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Autore: Lady Vibeke    25/07/2011    7 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19. AL CALARE DELLE TENEBRE

 

Does it hurt?
Does it burn?
Do you know what you've lost?
Are you scared of the dark?

– Ghost Of Love, The Rasmus –

 

 

Non c’era più niente.

Dello strazio insopportabile del dolore iniziale non restava più nulla, nemmeno un’ultima eco dispersa dentro di le, languente in un angolo oscuro.

C’era solo silenzio, la sterminata assenza di qualsiasi sensazione, un bianco infinito e sordo, muto, cieco, avvolgendola in una crisalide di apatia che le avrebbe fatto paura, se avesse avuto qualche coscienza di sé. Dove per un momento il ritorno della memoria aveva riempito le lacune e ripristinato interi anni di vita, adesso il vuoto era ritornato a spazzare via tutto, e non aveva più importanza se era stata una prigioniera per tutta la sua esistenza. Non aveva importanza nemmeno che qualcuno aveva brama di ucciderla per motivi ancora sconosciuti.

Morire, forse, non le sarebbe dispiaciuto poi tanto, ora.

La ciotola di minestra che aveva davanti era intatta. Aveva smesso di fumare ormai diversi minuti prima e non emanava più quel gradevole profumo di aromi che la cameriera aveva tanto lodato nel passare a distribuirla dal paiolo bollente. Lei neanche l’aveva sentita.

Se ne stava lì, le mani giunte in grembo, e si lasciava scorrere addosso il tempo senza sentirsene toccata.

– Cerbiattina, dovresti mangiare qualcosa – le disse la voce di Lucius, distante e addolorata.

Lei non rispose, non mosse lo sguardo dal punto indefinito su cui li teneva fissi, non diede alcun segno di aver sentito.

– Lasciala stare – mormorò Shin, distante e addolorato quanto l’amico, ma oppresso da una rassegnazione che l’altro non aveva.

Regan deglutì, stringendo le labbra. Gli occhi le bruciavano ancora dal troppo piangere dei tre giorni precedenti, e ora che aveva consumato tutte le lacrime, avrebbe solo voluto averne altre, pur di non sentire quel vuoto logorante. Avrebbe solo voluto poter ancora sentire qualsiasi cosa.

– Non mangia da tre giorni. Lasciarsi morire non le sarà di alcun aiuto – replicò Lucius, sottovoce.

Regan sentiva i loro occhi pesarle addosso, ma non le importava.

– Mangerà quando se la sentirà. –

Shin era tranquillo, del tutto alieno alla preoccupazione marcata di Lucius, solo più rigido e composto del solito. Più triste, anche. Benché la sua indole fosse diversa, era una quiete strana persino per lui, soprattutto in mezzo alla gente vivace che consumava il suo pasto serale presso Il Crocevia, la locanda rustica in cui alloggiavano loro tre lì a Lumbar.

Il mondo viveva, fuori da lei, vivace e brioso in un venerdì sera che, freddo o piovoso, quasi imponeva di mettere le castagne ad arrostire sul fuoco e stappare i vini aromatici da riscaldare. Qualche mercante si rallegrava dei viaggi imminenti verso il tepore della Terra di Asante e un gruppo di giovani bisticciava su una partita a carte dagli esiti poco graditi.

Il volto di Derian guardava Regan da una dimensione che nessun altro poteva vedere. Le sorrideva, come aveva sempre fatto, e le tendeva una mano dicendole che era tutto a posto, che non doveva temere, perché anche se lui non c’era più, lei non era sola.

Ricordava, ora, con spietata lucidità tutte le volte che era stato riportato nella stanza, sempre la stessa, indebolito fino a non riuscire a reggersi in piedi, a causa dei salassi a cui era costantemente sottoposto, eppure era l’unica cosa che lo tenesse in vita, perché se Desmond fosse riuscito a scoprire il segreto per appropriarsi del suo dono, lui sarebbe stato ucciso seduta stante.

Era quello che Regan non riusciva a capire: Derian era sempre stato prezioso, per Desmond, tanto da ricevere lo stesso trattamento di favore che aveva avuto lei, mentre gli altri prigionieri restavano sottochiave nelle loro celle nei sotterranei, buie e umide, lasciati a sé stessi. E allora perché Derian era stato ucciso, proprio quella notte in cui la Corte aveva incontrato la sua fine?

Si sforzava di ricordare, ma la luce della memoria non aveva toccato quei lidi, e tutto ciò che le restava tra le mani era la consapevolezza che la persona che era stata tutto per lei, per una vita intera, era stata assassinata.

Perché non sono morta io?

Se lo chiedeva da giorni, ormai. Se morire fosse toccato a lei, le cose sarebbero state più facili per tutti.

– Se proprio non ti va di mangiare, almeno bevi. –

 Lucius le aveva appena riempito il bicchiere di latte caldo e glielo spingeva davanti con una faccia che non ammetteva repliche. Regan stette a guardare la sua mano ancora attaccata al bicchiere. Aveva lo stomaco chiuso, ma lo accontentò, pensando che se non altro almeno lui si sarebbe sentito meglio. Vuotò il bicchiere a piccoli sorsi, e fu nauseante come se glielo avessero costretto giù per la gola con la forza.

 

 

Due giorni dopo, la situazione non era migliorata.

Arrivarono alla Taverna che il buio era già calato da un pezzo. La settimana pattuita con l’informatore era passata ed era giunto il momento di raccogliere qualche frutto.

Il freddo delle nevicate al Nord stava scendendo e l’odore di ghiaccio ormai era sensibile nell’aria. Pian piano l’inverno si sarebbe imposto anche sulle Terre del Sud.

Lucius smontò da Freyr e aiutò Regan a scendere a sua volta. Shin aveva già legato Freya sotto l’apposita tettoia rifornita di fieno e li stava aspettando.

Come la volta precedente, Regan fu costretta a nascondersi quasi completamente nel mantello. Non le importava più molto di quello che avrebbero o non avrebbero scoperto. Andava avanti per inerzia, aspettando che l’apatia svanisse, se mai fosse successo.

C’era molta meno clientela, stavolta. L’abbassarsi delle temperature e l’inoltrarsi della stagione doveva aver spinto i viaggiatori di passaggio verso mete più confortevoli o di ritorno verso casa. Trovarono l’uomo nella saletta privata, deserta. Quando si sedettero, lui guardò Lucius senza sforzarsi di nascondere l’avidità nei suoi occhi.

– Hai quello che cercavamo? – gli domandò Lucius.

Lui sorrise in modo inquietante.

– E voi? –

Per tutta risposta, Lucius adagiò sul tavolo il famoso tomo dal valore inestimabile, una mano appoggiata sopra in attesa. Dopo una rapida valutazione del libro, l’uomo ricambiò il gesto sfilandosi un fascicolo da sotto il mantello da viaggio.

– Qui dentro c’è tutto ciò che potreste mai sperare di trovare riguardo a quel simbolo – Consegnò il fascicolo a Lucius. – Appartiene a un Ordine minore che si istituì circa undici secoli fa, poco prima che le sette furono messe al bando. Si facevano chiamare Veglianti, poiché si riunivano di notte, nelle viscere della terra. Erano più che altro giovani idealisti visionari con manie di grandezza. Discutevano del Male, della corruzione e della decadenza del mondo. Svanirono nel nulla due secoli dopo e da allora si è persa ogni traccia. Non hanno lasciato nulla dietro di sé, se non vaghe voci che a tratti si confondono con le leggende. –

– In che senso? – indagò Lucius.

– I documenti sono antichi, molte parti mancanti – premise l’altro, solenne come non mai. – E la lingua è atavica, difficile da tradurre con precisione. Pare che il loro Ordine abbia rivendicato l’uccisione di Lucifero. –

Sia Lucius che Shin sgranarono gli occhi.

Regan non stava prestando molta attenzione, ma le sembrò strano che persone appartenenti allo stesso Ordine che si vantava di aver liberato il mondo da un flagello come Lucifero ora ce l’avessero con lei, probabilmente il demone più insignificante delle Sette Terre.

– C’è altro? –

Le dita dell’uomo sfiorarono devote il panno che ricopriva l’oggetto delle sue brame.

– I membri dell’Ordine erano tutti uomini colti e abbastanza facoltosi da permettersi di finanziare le loro attività, e c’era anche una piccola minoranza di donne, tutte erudite. Alcuni di loro hanno collaborato per stilare in un manoscritto i resoconti dettagliati dei loro studi, una sorta di manuale per i posteri. Pare ne esistono solo tre copie e quella che ho rintracciato io è drasticamente danneggiata e incompleta: sono stati sottratti capitoli interi. –

– Quindi qualcuno potrebbe essere in possesso delle parti mancanti – concluse Lucius, pensieroso.

– Non è da escludere. –

Era tutto.

Lasciarono il libro antico nelle mani veneranti dell’uomo senza nome e portarono via il fascicolo con le loro informazioni.

– Non è molto – sospirò Lucius, mentre slegavano i cavalli. – Ma meglio di niente. Se non altro abbiamo un punto di partenza, adesso. –

– Eppure quel simbolo mi ricorda qualcosa – mormorò Regan, persa nei suoi pensieri.

Shin aggrottò la fronte in sella a Freya.

– Che cosa vuoi dire? –

Non lo sapeva con sicurezza nemmeno lei. Era la stessa sensazione che le dava l’incubo con la falce di luna e il sole dorato: qualcosa che aveva già visto ma non riusciva a ricollegare alla realtà.

– Non riesco a capire. Forse mi sbaglio e basta. –

– Ti verrà in mente – le disse Lucius, felice che finalmente lei desse qualche segno di vita, dopo giorni di silenzio.

Era l’ottava pomeridiana quando varcarono le porte della cittadina. L’ora di cena era passata da un pezzo ma avrebbero trovato le cucine ancora aperte e attive a Il Crocevia.

Regan non mangiò nemmeno quella sera, deludendo così le speranze di Lucius. Lui e Shin disquisirono fino a notte fonda di quanto avevano appreso sull’Ordine dei Veglianti, avanzando ipotesi su ipotesi in cerca di possibili spiegazioni che svelassero il loro interesse verso Regan.

Lei dormiva già quando anche loro due si coricarono nei rispettivi letti.

La notte era tranquilla e silenziosa, in quella zona. Si sentiva solo qualche sporadico frullare di ali e il verso di qualche rapace notturno, su tutto il resto la quiete faceva da sovrana.

 

 

Si svegliò di soprassalto, e per una volta non fu per via di qualche brutto sogno.

L’aveva sentito dentro e sulla pelle, come fili che si erano intrecciati sotto le sue dita e avevano iniziato a tirare, fino a svegliarla, e adesso continuava a esercitare una forza inaudita su di lei, strappandola alle lenzuola calde e trascinandola fuori dal letto.

Non avrebbe saputo come definirlo. Era solo più forte di lei.

Non considerò essere scalza, né che tutto ciò che indossava era una sottoveste ridicolmente leggera. I fili invisibili che la irretivano come un burattino la condussero fuori dalla stanza a passo felpato, e poi giù per la scale, fino in strada. A nulla servì lo strepitare del buonsenso: il richiamo era troppo forte e lei ne era così affascinata che nemmeno se avesse potuto vi si sarebbe sottratta.

Le strade erano deserte, lucidate e scurite dall’umidità, e i lampioni sembravano batuffoli di luce soffusa sospesi nel vuoto, tanta era la nebbia delle campagne.

C’era una via secondaria, poco più avanti, che si apriva sulla destra. Era da lì che veniva il richiamo. I fili si tesero, la sua volontà si affievolì. Seguì la tensione che la traeva in quella direzione senza opporre alcuna resistenza, desidero, anzi, di scoprire che cosa fosse ad attirarla in quel modo.

Udì un fruscio alle sue spalle. Si fermò e si voltò indietro, senza trovare altro che ombre disegnate dalle pallide luci. Rimase in ascolto per un po’, ma non accadde nulla, così si inoltrò nel vicolo. Era difficile vedere, lì dentro, perché gli alti muri delle case oscuravano ogni cosa. Avvertiva una presenza lì vicino, ma non osava addentrarsi in tenebre così impenetrabili.

Ora che era lì, si rendeva conto che il richiamo che sentiva era simile a un lamento.

Più luce… servirebbe più luce.

Si alzò un vento insistente, freddo, dapprima, poi appena intepidito, quel tanto che bastò a permetterle di non congelare. In pochi secondi si liberò un occhiello di cielo e da lì la luna fece capolino, inviando i suoi raggi a rischiarare la strada. Socchiudendo gli occhi, Regan riuscì a distinguere almeno i contorni delle cose che intralciavano il passaggio: un paio di casse distrutte abbandonate, un cumulo di legna muffita, persino una pentolaccia riversa a terra in cui al momento stava banchettando un gruppetto di ratti. Li scavalcò senza badarvi: ciò che la stava chiamando, qualunque cosa fosse, doveva essere appena fuori da quel vicolo.

Più si avvicinava, più certi rumori che prima erano stati inudibili e poi indistinti acquisivano concretezza e riconoscibilità: sembravano versi animali, sibili sinistri e affannosi come di cani famelici. E poi c’era qualcos’altro, non qualcosa di tangibile, ma una sofferenza sorda lasciata ad aleggiare nell’aria, l’invocazione di una fine che non sopraggiungeva.

Bastò un passo fuori dal vicolo e capì da dove era provenuto il richiamo che l’aveva svegliata: una strada più grande, deserta come tutto il villaggio, e a terra, a pochi passi da lei, il corpo esanime di un uomo disteso a braccia spalancate.

Regan si portò le mani alla bocca, terrorizzata: attorno al cadavere si affollavano creature abominevoli, solo vagamente simili a qualcosa che un tempo doveva essere stato una persona. Erano in cinque, magri come scheletri, vestiti di cenci, la pelle sottile e rugosa macchiata in diversi punti da grossi lividi violacei. Avevano occhi infossati, cerchiati di scuro, rossi come fuoco vivo, e labbra sottilissime e ceree, che lasciavano scoperti denti bianchi e appuntiti. Emettevano urla terribili, rese acute da un’agonia che li consumava da dentro, fino ad emergere prepotentemente negli sguardi pieni di follia.

Si accorsero subito di lei e le loro pupille divennero spilli in quel rosso spaventoso. Le loro bocche disgustose si spalancarono e ne emersero strida soverchianti.

Regan non riusciva a muoversi, e nemmeno a urlare. Era paralizzata dalle grida strazianti che provenivano da ogni dove e da nessuna parte, assordandola. Si portò le mani alle orecchie, accasciandosi contro il muro al suo fianco. Altre urla si stavano mescolando a quelle dei mostri nella sua testa. Più deboli e più umane, ma altrettanto insopportabili. Figure senza volto apparvero davanti ai suoi occhi chiusi, bocche distorte dalla sofferenza, lamenti simili a richiami di spiriti torturati.

D’un tratto una figura nero balzò sulla scena. Il viso era nascosto da una sciarpa avvolta stretta fin sopra il naso, e brandiva una spada contro i cinque esseri furenti.

– Scappa, stupida! – le ringhiò la voce volgare di un uomo che le sembrava di conoscere. Sebbene non si fidasse di lui, non se lo fece ripetere due volte: non appena vide che i mostri si avventavano contro di lui, Regan si voltò e fuggì. Due di loro, però, le andarono dietro.

Si mise a correre alla cieca, le mani premute sulle orecchie, e si precipitò giù per la strada, che dal villaggio scendeva verso l’aperta campagna. I suoi piedi nudi calpestavano la pietra scivolosa e più volte rischiò di cadere. Sentiva quegli esseri rivoltanti inseguirla, il loro alito caldo e nauseabondo sul collo; non sarebbe riuscita a correre a lungo, e ora sapeva anche perché: anni di clausura in una stanza non avevano certo favorito le sue capacità atletiche.

L’aria le bruciava nei polmoni che a stento riuscivano a respirare. Cercò di svoltare in una stradina laterale, ma una lastra dissestata la fece inciampare. Rovinò a terra, e il ginocchio sinistro colpì la pietra con tale violenza che lei non riuscì più a muoverlo dal dolore. L’insorgere di un bruciore pulsante le disse che doveva anche essersi ferita.

Aveva il viso mezzo immerso in una pozzanghera, i capelli appiccicati alle guance e sugli occhi, e le faceva male dappertutto. E le creature a momenti le sarebbero state addosso.

Avrebbe voluto sfogare il proprio tormento in un urlo liberatorio, ma il suo torace era compresso dall’incapacità di respirare. Ansimava, frastornata da una vertigine crescente, e la sua vista era troppo annebbiata perché riuscisse a distinguere lo spazio circostante. Tutto ciò che sapeva era che i mostri erano ormai a pochi passi da lei. Riusciva a sentire i loro respiri gutturali, il fetore dei loro aliti famelici sempre più vicino.

Era spacciata.

Cercò a tentoni con le mani una rientranza o una sporgenza, qualcosa a cui aggrapparsi per aiutarsi a rialzarsi, ma non trovò altro che ruvidi blocchi di pietra. Era completamente indifesa alla mercé di quelle creature.

Ad un tratto qualcosa di affilato le sferzò l’avambraccio, squarciandole la manica e la carne al di sotto di essa. A Regan venne la pelle d’oca nel rendersi conto di essere circondata.

– No, per favore… –

Era una preghiera verso le voci nella sua mente, non quelle al di fuori. Più i mostri erano vicini, peggiore era il frastuono interno che le torturava la mente.

Nel mezzo del susseguirsi tortuoso di immagini e suoni, un lampo di luce improvviso venne a squarciare il buio.

Udì solo il crescendo smisurato dei versi animaleschi che si sollevò a un soffio dal suo viso. Per un frammento di secondo quasi impercettibile, mentre il dolore della ferita iniziava a farsi sentire, gli occhi di Derian balenarono nella sua mente martoriata, per poi svanire subito dopo, lasciando posto al solo e puro terrore.

Ma poi un altro lampo accecante seguì il primo, e gli esseri deformi strillarono inferociti.

Regan non sapeva nemmeno se il suo cuore stesse ancora battendo, tale era la velocità delle sue pulsazioni. Le sue ginocchia stavano per venir meno, quando si sentì afferrare per la vita e trascinare via di prepotenza, una mano premuta sulla bocca per impedirle di gridare.

Aveva la vista annebbiata, ma riuscì a distinguere un pugnale che vibrava nell’aria e si avventava con violenta precisione sulle gole dei due esseri, recidendole una dopo l’altra da parte a parte. Quelli gridarono, voci acute e pungenti come aghi, e stramazzarono al suolo, straziati dall’agonia.

Un istante dopo, senza nemmeno sapere come, Regan si ritrovò sul tetto di un’abitazione a guardare, stordita e spaventata, il vuoto davanti a sé. Poi sentì la presa di due braccia esili ma ferme ammorbidirsi attorno al suo corpo, ma non del tutto, perché le sue gambe non sarebbero riuscite a reggerla.

– Ti senti bene? –

Guardò in su: i grandi occhi scuri di uno sconosciuto la osservavano, freddi e distaccati.

Era un ragazzo che doveva avere non molti anni più di lei, alto e asciutto, con lunghi capelli neri tenuti indietro da un una fascia di pelle e un aspetto tutt’altro che mascolino. Per certi versi le ricordava Shin, per altri Lucius, ma diversamente da loro, lui mostrava un’aridità emotiva innaturale. Riconosceva in lui l’ardore e la durezza tipiche dei demoni.

Al lungo collo candido portava una moltitudine di sottilissime catene e lacci di cuoio da cui pendevano altrettanti cristalli trasparenti dai colori più disparati. Regan ne riconobbe un paio: erano identici a quelli portati da Gerjen e soci.

Cristalli di Ladri di Anime.

– Che cos’erano, quelli? – domandò, ancora tremante.

Cràdhan – rispose lui. – Dannati. Persone la cui anima è stata trafugata da vivi, rimasti a indugiare sul confine tra vita e morte senza trovare pace. –

Regan ricordava ciò che le aveva raccontato Shin riguardo certi Ladri di Anime incapaci, ma non pensava che rubare maldestramente un’anima potesse ridurre le vittime in quello stato orribile.

– Saresti potuta morire nel peggior modo immaginabile, lo sai? – le disse il ragazzo, severo, rinfoderando in pugnale nella cintola. Aveva modi bruschi, guardinghi.

– Cosa vuoi dire? –

Le labbra piene del giovane si incurvarono in modo sgradevole.

– Ti succhiano l’anima per saziare la loro sete, e una volta che te l’hanno portata via, non c’è più niente da fare: o qualcuno ha la pietà di ucciderti prima che sia tardi, o diventi come loro. –

Regan inorridì: non era proprio la fine migliore a cui si potesse aspirare.

Studiò di sottecchi lo sconosciuto e cercò di capire se fosse un amico o un nemico. per un attimo considerò la possibilità che fosse stato lui l’uomo dal volto nascosto di poco prima, che la voce le fosse parsa più matura a causa della sciarpa sulla bocca, ma era troppo alto e snello per poter essere lui.

E allora l’altro chi era?

C’era qualcuno che stava cercando di proteggerla e che ci teneva a non essere riconosciuto. Doveva assolutamente dirlo a Lucius.

Lucius. Le venne una stretta al cuore a pensare a lui, e a Shin: chissà se si erano accorti che lei non c’era, se già la stavano cercando. Le sarebbe spettata una bella ramanzina, non appena fosse tornata da loro.

– Andiamo. –

Il ragazzo la sollevò tra le proprie braccia e fece per saltare giù dal tetto.

– Aspetta! – lo fermò lei. – I miei amici sono… –

– Non mi interessa dove sono i tuoi amici. Non posso stare a badare a te, adesso. Se ci sono dei Dannati, vuol dire che ci sono nei paraggi dei Ladri di Anime, e non ho intenzione di permettere che lascino il villaggio… vivi. Non avere paura di me – aggiunse subito dopo, vendendola spalancare gli occhi. – Faccio del male solo a chi fa del male. –

Qualche raggio di luna discese su di lui mentre atterrava di nuovo sulla strada. Regan poté così distinguere una rara sfumatura rossastra nel castano degli occhi, incastonati in un viso aguzzo e astuto di un’avvenenza delicata, smile a quella di Shin. Tuttavia lo sguardo di quel ragazzo era intriso di qualcosa che, ne era certa, né gli occhi né il cuore di Shin avevano mai conosciuto: odio. Puro, semplice, irrefrenabile odio.

– Dove mi stai portando? – gli chiese, timorosa, mentre lui correva con confidenza tra le viuzze buie. Non osò supplicarlo di condurla alla locanda: sconvolta com’era, non avrebbe nemmeno saputo dirgliene il nome, o indicargli la strada.

Lui si limitò a rispondere:

– In un posto sicuro. –

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A/N: ringrazio tutti quanti per le letture e i commenti, in particolar modo Milou_ (acqua, acqua... ;) ) e LovelyAndy (Regan non ha esattamente preso tutti i poteri dei Derian, ma solo l'immunità ai veleni, che si trasmette solo quando qualcuno raccoglie l'ultimo respiro di un morente). Scusate la lunga assenza, sono stata molto presa e in mezzo c'è stata anche la settimana di ferie dei miei sogni, quindi... rieccomi nel mondo reale, aimè. ^^

Commenti a pareri sono sempre ben accolti, quindi... alla prossima! :)

Dal prossimo capitolo:

La prima deviazione forzata del piano originale, che per secoli era filato liscio senza in minimo intoppo, era avvenuta poco meno di cinque lustri prima, quando Sharlit aveva tradito e la bambina dai capelli di sangue era disgraziatamente caduta in mani ignote, che ne avevano fatto completamente perdere le tracce. Da allora, i cinque prescelti dell’Ordine, lui incluso, non erano più riusciti a riportare il corso degli eventi entro il loro controllo.

Era stato un puro colpo di fortuna che si fosse trovato a Somege proprio la notte in cui tutto era avvenuto: avrebbe potuto riconoscere lo sprigionarsi di quell’energia sovrannaturale anche se si fosse trovato sepolto sei piedi sottoterra.

Ora che la ragazza era stata ritrovata, dovevano agire con la massima prudenza: erano mille anni che l’Ordine non aveva a che fare con un obiettivo di età così matura. Tutti gli altri erano stati neutralizzati dai loro predecessori quando ancora in fasce o poco più che lattanti.

Tutti, tranne uno. Ma lì la storia si confondeva con il mito e quasi nessuno sapeva più la verità.

   
 
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