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Autore: ferao    16/03/2022    5 recensioni
Prima di diventare Lucretia Prewett, Lucretia Black era fortemente contraria al matrimonio.
Scritta per l'iniziativa "Caffè sospeso" del gruppo "L'angolo di Madama Rosmerta"
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Molly Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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Vorrei poter dire che ho chiuso gli occhi che era dicembre e all'improvviso era marzo, ma la verità è che in questi tre mesi è stato difficile persino respirare. Se state ancora seguendo questa storia (che è ufficialmente a metà, YAY), vi chiedo scusa per il ritardo e vi ringrazio moltissimo della pazienza.
In questo capitolo ci sono brevi menzioni di morte a seguito di malattia; non è trattato in maniera approfondita, ma se per qualsiasi ragione l'argomento vi turba, sappiate che ci si arriverà verso la seconda metà del capitolo. Stay safe.
Spero tantissimo che il capitolo vi piaccia ^^ A presto!
 


 



Qualcosa in cui sei brava


Capitolo 4

 

 

«Ehm…» 

Bloccato a metà nell’atto di sedersi su una sedia a dondolo, con una pipa in una mano e un libro nell’altra e circondato da una dozzina di fiammelle azzurre intrappolate in vasi di vetro fluttuanti, Ignatius si raddrizzò e le rivolse un cenno col capo. 

«Buonasera, signorina Black. Va tutto bene?»

Lucretia non rispose. Restò a fissarlo sbigottita per una manciata di secondi, chiedendosi cosa ci facesse lui lì; quando finalmente la comprensione fece breccia nella sua mente, sobbalzò così forte che soltanto la rigida disciplina con cui era stata cresciuta le impedì di schizzare fuori dalla propria pelle e fuggire a gambe levate. 

Oh, per Salazar! Che errore madornale! Si era Smaterializzata alla volta della radura nel bel mezzo del bosco dei Longbottom, invece era finita davanti a casa Prewett — davanti al padrone di casa Prewett! Come aveva potuto sbagliare così tanto? 

Forse era successo perché, un istante prima di scomparire, il suo pensiero aveva vagato in direzione di quel luogo e ne era risultata una Materializzazione fallata? Possibile. Certo era che adesso doveva apparire come una completa sciocca, lì a due passi dalla veranda di Ignatius, a un’ora in cui nessuna strega rispettabile si sarebbe mai fatta trovare viva in giro.

«Oh, ecco… io… i-i-io non volevo, mi dispiace, ho sbagliato. A-addio.»

E senza perdere altro tempo girò sui tacchi per allontanarsi in tutta fretta, grata che la luce del plenilunio non fosse sufficiente a mostrare le sue gote in fiamme. Che figura! Doveva augurarsi che Prewett fosse sufficientemente gentilmago da non menzionare mai quell’incidente ad anima viva o defunta, altrimenti la sua già bassissima reputazione sarebbe andata a ramengo — nemmeno la Materializzazione le riusciva più, per Circe e Morgana! Cosa avrebbe detto Madre se l’avesse saputo? Oh, non sarebbe mai dovuta uscire, a costo di rigirarsi tutta la notte nel letto e… 

«Lei fuma, signorina Black?»

Non aveva percorso che cinque metri quando la domanda riecheggiò alle sue spalle, costringendola a fermarsi di colpo e voltarsi. Ignatius Prewett aveva sollevato la mano con cui teneva la pipa e la tendeva verso di lei, a invito.

«C-come, prego?»

Alla luce delle fiammelle azzurre, l’espressione del mago era indecifrabile. «Vuole fumare insieme a me? Ho una pipa di riserva, se ne ha bisogno.»

Quella… era la frase più bizzarra che chiunque avesse mai rivolto a Lucretia. Forse era uno scherzo? L’ennesima provocazione indirizzata a una “strega di città”? Doveva esserlo, perché offrire da fumare a una donna era qualcosa che semplicemente non si faceva tra persone per bene. Non che non esistessero donne fumatrici tra le Purosangue di buona famiglia — la casa di zia Lycoris e della sua amica, ad esempio, era sempre impregnata dell’odore di tabacco toscano — ma si trattava o di adolescenti che approfittavano della relativa libertà di Hogwarts per sperimentare, o di personalità eccentriche che traevano un piacere scandaloso dal contravvenire in pubblico a convenzioni come fumare è cosa da uomini. Lucretia, dal canto suo, non aveva bisogno di un altro motivo per essere tenuta ai limiti delle cerchie sociali, perciò no, non fumava — e gli esperimenti effettuati a Hogwarts era bene che restassero a Hogwarts, grazie tante. 

Scrutò con attenzione il volto di Ignatius, in cerca di un segnale che svelasse la sua pungente ironia, ma la fronte era distesa e la postura sembrava proprio quella di chi avesse posto una domanda perfettamente legittima, come “che tempo farà domani?” o “quanti aculei di Knarl ci vogliono per una pozione Esilarante?”. Così, benché perplessa, decise di rispondere a modo.

«Io… non ho l’abitudine di fumare, ma grazie dell’offerta.»

La mano che teneva la pipa si abbassò. «Oh. Peccato. Non ha idea di quanto sia difficile trovare un altro adulto con cui conversare, da queste parti.» Prewett spostò il peso da un piede all’altro e si schiarì la gola. «Allora… buona notte.»

Le rivolse un altro cenno del capo prima di prendersi la pipa tra i denti, sprimacciare il cuscino della sedia a dondolo e lasciarvisi cadere sopra con uno sbuffo. Lucretia lo guardò accendersi la pipa con la bacchetta, e a quel gesto qualcosa scattò dentro di lei — lo stesso, irresistibile impulso che l’aveva spinta a ribattergli a tono durante il loro primissimo incontro, o a difendere i suoi figli dalla sgradevolezza di Berenice Burke.

Prima di poter anche solo pensare alle conseguenze, alle implicazioni o a cosa avrebbe detto Madre se fosse stata lì, i suoi piedi si mossero in automatico verso la veranda. «Ho detto che non fumo, signor Prewett, ma se è la compagnia che cerca posso fermarmi qui per un po’. Ammesso che lo gradisca.»

Fu piuttosto soddisfacente vedere Ignatius alzare la testa di scatto e sgranare gli occhi per la sorpresa. Ah! Allora anche uno come lui poteva essere colto alla sprovvista. Continuò a fissarla interdetto per qualche istante, prima di schiudere le labbra in uno dei suoi sorrisi. 

«Lo gradisco. Si accomodi, prego.»

Un movimento di bacchetta, e una sedia a dondolo identica alla sua apparve lì accanto. Lucretia strinse le labbra. Sperava in una poltrona o una seggiola, qualcosa su cui poter sedere dritta e composta come d’abitudine. Che avrebbe dovuto farsene di un aggeggio del genere? Tuttavia, non poteva certo offendere il suo ospite; così salì i due gradini della veranda e si accomodò il più possibile verso il bordo della sedia, col risultato di sentirsi incredibilmente goffa e a disagio. L’unica era lasciarsi scivolare verso lo schienale inclinato, e così fece.

…Beh, pensava peggio. Fortuna che Madre non era lì per vederla, comunque.

Per il minuto successivo non vi furono che i grilli e gli uccelli notturni a interrompere il silenzio profondo della campagna addormentata. Lucretia considerò brevemente la sua situazione di donna sola con un semisconosciuto in un luogo in cui nessun altro sapeva che si trovasse, e per un fugace attimo si chiese se fosse sconsiderato da parte sua restarsene lì invece di seguire il piano originario e andarsene; la preoccupazione non fece però in tempo a palesarsi che già era svanita, sostituita dalla serena e inspiegabile certezza che non le sarebbe mai capitato alcunché di male in compagnia di Ignatius Prewett — e qualora si fosse sbagliata su quel punto, sapeva difendersi benissimo da sola con la bacchetta.

Rassicurata, permise a se stessa di lasciar andare gli ultimi residui di imbarazzo e rilassarsi del tutto. Accanto a lei Prewett non sembrava ansioso di iniziare una conversazione: seduto a gambe accavallate, teneva il libro aperto in una mano e leggeva alla luce delle fiammelle muovendo piano le labbra, mentre fumava distrattamente; con il piede poggiato a terra spingeva di quando in quando la sedia a dondolo, producendo un lieve cigolio che accompagnava il canto dei grilli. Ogni volta che girava pagina, i tendini del braccio guizzavano sotto la pelle lasciata scoperta dalle maniche arrotolate della sua camicia.

Vederlo così assorbito in un’attività del tutto privata smosse qualcosa dentro Lucretia, che si affrettò a distogliere l’attenzione da lui prima che i suoi pensieri prendessero una direzione sbagliata. Fantasticare su quell’uomo nell’intimità della propria stanza era un conto, farlo mentre lo osservava da vicino nel suo ambiente domestico — con i bambini addormentati a meri metri di distanza e il sorriso di Euterpe sul camino appena oltre la porta — era semplicemente una pessima idea.

Si concentrò quindi sul prato di erbe variegate dinanzi a sé, illuminato dall’argento della luna piena, e ben presto era così assorta da non rendersi nemmeno conto di aver iniziato a dondolare la sedia a propria volta. Lo scatto del libro che si chiudeva la riportò bruscamente alla realtà.

«Ebbene, signorina Black? Passeggia spesso tra i boschi nel cuore della notte?»

Quella voce era talmente intrisa di ironia che Lucretia, invece di imbarazzarsi, si ritrovò a sorridere. «Ahimè, no: stavo solo cercando di combattere l’insonnia. L’intenzione era di raggiungere la radura nel bosco del cugino Harfang, invece per qualche motivo sono finita qui. Mi dispiace averla disturbata.»

«Nessun disturbo, ero solo sorpreso. Di solito è Eustace a sbagliare destinazione in questo modo, me lo ritrovo davanti casa più spesso che no.»

«Il giovane Greengrass?»

«Mh-mh.» Ignatius le scoccò un sorriso sornione. «Pare che la radura nel bosco dei Longbottom sia una meta molto ambita dalla gioventù locale. Ma non lo dica a Harfang e Callidora, ho il vaghissimo sospetto che la loro figlia non voglia che si sappia.»

Lucretia aggrottò la fronte. Non capiva cosa c’entrasse Cressida coi vagabondaggi notturni di Eustace Greengrass, ma Ignatius prevenne qualsiasi domanda con un gesto della mano. «Certo, immagino che gironzolare qui non sia emozionante quanto farlo al centro di Londra, con gli uomini-Acromantula appostati a ogni angolo,» scherzò.

«Ah, questo è vero. Unicorni e lucertole non trasmettono le stesse emozioni.»

«Perlomeno non attentano alla virtù delle fanciulle di buona famiglia come lei.» 

«Mi creda, la mia famiglia andrebbe in estasi se qualcuno attentasse alla mia virtù.»

Realizzò cosa avesse detto solo quando il suono dell’ultima parola si fu spento in un silenzio imbarazzato. Circe e Morgana. Cosa le saltava in mente di uscirsene con una frase del genere?! 

Cercò in fretta qualcosa da dire per mitigare l’orrenda figura appena fatta, ma quando si volse verso Ignatius vide che la stava guardando con aperta simpatia.

«Capisco,» mormorò lui. «Problemi matrimoniali?» 

Interdetta più dal tono che dalla domanda, Lucretia non rispose. Prewett attese qualche secondo, infine sospirò.

«Mi dispiace. La comprendo fin troppo bene, purtroppo.» 

Ancora una volta, Lucretia parlò prima di rendersene conto. «Mi scusi, ma non lo credo possibile.»

«Oh? E perché?»  

«Perché lei è un uomo.» 

Un sopracciglio di Ignatius scattò in alto a disegnare la sua espressione sorpresa. «Mi è sempre stato dato da intendere che il cervello degli uomini sia pressoché pari a quello delle donne. Ho sbagliato, forse?»

«Non è quello che intendo, signor Prewett. Voglio dire che da lei, in quanto uomo, non si pretendono le stesse cose che si pretendono da una strega.» 

Lucretia riportò lo sguardo verso il prato e inspirò a fondo. Maledetta la sua lingua traditrice. Non era il tipo di discorso che avrebbe voluto affrontare con lui, ma come si diceva: ormai era in volo e doveva volare.

«Dubito fortemente,» riprese, «che lei venga giudicato dai nostri pari per le sue capacità di curare una casa, di scegliere la tappezzeria o di procreare eredi per la stirpe propria e altrui. O che le si ripeta di continuo che il matrimonio è l’unico sbocco degno per una Purosangue, mentre a quanto pare le Mezzosangue possono lavorare e addirittura accedere al Ministero della Magia senza sollevare obiezioni. Questo è il genere di principi che di solito si impartiscono alle streghe, non ai maghi, perciò a meno che lei non sia stato cresciuto in modo del tutto anticonvenzionale non vedo come potrebbe capire davvero cosa significhi vivere così.» 

Giusto per sottolineare il concetto, si diede una spinta col piede e fece cigolare in modo sinistro la sedia a dondolo. Dovette aspettare qualche secondo per la risposta di Ignatius, e quando questa giunse la voce di lui si era sensibilmente ammorbidita.

«È vero, queste sono cose che da uomo non sono in grado di capire. Ma in quanto vedovo con tre bambini, sono automaticamente considerato incapace di badare ai miei stessi figli e ricevo suggerimenti di risposarmi ogni singolo giorno, pur essendo noto che non ne ho la minima intenzione. Perciò mi creda, so quanto le pressioni sociali possano essere intollerabili.»

Aspirò una boccata e lasciò andare una voluta di fumo azzurro. «Detto ciò, devo purtroppo darle ragione: la nostra società è piuttosto ingiusta con voi fanciulle, se non direttamente crudele. Il che, per inciso, è uno dei motivi per cui spero che Molly non si sposi mai.»

Il pensiero della piccola scatenò un sorriso a Lucretia. «Ho la sensazione che sua figlia non accetterebbe volentieri uno stile di vita tradizionale.»

«No, infatti. E ho pietà per chiunque cercherà di imporglielo in futuro.»

«Oh, sono sicura che abbia un bel caratterino, proprio come i gemelli.»

«Non ne ha idea. Molly sembra timida, ma è solo abile a nascondersi.»

Ridacchiarono insieme. «A questo proposito, signorina Black, volevo ringraziarla.»

«Di cosa?»

«Di essere stata così gentile coi miei figli durante la cena dai Longbottom. E con Molly, per l’incidente della lucertola.» Le rivolse uno sguardo tale che Lucretia si sentì rimescolare. «Non trovano mai degli adulti che siano indulgenti coi loro… modi di fare. Le sono davvero grato.»

«Non lo dica nemmeno, signor Prewett. I suoi ragazzi sono speciali. E per quello che vale, secondo me lei è perfettamente in grado di occuparsene da solo.»

Era una sua impressione, o a quelle parole Prewett aveva assunto un’aria insicura? No, doveva essere uno scherzo della luce. 

«Lei crede?» chiese Ignatius.

«Certo. Da quel poco che ho visto, è evidente che tiene ai suoi figli e fa il possibile per loro. Non dia retta a chi vuole convincerla del contrario.»

Il mago non rispose. Continuò a guardarla con quegli occhi incredibilmente verdi anche alla scarsa luce della veranda, infine si schiarì la voce.

«La ringrazio. Significa davvero molto.»

Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, invece scosse la testa e si ricacciò la pipa tra i denti. «E per quanto riguarda lei?»

«Per quanto riguarda me?»

«Qual è il suo ostacolo?» Stavolta i suoi occhi brillavano di inequivocabile ironia. «Cosa le impedisce di contrarre un buon matrimonio e rendere estatica la sua famiglia, signorina Black?»

Lucretia esitò. Fino a quel momento la conversazione era stata più facile e piacevole di quanto avesse mai potuto desiderare, tra l’assenza di formalità e la schiettezza di Ignatius; scendere in quel tipo di confidenze avrebbe però richiesto un grado di conoscenza che ancora non sentiva di avere con quell'uomo, e la cui mancanza la esponeva a gravi rischi di fraintendimento.

Ma in fondo, perché no? Era ben chiaro ormai che Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech fosse una persona buona, dalla mente aperta e non del tutto favorevole a certi modi di pensare tipici dei Purosangue. Forse, ed era un grande forse, uno come lui avrebbe capito.

Con lo sguardo chino sulle proprie mani strette in grembo, si prese qualche secondo prima di decidere cosa rispondere. «Il ricamo.»

«…Ha detto… il ricamo?»

Annuì. «Il ricamo è il mio ostacolo. Il ricamo, l’uncinetto, la pittura, la cura delle piante da interni, ma anche il governare una casa, l’intrattenere ospiti e l’esimermi dal dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. Non sono capace, mai stata. Aggiungiamo alla mia assenza di qualità i miei interessi poco ordinari e la mia scarsa propensione ad avere una prole, e capirà come mai sto ben lontana dalla vita matrimoniale.»

Seguì un prolungato silenzio. Lucretia alzò lo sguardo verso Ignatius e lo trovò oltremodo confuso; il mago aprì e richiuse la bocca diverse volte, come se volesse dire qualcosa ma cambiasse di continuo idea, e alla fine scosse la testa.

«Che le dicevo, signorina Black? Crudeltà pura e semplice.» Schioccò la lingua con chiara irritazione. «Il ricamo e la pittura. Come se avesse senso giudicare una persona — una strega — per cose così futili.»

Pur intuendo che era il padre in lui a parlare, Lucretia non poté impedirsi di provare un gran calore al petto nell’udire l’ennesima conferma di quello che già pensava: Ignatius Prewett non era affatto come gli altri uomini. Per qualche ragione, tuttavia, si sentì in dovere di ribattere.

«Beh, in realtà il senso c’è, solo che non è immediato a comprendersi.»

«Oh?» Ignatius si fermò mentre riaccendeva la pipa e aggrottò la fronte. «E sarebbe?»

«Ecco… beh, non l’ho mai chiesto — o meglio, da bambina devo averlo fatto, ma la risposta è stata insoddisfacente…» Le brave signorine ascoltano invece di fare domande, Cretia! «…però alla fine mi sono fatta un’idea.»

«Mi dica.»

«Dunque, sin da quando nasciamo ci insegnano che il dovere principale di una strega Purosangue è occuparsi della dimora familiare e crescere gli eredi seguendo un’educazione il più possibile tradizionale. Si tratta di un lavoro impegnativo, certo, ma c’è sempre il rischio che la donna finisca col cercare… distrazioni, per così dire, fuori da casa propria.»

«Distrazioni come…»

«Un lavoro. Compagnie disdicevoli. Proseguire negli studi magici. Questo genere di cose. Una strega che sappia tenersi impegnata con lavoretti artistici e domestici appare più affidabile agli occhi di un mago in cerca di una brava moglie.»

«Mh.» Ignatius annuì e si lisciò la barba, pensoso. «Mh-mh. Sì, intravedo la logica generale, anche se non capisco perché dovreste dedicarvi ad attività così tipicamente Babbane. È un controsenso, non trova? La perfetta moglie Purosangue è quella che sa ricamare a mano come una Babbana qualunque…»

«Oh, naturalmente c’è una spiegazione anche per questo… voglio dire, credo ci sia, si tratta sempre di una mia interpretazione…»

«Davvero? Mi illumini.»

«Ecco… io… credo che la ragione di fondo sia una sorta di invidia verso i Babbani.»

Si fermò per osservare l’effetto delle proprie parole su Ignatius. Sapeva per esperienza che non era mai un bene mettere insieme le parole “invidia” e “Babbani” mentre si parlava con un Purosangue delle Sacre Ventotto, ma invece di reagire con sdegno come avrebbe fatto chiunque altro, lui le rivolse un cenno della testa. 

«Continui, prego.»

Incoraggiata, Lucretia inspirò. «Nel corso dei secoli, i Babbani si sono adattati a fare qualsiasi cosa senza magia, tanto nelle arti quanto nella scienza e nella tecnologia. Sotto un certo punto di vista ciò rappresenta uno smacco per chi sostiene la superiorità dei maghi…»

«Perché?»

«Perché di fatto i Babbani sanno fare cose che noi non ci sogneremmo, così come noi sappiamo fare cose che a loro non riescono. È oggettivo. Questo ci equilibria, in un certo qual modo.»

«Mh.»

«Ecco, la mia idea è che tutto ciò alla lunga abbia scatenato nei maghi una sorta di “se loro possono, perché noi no?”. Se una qualunque Babbana è in grado di produrre ricami con le proprie mani, perché non dovrebbe riuscirci una Purosangue? Se una Babbana può coltivare orchidee senza ricorrere a incantesimi e pozioni, perché una strega no? Imparare a svolgere lavori senza magia diventa quindi una forma di rivalsa della nostra razza — ma solo per il lato femminile e solo per attività di secondaria importanza, perché naturalmente il talento dei maghi deve essere rivolto solo e soltanto alle arti magiche al fine di progredire in esse: per questo se un uomo mostra interesse per qualcosa di tipicamente Babbano come, non so, la costruzione di automobili, viene guardato con disdegno e bollato come strambo o peggio, come traditore del sangue, perché di fatto sta sprecando le sue preziose energie a dimostrare che maghi e Babbani sono alla pari invece di lavorare a renderci superiori.»

Fece una pausa per riprendere fiato. «Ecco perché a noialtre tocca imparare a ricamare e tutto il resto, secondo me: per dimostrare che la razza magica è comunque al di sopra di quella Babbana, senza però che i maghi rinuncino al loro lavoro e al loro status. Tutto qui. Credo.» 

Tacque e attese la reazione di Ignatius torcendosi le mani. Per tutta la durata del suo sproloquio lui l’aveva osservata con intensa attenzione, come a non volersi perdere nemmeno una parola, il che l’aveva fatta sentire al contempo esaltata e intimidita; ora che aveva concluso, però, Lucretia non poteva fare a meno di preoccuparsi. Aveva sbagliato a parlare con così tanta franchezza? Cosa avrebbe pensato di lei? Se l’avesse considerata una rivoluzionaria, una testa calda, una di quelle esaltate che andavano a incatenarsi ai cancelli della Gringott per chiedere un trattamento equanime per maghi e goblin? Per suo immenso sollievo, le linee della fronte di Ignatius si ammorbidirono e il solito, piccolo sorriso gli addolcì gli occhi. 

«Sa cosa penso, signorina Black?»

Lucretia scosse la testa. «Penso che lei abbia moltissime qualità, anche se non le hanno insegnato a considerarle importanti.» Si fermò per riaccendere la pipa. «E un giorno troverà qualcosa in cui è brava. Deve soltanto cercarlo lì dove non ha cercato finora.»

Era una vera fortuna che avesse pronunciato l’ultima frase rivolto in direzione del prato, perché le guance di Lucretia non erano mai state così infiammate e con ogni probabilità brillavano nella notte come Fuochi Gubraithiani. «Lei sarebbe andata d’accordo con mia moglie, sa?» riprese il mago. «Euterpe detestava ricamare senza magia con tutte le sue forze, diceva sempre che la vita è troppo breve per sprecarla a pungersi con un dannato ago.»

Rise sommessamente, e Lucretia non riuscì a trattenere un sorriso al pensiero della vivace donna bionda che imprecava contro l’ago da ricamo. «I cuscini del vostro salotto sono bellissimi, però.»

«Merito di mia zia Muriel, è lei l’artista di casa. Euterpe non ci sarebbe riuscita nemmeno con la magia.» Un’ombra passò sul viso di Ignatius. «In compenso passava giorni interi a lavorare a maglia, rigorosamente a mano. Le piaceva l’idea di… lasciare qualcosa di utile ai ragazzi.» 

Il modo in cui pronunciò quelle parole strinse il petto di Lucretia in una morsa. «Doveva essere una persona davvero speciale. Mi dispiace tanto.»

Fu ringraziata con un cenno del capo. «Ed è stata molto fortunata a trovare uno come lei, che non la scegliesse per le sue abilità nel ricamo,» aggiunse, desiderando alleggerire la conversazione. 

«Mh. Anche volendo, non avrei avuto voce in capitolo. Il nostro è stato un matrimonio combinato.»

«Oh.»

«Sì, fu… un accordo commerciale. Mio suocero era un fabbricante di bacchette del Donegal con diversi debiti nei confronti di mio padre, e decisero di sistemare la questione così. Euterpe e io ci siamo ritrovati sposati appena finito Hogwarts, credo che prima non ci fossimo scambiati nemmeno dieci parole in tutto.»

Lucretia annuì. Aveva ben presente quel tipo di matrimoni. La maggior parte delle vecchie generazioni di Black si era unita così, con accordi presi dai genitori per i figli a prescindere dalla volontà di questi ultimi; al momento attuale l’usanza era considerata antiquata, perché i Purosangue erano giunti alla sconvolgente scoperta che un’unione voluta dai nubendi tendeva a durare più a lungo e con molti meno drammi, ma di quando in quando qualcuno vi faceva ancora ricorso.

«Molti matrimoni iniziano così e in seguito diventano felici,» commentò. Era vero. Madre e Padre non si erano certo scelti, ma erano affiatati e si dimostravano vicendevole rispetto a ogni occasione, mentre Callidora e Harfang arrivavano addirittura a scambiarsi piccoli gesti affettuosi persino in presenza di ospiti. 

A giudicare dal pesante sospiro di Ignatius, però, era chiaro che per i Prewett non fosse andata così. «I matrimoni ben combinati, forse. Il nostro…»

Schioccò la lingua e si alzò in piedi. «Mi perdoni, signorina Black, ma noi maghi di campagna non possiamo affrontare certi discorsi senza del Whisky Incendiario. Ne vuole anche lei?» 

«Oh, ecco, non so se…»

«Prometto di non approfittarne per attentare alla sua virtù, a costo di deludere la sua famiglia,» soggiunse alzando le mani.

Lucretia sbuffò una risatina. «In questo caso, accetto volentieri.»

Prewett entrò in casa portando con sé libro e pipa e tornò un paio di minuti dopo, un bicchiere di whisky in ciascuna mano. Gliene porse uno prima di sprofondare di nuovo nella sedia a dondolo. 

«Come dicevo, Euterpe e io non eravamo ben assortiti. Non mi fraintenda, era una persona davvero eccezionale, solo… non era il tipo di donna che avrei sposato, e io non ero il tipo di uomo che lei avrebbe sposato. Tutto qui.» Sorbì un sorso di whisky. «Purtroppo il contratto firmato dai nostri padri non contemplava il divorzio, né da parte mia né da parte sua, perciò… l’abbiamo dovuto far funzionare.»

La morsa sul cuore di Lucretia si intensificò. Per qualche ragione si era figurata che il matrimonio di Ignatius ed Euterpe fosse stato, se non felice, quantomeno ben riuscito. E invece… 

«Col passare del tempo le cose sono migliorate. Abbiamo imparato a conoscerci, ad andare d’accordo, e dopo qualche anno sono nati i ragazzi…» Alla menzione dei figli Ignatius sorrise. «Insomma, non eravamo miserabili. Ma… quando è morta mi è sembrato di perdere la mia migliore amica, invece di mia moglie. Non so se ha senso o…»

«Ce l’ha.»

Prewett le scoccò di nuovo quello sguardo insicuro. Lucretia pensò che fosse strano vedere quell’espressione su quel leone ristretto nel corpo di un gatto. «Non sarà stato facile, quando… quando sua moglie si è ammalata.»

«Glielo ha raccontato Callidora?»

«Solo superficialmente. Non si è permessa di scendere in dettagli.»

«Sua cugina è sempre troppo gentile.» Si sistemò meglio sulla sedia. «Sì, è stato… difficile. Però non vorrei intristirla con questi racconti…»

«Non si preoccupi, signor Prewett. Se ne vuole parlare ascolto volentieri. Immagino sia difficile trovare un altro adulto con cui conversare da queste parti.»

Il mago sbuffò una risata, poi si mise a fissare l’interno del suo bicchiere. Quando ormai Lucretia pensava che non avrebbe risposto, ricominciò a parlare.

«A cinque anni aveva contratto una forma piuttosto grave di febbre della brughiera. Una malattia bastarda. Se anche sopravvivi, rischi di ricaderci in qualsiasi momento della tua vita, e allora ti porta via nel giro di un lustro.» Tirò su col naso. «A Euterpe successe quando Molly aveva due anni.»

«Oh, cielo.»

«Era chiaro che non sarebbe durata a lungo, che sarebbe stato un miracolo se avesse visto Gideon e Fabian iniziare Hogwarts, e allora… allora iniziò a cambiare.»

«Ossia?»

«Diventò… distante. Coi ragazzi.» Bevve un altro sorso. «Da un giorno all’altro smise di giocare con loro, di raccontare storie, di essere affettuosa, tutto. All’epoca non capivo. Pensavo fosse una brutta reazione alla notizia, che si fosse depressa… ma per il resto si comportava normalmente, nei limiti del peggiorare delle sue condizioni. Solo in seguito ho realizzato che l’aveva fatto per loro, per allontanarli da lei in modo che non sentissero la sua mancanza in futuro.»

Il richiamo di un gufo in lontananza risuonò lugubre fino a loro. «Forse è anche per questo che sono diventato così attaccato ai ragazzi e a Molly. Per anni me ne sono dovuto occupare praticamente da solo, perciò… ormai è una seconda natura, benché poco convenzionale.»

Lucretia annuì e abbassò a propria volta lo sguardo sul bicchiere. Avrebbe voluto bere, ma il nodo che sentiva in gola non glielo avrebbe mai permesso. Quei bambini così in gamba, così speciali e così malvisti da gentaglia come Berenice Burke, per cui un uomo come Ignatius si prodigava con tutta l’anima… avevano perso la madre già da viva, per un amorevole ma fuorviato tentativo di proteggerli dal lutto. Mai avrebbe immaginato che in quella bella casa si fosse vissuto così tanto dolore, per così tanto tempo.

«Mi dispiace,» ripeté, incapace di pensare a qualcos’altro da dire. «Non… non vi meritavate una cosa del genere.»

Il mago fece spallucce. Aveva chinato la testa in avanti e diverse ciocche ribelli gli ricadevano sul viso, nascondendolo in parte; Lucretia dovette ricorrere a tutta la propria educazione per non spostargliele indietro. 

«Non i miei figli, no. Loro avrebbero meritato decisamente di meglio. Per quanto riguarda me, invece… forse un po’ sì.»

«Perché dice questo?»

«Perché… non sono esattamente un brav’uomo, signorina Black. Ho lasciato che mia moglie abbandonasse i nostri figli invece di convincerla che fosse sbagliato, insistere affinché non li privasse degli ultimi anni con lei… e quando è morta, beh… ho provato del sollievo, perché finalmente era finita. Farei di tutto per riportarla in vita e ridarla ai ragazzi, eppure… eppure non mi manca, capisce?» Deglutì. «Che razza di persona è quella che non sente la mancanza della propria moglie?»

«Una persona normale.»

Ignatius girò il capo e la guardò sbattendo le palpebre. «Prima ha detto che quando Euterpe è morta, ha perso la sua migliore amica,» continuò Lucretia. «È diverso dal dire che non le importa. Ed è ovvio che il non vederla più soffrire le dia conforto. Quanto al resto… io credo che ciò di cui non sente la mancanza sia il vostro matrimonio: le dispiace aver perso sua moglie e la madre dei suoi figli, ma non le dispiace non essere più sposato. È del tutto comprensibile, date le circostanze.»

Trattenne un sorriso nel vedere l’espressione stupefatta di lui. Forse non aveva mai osservato la situazione da quella prospettiva, o forse nessuno gli aveva mai mostrato quel punto di vista; di certo non si confidava tanto spesso su quella parte della propria vita, se l’evidente sforzo che gli era costato quella semplice confessione significava qualcosa. 

Lasciò che la realizzazione si sedimentasse dentro di lui e ne approfittò per assaggiare un sorso di whisky. «Mi è parso di capire che Fabian e Gideon siano in procinto di iniziare Hogwarts,» disse poi, col tono che usava Madre per cambiare argomento senza ammettere discussioni. «Hanno già ricevuto la lettera, o l’attendete per il prossimo anno?»

Prewett reagì proprio come gli interlocutori di Melania Black quando venivano spiazzati dalle sue brusche deviazioni: aprì la bocca per parlare e la richiuse subito, quasi stesse rimuginando se insistere con il discorso precedente o lasciar perdere e passare al successivo; infine, scosse la testa. 

«Non è arrivata, ma dovrebbe mancare poco,» rispose in un soffio.

Continuarono a discorrere per un’altra ora abbondante, passando di argomento in argomento — l’entusiasmo dei gemelli per l’inizio della scuola, le rispettive esperienze giovanili, il recente matrimonio del fratello di Lucretia, la vita che l’attendeva una volta tornata a Londra; col passare dei minuti la fronte di Ignatius tornò serena, la sua ironia affilata, e quando la povera Lucretia lasciò inavvertitamente andare uno sbadiglio nel bel mezzo di una frase lui l’accolse con una vera e propria risata.

«Credo che abbiamo finalmente sconfitto la sua insonnia, signorina Black. Mi permetta di accompagnarla.»

Si alzò in piedi e armeggiò con la porta di casa per controllare che fosse ben chiusa. Lucretia avrebbe voluto rifiutare, perché sarebbe volentieri rimasta su quella veranda all’infinito anche a costo di rinunciare per sempre al sonno, ma un altro sbadiglio troncò la sua protesta e la costrinse ad alzarsi a sua volta e aggrapparsi al braccio che Prewett le offriva; il tempo di una Smaterializzazione e si trovavano nella proprietà dei Longbottom, a una ventina di metri dalla casa.

«Grazie infinite.» Lucretia si affrettò a staccarsi dal braccio un po’ troppo scoperto e si strinse le mani in grembo. «È stato molto gentile da parte sua.»

Il mago scosse il capo. «Sono io che devo ringraziarla, signorina Black. Non ho…» Tossicchiò. «Non ho mai modo di… conversare con qualcuno su certi argomenti. Grazie per avermene dato l’opportunità.»

Per l’ennesima volta da che si trovava in sua compagnia, Lucretia si sentì avvampare ferocemente. Avrebbe voluto dirgli che no, era lei a doverlo ringraziare, per averla ascoltata e capita senza giudicarla e per averle dimostrato fiducia come nessuno mai aveva fatto prima; invece rimase in silenzio a osservare quell’uomo gentile che conosceva da così poco e verso il quale, purtuttavia, si sentiva come se fossero stati amici da una vita. Assorbì il più possibile di quegli occhi così verdi e così buoni, di quella criniera che appariva ancora più indomabile alla luce della luna, di quel sorriso che celava una sofferenza insospettabile, e quando capì che non se ne sarebbe mai saziata si schiarì la gola e guardò la casa.

«Meglio che vada,» mormorò. «Alla prossima volta, signor Prewett. Porga i miei saluti ai suoi figli.»

E rivoltogli un ultimo cenno del capo, si avviò a passo lento in direzione di casa Longbottom. Adesso era certa che non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi, non con quel groviglio inestricabile che le avvolgeva il cuore e lo stomaco e le rendeva difficile persino respirare. Di lì a qualche ora avrebbe abbandonato il Galles, per tornare alla solita esistenza londinese, e si sarebbe lasciata alle spalle l’unico uomo che fosse mai riuscito a stravolgere le sue convinzioni e vincere le sue resistenze — l’unico che l’avesse mai fatta sentire accettata, compresa, giusta. L’unico uomo con cui si era mai permessa di immaginare un futuro insieme. 

Se soltanto lui l’avesse voluto.

«Lucretia.»

Sulle prime non si fermò. Era così estraneo il suo nome pronunciato da quella voce, e tutta la sua mente era assorta nel rivivere l’ora trascorsa insieme a Ignatius Prewett, nel tentativo di trattenerne i ricordi il più intatti possibile per poterli rievocare quando si sarebbe sentita troppo sola. Al secondo richiamo, un po’ più forte, finalmente si voltò.

Per Salazar. Era davvero strano vedere quell’espressione timida su quel leone nella pelle di un gatto, eppure in quel momento Ignatius sembrava più bello che mai.

«Lucretia…» Inspirò a fondo. «Ho il permesso di scriverti?»

 

 

   
 
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