Ci speravo, sai? Speravo di trovare il capitolo sette.
Ora che ho letto…ora che ho letto, cerco di mettere insieme i pezzi del prima e quelli del dopo, perché questa è una storia che sa di eternità, no? Come tale, è pertanto attuale, pur essendo un prima. Non posso essere più chiara di così, potrei anzi, ma no.
Non è un caso che questa storia stia prendendo forma e sostanza proprio in questo periodo, ci sarà certamente un intervento esterno combinato, perché magari questa è la strada giusta per trovare questa eternità.
Tante cose che ha detto Gabrielle mi hanno fatta sorridere, altre per niente, ma tutte mi hanno fatto pensare.
Sai, io non rinnego mai il passato, per quanto orribile possa essere stato e per quante ferite insanabili abbia lasciato, perché un individuo non è una persona senza aver vissuto e non può essere estrapolato dal contesto da cui deriva e dalle esperienze che ha fatto: tutto concorre a renderci quelli che siamo nel presente.
Tuttavia, ci crediamo ciò che viviamo, come se quel che siamo fosse espressione del nostro modo di vivere.
Vivere che significa? Come si vive davvero?
Circondandosi di gente con cui ridere e uscire? Entrando in una taglia 42, poi in una 40, dopo in una 38 fino alla 36? O magari si vive facendo viaggi sempre più esotici e lontani e conseguendo pure una o due lauree? Beh, magari questo è il modo in cui si vive da giovani? Forse ad un certo punto si vive comprando una propria casa, sposandosi e avendo un lavoro appagante?
Tutte queste cose sono il modo in cui si vive?
Io non vivo così, eppure vivo. Non mi riconosco in nessuna di queste attività, pur avendo con esse un qualche nesso. Io, a livello di persona, non esisto in quanto praticante queste attività o pratiche o raggiungendo determinati traguardi riconosciuti come “ciò che costituisce il giusto modo di vivere di una persona”. Io esisto perché ci sono e continuo a farlo indipendentemente da quello che la morale comune identifica come “giusto e doveroso”.
Non mi butto di lato, nemmeno me le do di sopra, perché so esattamente tutto quello che è il mio retroscena e il mio presente, e la realtà ha tante sfumature che la morale comune trascura.
La morale comune non ha cuore e non ha occhi, ha solo cervello e giudizi superficiali.
Nessuno dovrebbe giudicare se stesso attraverso la morale comune.
Le persone che si vantano e che si sentono superiori ad altre per aver conseguito mille o migliaia di riconoscimenti, non sono superiori né a me né a nessun altro: sono solo persone con un altro retroscena rispetto al mio, con un altro vissuto. Un vissuto che ha permesso loro di conseguire quei fantastici riconoscimenti e di operare alcune scelte piuttosto che altre, di vivere in una certa maniera insomma. E siamo tornati al punto: vivere che significa? Come si vive davvero?
Esiste solo un modo per vivere davvero e non è torturandosi per conformarsi all’ideale di persona vincente e integrata nel contesto che viene riconosciuto in società.
Il modo unico per vivere è rispettare se stessi e non soffocare mai le proprie debolezze e la propria forza, perché ognuno di noi è una persona a sé, che non ha niente a che fare con una massa o con un ideale. Chi se ne importa se ci sono migliaia di persone che stanno a guardare quello che facciamo e che ci giudicano? Tanti guardando le debolezze e gli insuccessi degli altri solo per coprire il proprio malcontento con la vanità, ma se approfondisci una persona – chiunque essa sia – ti rendi conto che non è felice e appagata solo per essere una taglia 38, o per l’avere vinto un nobel o per l’essere stata eletta madre dell’anno, o ancora perché vanta di avere trecento amici.
Quando ogni individuo chiude la porta e si mette a letto, si spoglia dei suoi titoli e delle sue maschere ed è semplicemente un essere umano che cerca qualcosa, una cosa speciale che lo renda intimamente felice e che sia autenticamente sua. In camera da letto, la notte, la morale comune non entra ed è in quel momento che si è genuinamente persone, senza maschere e con la propria miseria o con la propria gioia. Niente morale comune, solo persone.
Come si vive?
Fregandosene della morale comune.
Ignorando le offese di chi si erge a giudice degli altri senza che ne conosca il vissuto e il presente.
Senza scendere a compromessi con il proprio io, rispettandolo, sia nei suoi punti di forza che nelle sue debolezze.
Andando avanti a testa alta, perché il proprio vissuto e il proprio presente li conosciamo solo noi e non quelli a cui piace giudicarci.
Ascoltando noi stessi in profondità, per capire veramente qual è la cosa speciale che vorremmo tutta per noi, indipendentemente se essa venga o no condivisa dalla massa. Trovando il coraggio di andarcela a prendere.
Ma su tutto: smettendo di guardare e di ascoltare attraverso i sensi della morale comune, che impone un modello ma non sa niente della vita e dell’interiorità di ognuno di noi.
Accettando di essere individui a sé, con bellezze e brutture solo nostre e che, pertanto, nessuno può giudicare.
Se accettiamo di essere persone a sé senza doverci conformare ad un modello, possiamo avere il coraggio di cercare quel quid che ci renderebbe intimamente felici, solo nostro e non giudicabile.
Questa storia, aldilà di tutto e di tutti, offre molti spunti di riflessione e fa pensare molto.
A me fa pensare per motivi che vanno oltre l’essere lettrice, e mi fa pensare a tante cose, perché, gioia, sappi che le penso tutte, anche se non sto qui a parlarne, e penso a quel prima a quel dopo e all’adesso.
Sono contenta che Gabrielle abbia scorto quel raggio di eternità, alla fine. Adesso spero che ci creda.
Ti voglio bene, sempre. |