Bene, sono proprio contenta di vedere quante persone abbiano apprezzato
questo mio esperimento! ^_^
Perciò prima della storia, farò i
ringraziamenti:
Per Elisa: Grazie della recensione ^_^
Per quanto le risposte alle tue domande... Non voglio fare nessuna
anticipazione! Anche perché si può dire che questo esperimenti rispetti e non
rispetti l’originale...
Per
Nadeshiko:
Oh somma Nade–chan (posso chiamarti così, vero?) Sono felicissima della tua
recensione!!! Grazie a te sono riuscita a “convincere” Seto a recitare quel
miniscolo ruolo di fratello maggiore. Ma il modo si scoprirà tutto alla fine,
quando verranno ringraziati tutti gli “attori”. Per il consiglio, grazie! Spero
di essere riuscita a metterlo in pratica!
^_^
Per Gris
Latifoglie:
Grazie della recensione! ^_^ Eh, hai ragione, Yugi è veramente
puccioso!
Per
Darklight92:
Grazie per la recensione ^_^ Sono proprio contenta che ti abbia fatto così tanto
ridere! Spero che anche questo non ti
deluda!
Per kisa: Grazie della recensione ^_^
Spero che anche questo capitolo ti piaccia!
Beh, nell’altro capitolo non l’avevo scritto perché mi sono, ehm...
dimenticata ^_^”
ALLORA, I PERSONAGGI NON SONO MIEI, MA DI KAZUKI TAKAHASHI E LA STORIA
DEL GATTO CON GLI STIVALI NEMMENO! NATURALMENTE IO NON CI GUADAGNO NEMMENO UNA
LIRA, PER NON PARLARE DI EURO...
CAPITOLO II
Il gatto si
tenne fuori dalla portata del giovane, per quanto
riusciva.
Purtroppo, dopo
un paio di giorni, Joey riuscì a prenderlo e non giovarono affatto i discorsi
sull’amicizia del micio né la sorpresa nel sentir parlare un
gatto.
Per il gatto,
erano gli ultimi istanti di vita.
Ma accadde che
sulla fronte del micino, a causa di tutta la paura che lo aveva preso nel vedere
il suo migliore amico in preda ad una follia che nemmeno Marik e la sua barra
del millennio erano riusciti a produrre, comparve uno strano simbolo luminoso e
con un’abile mossa, il gatto riuscì a liberarsi dalla presa di
Joey.
«Non disperarti
così, padrone mio– disse con un sorriso furbo e una voce calma e sicura –Fidati
di me. Facciamo una scommessa. Procurati un paio di stivali, un cappello di
piume e una sacca di tela robusta ed entro tre mesi saremo a palazzo reale e
vivremo meglio di Seto e Mokuba».
Joey guardava
allibito e stupito la trasformazione che aveva subito il suo gatto. Non c’erano
dubbi. La carnagione ambrata, gli occhi violetti dal taglio allungato, il tono
di voce, quello era proprio il Faraone. Ecco dov’era finito! Con le orecchie
scure dritte tra i capelli e la coda che si muoveva tradendo la sua sicurezza,
si sedette a terra, osservandolo. «Allora? È come un gioco. Se vinco, tu sei a
palazzo e non mi mangi. Se perdo, allora diventerò la tua cena. Tre mesi. Che mi
dici?»
Il gatto sorrise
con quel suo solito ghigno strafottente comune ogni volta che sapeva di poter
vincere facilmente. Insomma, si vedeva la sua esperienza millenaria in fatto di
trucchetti e sotterfugi che gli avevano salvato più di una volta la vita, o
l’anima, o tutt’e due dai pericolosi giochi delle
ombre.
Joey, che
sembrava ritornato in sé, annuì: «D’accordo gatto, tre mesi. Io non ho niente da
perdere e tutto da guadagnare. Entro tre mesi. Ma dove la prendo la
roba?»
Il gatto, o
meglio Yami, sorrise, intrecciano le mani dietro la nuca e sdraiandosi a terra:
«Questo è affar tuo. I tre mesi saranno calcolati da quando avrai preso la
roba». Yami chiuse gli occhi e dopo breve, incominciò a fare le
fusa.
Joey osservò
dubbioso il gatto per qualche minuto, poi iniziò a scervellarsi per trovare ciò
che il micio gli aveva chiesto.
Faceva caldo,
nonostante fosse solo primavera anche se l’estate non era troppo lontana. L’idea
sopraggiunse nella mente del giovane fulminea, ovvero, dopo quattro giorni
circa. Prese il mantello di panno e tutti gli indumenti invernali e andò a
venderli. Con il ricavato riuscì a comprare quello che gli aveva chiesto il
gatto, spendendo fino all’ultimo centesimo.
Portò al micio
subito la roba.
Yami aprì gli
occhi, come un vero gatto l’unica cosa che aveva fatto era stata dormire
beatamente per tutto il tempo.
Osservò critico
gli stivali consumati, avevano l’aria di aver vissuto giorni migliori, e il
cappello che era sì di piume, ma ormai queste erano rovinate. «Qui ci vuole
Mahad... Autrice, ho bisogno di Mahad!»
Il tempo si
fermò di nuovo. Questa volta arrivarono due persone. Una era il Mago Nero,
mentre l’altra la sua inseparabile allieva. Anche lei non aveva il suo solito
vestito. Indossava una camicia di seta nera come il suo maestro, aperta come lui
che rivelava il top scuro che le fasciava il petto. La gonna corta era di pelle
nera e degli stivaletti le proteggevano i piedi. I biondi capelli erano raccolti
in una coda alta: «Atem, Lei vorrebbe dirti che non dovresti interferire così
sui fatti della fiaba...» gli disse la Giovane Maga Nera severa, incrociando le
braccia e poggiando con noncuranza il bastone magico su una
spalla.
Joey osservava
tutto, semplicemente.
Non si poneva
domande né faceva congetture.
Sarebbe stato
troppo per lui. «Allora, a parte che non dovrei essere qui se non per la mia
incondizionata lealtà verso di lei, perché voleva la mia presenza, mio Signore?»
chiese il Mago.
Yami sospirò: «Atem,
Mahad, Atem. Quante volte devo
dirtelo? Comunque... Riesci a metterli a
posto?»
Il Mago guardò
dubbioso la roba che aveva portato Joey: «In teoria dovresti farcela con questi
oggetti...»
«Ma sentitelo!
Provaci te a parlare con un re vanitoso cole Lui conciato così, alla bell’e
meglio!– ribatté Yami –Ti pare possibile che la storia possa svolgersi con della
roba così scadente?»
«Maestro, in
effetti Atem avrebbe ragione... Ma l’autrice dice che non si
può...»
«Vi chiedo un
piccolissimo aiuto per non finire il pasto a quello lì!» esclamò il micio,
indicando l’espressione vacua di Joey.
Il mago sospirò
e nella sua grande pazienza e infinita bontà che lo distinguevano acconsentì,
assumendosi ogni responsabilità in caso di eventuali ire e rappresaglie
dell’Autrice. Poi, bloccando l’esuberante allieva che avrebbe voluto dargli a
tutti i costi una mano, mosse un poco il suo bastone e
sparì.
Ora Yami
guardava soddisfatto i suoi nuovi stivali di fattura pregiata, il migliore cuoio
cucito a mano e il cappello a larghe falde e piume lunghe. «Bene!» annuì
soddisfatto. Joey si sdraiò a terra e si mise a dormire. L’unica cosa che doveva
fare ora era aspettare tre mesi. La scommessa era
iniziata.
Yami passeggiava
tranquillo per la foresta, indossando i suoi nuovi stivali rialzati e il
cappello. Fu uno scherzo per lui catturare una lepre bella in carne. La mise nel
sacco di tela e si diresse senza esitazione al palazzo reale. Alla vista del
palazzo, nascose accuratamente le orecchie e la coda e si presentò alle guardie:
«Voglio essere ricevuto dal re in persona!» esclamò con un tono secco e
deciso.
Una della due
guardie, un biondino dalle spalle ampie protette dalla corazza lucida si abbassò
alla sua altezza: «Non credo che il re voglia vederti,
nanerottolo!»
Spingendo il
mento in alto e ignorando l’insulto della guardia, Yami esclamò, altezzoso: «Non
mi impedirai di vedere il re, armadio!»
La guardia sputò
a terra: «E chi ti manda?»
«Il mio signore,
il marchese di Carabas».
«Non lo conosco.
Vattene!» la guardia cerò si afferrare Yami che però, dimostrando che essere
piccoli può essere un vantaggio, sgusciò via agilmente e riuscì ad entrare
quando ancora la guardia si guardava attorno per capire dove fosse
finito.
Sospirando di
sollievo, Yami raggiunse la sala del trono.
Il re lo squadrò
da capo a piedi, trattenendosi dal ridere della sua altezza nel vederlo. «E tu
cosa vorresti?» Re Dartz era un uomo vanitoso e buongustaio, i suoi capelli
scendevano lunghi fino in vita, del colore dell’acqua mentre i suoi occhi dorati
erano fissi in quelli violetti di Yami. Lui si schiarì la voce: «Oh splendido
sovrano, sono qui solo per consegnarvi umilmente questo piccolo dono da parte
del mio padrone, un vostro onesto suddito, il marchese di Carabas». Così dicendo
si inchinò ed estrasse la stupenda lepre dal sacco che portava appeso dietro la
schiena.
Il re, che al
pensiero di come sarebbe stata gustosa quella lepre una volta cotta gli era
venuta l’acquolina in bocca, accettò il dono, chiedendosi però nello stesso
tempo chi cavolo era questo marchese di Carabas. Anche sua figlia, la
principessa Mai, era rimasta impressionata. Era una bella ragazza formosa e
bionda, sofisticata e intrigante. Il gatto intanto aveva lasciato la sala del
trono, camminando all’indietro inchinato finché il re non avrebbe potuto
vederlo, poi uscì con un gran sorriso rivolto alla guardia che non voleva farlo
entrare, ritornò nella foresta e riuscì a catturare la cena per sé e
Joey.
La mattina
seguente il gatto tornò a palazzo, portando quattro splendidi fagiani dorati e
continuò tutte le mattine a portare questi doni al re, doni dal marchese di
Carabas, come continuava a ripetere ogni
mattina.
Il re e sua
figlia continuavano sempre a chiedersi chi fosse questo marchese, in
particolare, la principessa Mai stava iniziando a sognarlo le notti, conquistata
dalla sua generosità.
Bene, come andrà a finire? Come farà il tenero gattino a far diventare marchese il nostro Joey? Ma soprattutto chi sarà l’orco? Sono aperte le scommesse!