Allora, ho fatto un patto con me stessa. Ho deciso che troverò a tutti i costi il tempo per recensire questa storia, se non sempre un capitolo alla volta almeno a blocchi di due, e cercherò di mettere da parte la mia insicurezza cronica nel riuscire a trasmettere, a scrivere e scrivere bene, ciò che vorrei dirti. Perché come già sai questo è stato il più bel regalo di Natale che potessi ricevere e ne sono entusiasta, davvero. In più ho una voglia matta di parlare con te di Findekano (ometto gli accenti perché è una noia mortale inserirli con il telefono, scusa!) e Russandol, di come li hai descritti e di come hai raccontato il loro amore, le loro sofferenze.
Considera poi che volevo recensire i primi due capitoli assieme, ma le cose da scrivere erano troppo e ho dovuto desistere!
Partiamo dall’inizio, dal titolo. Perché questa storia ha iniziato a conquistarmi da qui: tenn'Ambar-metta, sino alla fine del mondo. Credo sia il titolo più struggente che potessi trovare in relazione alla storia di questi due personaggi. Inoltre è una formula evocativa del discorso di Elendil (e di quello di Elessar) a cui ho sempre collegato una certa “sacralità”, che - ancora - si sposa benissimo con le vicende che vai a raccontare. Senza contare che io amo il Quenya follemente, e amo usarlo e vederlo usato.
Poi c’è il fatto che tutta questa storia è scritta dal punto di vista di Russandol, il personaggio che prediligo all’interno del Legendarium, il personaggio che ritengo più complesso, contraddittorio, coinvolgente. E nonostante parti della nostra visione di lui differiscano, devo dirti che questo Russandol è credibilissimo. La sua voce, almeno sin qui, è intrisa di una sofferenza caustica, che si armonizza alla crudità delle scene. Scene vivide, altamente estetiche nel loro realismo.
Come ti dicevo ho letto ad alta voce, soprattutto le parti della prigionia, perché i ricordi di Aman, relativi a Findekano, ma anche quelli legati a Feanaro erano velati di un’intimità che mi li ha fatti mormorare, piano. Quasi temessi di spezzare il ricordo. Ed è stato bellissimo.
Le scene relative alla prigionia mi hanno coinvolta in un modo che non saprei quantificare. Nel messaggio privato ho posto l’accento sulle pause, sulle frasi spezzate… respiri veloci, incalzanti, alternati a lunghi sospiri angosciosi, all’attesa di un’altra umiliazione. Questo “tempo da animale” scandito dal buio. E quei pensieri, quei ricordi, in cui l’ombra di Moringotto si insinua.
Forse non sono mai arrivata a pensare che Russandol possa aver odiato i propri fratelli per averlo abbandonato (anzi credo che sia stato sotto sua indicazione che Kano non sia intervenuto per lui), così come non credo che abbia odiato Feanaro, almeno non ancora… ma quello di cui sono certa è il suo odio per se stesso, per la propria inutilità nel frangente della prigionia. Ed è bello ritrovare questo sentimento anche qui.
Poi ci sono quegli sprazzi d’orgoglio in cui ho visto tutto il suo essere un fiero Feanarion. Come il momento in cui non invoca Eru, i Valar o chicchessia, ma il proprio padre affinché lo porti con sé nel suo universo di fuoco e nulla. Ed anche il ricordo che vi si collega è qualcosa in cui tutti i Feanarioni potrebbero ritrovarsi, persino Curvo, perché credo che nonostante la sua vicinanza a Feanaro (o forse proprio a causa di essa) fosse uno fra coloro che più percepivano l’irraggiungibilità del padre.
Sempre dal mio soggettivassimo punto di vista, Maitimo è quello che meno ha sofferto per questo, forse perché era il più equilibrato (assieme con Kano, prima di un certo finale angosciante) e il più lungimirante dei suoi fratelli. A differenza degli altri vede la follia di Feanaro, la pondera, ma la sua stima per il padre è tale da portarlo ad andare oltre di essa, pur provando a contenerla con il raziocinio. Ad ogni modo il ricordo in cui Curvo affianca il padre nella forgia e lui li guarda da fuori, è qualcosa che ben si sposa con il contesto. Qualcosa che l’ombra può azzannare.
E arriviamo, così, al ricordo che coinvolge Findekano, di cui ho davvero apprezzato la scelta dell’abbreviazione; “Findo” è in assoluto la più corretta, anche se io stessa troppe volte impiego inconsciamente il “Finno” per distinguerlo da Findarato. Ma la radice di entrambi i nomi è finde e per quanto si possa provare ad arrabattarsi (come faccio io) con l’antica phin (phini in Elfico Primitivo), da cui il desueto vocabolo fine che però indica una singolo capello (mentre il nome Findekano dovrebbe far proprio riferimento alle trecce), “Findo” resta la scelta migliore.
Perdona la mia parentesi linguistica e andiamo avanti… dicevo: il ricordo. Quella gemma verde. Sono molto propensa nel sostenere che sia l’Elessar, faccio bene? La stessa Elessar che in The War of Jewels Russandol donò a Findekano. Se è così… Eru, hai fatto una scelta perfetta!
E l’accenno ai gemelli che fanno i dispetti a Curvo è impagabile.
Ma Elessar e gemelli a parte, in queste scene trapela perfettamente l’indole di Findekano. Quell’incoscienza che va a confondersi con il suo coraggio, un’incoscienza che è perfetta nel contesto, perché questo è un Findekano ancora giovane, ancora immerso negli idilliaci paesaggi di Aman (e si “respira” proprio Aman: un’altra luce, un altro mondo). Mentre quella propensione alla sfida, soprattutto con Russandol, credo fosse un suo modo controverso e forse inconscio di esternare i propri sentimenti, la propria attrazione.
Io purtroppo temo di avere una visione maggiormente “rigida” di loro; ho sempre ipotizzato che divenissero coscienti dei loro sentimenti molto più in là nel tempo, in Endore, carichi di responsabilità e angosce (anche in All’Alba ho cercato di mantenermi “vaga”… qualcosa trapela, ma Findo non ne ha ancora piena coscienza). Tuttavia ciò che profili qui, oltre ad essere credibilissimo, è di una delicatezza struggente. Prima il terrore di Nelyo per la caduta di Findekano, poi il salvataggio (che non può non richiamare quello che seguirà) e infine quel contatto. Ho amato come hai descritto la loro vicinanza, il tocco delle labbra sulla pelle, la schiena di Findo contro il petto di Russandol, le reazioni del suo, di corpo… tutto, pur essendo “fisico”, è permeato di delicatezza.
Infine ci sono gli occhi Findekano cristalli di cielo al crepuscolo (e li vedo, sono proprio “così” i suoi occhi!) che veicolano la comprensione di Nelyo del suo reale desiderio. Una promessa immortale. E a parte le mie teorie, qui il riferimento al matrimonio descritto in LACE è stato meraviglioso.
E in conclusione l’importanza che conferisci al suo splendido amilesse mi ha definitivamente commossa. Il consegnare di Russandol a Findekano il proprio nome più “intimo”, Maitimo, è stata un’emozione davvero forte. Perché lui a differenza di altri impiega appunto Russandol, l’epesse datogli dai suoi fratelli, Maitimo rimane un nome destinato a pochissimi… ed esso è il nome della “visione interna”, il nome che lo rappresenta maggiormente, essendo nato dalle intuizioni materne.
Ma apprezzato che il tutto non si risolva qui, così. Che Findekano “ignori” la cosa (forse ha intuito che Nelyo non è ancora sceso a patti con se stesso?), perché essa abbia uno sviluppo futuro, una maturazione data dal mutamento del contesto, dalla tragedia che entrambi affrontano.
E come condivido il discorso relativo al nome, condivido le dinamiche del salvataggio. Quel uccidimi preludio di un fuggi, mettiti in salvo. Perché anch’io credo che Russandol fosse terrorizzato dall’idea che anche Findekano potesse finire prigioniero, subire ciò che aveva subito lui.
Splendida la conclusione: il nome Maitimo che ritorna, questa volta sulle labbra di Findekano. Un annuncio di salvezza e speranza (come il canto di Findo) ma anche la chiave di una promessa eterna.
Non l’ho ancora esplicitato, ma è bellissimo ritrovarsi in questi headcanon, trovare congruenza tra questa storia e la mia!
Ancora complimenti e a presto! (Recensione modificata il 07/01/2016 - 10:39 pm) |