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Autore: TwinStar    02/10/2006    10 recensioni
I delitti sono proporzionati alla purezza della coscienza,
e quello che per certi cuori è soltanto un errore,
per alcune anime candide assume le proporzioni di un delitto.
(Honorè de Balzac)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci al secondo (e penultimo) capitolo di questa storia. I ringraziamenti e le note a fine fic, per il momento mi limito a ringraziare come al solito tutte le persone che commentano tutte le mie fic e a sperare che troviate anche questo capitolo gradevole o perlomeno interessante.

Grazie di cuore a tutti e continuate a seguirmi. ^^

(Inchino)

Twinstar

 

LO SMISTAMENTO

 

 2 gennaio 1972

 

L’anno nuovo era cominciato in maniera piuttosto incoraggiante.

 

In punizione.

A scrostare merda d’uccello in guferia.

E lo stavo facendo maledettamente bene anche se avrei potuto persino riposarmi dopo ore di incessante fatica dal momento che la professoressa McGranitt aveva deciso di lasciarmi lì per un po’.

Ero solo da un’ora buona.

Quella donna, a dispetto della severità di facciata, era una tenerona, e in quanto tale non sarebbe mai riuscita ad imparare dai propri errori. L’ultima volta che si era fidata di me a quel modo si era ritrovata con un’ala del corridoio distrutta da un bolide impazzito che avevo trovato in una scatola ben nascosta sul fondo di un armadio pieno di vecchie coccarde e coppe luride. Per quello avevo passato un pomeriggio con le mani ficcate nell’acqua ghiacciata del lago per fare da cavia agli studi sulle sanguisughe di quel sadico coglione del professor Kettleburn.

Per una settimana mi fu impossibile usare le mani: dovetti mangiare ficcando la testa nel piatto e imparai a scrivere coi piedi.

Ma non mi pentivo mai di quello che facevo.

Erano tutte occasioni talmente ghiotte che sottrarmi ad esse sembrava impensabile…

Suppongo che quella volta la professoressa McGranitt credesse che non avrei potuto combinare guai lì dentro, perché in fondo non c’erano oggetti strani di cui usufruire per i miei scopi malvagi (demoniaci, li avevano definiti una volta, lusingandomi). Ero riuscito a ficcarmi nei casini a dispetto del fatto che all’inizio delle vacanze mi era stata sequestrata la bacchetta fino all’inizio delle lezioni, per quello ero lì, come potevano pensare che bastasse l’assenza di oggetti a rendermi inerme?

Quanta ingenuità da parte loro.

Ghignai a me stesso.

Se me ne stavo buono buono a fare il mio dovere era, molto semplicemente, perché mi andava di farlo, benché io per primo mi meravigliassi di un tale miracolo. Ci stavo mettendo dell’impegno, vero impegno, a dispetto della proverbiale indolenza di cui facevo solitamente sfoggio, in special modo quando si trattava di libri da studiare o compiti da fare.

Se fossi stato un tipo anche solo vagamente riflessivo avrei quantomeno apprezzato l’ironia di fondo. Invece, come al solito, i pensieri me li raschiavo via con forza dalla testa assieme al guano che incrostava pavimento e pareti di pietra muffita. Del resto se fossi stato portato per un lavorio intellettuale di qualsiasi tipo sarei stato ficcato in mezzo a quei luridi lecchini di Corvonero.

Invece ero a Grifondoro.

La casa dei pulitori di cacche di gufo.

Risi di me stesso, di quella stupida battuta, mettendo più foga nel lavoro a dispetto della fatica e dell’odore acre di sudore e selvatico che mi penetrava insistente le narici. Ero felice. Persino l’incessante stridio di quelle orride bestiacce mi sembrava adorabile. Quella volta l’avevo combinata grossa al punto che la McGranitt, di solito pacata e controllata anche negli scatti di collera, mi aveva gridato contro tutta la sua frustrazione repressa, insinuando di non aver mai incontrato in tutta la sua (lunghissima) carriera di insegnante un piantagrane peggiore di me.

Ero convinto che volesse umiliarmi, o darmi una qualche profonda lezione di vita: in entrambi i casi sapevo che la cosa migliore da fare sarebbe stata assumere un atteggiamento di profonda contrizione e così avevo fatto, sebbene dentro mi fossi sentito invadere d’un folle, inspiegabile orgoglio.

 

 

Era stata una buona idea prendere in prestito una scopa dal dormitorio.

Non l’avevo rubata.

Quelle erano solo insinuazioni di invidiosi.

Ero stato semplicemente costretto dalle circostanze.

Non era certo colpa mia se quei malfidati dei professori tenevano quelle della scuola ben chiuse negli sgabuzzini, le porte bloccate magicamente con chissà quale incantesimo (era dall’inizio delle vacanze che avevo tentato, senza successo, di forzarle) e il caso voleva che quell’idiota del mio vicino di letto ne avesse una splendida: una Aeras 97T nuova di pacca (a quanto avevo capito il suo papino era riuscito ad ottenerla prima che venisse messa in commercio). Ne era talmente orgoglioso che avrebbe preferito dar via l’arnese piuttosto che prestarla a qualcuno anche se per un secondo.

Non che avessi interesse per le scope.

Ero un volatore poco più che mediocre.

Ma Merlino, quella era una provocazione.

Se lo meritava, quello stecchino rachitico con gli occhialetti da sfigato e quell’assurda massa di capelli ingrovigliati a prendergli possesso della testa: rappresentava la quintessenza di tutto ciò che detestavo nei miei compagni di Casa, che evitavo il più possibile (benché avessi tentato di instaurare un qualche rapporto con un secchione di poche parole del mio anno, per una questione d’utilità).

Tronfio e borioso, insopportabile, apparteneva a quell’orrida categoria umana di persone che nel tentativo di risultare simpatiche a tutti i costi si rendono assolutamente odiose a quelle come me alle quali è più che sufficiente la propria, di boria.

Ma non era quello il problema. C’era qualcosa di particolare in quella persona, di più profondo: qualcosa che me la faceva risultare veramente odiosa, al punto da prendere in seria considerazione l’idea di un omicidio.

Solo che non sapevo cosa.

Né mi interessava pensarci su.

Non in quel momento, con quel manico di scopa a vibrarmi vivo tra le dita.

Merlino, era bastato sfiorarlo, quell’oggetto, per avvertirne la potenza e farmi accantonare l’idea iniziale di limitarmi a nasconderglielo da qualche parte per il semplice gusto di vederlo dare di matto. Improvvisamente mi era sembrato un dispetto da bambocci: sentir piagnucolare come una bambina il re dei figli di papà non mi avrebbe portato nessuna soddisfazione.

Potevo godermela un po’, invece.

Fuori c’era un bel sole, a dispetto del freddo.

La notte prima aveva nevicato ed era tutto immacolato fuori.

Sarebbe stata una genialata portare quell’affare alla massima velocità consentita prima che passasse di moda, dal momento che ero convinto che il fighettino la utilizzasse solo per sollevarsi da terra e girare in tondo inseguendosi la coda di saggina; azzardare qualche acrobazia nel cortile principale, quello di fronte al cancello d’ingresso, al solo scopo di dimostrare all’insegnante che il mio controllo della scopa non era “letale” come malignamente insinuava per poi andarmene a poltrire fuori da qualche parte, una volta esausto. Un posto in cui gli impiccioni non potessero venire a rompermi incessantemente le palle, come al loro solito.

Gliel’avrei restituita prima di cena.

Probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorto… A meno che, certo, quel ragazzino piccolo e pauroso, unica presenza a parte il sottoscritto nel dormitorio deserto (benché l’impressione fosse comunque quella di essere solo), non si fosse deciso a fare la spia con il proprietario della scopa. Oltre che essere un vigliacco, era così insulso che non era andato bene nemmeno per la Casa dei Tassorosso.

Ne ero certo, non si sarebbe mai azzardato.

Però mi lanciava occhiatine sospettose.

Per esserne ancora più sicuro, tuttavia, mi avvicinai al suo letto chiamandolo mellifluo per nome, la scopa ben stretta nella mano; gli feci una carezza ruvida sulla testa bionda e caritatevolmente mi premurai di ricordargli quanto tempo era rimasto in infermeria l’ultimo idiota che aveva provato a mettermi i bastoni tra le ruote.

Prima ancora che avesse il tempo di farsela nelle brache ero montato in groppa al manico di scopa ed ero schizzato via dai dormitori attraverso una delle strette finestre, benché sapessi alla perfezione quanto fosse sconsigliato ai neofiti azzardare un decollo in uno spazio così ristretto.

Avevo sorriso a me stesso.

Conoscevo a menadito ogni norma di sicurezza.

Ma ho sempre trovato molto più divertente trasgredire con cognizione di causa.

 

 

Non è mica facile fare lo stronzo.

Farne un modo di vivere, poi, è veramente difficoltoso.

Non è una cosa che si mette in pratica la prima volta che qualcosa o qualcuno ci fa soffrire. Non viene automatico trasformare quei naturalissimi, cattivi pensieri in pessime azioni.

Occorrono mezzo, occasione e movente, per non parlare di una discreta dose di motivazioni.

E’ un’arte, e come tale va affinata.

La meschinità, lo spregio, non nascono dal nulla: essi esigono buona organizzazione e un sangue freddo invidiabile, cose generalmente incompatibili con un carattere, come il mio, devotamente teso all’istinto.

Il problema è facilmente aggirabile. Basta coltivare il distacco.

Ottenere la giusta distanza dal prossimo. Assuefarsi all’odio. Convincersi che le persone a cui fai del male se lo stiano davvero meritando, perché in fondo tutti sono intimamente colpevoli di qualcosa. Tu stai solo facendo giustizia.

Quando vedi una ragazza guardarti dall’alto in basso stringendo la bacchetta, devi immaginarti il torace sfranto dalla Maledizione Senza Perdono che sta per lanciarti. Quando osservi un gruppo di ragazzi ridere insieme, devi immaginare che stiano pensando a come annegarti ficcandoti la testa nel water. Quando stai per rompere quel brutto naso al saccente imbecille che ti ha fatto fare brutta figura a lezione devi immaginarlo nell’atto di compiere qualcosa di assolutamente spregevole. Farsi scorrere immonde nefandezze nella testa mentre la mano stretta a pugno collide con la cartilagine, e mentre le ossa degli zigomi ti scricchiolano sotto le dita. Quando infrangi la pace intorno a te, devi immaginare di star solo risvegliando l’intrinseco male assopito.

Alla lunga finisci col trovarlo divertente.

Ne diventi schiavo, al punto che nemmeno chi ti sta intorno riesce più a farne a meno: si attende con sempre maggiore bramosia la prossima bravata, l’ennesimo atto di coraggio, l’ultima crudeltà, in un continuo, ossessivo crescendo. E alla fine ci si ritrova come me, con un piede sull’orlo del baratro e l’altro malamente poggiato sulle tegole bagnate e scivolose del ripido tetto della torre di Divinazione; ad allargare le braccia in un maldestro tentativo di mantenere l’equilibrio; a fissare la piccola (ed è piccola davvero), inutile folla sotto di te, distante, senza vederla davvero. Nelle orecchie non più grida o incitamenti ma il sibilo incessante del vento. Nel petto non più una inondante sensazione di nausea, ma il battito calmo del tuo cuore.

Nella testa nient’altro che il proprio placido respiro.

E tutto quello a cui si riesce a pensare è che non basta ancora.

Che si può fare più di così.

Che si può superare anche questo limite.

Finché non si andrà davvero troppo oltre.

Fino al momento in cui non ci si sentirà davvero sbagliati.

Finché non si chiuderà quello spazio che separa dal baratro e non ci si getterà nel vuoto, un sorriso sulle labbra, un grido di trionfo a vibrare acuto nella gola.

E la certezza che essere stronzi è un lungo, lento suicidio premeditato.

“Invece di pensare a stronzate la notte potrei anche dormire!” ringhiai inviperito a voce decisamente più alta del dovuto e battei con rabbia il pugno sul bracciolo della poltrona come ad intimare il Sonno in persona di cogliermi all’istante, scacciando poi con un gesto svogliato e sbrigativo della mano l’immancabile nuvoletta di polvere e sporco che era scaturita dal tessuto scarlatto.

Lo sguardo fuggì ansioso, e astioso, in direzione dei dormitori.

Era molto tardi. Forse avevo svegliato qualcuno.

Tesi le orecchie per captare qualche suono.

Niente.

Beh, naturale.

In fondo non ero stato poi così rumoroso. E poi, ricordai a me stesso, se anche lo fossi stato al punto da svegliare qualcuno di sicuro non sarebbe sceso a controllare. Tutti sapevano che c’ero io in Sala Comune, quindi la notte evitavano la zona come la peste, a meno di irrimandabili esigenze. Siccome non dormivo da tre mesi, avevo smesso di provare ad andare a letto: tanto era inutile, per non dire frustrante, starsene dritto e immobile come una bacchetta sotto le coperte con gli occhi spalancati a fissare un baldacchino cencioso, e nemmeno le pozioni soporifere più potenti o gli Incantesimi Rilassanti erano riuscite a donarmi la gioia di un sonno ristoratore. Avevo una poltrona, quella più vicina al camino, che avevo adibito a mio giaciglio notturno.

Me ne stavo lì, rapito, a fissare il fuoco fino a ustionarmi le guance.

Di notte, quando tutto taceva, ero tranquillo, perché mi sentivo sempre infiacchito, nel corpo il peso di un abbattimento che andava ben oltre quello fisico; di notte, quando le punizioni venivano scontate, ero calmo perchè facevo i conti con me stesso. Una gran rottura di palle, ma non riuscivo proprio a impedirmelo.

Imprecai mentalmente, e continuai a rimuginare.

Contro le fiamme vive, contro i miei occhi roventi.

Contro il mondo, contro la mia debolezza.

Reclinai la testa all’indietro, serrando le palpebre. Solo per un poco. Ero stanco in modo totalizzante, benché mi fosse stato concesso già da un pezzo di lasciare la guferia e di tornare alla torre del Grifondoro.

Mi sentivo vecchio e avevo solo undici anni.

Una voce alla mia destra mi strappò misericordiosamente a quei pensieri deprimenti. Era nasale, naturalmente canzonatoria e irridente, e come se tutto ciò ancora non bastasse, decisamente troppo acuta per appartenere ad un ragazzo con tutti gli attributi al posto giusto, anche se l’età pre-puberale poteva giustificare (forse, in parte) una cotale assenza di virilità.

L’avrei riconosciuta tra mille.

“Non sai che borbottare da soli è il primo segno di squilibrio mentale, Black?”

Avevo parlato di nuovo tra me e me?

Non me n’ero nemmeno accorto.

E quando era arrivato?

Mi voltai a fissarlo istintivamente, con uno scatto che di umano aveva ben poco, tra il sorpreso e l’astioso, mandando tranquillamente a quel paese quell’aborto di razionalità che ancora albergava in me, la quale mi suggeriva che ignorarlo e continuare a tenere gli occhi cocciutamente serrati, come se il non vederlo l’avesse reso effettivamente un mero scherzo della mia inquieta immaginazione, sarebbe stata la soluzione migliore.

Era veramente l’ultima persona che avrei voluto incontrare quella sera.

Ma  Merlino, non riuscivo mai ad ignorarlo.

Quanto mi irritavano quelle sue insinuazioni idiote.

Solo poche ore prima mi ero buttato di testa dalla torre di Divinazione, e se non fosse stato per il pronto intervento della professoressa McGranitt me la sarei cavata decisamente con qualcosa in più che una gamba rotta e tre costole incrinate (per non parlare di quel mal di testa da primato per via di tutte le ramanzine chilometriche che mi ero sorbito): parlare da solo era decisamente l’ultimo dei miei problemi, se stava davvero cercando in me segni di squilibrio.

Patetico coglione.

“Adesso ci sei tu qui con me, Potter, quindi non sono solo.”, replicai affabile dopo aver preso nuovamente in mano le redini della mia coscienza, sibilandogli addosso mellifluo una velenosa cortesia di facciata difficilmente accessibile ad una mente ingenua. Il principino aveva vissuto una vita troppo protetta dai mali del mondo, non aveva affinato l’orecchio a certe sfumature a cui invece io ero avvezzo.

Lo facevo apposta a mascherare il mio disprezzo.

Erano quelle piccole meschinità che mi facevano domandare se il mio posto non fosse stato in mezzo a quei patetici bacia-tuniche dei Serpeverde, con o senza le pressioni della mia famiglia.

La risposta, ovviamente, era no.

Troppo incosciente per i loro gusti raffinati.

Potter, al contrario, sembrava fin troppo prudente nella sua tenacia.

Lo sapevamo entrambi che se era lì, a quell’ora, in una stanza gelata (eravamo in inverno inoltrato, dopotutto, ed era notte fonda) con indosso solo un pigiama decisamente troppo largo e l’aria di un gatto che ha appena intrappolato un topo, non era certo per godersi la mia compagnia o intavolare con me una vivace conversazione. Era tutto il giorno che mi braccava peggio dell’elfo domestico di famiglia, e tutto il giorno che, per motivi più o meno fortuiti, riuscivo ad evitarlo.

Poteva ritenersi soddisfatto. Mi aveva beccato.

Decisi di non portarla per le lunghe, così presi un profondo respiro.

Lo sapevamo entrambi cos’era venuto a fare lì, perché perdere tempo?

“Senti, riguardo la tua scopa…”, replicai rauco, la voce decisamente troppo simile a un gemito supplichevolmente esausto piuttosto che ad un affranto pentimento fasullo. Mascherai l’imbarazzo schiarendomi rapidamente la gola. “E’ stato un incidente e mi dispiace, ma risparmiami le lagne: sono stato perseguitato tutta la giornata da mezzo corpo insegnante e ho raschiato merda fino a farmi sanguinare le mani (sollevai istintivamente i palmi, come a riprova delle mie parole, anche se non presentavano escoriazioni di alcun tipo) senza nemmeno poter cenare. Per cui, in tutta sincerità, sono convinto di aver dato abbastanza per oggi.” Scivolai più a fondo nel tessuto morbido della poltrona, la schiena curva, il collo incuneato tra le spalle. “Mandami il conto, provvederò a restituirti fino all’ultimo zellino appena potrò.”

Il mio primo pensiero, mentre parlavo, fu che non ricordavo di aver mai detto tante cazzate in un'unica frase in vita mia, nemmeno la volta in cui avevo tentato di convincere il professor Slughorn del mio amore per la sua materia. C’erano una vasta gamma di sentimenti che mi si affollavano dentro, a rotazione, ma il dispiacere non faceva proprio parte di questi.

L’avevo fatto apposta, e con gusto.

Il secondo pensiero fu che nemmeno lui poteva essere così coglione da bersela, questa manica di vaccate. Mi avevano visto tutti (c’era anche lui) su quel tetto, intento a spezzarmi sul ginocchio la sua adorata scopa con un ghigno malefico sul viso, per poi lanciarne sul prato le esanimi spoglie, poco prima di lanciarmi nel vuoto. “Non riparabile” era stata poi la diagnosi. Per quanto strano potesse sembrare, però, non l’avevo fatto per dispetto contro la sua persona.

Era stato un sacrificio necessario.

Così, anche volendo, non sarei potuto tornare giù.

Il terzo pensiero fu la realizzazione che Potter fosse decisamente una persona imprevedibile. Ignorò completamente le mie parole e, sollevando una mano a disordinare in maniera ancora più irreparabile quell’osceno intrico di capelli, disse soltanto: “E’ solo un pezzo di legno, non importa. Anche a bordo di un vaso da notte incantato riuscirei a diventare la punta di diamante della squadra di Quidditch, se solo me ne dessero l’occasione. E poi in fondo siamo amici, no?” Mi fece un occhiolino complice, con l’aria di chi stava discutendo di minuzie.

Dire che rimasi basito sarebbe un pallido eufemismo.

Non era la reazione che mi ero aspettato.

Cazzo, gli avevo fracassato una scopa che con ogni probabilità valeva più della mobilia del salone di casa mia e tutto quello che sapeva fare era dire l’ennesima stronzata. Chiunque altro mi avrebbe mandato bellamente a quel paese, lui mi consolava. Ma era proprio un deficiente.

Come se ciò non fosse bastato aveva scoperto i denti in una smorfia infantile, aperta e schietta, le fiamme del camino a riverberargli, liquide e potenti, nelle iridi castano vivo. Era un’espressione di assoluta, aperta felicità che mai nella vita avrei potuto emulare. A quel punto recuperai immediatamente la mia proverbiale, sfrontata diffidenza e lo occhieggiai dal basso.

“Sì…”, mugugnai torvo trovandomi improvvisamente interessante la punta delle scarpe (sporche di merda di gufo… Terribilmente adatto al mio stato d’animo del momento… Di nuovo ironico). Molto in fondo, aggiunsi mentalmente, e mi sentii un po’ meno sporco, al punto da azzardare un sorriso.

A lui parve bastare quella flebile conferma.

Non so quando avesse deciso che eravamo diventati amici.

Erano settimane che mi dava il tormento con le sue stupide chiacchiere e la sua presenza incessante: era non solo uno di quei tipi allegri e ciarlieri che trovano nelle persone tendenzialmente di poche parole come me la propria salvezza, dal momento che non amano ascoltare, ma era anche tremendamente insistente, al punto che nemmeno la minaccia di una battuta da parte mia se non mi avesse lasciato in pace l’aveva fermato.

La razza peggiore di rompicoglioni.

Benché i suoi metodi fossero tutt’altro che delicati, la sua tattica di avvicinamento era stata talmente graduale e sottile a dispetto dell’insistenza che mi ci ero abituato, e quando era venuto da me a sentenziare (badare bene, non a chiedere) “Adesso siamo amici.” non ci avevo trovato nulla di veramente strano e non avevo trovato nulla da obiettare, benché continuassi ad averlo in odio.

“Perché?” avevo chiesto solo, incredulo.

Lui mi aveva risposto con una scrollata indifferente di spalle, ma la verità era che mi voleva stare accanto perché mi trovava divertente.

Per lui io non ero che un passatempo. Un giocattolo buffo e imprevedibile.

Anche in quel momento il fatto di avergli fracassato la scopa non era un dispetto crudele, ma solo l’ennesima via di fuga da quella noiosa, perfetta routine che era la sua vita. Con me non ci si annoiava mai, per questo mi stava incessantemente intorno. Lui non frenava mai la mia folle incoscienza auto distruttiva. A volte avevo l’impressione che addirittura la ravvivasse, che mi spingesse in qualche modo, e senza bisogno di parole, verso l’ennesimo gesto inconsulto, verso l’ultimo limite. Mi pareva di dover dimostrare in continuazione di essere all’altezza delle aspettative, sentivo in sua presenza un’ansia crescente, elettrica, a invadermi prepotente i nervi, un’eccitazione senza pari scuotermi dentro, e mi sentivo in grado di fare qualsiasi cosa.

Potter si era seduto di fronte a me: le lunghe gambe malamente attorcigliate sul tappeto che celava alla vista il pavimento davanti al camino, le mani ad artigliare la trama scarlatto cupo e oro (che originale accostamento di colori) e il volto fisso in direzione delle fiamme, la testa leggermente piegata di lato, le labbra innaturalmente piegate all’ingiù.

Si voltò nella mia direzione, fissandomi serio.

“Sei pazzo, Black. Potevi ammazzarti.”

Sorrisi, mio malgrado.

Ero perfettamente consapevole di dare quest’idea ad un occhio inesperto. In realtà sapevo benissimo di non essere pazzo. Il mio atteggiamento era solo dovuto ad un carattere fortemente dedito allo scontro ad oltranza. L’intera mia esistenza era fondata su questo principio: oppormi era la mia ambizione. La realtà, densa o vuota che fosse, in me provocava solo negazioni. Quando avrei dovuto dormire, stavo sveglio. Quando avrei dovuto stare fermo, correvo. Quando avrei dovuto tacere, parlavo.

Quando mi si offriva aiuto, naturalmente, lo evitavo.

“Chi sei, mia madre?”, ribattei sarcastico.

Ricevetti in cambio un’occhiata sprezzante e in qualche modo che mi sembrava contraddittorio, matura.

“Ne dubito, anche se queste cose dovrebbe dirtele lei.”

Sentii le gambe scattare come molle prima che il cervello potesse codificare nell’interezza quella frase detta, ne sono certo, con l’ingenuità di un bambino ignaro. Lo afferrai per il bavero del pigiama, nelle dita una forza rabbiosa e disperata, e lo sbattei contro la parete di pietra umida, sollevandolo di parecchio da terra (niente di così strano come potrebbe sembrare: lui era una piuma e io no). Mia madre non aveva tempo di star dietro ad un pericolo pubblico come me. Come osava lui ridurre a quel modo la questione? Come poteva giudicare?

Mi sentivo gonfio di spirito combattivo fino a scoppiare, e avrei anche potuto uccidere se me ne fosse stata data l’occasione. Lui però mi fissava con indifferenza, per nulla intimorito dal mio atteggiamento bellicoso.

Tutte le mie armi: fame, sete, solitudine, paura e noia erano puntate sul nemico. Il mondo. Naturalmente al mondo, come a mia madre che aveva decisamente cose più importanti da fare che occuparsi di un disastro di figlio, o come ai professori che me le facevano sempre passare tutte relativamente lisce invece di espellermi, non poteva fregare di meno di me, e il sentimento era reciproco. Ma dal dolore traevo un macabro senso di auto-realizzazione. Sembrava che mi sentissi affermato solo nel momento in cui dicevo: no.

Contro persone splendenti (non avrei saputo descriverle in altro modo) come lui, però, erano totalmente inefficaci, e mi facevano sentire un vero coglione.

Lui brillava e io che portavo il nome della stella più fulgida del cielo no.

“Io me la cavo da solo.”, ringhiai con orgoglio.

Quegli occhi castani mi catturarono, col muto, rispettoso scetticismo che emanavano. La luce era smorzata, calda luce invernale, ma il suo volto era acceso. La bocca appena aperta, a incamerare l’aria fresca e polverosa di quella notte strana. E quegli occhi a leggermi il disagio nella testa.

Non disse niente, ma era tutto quello che avevo bisogno di sentire. Mi ritrassi lasciandolo andare, nel tentativo di tenermi fuori dal raggio della sua premura, la quale tuttavia impregnava la stanza soffocandomi.

“Mi hai rotto le palle.”, dissi voltandogli le spalle. “Io me ne vado a dormire.” E mi avviai in direzione dei dormitori, con la sensazione che qualcosa di importante si fosse irrimediabilmente perduto.

Perché non è affatto facile fare lo stronzo.

E’ una continua sfida a superare i limiti.

Un lungo, lento suicidio premeditato.

A meno che non si incontri qualcuno di talmente pazzo da afferrarti per le spalle prima dell'inevitabile salto nel vuoto.

 

Fine Capitolo 2

 

Commenti di fine capitolo.

Cortissimi perché non c’è veramente molto da aggiungere, avete detto tutto voi. Quanti bei commenti, siete tutte bravissime, ma io non vi merito! *_* Detto ciò solo una piccola nota su una cosa che ci ho pensato 2 ore per inventarmela quindi voglio che si sappia, e che cavolo! XDDD Il nome della scopa di James non è dato a caso: AERAS in greco (moderno) significa vento (a sottolineare per l’appunto la velocità di questa scopa, che tanto farà una fine orrida per cui che lo dico a fare? Mah! XD). 97T non è una sigla inventata, ma richiama alla Lotus 97T con cui Ayrton Senna ottenne la sua prima Pole Position alla seconda gara stagionale, il Gran Premio del Portogallo 1985, disputato sul circuito dell’Estoril.

 

Passiamo ai ringraziamenti individuali! ^^

 

Redistherose: Quindi i nomi di Ny e Boll attirano e incoraggiano il lettore, la prossima volta li metto nel riassunto esterno alla fan fic, così si ingolosiscono più persone! XD Sto scherzando, ma forse no. Innanzitutto, son contenta che ti sia piaciuta “Lei non è una di noi”, davvero (mi sa che io sono la sua detrattrice più folle, trovo sempre 50mila cosa che potrebbero essere migliorabili/modificabili, ma poi una fic così lunga diventa difficile da controllare…). Su questa storia, che dire? Innanzitutto che ti ringrazio molto per i complimenti (arrossisco! ^^), e complimenti per l’ottima analisi su Sirius. In effetti sì, mi piace vederlo così incapace di destreggiarsi coi suoi sentimenti. Lui ha anche tanto da donare (amicizia, fedeltà), ma niente da fare, non si fida, è incapace di amare come dici tu, ma non per partito preso, solo per diffidenza. In questo si somigliano molto lui e Remus (chissà come mai li amo insieme! XD Mah! XD). La madre, ovvio che non è solo odio, almeno all’inizio. Non puoi odiare così, subito, tua madre, quando ancora non ti ha fatto niente (mi piace pensare che questo suo odio al credo di famiglia sia avvenuto dopo, per ripicca, e con esso l’odio feroce per tutta la famiglia. Non potendo ricevere amore da loro, li odia, molto semplicemente ^^). Su Lily Evans a Grifondoro a me pare di essere sicura perché mi sembra che la Rowling l’abbia assicurato da qualche parte, ma potrei benissimo essermelo inventato per comodità (non mi ricordo, ma cambia poco! ^_-) Io ahimè per Gary nutro un amore inverecondo che va ben oltre l’immaginabile quindi vederlo a fare Sirius mi procura ripetuti orgasmi a dispetto del pastrocchio dei film. XD Tra l’altro ci sono voci che dicono che Lewis farà Fenrir, ma non saprei dirti, dicevano anche che Rowan Atkinson avrebbe fatto Voldemort e poi hanno preso Fiennes (che era un Remus perfetto, grrrr)

 

SweetSirius: Hehehehe grazie per i complimenti! ^^ Ho aggiornato preso, dai, una settimana, non hai dovuto penare tanto, Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo. Sirius è anche il mio personaggio preferito (ma no, non si nota! XD), e mi piace dargli uno spessore votato e puntato al tragico (amo i personaggi tragici, amo Sirius, quindi Sirius deve essere tragico,. Non fa una grinza! XD). La tua analisi del MIO Sirius è corretta, lui si convince di fregarsene, in realtà è un meccanismo di difesa alla “Se mi convinco di essere indifferente soffro di meno o non soffro affatto, è meglio così”. Un bacio anche a te

 

Skiblue: Temo che di altri personaggi non vedrai molto se non visti attraverso gli occhi di Sirius! ^^ E’ lui il fulcro portante della storia, ed è talmente egocentrico da non lasciare molto spazio agli altri. Questo solo per avvisarti perché poi non rimanga delusa! XD Ma sono contenta che ti sia piaciuta la mia storia, ti ringrazio infinitamente dei complimenti e spero che continuerai a seguirla. ^^

 

Hazel: Ma il signor Burns non diceva ECCELLENTE? XDDDD Che dire, il tuo commento è stato più che gradito, è valsa la pena aspettare BEN UN GIORNO (orrore, troppo! XDD), e son contenta che una volta tanto io sia riuscita a risultare originale (che frustrazione, ogni volta mi dicono “Lo sapevo che andava a finire così! Lo sapevoooooo!”  ogni volta vorrei accucciarmi in un angolo a uggiolare per la disperazione! XDDD). *_* Meglio ancora se t’è piaciuta, per me è fonde di insostenibile gioia. In un certo senso però il contesto è scolastico! XD Solo che è un pipparolo peggio di Severus, il nostro povero Sirius! XD Per quanto riguarda la graforrea, a parte che non rinnegherò mai la mia fede e infatti come lunghezza i capitoli vanno in uno spaventoso crescendo (c’è da tremare! XD), ma 3 pagine per dire in pratica “A Sirius arrivò una lettera e la aprì” non è che sia pochissimo! XDDDD A parte quello io sono imbarazzata per i complimenti e contentissima che queste tre pagnotte ti abbiano indotto a sì profonde riflessioni! *.* Di più non ti posso dire su quello che mi hai detto se no ti rovino il seguito e non credo sia il caso! XD Dico solo che se sono riuscita a dare l’idea di un Sirius “schizofrenico”, che si barcamena follemente tra superiorità e inferiorità, ne sono tanto contenta, è un risultato in più per me! *_*

 

Kar: Guarda che l’ho veramente praticamente finita, malfidata, mi manca un pezzettino ino dell’inizio e devo organizzare la fine, ma il racconto c’è praticamente tutto! XD Mica metto in mezzo Gary per niente, tzè, qui si sottovaluta il mio amore per il Divino!!! XD Se i capitolo è bello naturalmente è merito del protagonista E della scrittrice. Marito e moglie, lavoro di squadra! XD Sperando che il resto della fic non ti faccia passare la voglia di leggere i libri, ti ringrazio per i complimenti e ti bacio di rimando!

 

Chii: Toh, chi si vede, una nuova recensitrice su questi lidi ameni! XDDDDDD Non volevo dire che avevo scritto una nuova storia perché temevo il fioccare di “Ma la finisci questa, vero?” Sì, questa la finisco! XDDD Per Sirius, nella mia testa malata c’era anche un motivo per cui all’inizio lo facevo andare nei dormitori femminili come prima cosa (mica solo perché è un maniaco, noooooh, gli basto io che se ne fa delle altre?), visto che non lo scrivo più te lo dico: praticamente per “spaventarlo” quand’era al primo anno un tipo più grande gli aveva raccontato che chi tentava di entrare veniva colpito da una terribile maledizione. E lui che è il solito incosciente come prima cosa parte in quarta nei dormitori femminili! XD Ovviamente con Lily è amore a prima vista! XD Non a caso la adoro come coppia! XD Gli altri marauders avranno il loro ruolo nei prossimi due capitoli, ma sempre molto molto, marginali. Insomma, per leggerci qualcosa degli altri, si dovrà molto lavorare tra le righe! XD Il protagonista è Sirius, egli ANELA all’essere protagonista assoluto. XD Ma Walburga è umana, in fondo. Molto in fondo. Tremendamente in fondo. Grazie mille per i complimenti, arrossisco! ^^

 

Goblin: Grazie mille per i complimenti! ^^ Non ti preoccupare, la finisco la storia, questa la finisco (stano cominciando a proliferare le persone malfidate, chissà come mai! XDDDD)

 

Anachan: Te c’hai dei poteri paranormali o psionici o quel che è, come cavolo hai fatto a sentire di vdover venire nel mio account proprio il giorno di postaggio? XDDD O controlli tutti i giorni o io chiamo un esorcista (o mi hai piazzato delle microcamere in camera? XDDD). Wè, come sarebbe a dire che non sei sorpresa di vedere Sirius come protagonista? XD Come se fosse un personaggio che amo, tsè! XD Figuriamoci! XD Son contenta che lo trovi figo, anche a me piace parecchio (anche se, microscopica anticipazione, il mio amore con la A maiuscola in questa fic è Regulus! Io amo Regulus, è così carino!!!! *ç*). Il tuo sesto senso dice bene, i tre ragazzini deve ancora conoscerli, e si vede! ^_- Il disegno è carinissimo! *.* Sei la seconda che mi dice che Walburga sembra umana, andrà a finire che mi ci convincerò davvero e comincerò a trovarla simpatica! XDDD No, impossibile. Grazie assai per i complimenti, mi rendono felice! *_*

 

Rik: Giuro che quando ho letto la frase “ci si accosta ai personaggi e all'ambientazione della Rowling, che ha tutt'altro stile.” Per un attimo ho pensato: “Ma mi devo offendere?” XDDDD Mioddio, è la mancanza di sonno non mi badare! XD Che dire di questa breve ma intensa recensione al mio lavoro? Che mi imbarazza piacevolmente, che se davvero ti ispiro tutto questo non posso che arrossire come una verginella pudica di fronte a una dichiarazione d’amore (per il mio lavoro) così sentita. E pensare che credevo di risultare noiosa visto che ho descritto solo un tizio che apre una lettera. Sei l’unico che si è ricordato di Tantalo, il mio gufetto! XDDD Apprezzo molto e ti ringrazio per i complimenti commoventi.

 

MoMo: No, cancellarla non l’avrei mai fatto (forse…. Non credo… Boh? XD), al massimo la tenevo bene al sicuro tra i miei documenti-inverecondi nel pc, nascosti da qualsiasi occhio umano. Che Sirius ti piaccia mi fa molto piacere. A volte dà fastidio, quando ne parlo in generale, questa mia visione di Sirius così ombroso, così cupo. Perché le persone si affezionano a quel personaggio allegro, vitale e crudele nella sua voglia di vivere che siamo abituati a vedere. Non dico che sia un male vederlo così, anzi, ma non è il mio modo di vedere. Se c’è gente che lo condivide, non può che farmi piacere. Ti ringrazio molto per i complimenti e spero che il seguito non ti deluderà! ^^

 

Herm88: Sul serio non leggi mai storie sui marauders? *_* Uuuh, allora ho di che essere stra felice del fatto che hai deciso non solo di leggere, ma addirittura di commentare questa fic (so che significa quando le dita si muovono da sole a fare una recensione entusiastica di una Ron/Hermione… Orrore! XDDD), che non è allegra come le tragicomiche ma ha visto comunque il tuo consenso, cosa che un po’ mi commuove e quasi mi fa pensare di essere brava veramente! XDDD Che sia scorrevole è una cosa che mi riempie di gioia, visto che è una fic che parla solo di un tizio che si fa un sacco di pippe mentali che apre una lettera! XD Che poi ti piaccia anche il mio stile è una cosa in più. Grazie sentitamente!!!! *_*

 

Lucifera: Certo che continua, non c’è scritto SI’ vicino a “Completa” nel riassunto dell’opera. Ti ringrazio molto per l’apprezzamento, spero che continuerai a leggere apprezzando questa piccola umile storia. ^_-

  
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