Recensioni per
Save our Souls (Specters)
di Deliquium
Mi
prefiggo di rispettare questo piccolo appuntamento del fine
settimana che, tra
me e me, ho preso coi tuoi lavori, cascasse il mondo – o mi
cascassero una
serie di rotture di scatole tra capo e collo, come nelle ultime
settimane, oggi
incluso. Per un po' è stato un appuntamento coi tuoi signori del
Piano di Sotto,
presto sarà un appuntamento con altre cose. È un'oasi di
bellezza, questa
raccolta, anche sulle rovine fumanti di una guerra finita in
modo poco soddisfacente
per quelli che sulla carta sarebbero tra i vincitori. Mi
convince e mi piacela
struttura circolare che hai deciso di adottare, a suo modo fa
quadrare il cerchio
– ho anche fatto la brava e sono andata a rileggermi i primi
capitoli, perché a
distanza di anni la mia già debile memoria tende a perdere più
colpi di quanti
non ne perda già a breve termine. Questi
ritratti degli Spettri sono uno più bello dell'altro; e, no, non
sono in grado
di stilare una classifica. Sono tutti vibranti, ciascuno a suo
modo, vivi nella
non-vita che descrivi. Mi
piace Felthuz, in questa scena antica: c'è un senso dell'onore,
della misura –
anche quando la misura dovrebbe essere assoluta, on the
hard scale, per dirla coi
connazionali di un Rhadamanthys
futuro. Non credo di star proiettando (ma è sempre possibile,
ché
l'osservazione modifica il processo osservato), ma gongolo nella
sensazione che
l'Inferno, anche qui da te, rimanga una forza tutto sommato
bilanciante, senza
il trasporto emotivo dello sgozzare per il gusto dello
spargimento di sangue,
del dolore, del soggiogare. Ma c'era rispetto. Tra nemici.
Erano guerrieri, non
bestie assetate di sangue. In
una logica squisitamente shōnen, questi signori sono gente con
cui si può ragionare
– rigorosamente a cazzotti e a galassie sparate in faccia,
magari stringendo un'imperitura
amicizia cavalleresca, altrettanto rigorosamente in punto di
morte. Ares e i
suoi, no. Ora, io credo che il desiderio di sbudellare e giorire
dello
sbudellamento, di soggiogare il prossimo, o di brindare col
sangue e le lacrime
nei nostri nemici sia a sua volta tutto sommato umano – dici che
ho un
malcelato problema con la gestione della rabbia? Naaaah! Ma la
Morte è al di
sopra di queste piccolezze, è indifferente a queste quisquilie;
ha la sua
purezza e la sua assolutezza. Non sta forse scritto anche nelle
pagine del Cialtronissiomo
che Hades è un dio misericordioso? Certo, per bocca dei suoi, ma
rimane il
fatto che qualcuno abbia potuto dirlo. Quale
chiusa migliore, dunque, di quella che hai scelto? Nessuna.
Davvero nessuna,
perché su questo sfondo di un'Atene piegata e svuotata di senso
da una Guerra
brutale che alla Morte non può aver dato alcun piacere vincere
solamente sulla
carta; sullo sfondo della soggiogazione, anche il lettore (o
almeno questo
lettore) riesce per un ultimo istante a guardare il tutto con
gli occhi degli
Spettri, e a scorgerla, la promessa assolutamente preferibile di
questa Morte
che è una liberazione. Mi
sa che al prossimo giro ci vediamo su in vulcano! Ed anche
questa è una promessa! Un
abbraccio, e grazie ancora di aver scritto questa meraviglia! |
Potrei
lanciarmi in quarta in
uno sproloquio sulle regole – soprattutto quelle che ci
imponiamo e che ergiamo
a guida dei nostri ragionamenti, pubblici o privati che siano –
e su come l'esser
fisse, o inflessibili, non è una condizione sufficiente né
probabilmente
necessaria acché siano regole. Per quel po' di decenza che mi
rimane, me lo
risparmierò, perché sono già noiosa di mio, senza bisogno di uno
sproloquio aggiuntivo
a carico. Però, credo che la tua scelta di lasciare Minos qual
Minos
all'anagrafe sia in sé e per sé giustissima, e non solo perché
crea l'occasione
per tratteggiare in pochi giri di frase un ritratto vivido del
fu babbo di
Minos. Lasciamelo
dire en passant:
un pochino mi ha stretto il cuore il babbo di Minos, non solo
per una serie di
ragioni di circostanza che mi portano ad avere una simpatia di
categoria con
questo poveraccio. E mi chiedo, in un pensiero ozioso, in quale
fossero la
disciplina e l'area di specializzazione, di quest'uomo che pare
aver passato la
vita a rincorrere domande e spiegazioni e teorie e risposte,
scrivendo libro su
libro. Publish or perish, vengono spesso ammoniti i
giovani
accademici. Pubblica
(come un
pazzo) o muori.
Poi se muori per
pubblicare come un pazzo, eh, beh, non avevi la stoffa. Ma io
ho sempre avuto l'impressione
che uno alla fine muore lo stesso – e la sorte del babbo di
Minos almeno non mi
dà torto! – e che, allora, se tutto questo lascia così poco
tempo, tanto vale
che non ne trovi troppo di più. Altrimenti, alla fine, si
finisce davvero come
il babbo di Minos: troppo perso a rincorrere cose che non si
faranno mai
davvero acchiappare per trovare il tempo per andare a visitare
un luogo amato,
almeno nel sogno del mito. A volte è meglio non riuscire a
toccare con mano un
mito che amiamo, per lasciarlo nel suo spazio mitico e
intoccabile; ma è anche
vero che c'è qualcosa di immensamente triste nel non riuscire
a conquistarci il
tempo giusto e sacrosanto per le cose che amiamo. Ho
l'impressione di star
facendomi una filippica sulla corda, comoda comoda in
poltrona, nella mia
casuccia dell'impiccato, ma non sottilizziamo. In compenso,
non ho progenie per
cui essere un padre assente – o una madre degenere. Sono
piccole conquiste. Comunque,
dicevo, a proposito di Minos che è Minos all'anagrafe, credo che
sia una scelta
immensamente espressiva, perché crea una continuità tra Minos e
Minos, tra il Minos
che è e il Minos che sarà ma che non è ancora, ti consente di
mettere in scena lo
scivolare del presente nel futuro. È un po' un'allegoria della
permanenza e del
cambiamento, riflette su quello che resta con la morte, in
relazione alla morte,
la dialettica tra quello che passa e quello che rimane
immutabile – che è il
filo conduttore non solo in questo capitolo, esplicitamente e su
tutti i
livelli narrativi; ma dell'intera raccolta. Mi dispiace di
essere quasi in
dirittura d'arrivo: questo tuo lavoro m'incanta ogni volta e mi
fa pensare
pensieri che mi piace pensare. O forse è solo un po' di angoscia
del punto
fermo e della compiutezza, o semplicemente della fine. Un
abbraccio! |
Non conoscevo l'intervista al Cialtronissimo cui fai riferimento;
ma, a
pensarci neanche troppo bene, credo che sia una scelta incredibilmente
sensata
– e probabilmente anche assolutamente casuale, come è
palesemente la stragrande
maggioranza delle scelte
azzeccatissime del Cialtronissimo, quelle che trasudano potenziale e, in
fondo,
sono la cifra di grandezza di questa opera, su cui nel bene e nel male
stiamo
ancora a scrivere e a leggere e a riflettere dopo un numero di anni che
è
meglio, per la mia autostima, non stare
a contare. È sensatissimo che le Surplici costringano il portatore ad
adattarsi loro,
invece che il contrario: un po' per la connotazione che questo semplice
fatto
puntualissimo dà all'andazzo delle cose al Piano di Sotto, il tono
generale che
permea l'Oltretomba kurumadiano; e un po' perché altrimenti certi
personaggi con
marcate caratteristiche disumane, tra le fila di Hades, non potrebbero
trovare
una collocazione sensata e coerente. Poi sorvoliamo sul fatto che una
cloth
come Virgo sembri avere un vitino di vespa per caratteristica
strutturale, del
design stesso, e sfido io il Cialtronismo o chi per lui a mantenerne le
linee
essenziali con dentro uno che non sia sulla soglia dell'anoressia, con
tutta
probabilità dal lato sbagliato... ma sorvoliamo, eh? Credo che qualunque
potenziale problema bellamente ignorato dal Cialtrone sia risolto sul
nascere
dalla tua decisione di impostare Sincretismo sotto l'egida della
reincarnazione, con tanto di permanenza di alcune caratteristiche
fisiche
essenziali – è bella l'idea che l'anima informi in senso strutturale il
corpo,
con tutti i suoi accidenti: porta l'ilemorfismo (o ilomorfismo, scegli
una
vocale!), per cui il mio cuoricino aristotelico non può non
simpatizzare, alle
estreme conseguenze. Al di là della bellezza del punto di vista della voce narrante,
della Mandragora
che aspetta e commenta e infine trionfa, mi incanta il focus che hai
dato a
questo pezzo, concentrandoti su quella che è innanzitutto una
metamorfosi. Da
una parte, forse tutta S.O.S., a rivisitarla, è una raccolta sulla
metamorfosi,
sul diventare quello che si deve essere, che non si può non essere; ma
questo
capitolo in particolare bilancia qualche cosa di ovidiano, la faccia
classica
della metamorfosi (almeno per la mia animuccia semplice, il classicismo
aleggia
sempre un po' dappertutto in Saint Seiya) con una metamorfosi kafkiana –
nel
tono, nello squallore, nel vomito, forse nella cruccaggine che fa parte
di
questo ragazzo. Il terrore di chi si vede
e
non si riconosce. Ecco, il terrore della metamorfosi è già ovidiano, è già abbozzato
nei miti
classici delle trasmutazioni – quelli à la Daphne, per
intenderci, non
à la Zeus che si trasmuta a piacimento per andarsene in giro a
fare il
porcello con impunità. Ma che quel terrore sia nel momento
dell'autoriflessione,
del cercare di riconoscersi e non riuscirci, invece che nell'essere
soggetti ad
una forza esterna, quasi sempre violenta, questa è un'idea tutta
kafkiana,
tutta moderna. E funziona benissimo. Bellissimo tutto; e bellissimo Rhadamanthys, che entra in scena
perfettamente ed al momento giusto. Ma certo che l'hai visto.
L'hai visto molte volte. Sei sempre stato al suo fianco. Nella vita
precedente,
e in quella ancora e ancora, quando… Ora, io non so a quali fatti quel "quando" e la specifica
vita precedente cui si rimanda facciano riferimento, ma ho il sentore e
la
vivissima speranza che lo scoprirò mettendomi in pari con il resto.
|
Io ho un'innata simpatia per la disposizione concettuale delle cose – c'è mai un ordine vero che non sia concettuale, in fondo? Anche l'ordinamento fisico o metafisico delle cose, d'altronde, deve essere rendicontato dal concetto. E sì, magari sarà anche il mio nominalismo a briglia sciolta, ma le vedute concettuali, almeno per me, fanno sempre da contrappunto e fondamento della stragrande maggioranza delle preferenze, o per lo meno delle preferenze giustificabili. È tanto più bello seguire, capire, leggere della progressione di concetto di una narrazione, piuttosto che della mera successione cronologica dei fatti. |
C'era chi aveva la frusta, chi la spada, chi una clava e chi doveva accontentarsi di una scopa. Ed ecco che tu mi fai provare simpatia per il povero Marchino, assieme a Zelos, l'altro bruttone delle schiere infernali. Ma dove Zelos è chiaramente un viscidone infido, una carogna insopportabile, Marchino è un poveraccio, un messo sotto dalla vita (o, in questo caso, anche dalla morte). Insomma, Marchino, servo di un po' troppi padroni che proprio non si vogliono mettere d'accordo o prendere atto che l'ubiquità non è in dotazione con la corazza da Spettro, è un poveretto che – se Kuru avesse saputo usarlo – sarebbe stato un ottimo momento di sollievo comico e, come spesso è un sollievo comico scritto bene, di uno sguardo critico sull'ordine del mondo in generale, non solo del mondo di Saint Seiya, militare e gerarchico. Perché, in fondo, c'è sempre, in qualunque contesto, il poveraccio di turno a cui tocca la scopa. Forse non è giusto che sia così, ma è necessario e inevitabile: non possiamo essere tutti fighi come Aiacos, potenti e relativamente centrati come Rhadamanthys... Non possiamo neppure essere tutti quel meraviglioso pazzo impazzito di Minos. Che poi Marchino muoia d'una morte assolutamente del piffero, è uno dei tanti segni che, nel Mondo di Sotto, non si capisce tanto la dritta. A un malpensante potrebbe quasi venir da dire che le schiere infernali non abbiano poi tutta 'sta voglia di vincerla, questa benedetta guerra. |
Comincio dalle cose secondarie, prima di passare a gongolare come al solito. Premesso che il mio tedesco fa schifo, ora e sempre, in saecula saeculorum, amen, e che dunque sono da prendere con le pinze, "Meinblut" anch'io non credo che esista ma – per quel poco che ne so – a me sembra una parola composta benformata. Ma, a prescindere da tutto, ha anche un'immediatezza viscerale che è perfetta e che mi piace immensamente. |
Carissima, questa storia mi dà sempre grande gioia e oggi mi fa piangere – fuor di metafora: ho gli occhi lucidi e vedo a stento che cosa stia scrivendo. Mi riduci ad essere una persona emotiva! |
Carissima, carissima, mia carissima! T'invito ormai a dare per scontato l'adagio del mio amore assoluto per questa storia, in ogni suoi singolo carattere, spazio e segno di punteggiatura, ché a ripeterlo ogni volta finirei col diventare un disco che s'è incantato. |
Io non credo di avere parole d'amore a sufficienza per esprimere adeguatamente il rapimento estatico in cui piombo ogni volta che apro questa raccolta - no, non sono i farmaci, giuro: sei tu. Che il rapimento qui sia quasi a tema è una felice coincidenza! XD |
Ciao, carissima! Oggi ho bisogno di distrarmi... E che potrebbe mai esserci di meglio, per sedare i miei istinti omicidi, che venire a far visita ai cari amici infernali, qui da te? |
Mai fidarsi di Ares. |
Sai cosa mi è piaciuto tanto tanto tanto? |
Dovrei citare ogni parola, virgola compresa. |
Ebbene, eccomi qui! ~ |
Ebbene, eccomi qui~ |