… deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum…
Arrivo a te sulla scorta di uno scorcio bellissimo – mozzafiato, nel senso che richiede un bel respiro, ampio e profondo sulla scorta della sintassi – in cui ho avuto il piacere di imbattermi; poi ho colto un’occasione estrinseca, perché, ahimè, altrimenti la gestione del mio tempo tende a sfuggirmi di mano e finisco col procrastinare ad infinitum. Confesso, però, che se bazzicassi su questi lidi con una qualunque parvenza di regolarità, il titolo sarebbe bastato; e, dato che sono una persona bruttissima che sbircia in avanti, sappi anche che le epigrafi che hai scelto sono l’una più colpo di grazia dell’altra – se più di un colpo di grazia non fosse una contraddizione in termini. Sono una donna semplice, ecco.
Comincio dall’inizio, perché dall’inizio è giusto cominciare. Ed è forse appropriato cominciare con una nota, una premessa, personale: dalla sua primissima comparsa, come quasi una nota a piè di pagina in un libro di storia, io ho sempre avuto un debole per Grindelwald (vedi l’essere una brutta persona di cui sopra); la ship è seguita a ruota. Ai bei tempi andati, questi due esercitarono su di me una grande fascinazione e, occasionalmente, torno a leggere di loro con grande piacere, soprattutto quando quello che leggo è scritto con criterio, con stile, con passione; dire “scritto bene” non renderebbe giustizia all’intensità ed alla bellezza di questa tua.
Mi sembra opportuno soffermarmi su due aspetti, sopra a tutti; perché, al nostro primo incontro, non voglio sommergerti con il papiro che pure potrei scriverti – e non solo per la mia inclinazione alla logorrea senza fine, ma per la ricchezza del materiale.
In primis, c’è un aspetto tecnico (mi piacciono le cose tecniche), ovvero il tuo ammirevole uso della seconda persona narrante. La seconda persona è un’arma a doppio taglio, almeno quando è puntata contro un lettore particolarmente intollerante come la sottoscritta, perché corre il rischio di suonare condiscendente, di instaurare un tono di paternalistico distacco – mi torna in mente l’odiatissimo Se una notte d’inverno un viaggiatore, che sarebbe dovuto piacermi immensamente, perché ha tutti i requisiti strutturali per parlare alla mia anima, tuta la metaletteratura di questo mondo, ma quel tono… La tua seconda persona, invece, sortisce l’effetto opposto del distacco, del giudizio. Trascina il lettore in un vortice, nel vortice della passione di quest’incontro d’amore che sa di clandestino – saranno le nebbie fumose, il freddo dell’inverno (britannico o continentale, poco importa), e l’intuizione della cronologia – eppure la clandestinità si perde sullo sfondo, in quel “dove” cui non è necessario arrivare, perché quello che conta è il qui, il prima di subito, l’adesso, assolutamente ora. Mi ha ammaliata, la maestria di questa tua seconda persona.
In secondo luogo, credo che una nota al merito vada alla grazia con cui padroneggi il genere erotico, in cui, almeno secondo me, è difficilissimo trovare la giusta misura, il giusto mezzo, descrittivo e stilistico, senza scadere nella becera meccanica dei pezzi che si incastrano né fermarsi un passo troppo presto, nel meramente allusivo – o, peggio, svagolare nel sentimentalismo da educande che vogliono far le trasgressive. L’erotismo, – quello vero, quello bello – è quello che hai messo in scena tu: uno scorcio di passione, dove è la passione stessa a raccontare una storia, a lasciare intuire una premessa, tra le righe e tra i sospiri.
Sappi che, passo passo, coi miei tempi da tartarughina artritica, conto di arrivare fino in fondo. <3
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