a parte i livelli più superficiali, il Distretto 13 non ha subito
un danno consistente. Non è morto nessuno durante l’attacco.
Grazie
a Peeta, migliaia di persone sono riuscite a sopravvivere.
Chi
è il traditore, adesso?
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1 I Simpson, 5x14, “Lisa
contro Malibu Stacy”. Credo che questa sia una delle più belle puntate dei
Simpson che siano mai state prodotte. Muoio dal ridere ogni volta che la vedo,
ha dei dialoghi brillanti che il doppiaggio italiano ha reso iconici, e poi ha
Leo Gullotta. Geniale. “Il fatto è che mandavo dinaro ai vietconghe”.
Credo che sia chiaro ormai a
tutti che ho scelto di deviare dal percorso già segnato dalla Collins e deciso
che Peeta, in questa storia, non è stato depistato. Il suo non è il
comportamento di un ragazzo depistato. E poi la penso come molti di voi: il
depistaggio è stata la mossa più crudele che zia Suzanne poteva regalarci. L’ho
odiato con tutta me stessa. Ho dovuto mantenerlo segreto più che ho potuto
altrimenti avreste capito subito dove sarei andata a parare ^^’ pardon.
L’ultima parte che avete letto è
stato, invece, una sorta di esperimento: in Mockingjay part 1,
durante la missione di salvataggio, mettono Katniss in collegamento diretto col
presidente Snow per dare alla squadra del tempo in più per recuperare i
prigionieri e metterli in salvo. Come aggiunta visiva mi è piaciuta molto,
tanto che a un certo punto ho pensato di stravolgerla per consentire a Katniss
e a Peeta di parlare prima del colpo di scena finale. Non so se su carta funziona
altrettanto bene, ma ci tenevo almeno nel provare ad inserirla… fatemi sapere
cosa ne pensate :)
E adesso?
Intanto che cercate di
immaginarvi il proseguimento, vi lascio i miei auguri di buon Natale: spero che
possa essere un Natale sereno e felice, nonostante la stranezza del periodo che
lo accompagna :*
D.