Oggi pomeriggio, tra una pausa e l'altra dallo studio, mi è venuta voglia di leggere qualcosa e, come talvolta accade, mi sono ritrovato a voler cercare dei versi nuovi e freschi, dei versi giovani e densi di speranze e paure. Ho trovato i tuoi, ne ho letti molti e mi sono fatto un'idea di te, più o meno fedele all'originale, raccogliendo e mettendo insieme i tasselli che hai sparso fra le parole di queste tue poesie. Devi essere piuttosto giovane, devi essere piuttosto sognatrice (definizione particolarmente appropriata in questa poesia), devi essere piuttosto sensibile, devi essere perennemente sotto scacco, dilaniata da un'asfissiante insicurezza ma esaltata da una meravigliosa capacità di sorridere dinnanzi ad una canzone, ad un fatto, ad un testo emozionante (in senso largo). A ciò che ti rende viva, insomma.
Ho deciso di soffermarmi e di farlo su questa tua poesia, la più recente, e di districarmi fra queste parole a tuo stesso dire confuse e disordinate, perché c'è del talento in questi versi - come pure in tanti altri. Hai parlato di cose belle, inizialmente, e allo stesso modo parlerei dei tuoi versi, che sicuramente si faranno più belli, col tempo, e che già adesso trovo siano curati e belli.
Prima di proseguire (e passare finalmente ai tuoi versi! Mi perdonerai se mi dilungherò, vero?), vorrei soffermarmi ancora, stavolta su quella canzone che hai pre-messo alla tua poesia. Oltre ad essere una bella canzone, oltre ad aver avuto la dolce accortezza d'abbinare qualcosa d'ascoltare alla lettura (che io trovo sia sempre piacevole), c'è dell'altro. La scelta della canzone. Vorrei domandarti com'è avvenuta: è una canzone che ascolti molto di recente? Una canzone che ti è tornata in mente per caso? L'hai scelta apposta? Vorrei domandartelo ma, dopotutto, non importa poi molto: il punto è che la canzone non è una canzone qualsiasi, rispetto alla poesia. Se volessimo discuterne in termini freudiani, diremmo che il determinismo psichico ha colpito ancora: è una canzone d'abbandoni, di fughe disperate e di sogni ad occhi aperti, una canzone di speranze e paure - paure e speranze che nel tuo sogno si sono mescolati terribilmente, divenendo paure che le speranze stesse si concretizzino o speranze che siano le tue paure a non concretizzarsi, in una terribile e pericolosa inversione di ruoli: this could be the end of everything. Eppure il desiderio, più o meno conscio, di fuggire via (da qualcuno? Da qualcosa? Da questo mondo?) pervade le tue parole di oggi, il tuo sogno di oggi, per cercare un (nuovo?) punto da cui partire - I'm getting tired and I need somewhere to begin - e esattamente un luogo da cui farlo - somewhere only we know. Mentre tu scrivi così:
È questa la realtà
e la mia casa era una chimera
incorniciata di sicurezze, modellate per me
da fiori con le spine.
Non si regge sulle gambe
l'illusione che ho trascinato via,
troppo tardi per riavvolgere il
tempo, indietro.
Così arriviamo a te, a un sogno in cui la realtà è difficile da distinguere, un sogno dalle sembianze a tratti di un mostro, un mostro da cui fuggire, in un esodo dalle tue insicurezze verso un mondo su cui ti piace fantasticare, un mondo forse solo interiore e completamente diverso, costellato di sensazioni immutabili, di fiducia verso di te e verso gli altri. C'è intorno anche la sensazione che possa, presto o tardi, essere troppo tardi, che l'occasione possa sfumare via, che le occasioni attuali lo stiano già facendo, come se il mondo scorra inesorabilmente via anziché arrestarsi e darti il tempo di riflettere e di osservare cosa sta per arrivare o cosa non rimane. Non è un caso che, nel corso dei tuoi versi, la sensazione che sia/fosse troppo tardi è ricorrente, è come il filo conduttore di un sogno in cui il tempo, anziché dilatarsi, s'è ristretto fino a scivolare via tra le dita. È un sogno che assomiglia a un viaggio tortuoso, rapido e ripido, col rischio costante d'inciampare e rovesciarsi, è come finire al centro di una partita a scacchi, tra le pedine che muovono inesorabilmente e che ti costringono a prenderne parte e a fuggire dagli assalti dei pezzi nemici. È tenero il modo in cui senti di essere nel mondo: scegliere è già perdere qualcosa, scegliere è una rinuncia - così come schierarti in quella battaglia (e il modo in cui hai isolato quello "Scegli" rende bene l'idea e la solennità del momento, della lucidità di un'azione che sfuma nell'indistinto sonno, nell'indistinto contenuto latente). Verrebbe da chiedersi: is this the place I've been dreaming of? E forse non sapresti rispondere a questa domanda. Per una ragione molto evidente, ché non sei certa di voler affrontare certe paure, non sei sicura neppure di quelle tue paure (in altre parole, di cosa volere).
La girandola delle scale non
affievolisce il desiderio di scappare dalla
casa e tuffarsi con sorriso inconsapevole
nel mondo, mascherata notturna.
Tuffarsi là fuori può essere tanto rischioso quanto avventurarsi lungo quelle scale potenzialmente infinite e spettrali, rappresentando la collisione terribile di ciò che ti auguri e ciò che vorresti evitare, colgono l'indecione che forse ti appartiene per natura, insieme a quella leggerezza con cui vorresti affrontare il domani fuggendo dal presente. Quei gradini che ti separano dal tuo futuro sono fin troppo reali: è quel principio di realtà che ti costringe a ricordare che non esistono scorciatoie, che la realtà va vissuta giorno dopo giorno, che le illusioni devono attendere, così come gli universi alternativi su cui ti piace fantasticare.
C'è di più: non è possibile neppure ripiegare il tempo, fare un salto indietro, ripercorrere le strade battute e rimediare agli errori. Sei consapevole anche di questo e non desideri andare in guerra contro i mulini a vento. Le tue speranze hanno spazio solo di notte - e solo a patto d'essere ferocemente frenetiche, e soprattutto inconcludenti. Non è un sogno a lieto fine. Fino alla fine, la sensazione è che con la realtà devi farci i conti, con il tuo senso pragmatico (che disturba quel tuo essere sognatrice di cui dicevo all'inizio) pronto a ricordarti che i baci sono parole al vento senza significato, come il sangue raggrumato.
I tuoi vesi si chiudono così, senza alcun distacco tra l'uno e l'altro, con una dichiarazione che sa di sconfitta, una sottomissione che è accettazione di ciò che è, di ciò che è stato. Anche quando il tuo animo arde per qualcosa di diverso e quando il tuo incoscio sbuffa, facendosi carico delle tue speranze troppo ardite.
Ho scritto un po' troppo probabilmente, ma a volte è piacevole perdersi fra le parole e le impressioni altrui, mescolandole alle proprie, non trovi anche tu? La meraviglia delle poesie è anche questa, il gioco di specchi in cui, a partire dalle metafore, si riflettono espressioni e percezioni distanti e a prima vista impensabili.
Complimenti intanto per la tua poesia, che come avrai capito mi è piaciuta! E spero proprio che continuerai a coltivare la tua giovane e promettente vena poetica. |