They
brought them dead sons from the war,
And
daughters whom life had crushed,
And
their children fatherless, crying—
All,
all are sleeping, sleeping, sleeping on the hill.
Edgar Lee Masters – Spoon River Anthology
Hermione Granger era una donna semplice.
Agli
occhi di chiunque la guardasse, ma specialmente dei suoi amici era
sempre stata lineare, razionale, la personificazione della mente.
Anche quando sembrava lanciarsi in imprese che potevano apparire
pericolose o incaute, dietro a queste decisioni si nascondevano piani
meticolosi, che non lasciavano nulla al caso e che rivelavano le
lunghe riflessioni che lei aveva speso prima di decidere.
Hermione
era una persona generosa, altruista, infinitamente coraggiosa, che si
batteva per gli ideali in cui credeva con lo stesso ardore, sia che
si trattasse del C. R. E. P. A. ai tempi della scuola o delle
battaglie contro l'esercito di Voldemort.
Metteva
tutta se stessa, tutta la sua mente, tutto il suo ingegno al servizio
di una causa superiore, fino ad immergersi completamente in quel che
era la sua missione, facendone il solo scopo delle sue giornate,
finchè non arrivava ad una soluzione. E faceva tutto
ciò senza far
pesare nulla, senza che mai dalla sua bocca uscisse una lamentela per
il troppo lavoro. Anzi, al massimo, arrivava a rimproverare che le
era vicino perchè non si impegnava a sufficienza, piuttosto
che il
contrario.
Quella davanti ai suoi occhi non era Hermione Granger.
Per
mesi l'aveva vista sorridere davanti agli sguardi di chiunque,
stringere in stentati abbracci ogni membro della famiglia Weasley,
trattenere le lacrime e ricacciarle in gola ogni volta che Molly le
chiedeva di restare alla Tana, di non andare via, di restare e di
dormire in quella casa, in quella
stanza, per sentirla
meno vuota, almeno finché c'era lei. E lei le si avvicinava,
la
abbracciava e le rispondeva che si, sarebbe rimasta.
L'aveva
guardata cercare di essere la roccia su cui tutti potevano contare,
la sola che non sarebbe crollata, che avrebbe mantenuto il controllo,
perchè in guerra queste cose succedono e non è
possibile
nascondersi in un polveroso ripostiglio ad attendere che il trambusto
passi, che la guerra, finisca, che il dolore si spenga.
Lei, Hermione.
La
razionale, la forte, non avrebbe abbandonato nessuno, men che meno se
stessa, nonostante la sofferenza, nonostante il mondo intorno a lei
si stesse sgretolando, a partire da ciò che aveva
più vicino.
Non
vedeva i suoi genitori da più di sette anni, da quando li
aveva
mandati in Australia, totalmente ignari della sua esistenza, proprio
grazie al suo talento.
Sarebbe tornata a prenderli presto, li
avrebbe ritrovati, lo aveva sempre detto lei e lo avevano pensato
tutti, ma quella guerra non accennava a finire, la ricerca degli
Horcrux non aveva dato grandi frutti e Voldemort continuava a
nascondersi dietro piccole battaglie con niente più che
inutili
marionette.
Da quasi due anni non c'erano scontri degni di essere
chiamati tali, dopo la battaglia che avevano combattuto nei dintorni
di Didsbury. Era stata l'ultima volta che aveva visto Voldemort, che
aveva avuto la possibilità di combattere con il suo solo
nemico.
L'ultima volta che erano stati tutti e tre insieme, a combattere come
ai tempi di Hogwarts.
L'ultima volta che aveva visto combattere la sua Hermione.
Qualche
settimana dopo quella battaglia, Hermione e Ron erano stati assegnati
ad una divisione di Auror che avrebbe pattugliato le regioni
all'estremo nord della Scozia, per circa sei mesi, nel tentativo di
scovare i nascondigli dei Mangiamorte, ma anche alla ricerca degli
Horcrux rimasti.
Hermione aveva avuto un'idea, il cui sviluppo
era risultato nella messa in atto di quella missione, quindi era
normale che volesse essere presente alle ricerche.
D'altro canto
Ron non avrebbe mai accettato di stare mesi lontano da lei, non
quando, a poche ore dalla fine della battaglia di Didsbury, aveva
vinto tutte le sue indecisioni e le aveva chiesto di sposarlo. In
quelle condizioni, ogni minuto passato separati sarebbe stato
soltanto una tortura, per entrambi, oltre che un rischio,
perché
tutti e due sarebbero stati distratti, ognuno preoccupato per la
sorte dell'altro.
Ron
gli aveva chiesto di mandarlo con Hermione e lui aveva acconsentito.
Non
l'avesse mai fatto.
Forse sarebbe ancora vivo.
Magari
non sarebbe stato dietro quell'albero, fuori da una casupola
apparentemente disabitata, in cui avevano ritrovato tre agguerriti
Mangiamorte, insieme alla Coppa di Tosca Tassorosso. Ron era stato
catturato, quasi in uno scambio per l'Horcrux che avevano
conquistato.
Hermione
si era smateralizzata immediatamente, il cimelio tra le mani e
l'aveva riportato al Quartier Generale. Harry se l'era ritrovata in
piedi nel suo ufficio, scarmigliata, le mani sporche di terra e
sangue, strette intorno ai manici di quella Coppa.
Le aveva
chiesto spiegazioni, aveva cercato di capire perchè fosse
così
sconvolta e lei aveva detto soltanto poche parole:
“Hanno
portato via Ron. Abbiamo preso un Horcrux, lo devo
distruggere.”
L'aveva portata in un luogo tranquillo e aveva lasciato che la distruggesse, osservando le lacrime scorrere sulle sue guance e, per la prima volta nella sua vita, vedendole un'espressione d'odio sul volto.
Non l'aveva mai più vista così.
Probabilmente
lei aveva capito.
Per
settimane avevano atteso notizie, avevano pattugliato i boschi,
avevano cercato ovunque una traccia che portasse a Ron, anche
soltanto un bisbiglio.
Per
settimane non avevano avuto altro da stringere tra le dita che non
fosse l'aria gelida di quell'inverno nevoso.
Erano
appena passate le feste di Natale, per la prima volta celebrato in
sordina per quella chiassosa famiglia, dove quel posto vuoto faceva
troppo rumore per poterlo sovrastare con i suoni di una festa. Il
piccolo Fred, figlio di George e Angelina, era stato l'unico ad avere
il coraggio di nominare quell'assenza, di chiamare, con la sua
vocetta infantile, lo zio che lo faceva volare sulla piccola scopa
che gli aveva regalato.
Hermione
l'aveva preso in braccio e l'aveva vestito, imbacuccandolo nella sua
sciarpa Gryffindor.
L'aveva fatto volare per quasi un'ora, sola, nel
giardino.
Nessuno aveva parlato.
Poi
d'improvviso, una mattina, così come l'avevano portato via,
l'avevano restituito.
Il corpo di Ron era stato ritrovato davanti
alla Tana, beffardamente appeso per le mani ai fili a cui Molly aveva
sempre steso i panni della sua enorme famiglia.
Avevano portato loro un involucro vuoto, su cui riversare tutte le
lacrime
di una madre distrutta.
La Tana era stata svegliata dall'urlo
atroce di Fleur, che avevano ritrovato inginocchiata sui gradini
dell'ingresso, la camicia da notte bagnata dalla neve, le mani
infangate tra capelli, che le erano scivolati davanti agli occhi,
mentre fissava il corpo del cognato.
L'immagine
della grazia andata in pezzi dinnanzi allo scempio del cadavere di un
ventenne.
Bill
l'aveva presa in braccio e l'aveva portata in casa per asciugarla e
scaldarla, mentre il resto della famiglia si accalcava sulla porta,
tentando di uscire, per poi ritrarsi istintivamente appena messa a
fuoco l'immagine che si presentava loro davanti.
Soltanto Molly
era impietrita sulla soglia, entrambe le mani a coprire la bocca,
aperta in un urlo muto, mentre Charlie e George si avvicinavano al
corpo del fratello per posarlo a terra, finalmente affrancato da
quell'indecente esposizione.
Hermione
non aveva detto una parola, non aveva urlato, né pianto. Si
era
stretta a Ginny, in completo silenzio, non staccando gli occhi
nemmeno per un secondo da quello che sarebbe dovuto essere l'uomo
della sua vita.
Nemmeno in quel momento aveva perso il
controllo.
Ma
ora, davanti ai suoi occhi, Hermione non era più la stessa.
Aveva
avuto notizia, circa sei mesi prima, tramite un gufo da parte della
sua squadra, sperduta nella brughiera scozzese, di un certo
sconvolgimento tra le fila di Voldemort, che nessuno aveva saputo
spiegare. Erano arrivate voci riguardanti un tradimento, un
abbandono, ma nessuno sapeva quanto di questo fosse vero e chi fosse,
eventualmente, la persona che aveva abbandonato. Da molti anni
trapelavano ben poche notizie dal fronte nemico e tutti i Mangiamorte
noti erano stato catturati oppure erano scomparsi senza lasciare
traccia di loro, se non qualche sporadica comparsa nelle piccole
battaglie.
Questo
non valeva però, per quella che si poteva considerare la
“Guardia
Reale” di Voldemort. Quando lui era fuggito, durante l'ultima
battaglia, lo stesso avevano fatto i suoi fedelissimi, che non erano
più ricomparsi in alcuna occasione. Di Bellatrix, Rodolphus
e dei
due maschi Malfoy non si avevano notizie da allora.
La notizia di
questa destabilizzazione, aveva risvegliato in Hermione una sorta di
brama di sapere che somigliava per certi versi alla
curiosità che
l'aveva guidata a scuola, durante le onnicomprensive ricerche in
Biblioteca. Dormiva pochissimo, mangiava alla scrivania, si fermava
al Quartier Generale fino ad orari impossibili e quando veniva
invitata ad andare a casa, per riposare un poco, portava con
sé
altra carta, per non smettere di lavorare nemmeno in quei momenti.
Ma non era questa la cosa strana. Quel che la rendeva inquietante
era la smania di tenere ogni notizia per sé, di non
condividere
nulla, di non chiedere mai aiuto, ma anzi, di tenere quasi segreta
ogni sua scoperta. Sembrava che la considerasse una questione
personale.
Aveva iniziato a disinteressarsi di tutto e di tutti,
si presentava alla Tana la domenica, come sempre, ma non parlava
quasi con nessuno, si isolava accanto al camino rivolgendo sorrisi
vuoti a chiunque la interpellasse.
Non era in lei, in quella sua
completa indifferenza per il mondo che la circondava, per le persone
che le erano state accanto fin da quando era bambina. Non era nemmeno
mai tornata alla tomba di Ron, dopo il funerale. Aveva dedicato
ogni suo respiro a qualcosa di meno che impalpabile, a indizi
effimeri che conducevano su una pista diretta nel fitto del buio,
senza alcuna guida, se non la sua voglia di giustizia.
Avrebbe
dovuto immaginarselo, che sarebbe successo.
Una
mattina l'aveva cercata in ufficio, per chiederle di andare a pranzo
da lui e Ginny, per conoscere il piccolo James, ma non aveva ricevuto
alcuna risposta.
Era sparita, con tutte le sue carte, i suoi
libri e le sue supposizioni.
Aveva chiuso la porta di casa,
lasciato in ordine la scrivania e sistemato tutti i suoi affari.
Non
era da Hermione lasciare questioni da risolvere a chicchessia. Tutte
era meticolosamente posato al proprio posto, aveva chiuso tutte le
imposte e avvisato la proprietaria dell'appartamento che aveva in
affitto che sarebbe mancata per un certo periodo, per lavoro.
Tutto
era stato preparato con cura, tutto eccetto la sua famiglia.
Di
primo acchito avevano pensato ad un altro rapimento, ma tutti questi
accorgimenti avevano fatto capire che il suo allontanamento era
volontario, che nessuno l'aveva aggredita.
Il tutto era stato
confermato alla fine, dall'arrivo di un gufo alla Tana, a portare un
biglietto, vergato dalla scrittura nervosa della ragazza:
“
Non
preoccupatevi per me, devo risolvere alcune cose e scoprirne altre e
non posso più farlo da dietro una scrivania.
Non voglio mettervi
in pericolo più di quanto non lo siate già, per
questo non vi ho
mai detto nulla.
Tornerò appena mi sarà possibile.
Vi
voglio bene, non dimenticatelo.
H.”
Avrebbe
dovuto aspettarselo, che lei avrebbe combinato qualcosa.
La
conosceva da anni e l'aveva fregato ancora.
La frase “L'immagine della grazia andata in pezzi dinnanzi allo scempio del cadavere di un ventenne” non è mia, è un gentile dono di Rea (Poison Spring) che l'ha utilizzata su msn per commentare l'anteprima della prima parte di questo capitolo. Giusto per farvi capire con chi ho a che fare io. xD
La
citazione iniziale, come sempre sarà in questa storia,
è tratta
dall'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters, trovata come
sempre grazie all'insostituibile aiuto della mia Rea, che non mi
abbandona mai, specie quando ci sono di mezzo Masters, Faber e la sua
mania citazionistica.
La versione inglese è bellissima, ma mi
piace l'idea di condividere con voi anche i versi di De
Andrè che ne
sono scaturiti:
“...
dove
i figli della guerra
partiti per un ideale
per una truffa, per
un amore finito male
hanno rimandato a casa
le loro spoglie
nelle bandiere
legate strette perché sembrassero intere.”
(La
Collina – Fabrizio De Andrè)
Visto
come si sta evolvendo la storia inizio subito a dubitare della mia
capacità di limitarmi a 3-4 capitoli, specialmente se
continueranno
a venirmi così corti. Rimangio quindi tutto ciò
che avevo detto
prima: non so quanti capitoli saranno, non riesco a farmi un'idea
precisa al momento, ma vi renderò partecipi appena il mio
unico
neurone smetterà di pensare ai figaccioni e
inizierà a concepire di
stendere una scaletta di questa storia.
Per gli avvenimenti,
invece, ho tutto in mente, fino all'ultimo secondo, quindi posso
dirvi fin da ora che non sarà una storia semplice, come
avrete
capito. Non sarà una storia romantica, fluffosa e tenera. La
gente è
morta e morirà e ci saranno momenti parecchio pesanti da
digerire...
Preparatevi...
Con questo, ringrazio tutte le mie
recensitrici, affezionate e non, ogni persona che si sia avventurata
a leggermi, a inserirmi nelle preferite, nelle ricordate o nelle
seguite. Apprezzo e amo ogni segno di vita decidiate di darmi.
Vi
invito ancora una volta a farmi un saluto sulla mia pagina
facebook, se vi va;
troverete qualche spoiler e un po' di deliri.
Da qualche giorno
ho anche twitter,
se voleste passare di lì, vi attendo con piacere.
A presto.
<3