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Autore: Dira_    20/08/2010    29 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Purtroppo devo partire ancora. Riesco a mandarvi tanto amore con questo capitolo e a rispondere brevemente alle recensioni. Ne ho viste meno, ma spero sia solo per via di ferragosto. :P
@ElseW: il castello disilluso diciamo che era un ‘assaggio’. Per via di Sören sai :P Silente sicuramente si sarebbe fatto due risate. Probabilmente Lily avrebbe cercato di tirargli un calcio. Non è molto diplomatica quando crede che qualcuno abbia fatto del male ai suoi. xD Grazie mille per i complimenti, siete anche voi che rendete questa storia quello che è credimi! ^^
@Altovoltaggio: Ehi, guarda che quella canzone in particolare mi piace moltissimo! Devo ammetterlo, mi ha sorpresa! Beh, grazie… io adoro la musica, senza una canzone a capitolo non saprei proprio come fare. E poi beh, per la conoscenza… cazzeggio un sacco sul tubo. Si trovano canzoni meravigliose. Ahaah, Meike è abbastanza smaliziata, credimi… e per quanto riguarda il Torneo Tremaghi, ho qualche idea, che per ora non posso svelare! :P Oh, credimi, Lily ha preso da Ginny! Grazie per i complimenti! Guarda su Silente ci troviamo perfettamente d’accordo, era un manipolatore! E Harry troppo buono per non finire per perdonarlo. Basta come si è comportato con Piton! L’incontro tra Harry e Cordula… lo descriverò, promesso. ;)
@Nicky_Iron: Ah, se mi dici così ho fatto più attenzione in questo capitolo! Dimmi se ti confonde ancora il cambio dei personaggi! Certo, si manterranno in contatto, sicuro! :D Farò del mio meglio per non deluderti!
@LauraStark: Grazie mille! Essì, Harry l’ha scampata bella! Beh, vedremo se la sua ipotesi sarà veritiera o no!
@Mikyvale: Grazie per i complimenti a Meike! Volevo fosse una figura di contorno, e poi mi è venuta una figura di rilievo! XD Tom in realtà è pudico, ma quando è appena sveglio è una specie di zombie semovente, incapace di intere e di volere… e poi era post-sesso, poteva scoppiargli una bomba accanto.
Ma certo che faranno pace, ormai, sono una coppia di ferro! XD
@Neely: Felice di averti reso felice! ;D Eheeh, tutto quello che chiedi, c’è scritto nel capitolo! E grazie ancora per seguirmi! :D
@ZetaSev: Ciao Zeta! Wow, davvero l’hai letta tutta, ma sei fantastica! Ti adoro! XD Ed è ancora più bello, perchè a te le fic del mio genere non piacciono, grazie mille quindi! E sì, sono d’accordo con te, sono persone nuove, non devono sembrare fotocopie dei parenti! Se ti devo dire la verità, anche Rose è il mio pg preferito, in un certo senso! XD
 
****
 
Capitolo VI
 

 
 


It's been a whi
le/since I could hold my head up high
And it's been a while/since I first saw you
It's been a while/since I could stand on my own two feet again
It's been a while
But all that shit seems to disappear when I'm with you¹
(It’s been a while, Staind)
 
 
 
 
Da qualche parte in Germania del Nord
Resistenza estiva degli Hohenheim.
 
L’orologio batté cupamente mezzogiorno.
Sören alzò lo sguardo sulla pendola di legno di noce scrutando con cipiglio il rintocco lugubre che si spandeva per l’intero piccolo salotto d’attesa.
Odiava quei momenti. Era quasi del tutto certo che suo zio lo facesse apposta a farlo attendere.
Era una tecnica psicologica logorante: solo con gli anni, e con una certa reiterata presenza di tale tecnica a Durmstrang era riuscito a sovrastare completamente il nervosismo.
La sua difesa preferita era esaminarsi le mani alla ricerca di macchie. La sua istitutrice, una rigida donna russa, l’aveva abituato a non avere mani e unghie sporche, pena punizioni corporali.
Quando era cresciuto l’aveva presa ad abitudine. Trafficando spesso con pozioni e sostanze che macchiavano le dita era un ottimo esercizio di distrazione.
Quel giorno però, ahimè, le sue unghie erano pulite, come i polpastrelli. Occuparsi, con la magia, del trasloco delle proprietà di suo zio non sporcava certo le mani. Aveva finito alle luci dell’alba, aveva sigillato con potenti incantesimi protettivi la villa padronale e poi era ripartito alla volta della nuova residenza degli Hohenheim.
Quella villa era ancora più cupa di quella che aveva lasciato. I pesanti tendaggi blu, posti su ogni singola finestra del palazzo, non lasciavano oltrepassare neppure uno spiraglio di luce. Solo un lume asfittico illuminava la stanza, dando una connotazione sinistra al tutto.
Sembra quasi che suo zio avesse orrore della luce.
Fece una smorfia, lanciando uno sguardo alla porta dello studio ostinatamente chiusa.
Si sfilò allora l’anello che portava all’anulare. Era l’unico ricordo che avesse di suo padre, l’unico che Alberich gli permettesse di avere, forse perché simbolo del proprio sangue puro.
Gli piaceva quell’anello. Era di scuro metallo inglese, con un incisione ormai sbiadita dal tempo, ma ancora visibile. Due mani stilizzate che cingevano una corona: era tutto ciò che rimaneva dell’antica famiglia dei Prince. Per quando ne sapeva in Inghilterra ogni traccia si era estinta da tempo.
E lui…
Beh, lui era un Hohenheim, adottato all’età di sei anni e da allora si era sempre considerato come tale.
Non ricordava molto di suo padre, se non una figura già piuttosto avanti con l’età, dalla carnagione giallastra e gli zigomi sgradevolmente ossuti.
Da lui aveva preso i capelli neri e lisci, da lui la corporatura asciutta e la scarsa altezza.
Elias Prince veniva dall’Inghilterra: una volta aveva sentito i servitori mormorare che avesse sposato sua madre per via di uno scandalo occorso all’interno della sua famiglia. Qualcosa che come un unione tra una sua parente prossima e un sangue sporco, gli aveva chiarificato suo zio una sera che era in vena di chiacchiere.
Non ricordava né carezze, né affetto da parte del padre: né del resto avrebbe dovuto stupirsene. I maghi purosangue non erano avvezzi alle tenerezze. Era morto quando era poco più di un bambino, a seguito di un incidente nel proprio laboratorio. Era un alchimista.  
Sua madre invece l’aveva persa a dodici anni. O forse non l’aveva mai veramente avuta. Era stata una pallida creatura, succube dell’incredibile carisma del fratello Alberich e del marito. Da lei aveva ereditato la carnagione irritantemente soggetta ad arrossire e una gastrite nervosa che lo flagellava da ben diciassette anni. Si era spenta in silenzio, lasciando una stanza vuota e qualche gioiello che era stato di nuovo inglobato nel patrimonio degli Hohenheim.
Sören era stato più volte nella sua stanza dopo la sua morte; non era mai riuscito a provare nulla.
Per provare qualcosa si dovrebbe avere ricordo della persona che è scomparsa…
I suoi pensieri stavano prendendo una piega decisamente malinconica, e non gli andava di assecondarla. Tirò un grosso sospiro, infilandosi nuovamente l’anello e stiracchiando pigramente le gambe. Lanciò un’altra occhiata verso la porta, sperando che si aprisse.
Ovviamente non accadde.  
Non aveva idea di cosa suo zio potesse ordinargli di fare per l’organizzazione: del resto non era un vero e proprio membro della Thule. Era un… affiliato. Essere parente in linea maschile di uno dei membri più influenti però gli dava qualche privilegio. Infatti sapeva cos’era successo l’anno prima.
Non poté fare a meno di sorridere. C’era una certa ironia in tutta quella storia: suo zio aveva fatto di tutto per avere un erede da plasmare a sua immagine e somiglianza, ovvero sia crudele, con un intelligenza vorace e pochi scrupoli morali. Il genere di persona che, con la giusta dose di egomania, sarebbe potuta diventare un nuovo mago oscuro capace di rivaleggiare con il connazionale Grindenwald o l’inglese Lord Voldemort.
Era quasi certo che suo zio avesse persino sognato quell’eventualità. Aveva scomodando quantità esorbitanti di magia oscura e per farlo vivere aveva persino trasmigrato un’anima che si diceva – ma questo non gli era stato confermato – appartenesse all’ultimo dei maghi oscuri, Voldemort.
Quel ragazzo, secondo l’intera società Thule, sarebbe stato il nuovo baluardo che avrebbe dato lustro e potere all’organizzazione.
Sfortunatamente Thomas Dursley sembrava aver sviluppato una personalità che mal si adattava ai sogni apologetici di Alberich. Per ironia del caso era stato infatti adottato dalla famiglia del mago ‘della luce’ per eccellenza, Harry Potter. E a lui era rimasto fedele, nonostante quell’idiota di Doe avesse assicurato piena riuscita del suo piano.
John Doe era morto e non aveva portato indietro uno solo dei Doni della Morte, il principale motivo per cui la Thule aveva finanziato quell’operazione.  Oltre a questo, Thomas era scomparso.
Una sconfitta su tutta la linea che suo zio faticava a digerire, specie perché aveva minato la sua influenza all’interno dell’organizzazione.
Era furioso e Sören sapeva bene che questo, per lui, non significava nulla di buono.
Per questo sentiva un bruciore fastidioso alla bocca dello stomaco e cercava di ingannare il tempo pensando ad altro, rassicurandosi sul fatto gli era stato dato un compito, dopo mesi di inattività, e avendolo svolto ora gliene aspettava un altro, per conto dell’organizzazione.
Avrebbe mentito se non avesse ammesso di essere nervoso: se avesse svolto al meglio quel compito la Thule avrebbe forse schiuso le porte per lui, finalmente. Suo zio l’aveva educato, o per meglio dire addestrato per entrarvi.
Tamburellò le dita sulle braccia, calciando via un batuffolo di polvere con la punta dello stivale.
Era frustrante: spesso fungeva da braccio operativo, trafugava, mentiva e neutralizzava avversari per Lei, ma non aveva accesso ai suoi segreti.
Si rendeva conto di essere ridicolo, alle volte, a parlarne come se fosse una donna, ma l’organizzazione pretendeva la stessa fedeltà che avrebbe preteso un’amante.
Non c’era niente, al mondo, più importante per lui che riuscire a farne parte. Da questo punto di vista si considerava un soldato zelota.  
Del resto, se erano riusciti a far tornare in vita un essere umano… Cos’altro erano capaci di fare?
Sören ne era affascinato e terrorizzato al tempo stesso. Era quella la
strada tracciata per lui sin dalla nascita. Se suo zio non aveva potuto crescere suo figlio, aveva cresciuto lui.
Alberich Von Hohenheim era tutta la sua famiglia. E lui sapeva che alla famiglia si doveva tutto.
La porta finalmente si aprì, come se qualcuno l’avesse spinta, anche se sapeva bene che fosse tutta opera della magia di suo zio.
“Entra Sören.”  
E Sören obbedì, come sempre.
 
****
 
Isola di Rügen, Germania del Nord.
Putgarten.
 
“Non capisco perché ci mette tanto ad arrivare.”
Albus sospirò quando Tom ripeté la frase per forse la ventesima volta.

Avevano risalito la collinetta che portava al bosco, visto che Tom alla fine non era riuscito a dire di no a Meike, e aveva acconsentito ad andare a dare un’occhiata al misterioso cancello alla luce del giorno. Al li aveva accompagnati, perché a dire la verità la compagnia di Cordula lo metteva un po’ a disagio. Per questo e perché sperava di distrarre l’altro ragazzo che sembrava un fascio di nervi e borbottava incessantemente da quasi due ore.
“Ci vorrà un po’, dopotutto deve organizzare una passaporta per uno stato estero.” Ripeté pazientemente. “Non fare il brontolone.”
Non faccio il brontolone.” Replicò seccato, mentre a una decina di passi di distanza Meike ridacchiava.
“È vero, sei un brontolone!” Riprese la bambina.
“Visto?”
“Voi due cospirate contro la mia sanità mentale.” Sbottò, ficcandosi le mani nelle tasche della felpa e chiudendosi in un silenzio ostinato. Al ridacchiò, lasciandolo a cuocere nel suo brodo e raggiungendo la bambina.

Meike lo osservò di sottecchi. Non sembrava prendere a male la sua presenza come aveva temuto, piuttosto sembrava incuriosita.
Le sorrise. “Allora… questo castello?”
“Non l’abbiamo mica visto!” Rispose prontamente. “Tom è voluto subito andare via.” Precisò, adottando con disinvoltura il nuovo nome dell’amico. “Ma non è che si vedeva … credo che il castello fosse molto distante.”
“Capisco. È così anche in Inghilterra. Probabilmente è in mezzo al bosco.” Le spiegò, notando con divertimento che beveva avidamente le sue parole, probabilmente cercando di memorizzarle. Con solo un paio d’ore di conversazione era già capace di capire quasi tutto quello che le dicevano. Era sveglia e intelligente. Poteva capire perché Tom le si fosse affezionato, anche se tentava senza molto successo di mascherarlo.

Un po’ ne era geloso, prima di darsi dell’imbecille e ricordarsi che era una bambina di dieci o al massimo undici anni.
“Probabilmente? Che vuol dire?” Chiese. “L’inglese è una lingua difficile. Ma voglio impararla.” Aggiunse mentre si attorcigliava una ciocca di capelli attorno alle dita. “Così magari ci vengo…”
“Certo, così verrai a trovarci… Saremo felici di ospitarti.” Le propose, sapendo benissimo che parava a quello. Infatti la bambina si illuminò.
“Hai sentito Tom? Al mi ha invitato in Inghilterra!”
“Fantastico.” Replicò piatto, a qualche metro da loro mentre osservava con attenzione il bosco che stavano raggiungendo. “A quando il lieto evento?”
Meike gonfiò le guance. “Sei un brontolone!” Lo apostrofò, prima di correre verso la radura e seminare entrambi.

Tom sospirò raggiungendolo.“C’èra bisogno di insegnarle ad insultarmi anche in inglese?”
“Non è mica un insulto.” Gli sorrise. “È un dato di fatto.”

Tom fu chiaramente indeciso se tirargli un pizzicotto o meno, Al lo capì da come lo guardò. Poi dovette decidere che era ancora troppo presto per certe confidenze.
Beh, questo suo senso di colpa in fondo potrebbe giocare, a volte, a mio favore…
Guardarono l’agile figurina di Meike saltellare tra gli alberi del bosco e chinarsi a prendere un ramo che improvvisò bacchetta, menando fendenti tutto intorno.
Del cancello non c’era traccia, ma in compenso si sentiva magia nell’aria. Una barriera, probabilmente. Era così potente che addentrandosi nel boschetto cominciò a sentire un lieve fastidio alle tempie, come qualcosa vi premesse sopra.
“La senti?” Chiese Tom, mettendo una mano sulla spalla di Meike per impedirle di proseguire. “Penso che sia una barriera.”
“Sì, una serie di barriere. Forse un salvo hexia e sicuramente un repello babbanum.” Considerò meditabondo. “… E decisamente qualcosa di molto più potente…” Storse le labbra mentre sentiva la pressione aumentare. “Tra poco mi scoppierà un malditesta formato gigante, Tom. C’è tanta di quella magia da andare in overdose.”

“Togliamoci di qui.” Ordinò quello spingendo Meike verso l’uscita.
“Ahi.” Convenne Meike strofinandosi la fronte. “Ieri sera mica era così però…”
“Ieri sera doveva entrare qualcuno e probabilmente siamo arrivati nel momento esatto in cui le barriere venivano tolte.” Le spiegò mentre uscivano dal circolo di alberi a rivedere la luce lattiginosa della radura. Si sentirono subito meglio.

“Proprio non vogliono persone lì dentro, eh?” Chiese Meike sedendosi su un tronco divelto e succhiandosi il labbro inferiore pensierosa.
“A quanto pare no. Tipico atteggiamento da purosangue direi.” Rifletté dando un’occhiata a Tom che si era appoggiato con la schiena ad un albero. “Peccato però. Avremmo potuto chiedere a loro aiuto per tornare a casa.”
“Se hanno eretto misure precauzionali del genere non credo, come ti ho detto, che sarebbero stati estasiati all’idea di aiutarci.” Ironizzò l’altro. “Chiunque sia venuto credo che ormai se ne sia andato.”
“Come fai a dirlo?” Chiese subito Meike curiosa. “Magari è ancora dentro!”
“Difese di questo genere sono utilizzate, di solito, da chi pensa di lasciare per lungo tempo la propria casa. Penso che ormai non ci sia più nessuno.” Scrollò le spalle il ragazzo. Al lo vide guardare a lungo in direzione del cancello, anche quando scesero dalla collinetta, diretti verso la scogliera per precisa richiesta di Meike.

Mentre la bambina era china su una pozza d’acqua con le maniche fin sopra i gomiti, concentrata nel tentativo di recuperare dei granchietti sfuggenti, si sedette accanto a Tom che fissava il mare assorto. Gli diede un colpetto sul braccio. “Uno zellino per i tuoi pensieri…”
“Penny. L’avete riadattato al mondo magico, ma è un proverbio babbano.” Osservò distratto.

Al sbuffò. “Sì, Signor Puntigliosità. Un penny allora. A che pensi?”
Tom esitò poi si passò le dita trai capelli, lasciandoli ricadere frustrato sugli occhi poco dopo. “Varie cose. Soprattutto se potrò ancora usare una bacchetta quando tornerò in Inghilterra.”
“Perché non dovresti?”
“Al…” Lo guardò con una sorta di esasperata pazienza. “Tralasciando la mia collusione con John Doe ho esercitato magia non  regolamentare. Io… mi ricordo che ho quasi maledetto Harry…”
“Non l’hai mica fatto davvero!”

“Ho usato la cruciatus su di lui. Me lo ricordo.” Mormorò mentre un’ombra gli scendeva sullo sguardo. “E quasi un avada kedavra. Mi ha fermato prima, ma volevo…”
“Non eri in te! Eri sotto imperio, non possono toglierti la bacchetta per qualcosa che hai fatto sotto l’influsso di una maledizione! Voglio dire, hanno riabilitato due volte i Malfoy!” Protestò violentemente, afferrandolo per un polso. “La vuoi smettere di pensarci?”
“Stai scherzando? Si tratta dell’eventualità di finire persino ad Azkaban!” Ribatté con veemenza, prima di lanciare un’occhiata alla bambina: fortunatamente era abbastanza lontana da non poterli sentire. Tirò un sospiro secco, prima di continuare. “Non è il processo in sé che mi preoccupa, né di fornire spiegazioni alla scuola o al Ministero… o alla nostra famiglia. È…” Si fermò, mordendosi a sangue l’angolo del labbro.

Al capì. Per Tom la magia era tutto. Sin da bambino era cresciuto con l’assoluta consapevolezza di appartenere al loro mondo. Amava la magia, di un amore viscerale, profondo, a tratti passionale come quello tra due persone. Se gli avessero tolto la bacchetta, proibendogli di usarla di nuovo l’avrebbero ucciso.
Gli prese la mano e gliela strinse. “Non succederà. Sei stato plagiato, e papà lo dirà… Se necessario testimonierò anche io. Davvero.”
“Comunque potrei vivere anche senza bacchetta.” Borbottò senza ascoltarlo. “Sono capace di fare magie senza bacchetta. Naturalmente.”
Al sospirò, meditando di lasciarlo alle sue elucubrazioni. La tentazione era forte, ma del resto restava sempre un Potter.

Sempre destinato a salvare tutti… Che culo.
“Sarà divertente vederti ancora al sesto anno mentre io farò l’ultimo.” Esordì, conoscendo benissimo lo spirito competitivo del proprio ragazzo. Tom infatti alzò subito la testa, tra l’irritato e il meditabondo.
Se non verrò espulso farò in modo di farmi ammettere al Settimo. Ho completato da solo il resto del programma dell’anno scorso… Non ho intenzione di imparare cose che già so.”
“… e come?” Lo guardò sbalordito. C’era da aspettarselo che Tom non passasse quei mesi solo a guardare struggente l’orizzonte. Si sentì invadere da un affetto sconfinato per quell’ insopportabile genietto. L’avrebbe baciato, ma Meike zompettava un po’ troppo vicino.

Tom fece un sorrisetto di vaga superiorità. “Non avevo con me i libri di testo, ma all’inizio dell’anno scorso avevo fatto una tabella di studio. La ricordavo a memoria. Cordula ricordava molti degli incantesimi che avrei dovuto imparare anche se, certo, solo in teoria… Per quanto riguarda Incantesimi, DCAO, Pozioni e Trasfigurazione dovrei essere preparato. Il resto potrei studiarlo ad Agosto, e magari sostenere degli esami valutativi i primi di settembre…” Ragionò tra sé e sé. “Hogwarts funziona come una scuola privata babbana, non c’è uno statuto restrittivo che disciplina le eccezioni. Potrei parlarne con il Preside. Tirando certe corde…”
Al lo fermò per baciarlo. In qualche modo doveva sfogare il suo immenso bisogno di dirgli quanto era bello sentirlo tramare per la sua ammissione al loro ultimo anno. Tom rimase fermo per un attimo, sorpreso, prima di passargli un braccio attorno alla vita e ricambiare. Si staccarono con il fiato corto. Al notò che Tom lo aveva più affrettato del suo.

“Questo per cos’era?” Gli chiese fingendo di non essere piuttosto stravolto.
Al sorrise. “È solo bello sentirti parlare di scuola. Non credevo che sarei stato felice di sentirti parlare il secchionese. 
Tom lo guardò indispettito, prima di fare un sorrisetto. “Mi risulta che anche tu lo sia…”
“Io sono semplicemente bravo in qualche materia. E comunque sai, facendo parte della squadra di Quidditch non mi si può definire come tale.”
“Se vuoi posso definirti uno sportivo senza cervello.” Al sentì le dita di Tom insinuarsi sotto il maglione che gli aveva prestato Cordula per ripararsi dal vento. Rabbrividì leggermente quando toccò la pelle nuda, ma non si ritrasse. Era una bella sensazione, anche se l’altro aveva le mani gelate.

“Quello è Jamie.” Obbiettò. “Hai le mani fredde, comunque.”
“Infatti me le sto scaldando.”
“Addosso a me?”
“Vedi qualcun altro che emana calore?”  Gli chiese con disinvoltura, tirandoselo contro. Al, che aveva grossi problemi di equilibrio se non era in sella ad una scopa a una ventina di metri d’altezza, gli franò addosso. Tom ridacchiò. “Oh, sì. Questo mi era mancato. La tua scarsa coordinazione motoria.”
“Idiota.” Lo apostrofò aggrappandosi alla sua felpa per tirarsi dritto. Reclamò un altro bacio, dimentico che non erano esattamente soli. Se ne rese conto quando vide che Meike li fissava, con vaga curiosità e un pizzico di imbarazzo.

“Err.” Tentò Al. “Meike, uhm… Sai, quando due persone si vogliono bene…” Iniziò cattedratico, mentre l’idiota se ne rimaneva placidamente in silenzio con le mani ancora sotto il suo maglione. Quando cercò di divincolarsi strinse la presa.
C’è mai una volta in cui cerca di togliermi le castagne dal fuoco?
Meike scoccò loro un’occhiata di commiserazione. Sul serio, sembrava proprio quella. “Non sono mica stupida, Al.” Gli disse in un inglese reso un po’ incerto dall’imbarazzo. “Voi due vi piacete come un ragazzo e una ragazza.” Fece una pausa, prendendo un tono cospiratorio. “Si chiama essere gay, sai?”
Tom a quel punto scoppiò a ridere, lasciandolo libero per evitare di crollare da sopra lo scoglio a causa dell’esplosione di ilarità. “Hai sentito Al? Devi chiamare le cose con il loro nome.”
“Va’ all’inferno!” Si sentì avvampare come un gladiolo e persino Meike accennò una risatina. “Meike, senti… Cioè, so che è un po’ strano…”
La bambina scrollò le spalle. “Io lo sapevo.” Spiegò orgogliosa. “Tom non guarda le ragazze. E dice che preferisce stare coi ragazzi. Era ovvio.”

“Cristallino.” Ironizzò Al scoccandole un’occhiata divertita. Poi si affrettò a cambiare discorso, perché certe cose lo imbarazzava a morte. “Così, uhm, andrai a Durmstrang?”
“Sì!” Rispose contenta. “Anche se neanche la nonna sa dov’è!”
“Perché è intracciabile, sai che significa?” Si lanciò in una spiegazione che la bambina seguì attentamente.  

Fu una bella chiacchierata. Il sole aveva fatto capolino dalle nuvole scaldando le rocce attorno a loro e rendendo il clima gradevole, se non proprio caldo. Il vento era caduto e si stava bene, seduti sugli scogli con il rumore e l’odore dell’oceano tutto intorno. Pensò che dopotutto quel posto assomigliava a Tom: apparentemente sembrava aspro, ventoso e poco ospitale. Ma bastava un attimo, anche solo un raggio di sole, per renderlo meraviglioso.  
Tom seguiva la loro conversazione distratto, intervenendo ogni tanto. Al si sentiva un po’ idiota a voltarsi a intervalli regolari per controllare che ci fosse
Prima o poi gli sarebbe passata, per il momento doveva accertarsene.
Meike alzò la testa quando si sentì chiamare improvvisamente. “È la nonna!” Si voltò verso i due ragazzi. “Credo che tuo papà sia arrivato Al…”
Al afferrò la mano di Tom prima che si ficcasse le unghie nel palmo per il nervosismo o qualcosa del genere, e lo costrinse ad intrecciarla alla sua. “Andiamo?”
Tom annuì impercettibilmente. “Credo dovrai lasciarmi la mano però…”
Gli sorrise. “Solo quando sarà necessario.”

E lo fece veramente. Solo quando furono davanti la fattoria Al gli lasciò la mano. Lo fece a malincuore, perché sembrava che Tom ne avesse più bisogno proprio in quel momento.
Meike spiava dall’uno all’altro, insolitamente zitta. “Ti assomiglia il tuo papà, Al?” Chiese, tanto per dire qualcosa.
Al sorrise. “Dicono che sia quello che in famiglia gli somigli di più.”


Tom spinse la porta di ingresso con forza, senza attendere oltre.
Il suo padrino era a due passi da lui, con uno di quegli orribili maglioni Weasley e gli occhiali tondi. Pensò nebulosamente che fosse l’uomo con meno senso del gusto sulla faccia della terra.
Questo per pensare a qualcosa.
“Tom.” Sorrise avvicinandoglisi. Esitò, e si squadrarono a lungo. “Ti trovo bene. Anche se ti diranno a casa che sei troppo magro.”
E Tom a quel punto si permise un sorriso, stringendogli la mano di rimando. Non si abbracciarono o ci furono particolari effusioni. Entrambi le temevano come una malattia infettiva di rara natura. Si limitò a stringerla con quanta più decisione gli riuscì.

“Ciao papà!” Rispose Al per lui. “Tieni… e grazie!” Gli porse il deluminatore, che l’uomo si intascò con un sorriso impacciato. Tom notò che sembrava rivolgerlo più che altro a Cordula. Dovevano aver parlato nel lasso di tempo che loro avevano impiegato a risalire la scogliera.
Harry si aggiustò le lenti degli occhiali, mentre Meike si era accostata a Cordula, spiandolo con occhi di una curiosità divorante. “Bene… purtroppo la passaporta si attiverà tra poco. Non sono riuscito ad ottenerne una a lunga durata. Ai trasporti magici le persone che conosco sono quasi tutte in vacanza e pochi erano disposti a lavorarci su a lungo…”
“Dobbiamo andare subito, quindi?” Intuì. Sentiva una stretta allo stomaco, ma non sapeva se fosse spiacevole o meno.

“Più o meno subito, sì.” Si scusò con uno sguardo verso Cordula. “Mi dispiace l’improvvisata e la fuga scortese, ma le passaporte internazionali non…”
“So bene come funzionano.” Tagliò corto la donna. “E comunque mi ha già detto tutto quello che doveva, herr Potter.” Si voltò verso di lui, e Tom sentì che gli sarebbe mancata.

Era forse la prima persona al mondo che l’aveva capito senza bisogno di spiegazioni.
Le si avvicinò, mentre cercava di ignorare i lacrimoni tremare sulle ciglia di Meike. “Danke. Du hast mein Leben gerettet.” Disse soltanto, in tedesco, perché davvero non c’era molto da dire e non voleva dirlo in inglese. Gli tese la bacchetta del figlio, anche se fu una sofferenza. Non sapeva se ne avrebbe avuta una, d’ora in poi.
“Allora ricordatelo.” Si limitò a rispondere la donna prendendola. “
“Potreste… venire con noi. Tu e Meike. Finché non inizia la scuola.” Disse, stupendosi lui stesso della proposta. “Questo posto…”
“È il posto a cui apparteniamo.” Concluse per lui, ma quasi sorrise. “Ma Meike sono convinta sarà felicissima di venirti a trovare durante le vacanze scolastiche.”
“Tutte le volte che vuole!” Si inserì Al, che ovviamente aveva gli occhi lucidi al posto suo. “Vero papà?”
“Naturalmente.” Confermò Harry, che era rimasto in silenzio fino a quel momento. “Siete entrambe le benvenute a casa nostra, come ho già detto…”
“L’inferno congelerà prima che mi faccia convincere ad usare una passaporta, herr Potter.” Ironizzò Cordula. “Ma, come le ho detto, apprezzo l’offerta.”

Sembravano tutti incredibilmente impacciati, registrò Tom. Come se non sapessero come salutarsi, con il poco tempo che avevano a disposizione.
Harry a quel punto si fece coraggio. “Dobbiamo davvero andare adesso. Devi prendere qualcos’altro Tom, o viaggi così leggero?”
“Viaggio come sono arrivato qui.” Rispose, poi si voltò verso le due donne. Meike piangeva con grossi lacrimoni. Non seppe cosa dirle per farla smettere, forse perché avrebbe voluto dire molte cose. Avrebbe voluto essere Al, in quel momento. Forse piangere sarebbe stato un buon modo per manifestare i propri sentimenti.

Harry tirò fuori la passaporta dalla tasca, era il suo mazzo di chiavi di casa. Non appena la posò sul tavolo quella cominciò a brillare di una tenue luce azzurrina. “Ci siamo ragazzi. Toccatela, coraggio.”
Tom si avvicinò al tavolo, guardando per l’ultima volta il posto che aveva finto fosse casa sua per otto mesi. Era stata una bella finzione, dopotutto.

Cordula a quel punto decise di parlare. “Sei un bravo ragazzo, Tom. Ricordati anche questo.” Disse con il suo solito tono spiccio. Ma lo credeva davvero, glielo diceva la sua espressione.
Le sorrise. “Farò del mio meglio.”
Poi tutto divenne confuso.

 
 
 
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Germania del Nord.
Residenza estiva degli Hohenheim. Pomeriggio.
 
Sören torno nella propria camera con una scatola tra le mani e la testa completamente confusa.
E rabbioso.
Non poteva credere che la sua missione fosse quella.
Tese le labbra finché non sentì il sapore del sangue mentre abbandonava la scatola di pergamena trattata sulla scrivania prussianamente ordinata. Gli era stata assegnata una camera piccola, su una delle torri e il suo baule da viaggio era stato già trasportato sì, ma nessuno dei servitori si era preso la briga di aprirlo e sistemare gli effetti personali.
Meglio così, non sarebbe stato costretto a punire il malcapitato.
Si tolse il mantello e accese con un colpo di bacchetta il fuoco, godendosi il tepore che invadeva lentamente la stanza.
Rimase incerto, di fronte alla scrivania, a scrutare la scatola. Era lunga, rettangolare e di un rosso cupo. Era uno di quegli oggetti cartacei che si potevano acquistare per poche manciate di zellini in una cartoleria magica. Serviva per contenere delle lettere.
 
“Accomodati Sören.”
La voce di suo zio era stata incolore come al solito. Stava leggendo dei documenti di cui era riuscito a vedere con la coda dell’occhio il sigillo della Thule, prima che gettasse le lettere nel fuoco. Aveva abbassato lo sguardo quando l’uomo si decise a guardarlo.

“Il trasloco è concluso? Hai sigillato il castello?”
“Sissignore, come mi è stato ordinato.” Aveva risposto prontamente. “Nessun problema.”
“Bene.” Si sentiva il suo sguardo addosso e aveva stretto i pugni per impedirsi di alzare lo sguardo o mostrare tensione. Fitte brucianti gli avevano attraversato lo sterno.

Maledetto nervosismo…
“Adesso parliamo di quello che devi fare per l’organizzazione. Si tratterà di un compito semplice, forse, temo, ne sarai addirittura offeso.” Era stato ironico e Sören non aveva colto la provocazione. Non avrebbe comunque potuto. “Dopo il fallimento di John Doe ho bisogno di nuove informazioni. Lo ammetto, abbiamo tutti sottovalutato Harry Potter e la sua famiglia.”
Sören a quel punto aveva alzato la testa per guardarlo sbalordito. Sentiva il cuore battere violentemente nella cassa toracica, pieno di furiosa aspettativa. “Zio, intende dire…”
“Quest’anno, sembra, si terrà il torneo Tremaghi.” Lo interruppe come se non l’avesse sentito. “Beaux-Batons, Durmstrang e Hogwarts mescoleranno i propri studenti dopo quasi vent’anni. È un’occasione troppo propizia per lasciarsela sfuggire.”
“Ma zio…” Aveva tentato, e aveva continuato vedendo che gli dava spazio di replica. “La sicurezza attorno a Dursley sarà massima. Non permetteranno di nuovo un rapimento.”
“Nessuno ha parlato di rapimento, qui.” Aveva replicato duro. “Voglio che tu torni ad essere uno studente, Sören e voglio che tu ti avvicini alla famiglia Potter. Non si tratta più soltanto di mio figlio.”  Si era accarezzato la barba curata. “Si tratta dei Potter. L’anno scorso li abbiamo tirati fuori dall’equazione. È stato un errore di valutazione che abbiamo pagato a caro prezzo.”

Sören l’aveva guardato confuso a quel punto. Non riusciva a capire dove volesse arrivare. “Non sarà comunque facile avvicinarsi a Dursley, anche se in veste di studente.”
“Non sto parlando di lui, sciocco ragazzo.” L’aveva apostrofato irritato. “So da me che mio figlio sarà tenuto sott’occhio ventiquattr’ore su ventiquattro. Si aspetteranno che ci riproviamo, se hanno un po’ di cervello… E non dobbiamo dare nell’occhio proprio per questo motivo. Sei uscito da Durmstrang un anno fa, sei giovane. Non dovrai neppure camuffarti. Farò in modo che tu faccia parte della delegazione della scuola.” Era sembrato cogliere la sua perplessità, perché aveva continuato nella sua spiegazione. “Naturalmente assumerai un’identità falsa…” Aveva fatto un mezzo sorriso che non aveva cambiato di un millimetro il gelo nei suoi occhi. “Sembra che Odino ci assista, non dovremo neppure inventarcela. Esiste un tuo omonimo al settimo anno. Lo sostituirai… come studente e…” Aveva fatto un cenno con la mano e la scatola di cartone rossa che aveva visto poco prima era scivolata verso di lui.

Sören l’aveva presa, aprendola. Conteneva circa una cinquantina di lettere, scritte con una fitta grafia femminile. Ogni tanto c’era qualche disegno che denotava una certa predisposizione artistica.  
“Non capisco.” Aveva ammesso.
“Non capisci che devi sostituire qualcuno per sorvegliare i Potter?” Aveva ironizzato. “Per il momento la il tuo compito non mi sembra difficile.”
“No, le lettere. Cosa devo farci?”
Alberich aveva inarcato le sopracciglia, quasi non credesse alle proprie orecchie. “Queste lettere sono evidentemente parte di una lunga corrispondenza. Amici di penna, credo li chiamino. Il ragazzo di cui prenderai l’identità è amico di penna della figlia minore di Harry Potter, Lilian Luna.” Aveva aspettato che il concetto gli penetrasse per aggiungere. “Ti consiglio di leggerle. Dovrai fingerti un confidente appassionato.”

 
Sören aveva storto le labbra in una smorfia, guardando la scatola abbandonata.
Confidente di una ragazzina…
Lui.
Avrebbe pensato ad uno scherzo di pessimo gusto se la richiesta non fosse stata fatta da suo zio in persona.
Sören Von Hohenheim-Prince non era un brufoloso corteggiatore di streghette inglesi… era il braccio destro di Alberich Von Hohenheim, era un alchimista, era un soldato.
In effetti avrebbe preferito affrontare un dorsorugoso di Norvegia a digiuno da giorni che fingersi interessato alla vita dell’ultima erede del Salvatore.
Aprì la scatola con un gesto secco, prendendo il plico voluminoso e sedendosi sulla poltrona accanto al camino. Si versò una generosa – e doverosa – dose di vodka incendiaria e… visto che gli era stato ordinato… si apprestò a leggere.
Dopo una breve scorsa emise un sospiro sconfortato.
La ragazzina decisamente non aveva il dono della sintesi. Aveva in mano il corrispondente di una piccola enciclopedia di vita personale. Guardò svogliato le date: la prima lettera era di due anni prima. La lesse. Si firmava sempre Lily.
Con il doppio nome cacofonico che ha è una scelta quantomeno saggia.
Le lettere erano impregnate di un profumo indefinito, sembravano fiori. Gli ricordava qualcosa, ma del resto non era mai stato tipo da fiori. Non ne aveva mai regalati né ricevuti. Al massimo li aveva usati, ma distillati.
Mise le lettere sul tavolino accanto.
Avrebbe dovuto impersonare il suo corrispondente. Dunque contattarla. Probabilmente avvicinarla.
Buttò giù un sorso di vodka, stringendo i denti al fuoco che gli incendiò lo stomaco.
Come se non avessi fatto altro per tutta la vita che interfacciarmi con adolescenti stupide…
I suoi anni a Durmstrang erano stati proficui dal punto di vista dei suoi studi, ma decisamente solitari. Tutti conoscevano suo zio, se non altro di fama, anche se non c’erano prove concrete che lo annoverassero trai maghi oscuri.
Persino a Durmstrang ormai non andava più di moda essere cattivi.
Il risultato era che non si sentiva così pronto a stringere amicizia, o a fingerla, con i suoi coetanei.
Figuriamoci con una… una quindicenne, da quando dice la sua data di nascita…
Si sentiva frustrato e … imbarazzato, sì. Gli sembrava un compito stupido. Sorvegliare la famiglia Potter, prendere contatti con la più inutile e distante da Dursley di loro.
E poi?
Questo significava che suo zio continuava a non fidarsi di lui.
Strinse il bicchiere tra le dita finché non lo sentì scricchiolare. Allentò la presa, cercando di rilassarsi. Lanciò un’occhiata alle lettere e vide spuntare qualcosa di molto rosso in mezzo. Lo estrasse cauto: era una fotografia. Si doveva essere staccata da una delle lettere visto che c’erano ancora segni di scotch magico.
La ragazza ritratta doveva essere quella Lily. Aveva i capelli di un rosso tiziano piuttosto incredibile, visto che i britannici di solito li avevano color carota.
La guardò a lungo prima di accostare il viso al bordo. C’era ancora quel profumo, e stavolta riuscì ad individuarlo.
“Gigli.”
 
 
 
****
 
Note:
 
Che ve ne pare di Sören? Pareri sinceri! :D
1. Qui la canzone.
  
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