Recensioni per
Fairytales Don't Exist
di innerain

Questa storia ha ottenuto 96 recensioni.
Positive : 96
Neutre o critiche: 0


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Nuovo recensore
31/03/14, ore 23:38

Piu` vado avanti con la storia e piu` vengo travolta dalle emozioni.. Leggendo questo capitolo ho avuto i brividi, davvero.
Hai un vero talento nella scrittura, le tue parole entrano dentro al lettore, le descrizioni dettagliate non lasciano spazio alla fantasia. Ho letto libri di autori famosi scritti molto peggio.. Veramente complimenti!

Sto amando questa storia (e` un po' presto per dirlo, ma vabbe`)
Scrivi veramente bene, complimenti!
L'atmosfera di un concerto e` descritta alla perfezione, il senso di comunita`, di appartenenza.. Anche se non ho potuto non pensare al 5 giugno scorso c.c (piango troppo).
Probabilmente faro` mattina leggendo lol.. Ancora complimenti c:

Nuovo recensore
14/10/12, ore 17:18

Buon giorno! Eccomi pronta a recensire un altro capitolo con il mio immancabile ritardo fisiologico e patologico, per il quale ti chiedo scusa.
Osservazione numero uno: siamo al diciannovesimo capitolo, ma ti rendi conto? Questa storia consta di diciannove capitoli, va beh, osservazione inutile, me ne rendo conto, ma improvvisamente sono stata colpita da questa consapevolezza.
Veniamo alla recensione del capitolo vera a propria. Eravamo rimasti al perentorio “arrivo” di Erin che, prontamente, in piena notte salta in macchina e arriva in soccorso dei nostri eroi, anche se in questo caso l’eroina è lei. Va beh, insomma, non sottilizziamo.


Le luci che correvano rapidamente sul cofano della vecchia Ford Farlaine sembravano minacciare di accecarla ad ogni comparsa, e le sue mani tremanti si stringevano sul volante grossolanamente largo e ricoperto in una sorta di ecopelle, che non aiutava la situazione. La Interstate 580 correva lungo la scura e roboante chiazza di nero che era l’oceano, abbracciato dalle lunghe e presumibilmente solide strutture e ponteggi del porto di Berkeley;

Mi piace questa parte della descrizione, un po’ perché parli della macchina e questo rende tutto straordinariamente reale, un po’ perché mi culla questo paesaggio notturno che mi sembra poter vedere dal finestrino. Mi piace l’idea dell’oceano scuro accanto a loro e mi piace immaginare il porto fermo, immobile nella quiete notturna. E’ un immagine veritiera.

il lungo tratto rettilineo le permetteva di girarsi, di tanto in tanto, a lanciare un’occhiata al sedile posteriore, dove con un morbido, intimo cullare, Mike stringeva a sé Billie, che sembrava essersi fatto improvvisamente più piccolo, indifeso, nel sonno inquieto e sfinito che finalmente si era concesso tra le braccia del suo migliore amico.

Ci siamo, ecco la vera stranezza di questo viaggio notturno: i passeggeri. Immagino bene Erin che sbircia dallo specchietto i due abbracciati, immagino la tranquillità di Billie e il volto serio e pensoso si Mike. Una scena davvero, davvero tenera.

“Mike..” Chiamò, la voce bassa, eppure non ridotta ad un sussurro, né ad un mormorio. Non aveva desiderio di nascondere nulla, o di far sembrare come se lo stesse facendo. Sentiva come di tradire qualcuno, in qualche modo.
Il biondo fece scattare gli occhi nello specchietto retrovisore, facendo scomparire ogni traccia di malinconia e tristezza di cui lo sguardo era gravato, mentre, fino a pochi secondi prima, guardava con aria assente fuori dal finestrino; forse il suo stesso riflesso, e con esso quello del piccolo uomo che abbracciava a sé.
Erin sospirò ancora. Abbassò di nuovo lo sguardo sulla strada, umettandosi il labbro inferiore, per poi morderlo appena. Aveva paura, anche adesso.
“.. What went wrong?” Chiese, la sua voce adesso incrinata appena, impercettibilmente, di timore del non ritorno. Come se stesse lei stessa pronunciando una condanna. Come se dirlo ad alta voce lo facesse sembrare più vero, ed improvvisamente incurabile.
Mike distolse lo sguardo, ritornando al suo vuoto osservare di ciò che li circondava. La tonante e scura distesa dell’oceano ormai alle loro spalle lasciava il passo agli imponenti cavalcavia della Freeway, e ad ogni secondo si avvicinavano al centro di Oakland, e ad ogni secondo il suo cuore si faceva più pesante.
Il bassista fece fuggire lo sguardo verso la ragazza un’ultima volta.
“I don’t know”.

Adoro, adoro davvero questa parte. Mi piace che Erin non sussurri, mi piace che abbia il coraggio di chiedere, mi piace il gioco di sguardi tra gli specchietti, mi piace immaginare lo sguardo che Mike lanciava al di là del finestrino, mi piace che lei si rivolga a lui con completa onestà e riceva una risposta altrettanto onesta, altrettanto vera. Adoro che la conversazione si svolga in inglese, un po’ per l’allitterazione di ‘w’ nella domanda di lei, impossibile da rendere in italiano, un po’ per la rapidità e l’immediatezza con cui l’inglese sa comunicare a volte. “Che cosa è andato storto?” Cinque parole a fronte di tre, secche, brevi, assonanti e pronunciate in rapida successione. Decisamente uno a zero per l’inglese in questo caso. Poi c’è la risposta, la risposta di Mike che indifeso e impotente in egual misura non vuole mentirle, ma allo stesso tempo non sa risponderle. Nel “non lo so” di Mike si avverte tutta l’inadeguatezza che mi immagino un migliore amico possa provare in una situazione del genere. Sapere che non puoi fare niente per aiutare chi ami, sapere che lui soffrirà e che non c’è niente che tu possa fare per impedirlo, sapere che dovrà vedersela da solo, sapere che puoi solo stargli vicino ed aspettare che passi. Penso che Mike possa sentire questo. Senza contare il fatto che non sa darsi una spiegazione, sa cos’è successo a Billie, ma di certo non sa perché gli è successo. Decisamente non sa cosa dire a Erin, perciò, semplicemente cerca di essere sincero.

Non sapeva minimamente come li avrebbe trovati, eppure eccoli lì, entrambi. Come due saltimbanchi fuggiti dal circo per la follia di uno e per l’affetto e il protettivismo dell’altro, alla ricerca di un’alternativa che non sapevano neanche loro di volere, o di che natura potesse essere.
Vedeva l’ombra di Billie in controluce danzare allegramente, quasi a ritmo con una canzone che sentiva solo lui, nella sua mente in quel momento compromessa, distorta.

Mi piace questo paragone con il mondo del circo, rende bene l’idea di queste ombre distorte, ebbre, illuminate dalla luce dei lampioni.

Trattenne il fiato, cercò mentalmente di fermare il cuore in corsa. Qualcosa le urlava di girare le spalle, di non farsi vedere, sentire. Non era quello il suo posto, non era lei a dover essere presente, non pensava di essere abbastanza forte per se stessa, figurarsi per entrambi. Avrebbe fatto lo stesso, appena qualche giorno fa, quando ancora la sua piccola bolla di vita non era scoppiata, quando ancora tutto il suo mondo girava intorno al prossimo articolo, alla prossima serata passata con Alice a dar fondo a vasche di gelato e ad intere stagioni di sitcom televisive? Avrebbe risposto ugualmente senza esitazioni alla surreale richiesta di aiuto di quella stessa persona che con il suo di aiuto l'aveva tenuta in vita?

Ma…ma, ma che domande! Ma certo che sì, eh. E’ di Billie Joe Armstrong e Mike Dirnt che stiamo parlando. Non so se mi spiego, mica dei primi due ubriachi capitati a Christie Park u.ù Però, in effetti, immagino che sarebbe stato tutto diverso.

L'ombra si fermò, improvvisamente. Curva, accartocciata in avanti, piccola la statura che emanava squilibrio, impazienza, si girò verso di lei, le braccia ritirate appena verso il petto, le piccole dita, fino a poco prima frementi, improvvisamente immobili.
Anche la ragazza, come se fermata da una trazione improvvisa, si bloccò. I suoi occhi puntati negli altri; grandi, verdi, spalancati. Riflettenti una luce innaturale, impropria, che nulla rifletteva o risplendeva di quella scintilla abituale, instancabile, brillante, volendo anche con una vena di follia.
Improvvisamente l'ombra si mise a correre verso di lei, tendendo le braccia. E fu solo quando si rese conto di averle strette attorno al proprio corpo in una morsa disperata e piena di bisogno, solo allora osò riconoscere la materialità dell'ombra. Fu un sussurro a farle stringere le braccia nello stesso modo, fu un sussurro a suggerirle di chiudere gli occhi, fu un sussurro a ordinare al suo cuore di pulsare con improvviso dolore, a rubarle un respiro, improvvisamente troppo pesante e troppo da sopportare per il suo corpo.


“Tell me that I won't feel a thing..”

Fu un sussurro a farle dimenticare se stessa in quell'abbraccio.


D’accordo, a me puoi dirlo, dillo che volevi un finale mozza-fiato-e-strappa-lacrime. So che era questo il tuo intento, ragazza sprezzante dei nostri poveri cuoricini sensibili di lettrici accanite di fan fiction. E’ un vero colpo basso. L’intera scena è un colpo basso e soprattutto è un vero colpo basso giocare su una frase di Give me Novocaine, eh. Va bene, va bene, sei perdonata, ma solo perché sei tu, sia ben chiaro. Ora commento seriamente questo pezzettino, è più forte di me, non ci riesco a fare un commento del tutto serio.
Mi piace che si parli di ombre, mi piace che sia parli di ombre che prendono corpo, perché alla fine, se ci pensi, la storia parla di favole e le favole sono ombre che prendono corpo nella nostra mente. Tutto è un rimando realtà/irrealtà, verità/fantasia, certezza/illusione. Mi piace la parte degli occhi verdi, mi piace l’abbraccio. Mi piace tutto di questa scena.
D’accordo, anche questa recensione (per tua fortuna) è finita, al prossimo capitolo cara!


P.S.
Questo Post Scrittum si rende necessario, direi doveroso, a questo punto. La citazione all'inizio. Non l'avevo notata. Avevo guardato, ma non osservato, anche perchè all'epoca vagavo ancora nella nebbia. Ma questa citazione merita un commento. Tu non puoi farmi questo, non puoi mischiarmi l'universo Green Day con l'universo Sherlock Holmes, mi fai venire un infarto. Quando, casualmente, me ne sono accorta ho avuto un momento di vertigine. Notare poi quanto fosse perfetta quella citazione mi ha provocato un ulteriore giramento di testa. Poi ho pensato al contesto in cui la dice, allo sguardo di Molly, al tono di voce di lui...e a tutto quello che succede subito dopo. *Sospira* Va bene, non ci pensiamo e torniamo a Billie ed Erin (:
(Recensione modificata il 25/10/2012 - 12:17 am)

Nuovo recensore
29/09/12, ore 20:22

Bè...devo dire che il primo capitolo mi ha moooolto incuriosita!!! Scrivi veramente bene...non vedo l'ora di proseguire la lettura =)....Kiss Kramisha

Nuovo recensore

Buongiorno super Capa, grande Guitarist, insuperabile frontwomen (e sì, se te lo stai chiedendo, questa è una captatio benevolentiae bella e buona), finalmente libera da esami e con una valigia che mi osserva minacciosa in attesa di essere completata, recensisco!

Premesso ciò ci tengo a dire che sto scrivendo questa recensione sentendo per la prima volta Glass in the Park, che, tra parentesi, mi piace assai.


Title: And in the darkest night. (But you still keep on falling down)

Che recensione sarebbe se non commentassi anche il titolo? The darkest night, non mi sono mai fermata più di tanto a riflettere, sentendo Whatername, quale fosse la darkest night, perché per me era chiaro: è la notte senza speranza, dove è spenta ogni altra face e il cielo è muto e senza stelle, senza più nulla da raccontare; è toccare il fondo e non essere sicuri che ci sia un modo per tornare lassù dove qualche luce sa come brillare. Ma da quando hai dato questo titolo al capitolo mi sono resa conto che l’ormai proverbiale (almeno per me) notte più buia forse è qualcosa di più. Non è solo un baratro privo di colore e speranza, è anche il vicolo cieco del labirinto. Non è il luogo dove tutto è perduto, è solo il luogo dal quale non si sa dove andare o dal quale sembra impossibile uscire, almeno da soli. C’è bisogno di un filo d’Arianna che conduca all’uscita, che ci mostri la strada, c’è bisogno di una donna che faccia strada, che torni a prenderci, che non ci lasci persi sull’erba del Christie-Labirinto.

Soundtrack: Useless, Nasty Cats; Glass In The Park, Alex Turner.

"Ebrietas est voluntaria insania."
[Seneca]



Vedo di non essere l’unica traviata dai classici, citazione di Senaca, che grande che sei.

L'eco della porta sbattuta le risuonava ancora tra i pensieri, lontano anni luce, lontano nella mente, lontano nel tempo, così lontano mentre rigirava tra le dita il vecchio telefonino, guardandolo rotolare tra le sue mani fredde e nervosamente tremanti.
Cosa avrebbe dovuto fare? Non era una scelta, la sua, in fondo. Azzardarsi o non azzardarsi. Provare o non provare. Cosa avrebbe avuto da perdere?
Tutto.
Era una situazione che la ingolfava, che le fagocitava qualunque pensiero, qualunque agire o pensare ragionevole o razionale, un dominio dell'istinto tale da farle perdere la cognizione della surrealtà della situazione, che sfiorava appena con un barlume di coscienza, forse l'unico rimasto.
Il numero compariva sul display, tra le chiamate ricevute. Era semplice, era chiaro, e non richiedeva poi tanto. Cosa le impediva di premere quel pulsante verde scolorito? Cosa la fermava dall'affrontare la sua voce, la sua presenza, inevitabilmente ad essa annessa? Chiuse gli occhi, lasciandosi cadere seduta sul letto, il minuscolo appartamento ancora nella penombra, unica fonte di luce le persiane ancora semi-aperte, da cui filtrava la luce dei lampioni e quella più fioca e lattea della luna.
Si passò una mano tra i capelli, per poi stringere il dorso del naso tra l'indice e il pollice, una volta lasciati cadere gli occhiali da vista in un posto dimenticato da D-o, e pure da lei.
Si strinse nelle spalle con forza, reprimendo l'istinto di urlare. Non aveva scelta, e se anche ne avesse avuta, l'aveva già fatta.


Chiamare o non chiamare questo è il dilemma. Ci siamo trovati tutti in una situazione in cui c’era solo da premere il pulsante del cellulare e quella semplice azione, a volte, può sembrare la più complicata del mondo.
In un posto dimenticato da Dio e pure da lei, come la capisco, benedetta ragazza!


".. Pronto?"

La mano premuta sul cellulare, attaccato all'orecchio, era la stessa che aveva sfiorato il tasto di risposta, senza nemmeno far caso al nome che lampeggiava fastidiosamente sullo schermo, unica fonte di luce in quella stanza altrimenti quasi buia, se non fosse stato per la lampadina a basso consumo energetico della cucina, che non contava certamente tra le sue competenze quella di rischiarare l'ambiente assegnatogli, bensì quella di diffondere una luce giallastra e uggiosa in uno spazio estremamente limitato.

Ben mi immagino Billie che risponde senza guardare il cellulare, così come mi immagino fin troppo bene la stanza piccola e malamente illuminata.

Billie allungò il braccio verso il telecomando, notando con muto divertimento le bocche improvvisamente azzittite degli ospiti del dozzinale talk show, mentre, senza abbandonare la sua posizione supina, si sistemava meglio sul divano, evitando accuratamente di far cadere con un gesto improvviso dei piedi scalzi i cartoni di take away mal accatastati e in precario equilibrio sul bracciolo opposto del divano.

Te l’ho già detto, questa è una delle immagini più belle di questo capitolo, Billie mollemente abbandonato su un divano da quattro soldi, in un appartamento piccolo e buio, anestetizzato da una tv che non ha niente da dire e i cartoni del take away sul bordo. Mi sembra di poter vedere quando li ha ordinati, la pigrizia con cui li ha mangiati senza staccarsi da quel divano…

"Billie, sei tu?"

Mani nervosamente torte intorno ad un lembo del lenzuolo, che pendeva dal letto ancora disfatto, respiro pesante, ansioso, ansimante, voce incrinata, occhi chiusi come in vana speranza di qualcosa, e nell'altrettanto vano tentativo di trattenere le lacrime.

".. Erin?"
Voce ed espressione altrettanto sorpresa, mentre il suo corpo istintivamente si tirava su a sedere, come per prestare più attenzione, per poter sentire, capire meglio.
Dopo aver passato l'intera giornata nel più totale ozio ed apatia, abbandonato alla non-scelta dell'azione successiva e alla passività brada più totale, sembrò come improvvisamente svegliarsi da un dormiveglia incosciente.

Ed altrettanto bene mi immagino la rapidità con cui si tira su per ascoltare meglio in qualche modo, come risvegliato dalla sua voce, dall’urgenza del suo tono, come se avesse dormito incoscientemente fino a quel momento di risveglio.

"Si, Billie, io.. Ciao.." […]

"Erin, cosa c'è? E' successo qualcosa? Dimmi.."
Voce sorridente, eppure colorata da una venatura di inequivocabile apprensione, come se fosse pronto ad ascoltare qualunque cosa. Billie si passò una mano fra i capelli, ora perfettamente seduto sul divano, i gomiti poggiati sulle ginocchia.

Billie ci tiene a lei. Elementare Watson, dirai tu, lo so, ma la “venatura di inequivocabile apprensione” rende al meglio l’idea.

"No, no.. Non è successo niente. E' solo che..  Alice.. Io.."
Coperta convulsamente stretta nel pugno, infilatasi tra le dita come il dolore che le si insinuava tra le parole che non riusciva a dire, o nemmeno a formulare nella mente. Sentiva il petto stringersi, la mente urlare la sua inettitudine, la sua incapacità, rinfacciarle la sua più totale idiozia manifestatasi nella sola, insulsa iniziativa di chiamarlo, di chiedergli.. Chiedergli cosa, poi? Chi credeva che fosse, la nonna sempre pronta ad accoglierti in casa propria, piena di quell'odore di generazioni passate e di armadi chiusi, disposta ad ascoltarti, a darti consigli, a lasciarti piangere sulla sua spalla? Chi credeva che fosse, un vecchio amico, un confidente? Respirò a fatica.
Aspettava una sua parola, un suo invito ad andare avanti, ma nulla, solo il silenzio. Era in attesa, come lo era lei stessa, di capire quanto fosse successo.
Attacca, attacca, le urlava la coscienza nella mente, che esasperatamente s'insinuava nei suoi pensieri, attacca, avanti, cosa aspetti? Cosa credi, che voglia stare qui a parlare con te?
Un sospiro lungo.

Erin si rende perfettamente conto dell’assurdità della questione. Insomma sta pur sempre chiamando il suo frontman preferito per avere conforto. Non le sfugge quanto sia insensato, dal suo punto di vista, pretendere che lui, Billie Joe Armstrong, non dimentichiamolo, si interessi ai suoi problemi d’amicizia. Erin lo sta trattando come un amico, ma non come un semplice, qualsiasi amico, lo sta trattando come si trattano le persone più importanti, quegli amici veri che sono sempre pronti a darti un conforto ad aiutarti, a tirarti fuori dal tuo groviglio d’emozioni. Lei sa che in qualche modo sta passando oltre, in senso buono ovviamente. Sta valicando la linea invisibile, ma fondamentale, che c’è tra un conoscente e l’amico vero, quello che chiami a qualsiasi ora, per qualsiasi cosa. Si chiede che diritto abbia di considerarlo così dopo pochi giorni di conoscenza. Vorrebbe, dovrebbe attaccare. Lei sa di aver passato quella linea e lo sa anche lui.

Improvvisamente sentì dall'altra parte del telefono un rumore forte, voci gioviali e un battere di mani, e una voce che riconobbe istintivamente come quella di Tré.

Immagino anche come Erin istintivamente riconosca la voce nasale di Tré

".. Avanti, Billie-mogio-Joe, alzati quel tuo culetto da nano e vai a recuperare le birre dal frigo, qui intanto lo zio Tré si organizzerà per allestire la migliore serata all'insegna dei vecchi tempi, con vaschette di gelato senza fondo, maratone di fiction anni '90 - no, Mike, è inutile che ci speri, Fonzie e gli altri lesi di quel programma non li vedremo - e un sacco di altri-"
Geniale. Questa parte è geniale. Confessa signorina, tu conosci Tré Cool e lo frequenti abitualmente, dì la verità.Lo tratteggi troppo bene, è troppo perfetto.

"Tré, che cazzo ci fate qui?" La voce di Billie, a metà tra il seccato, il perplesso e il piacevolmente stupito, interruppe l'attacco di logorrea del batterista, che Erin era stata ad ascoltare con altrettanto sconcerto.
Bè direi, immagino Erin con la faccia stupita e gli occhi leggermente dilatati chiedendosi se ha sentito bene.


[…]


"Erin, io, scusami ma..-"

Dall'altra parte, la mano destra, che non reggeva il cellulare, coprì gli occhi serrati, mentre il cuore della ragazza palpitava come un tamburo nelle sue orecchie.Cosa ti ha fatto pensare che ti volesse parlare, eh?!
Sentì il suo respiro mozzarsi nei polmoni, e un grosso peso materializzarsi nello stomaco, pieno di senso di colpa e di quella terribile consapevolezza, che Billie non potesse avere in alcun modo, in alcun momento, anche solo un secondo da dedicarle. Lui aveva ben altro a cui pensare, lui aveva migliaia, no, milioni di vite da rappresentare, da cantare nelle sue parole.. Perché mai avrebbe dovuto pensare a lei?
Allora cosa aspetti ad attaccare, idiota?
Strinse convulsamente il cellulare tra le dita, incurante dell'alta probabilità che si rompesse, mentre stringeva i denti, urlandosi nella mente la sua inadeguatezza, e quanto avrebbe desiderato sparire nel nulla, in quel preciso momento.

Vedi sopra, stesse motivazioni.

".. C-certo. Scusami." Mormorò con voce impercettibilmente rotta. Soffocò un singhiozzo di rabbia nella gola, mentre davanti ai suoi occhi vedeva correre immagini di un deja-vu che avrebbe dato qualunque cosa per non rivivere, in quel momento. Suo fratello, una chiamata in piena notte, lacrime amare. Scosse la testa, tentando di scacciare il ricordo; lasciò cadere il cellulare sul letto, e se stessa con esso, affondando la testa nel cuscino, sperando di soffocare con i suoi pensieri e ricordi anche quel bruciante senso di colpa che le opprimeva il respiro.


Tah tah tah tam, tah tah tah tam. Cosa sarà questo bel ricordo di Erin? Lo scopriremo nelle prossime puntate! Continuate a seguirci su questo canale!

Aveva bevuto troppo, e parlato altrettanto. Era riuscito a rimanere sobrio abbastanza da godersi la serata con Mike e Tré, ridere alle battute vecchissime e non più così divertenti dei programmi televisivi di vent'anni prima, rubare l'ultima cucchiaiata del Chocolate Chip Cookie Dough ice cream, essere trascinato tra le risa generali ad un parco divertimenti alle due di notte, dove aveva preteso di fare il giro per tre volte di seguito sulla ruota panoramica, che ricordava essere la giostra, forse l'unica, su cui il padre, Andy, lo portava, indicandogli di volta in volta i luoghi dove era cresciuto, dove aveva suonato con il suo gruppo jazz, la loro casa, ricordando con affetto a Billie che la madre, Ollie, li aspettava lì, fedelmente, amorevolmente, come ogni altro giorno.

Cavolo però è un colpo basso nominare il Chocolate Chip Cookie Dough ice cream! Così come lo è nominare Andy, è pur sempre un colpo al cuore, anche se di diversa natura. E l’incipit “aveva bevuto troppo e parlato altrettanto” è bellissimo.

".. E' come dico io, ti assicuro! Io su queste cose la so lunga, sai.." Biascicò Billie, con quel suo stringere le labbra in un serissimo broncio, ed agitando l'indice con fare da predicatore.

Ce lo vedo con “fare da predicatore”, se non fosse uno dei migliori frontman in circolazione, potrei quasi dire che ha sbagliato mestiere!

Mike sospirò. “Billie, non credo che se la prenderà per così poco..” Cercò di rassicurarlo, sorridendo appena, cercando di capire dentro di sé il motivo di tanta preoccupazione.
[…]
Billie scosse la testa, sempre più convulsamente. “Lei mi odia. E io non riesco a dormire. Mi odia..”
Mike sospirò. “Non c’è niente che tu possa fare, adesso. E’ tardi, Billie, non puoi parlarci adesso, né puoi chiamarla.. Dovrai aspettare domani, va bene?”

Tutta questa parte è bellissima, è bellissimo il fatto che Billie tenga così tanto a lei, che sia consapevole della linea invisibile che lei ha passato telefonandogli per chiedergli aiuto. E’ bellissimo il modo in cui si raggomitola, il modo in cui i suoi pensieri sconnessi si riconducano a lei. Lui sa di averla ferita e in qualche modo non può sopportare questo pensiero, il che è un bruttissimo segnale o meraviglioso, dipende dai punti di vista. E’ bella la pazienza quasi inesauribile di Mike, il suo fare rassicurante. Il modo in cui allontana le mani dal viso del suo migliore amico. La calma con cui cerca di confortarlo.

La massa di capelli corvini si sollevò rapidamente, e due occhi scuri, appena striati di verde alla luce artificiali dei lampioni sparuti nel parchetto, lo guardarono pieni di uno stupore che il bassista non riuscì a decifrare.

Luci artificiali sugli occhi di Billie. Ok. Ricomponiamoci.

“No che non va bene. Perché noi la chiamiamo adesso.” Proferì, con la voce candidamente risoluta, chiara, come se stesse riferendo l’ora, o il colore del cielo, come se stesse esponendo la verità più ovvia del mondo.
“.. Cosa? Ma che dici, Billie, sono le quattro e mezza di notte, ma che chiamare e chiamare...” Commentò Mike, quasi sul punto di esasperarsi, riuscendo a mantenere la calma grazie ad un profondo respiro.
Billie ebbe da protestare sonoramente, imbronciandosi, lagnando e lanciando occhiate omicide all’amico.
Immagino fin troppo bene le occhiate omicide che Billie ubriaco potrebbe lanciare al povero Mike che tenta di trattenerlo dal commettere qualche insania.

“Non puoi pensare di chiamare quella povera ragazza a notte fonda..” Ribadì un’ultima volta il bassista.
Billie lo guardò intensamente per qualche secondo, e per un attimo sembrò a Mike che i suoi occhi si fossero accesi di un qualche lampo mefistofelico. “Infatti. Io non la chiamerò.” Sorrise appena, questa volta con aria di sincera serenità e accettazione di un fatto già dato per scontato. “La chiamerai tu.”
Mike lo guardò sbigottito, senza proferire parola. Passarono una decina di secondi prima che, con voce piatta, con una vena che sperava di essere scoraggiante, il bassista potesse rispondere.
“Tu stai scherzando”.

Geniale, questa parte è geniale. Non posso dire altro, mi fa ridere, sorridere e... è stupenda. Basta.

Billie non fece altro che scuotere la testa energicamente, ridacchiando tra se e se, come se solo lui fosse partecipe della più grande trovata di tutti i tempi. Il suo divertimento di fronte alla faccenda, nonostante tentasse di evitarlo, era fin troppo evidente.
E mentre Mike cercava di dissuaderlo dal compiere un tale atto di vandalismo psicologico, Billie gli porse il telefono, su cui campeggiava una scritta bianca, chiara, inequivocabile: il nome della povera malcapitata.
“Billie, no, aspetta! .. Che stai facendo, imbecille..!” Mike tentò di strappargli il telefono di mano, ma senza successo, perché il frontman aveva cominciato a saltellare, quasi correndo, sventolando il telefono che squillava, con piccoli urletti di gioia e di scherno
“Tanto non mi prendi!”, squittiva ridacchiando sguaiatamente.

Che ridere! Billie che scorrazza scompostamente per il parco agitando il telefono e Mike che gli da dell’imbecille, avrei voluto esserci!

Quando finalmente Mike riuscì a prendere il telefono e ad allontanarlo dalla presa dell’amico, sentì una voce femminile, impastata di sonno, roca, forse anche il risultato del fumo, rispondere.

“... Pronto?” […]

“Ciaaao Erin!” Sentì Billie urlare accanto a lui, mentre si sporgeva sulla sua spalla, aggrappandosi a Mike per aiutarsi a raggiungere, o quantomento avvicinarsi al telefono, che il bassista aveva alzato al di sopra di quanto Billie potesse arrivare con le braccia.
“.. Billie?” Sentì la voce dall’altro capo del telefono, dal tono perplesso, stupido, ed ancora innegabilmente assonnato.

Mi sembra di vedere Billie aggrappato alla spalla di Mike urlare “Ciaaaaao Erin”, come una mezza cantile, allungando le vocali. E Mike che cerca, invano, di tenere il telefono fuori dalla sua portata.

“Pronto, Erin? Ciao, scusami, sono Mike.” Aggiunse velocemente lui, accostando il telefono all’orecchio, passandosi una mano sulla nuca, sospirando.
Si, lo so.. Cioè, lo avevo capito.”

L’aveva capito, Mike. La conosce la tua voce, così come quella di Tré, così come quella di Billie, è un po’ improbabile non riconoscere la loro voce, eh che cavolo, Mike.

Qualche secondo di silenzio, un sospiro. “Scusami.”
“Senti, piuttosto, qui-”
“Ciaaaaaaao Erin!” Esasperando ulteriormente la vocale, Billie si era sporto verso il telefono aggrappandosi al braccio flesso di Mike, tentando di farsi sentire.
Billie..! Sono le quattro.. E’ successo qualcosa?” Una traccia di ansia non troppo nascosta.
“Ma no, figurati.. E’ solo che-”

Chiamata alle quattro del mattino, dal bassista del tuo gruppo preferito, effettivamente un po’ d’ansia viene.

[…]

“Mike, dille di venire qui!”
Mike lo guardò allucinato, per qualche secondo, registrando il silenzio dall’altra parte del telefono.
Dopo una manciata di secondi, sentirono di nuovo la voce della giovane.
“... Dove siete?
Domanda semplicemente posta, senza pretese, e che non avrebbe accettato altra risposta se non l’ubicazione richiesta.
“Siamo a Christie Park, e c’è tanta erba!” Urlò Billie, sghignazzando, facendo ancora leva sul braccio di Mike, sul suo viso stampata un’aria compiaciuta e gli occhi che gli brillavano.
Arrivo.

Il bisogno di vederla, ecco che cosa mi sconcerta di questa parte. “Dille di venire qui.” Lui ha bisogno di lei, per chiarire, per scusarsi forse o forse solo per averla lì. Mi sconcerta altrettanto la sua risposta secca, “Arrivo”, non un’esitazione, non un’incertezza, solo e soltanto la sicurezza di esserci lì per lui.

Bene Capa, dopo questa recensione più breve del solito (me ne scuso), attendo con ansia il prossimo capitolo, come sempre del resto!

(Recensione modificata il 22/07/2012 - 11:32 pm)

Recensore Junior

Ciao donna :D
Scusa per il mio consueto ritardo nel commentare ma gli esami si avvicinano e non ho davvero avuto modo di scriverti prima... ti sto dedicando adesso praticamente gli ultimi miei momenti di relativa "libertà" prima dell'immersione totale (e finale) nello studio (altrimenti poi va a finire che ti commento a metà luglio!), per cui devo essere sintetica e non posso dilungarmi troppo. Del resto credo che tu sappia già cosa penso di questa storia, dei personaggi e del tuo stile (te l'ho ripetuto tante volte, e non ho assolutamente precisazioni da fare, visto che stai proseguendo in maniera brillante, senza perderti mai in cose banali o in abbassamenti di stile). E' semplicemente perfetta, davvero, e se devo parlare più nello specifico di questo capitolo puoi star sicura che è perfetto anche lui, ho letteralmente adorato i dialoghi, e i personaggi sono caratterizzati in maniera fantastica. E' sempre un piacere leggere i tuoi aggiornamenti... mi dispiace solo che non ci siano più spesso, ma per lo meno così ho il tempo di commentarteli tutti quanti :D
Spero comunque che la fine della scuola ti stia dando più tempo per dedicartici.
Alla prossima :D

Recensore Junior
30/01/12, ore 22:14

Come prima cosa ci tenevo a farti sapere che sì, hai ragione. Hai perfettamente ragione, e io sono totalmente d’accordo con te. Ti direi che, in fin dei conti, non è importante il numero di recensioni che si ricevono per capitolo, perché tanto non sono veramente indicative, perché non è assolutamente vero che una storia con un numero spropositato di commenti sia una bella storia o che una storia con pochi commenti non sia abbastanza bella o interessante. Sono cose vere, in fin dei conti. Le poche recensioni non dovrebbero essere un problema, perché chi scrive non lo fa –o almeno non dovrebbe farlo- in funzione dei commenti che può ricevere... però hai ragione, perché dal momento che decidi di pubblicare una storia lo fai non solo per “regalare” qualcosa agli altri, ma anche, magari, per capire cosa gli altri ne pensano, cosa pensano delle tue idee, del modo che hai di farle arrivare a chi legge, del modo che hai di scrivere, e dal momento che a quanto pare tutti “prendono” ciò che offri senza minimamente ricambiare, almeno per farti sapere se quello che leggono piace o no, hai perfettamente ragione ad arrabbiarti. Io te lo dico lo stesso: non vale la pena arrabbiarsi, perché al di la delle recensioni la tua storia merita, e molto, e lo sai… però ciò non toglie che tu abbia ragione XD
Ad ogni modo, anche questa volta ci hai regalato un capitolo veramente molto bello, mi piace il modo che hai di entrare nella psicologia dei personaggi, così, per piccoli passi, ad ogni capitolo appare un nuovo tassello che va ad aggiungersi al puzzle, e lo stesso vale anche per la loro storia, per i rapporti che li legano. E a proposito di questo mi ha incuriosito molto la questione dei genitori di Alice e del loro legame con Erin.
Che altro dirti? Come sempre mi auguro che tu riesca ad aggiornare quanto prima, e ci tengo a farti sapere che comunque vada il mio commento a questa storia lo troverai sempre, puoi contarci.
Alla prossima, e complimenti per il bel capitolo :D

Nuovo recensore
10/01/12, ore 21:29

Eccomi pronta a recensire un altro meraviglioso capitolo, ma prima è necessaria una premessa.

Questa storia è fenomenale, my dear, non lo dico solo perché ormai ne sono assolutamente dipendente, ok forse anche un po' per questo, ma lo dico soprattutto perché ne sono fermamente convinta, quindi, appurato ciò, sorge spontanea una domanda: cosa te ne frega dei commenti? Devi essere convinta di aver fatto un ottimo lavoro a prescindere. Non puoi continuare ad arrovellarti. Ovviamente è giusto che un alto numero di recensioni positive ti renda felice, però non devi neanche dipenderne. Insomma, quello che sto cercando di dirti, è che quello che rende una storia bella e interessante non è il numero di commenti che vengono lasciati. Perciò rilassati, fai un bel respiro e credi con tutta te stessa in quello che stai creando, perché merita davvero.

Ora passiamo alla recensione del diciassettesimo capitolo (sottolineo diciassettesimo).

Title: A Bullet and a Prayer.

Già il titolo mi piace. Suppongo che tu in questo momento stia alzando un sopracciglio con fare scettico, pensando a me come “la solita esagerata fanatica”, forse lo sono, però i titoli sono importanti e sono parte integrante di una storia. Un racconto senza un buon titolo non ispira, facciamo qualche esempio: io non avrei mai letto “La solitudine dei numeri primi” se, con la coda dell'occhio, in libreria non avessi colto di sfuggita questo titolo, il fatto che poi si sia rivelato uno degli ultimi libri peggiori che abbia mai letto è un aspetto secondario (ora mi arriveranno sicuramente strali da tutti i fans del libro). Facciamo altri esempi, se la “Metamorfosi” di Kafka si fosse chiamata “Lo scarafaggio umano” probabilmente avrebbe avuto meno successo (anche se si sa, i capolavori vengono sempre a galla -?-) oppure riesci a immaginare cosa sarebbe successo se “Uno, nessuno, centomila” si fosse chiamato “Vitangelo Moscarda e la scoperta del naso storto” ? Va bene, la smetto di cercare di fare la simpatica, tutto questo sproloquio (poi mi chiedo come mai ci metto così tanto a scrivere le tue recensioni) per dire che ci vuole un certo talento per i titoli e io penso che tu ce l'abbia. Ora tu potresti dirmi: “Chissene frega, in primo luogo di quello che pensi tu su i miei titoli e in secondo luogo della considerazione in generale, dopotutto una storia senza un titolo sopravvive, un titolo senza una storia non va da nessuna parte”, avresti anche ragione, però visto che tu riesci a scrivere egregiamente sia l'uno (il titolo) che l'altro (la storia) mi sembrava corretto dartene atto. Ora che ci penso forse i titoli in inglese hanno anche tutta un'altra efficacia... (Audience: Fermatela!!!). Ok, mi fermo e passo oltre, accidenti quanto sono logorroica oggi.

Erin allungò una mano per cercare il calore della sua fedele tazza verde pistacchio, senza tuttavia rimanerne appagata; inutile dirlo, la tazza giaceva abbandonata accanto al piccolo, malmesso portatile, il caffè da lungo tempo raffreddatosi.

Ecco questa tua frase avvalora la mia teoria secondo cui le tazze vicino al computer si raffreddano più velocemente. D'accordo, lo ammetto, questa teoria non ha il benché minimo supporto della fisica, al limite quello della psicologia. Uno si distrae, scrive, naviga, sente una canzone e ecco lì che il caffè è gelato, ma non freddo, proprio gelato. Tu, senza pensare, avvicini la tazza alle labbra, pregustando il caldo piacere della tua bevanda preferita, senza indugio ne trai una sorsata il terribile connubio di due parole che dovrebbero stare lontane come 'caffè' e 'freddo' si realizza sulle tue papille gustative. E' tanto disgustoso che il primo istinto è quello di sputarlo, ma volendo evitare di fare i fanghi al tuo incolpevole computer, lo mandi giù e un brivido di freddo ti percorre la schiena... e dire che ti eri fatta il caffè per scaldarti! La situazione peggiora se la tazza calda, come nel caso di Erin, deve rappresentare un conforto emotivo in un momento di stress e nervosismo, come sostituto del peluche super morbidoso che ormai sei troppo grande per abbracciare.

Erin sospirò; forse una gitarella fino all'isolato successivo per stanare dei viveri al supermercato era diventata necessaria.

Io lo sostengo da sempre e per sempre, quando non riesci a scrivere, a studiare o a fare qualsiasi attività che richieda alla tua materia grigia uno sforzo superiore a quello di vegetare guardando la tv, la soluzione sia mangiare. E' una questione fisica, il nostro povero cervello necessita di zuccheri, perciò, perché non accontentarlo? Senza contare che mangiare sfoga lo stress, appaga e risolleva l'umore. Attenzione: leggere attentamente il foglio illustrativo, può creare un'elevata dipendenza.

Quell'articolo la stava facendo penare già da qualche ora, e lei non aveva altro desiderio che fare a pugni con il cuscino prima di crollare addormentata fino al giorno dell'apocalisse.

Ora crederai che io sia completamente pazza, però il concetto di apocalisse mi ricorda profondamente Billie. Potresti obbiettare facendomi notare che, in effetti, stiamo parlando di Erin. Lo so, è vero, ma questa frase è una di quelle che avrebbe potuto strappare un sorriso a Billie, esattamente come “This is East Jesus fucking nowhere, ti spiacerebbe andare all'inferno?” e perciò nella mia mente contorta rappresenta una sorta di punto di contatto tra le loro due personalità.

Rilesse mentalmente la prima frase che aveva scritto. “Pugnalata alle spalle per il neo-eletto Gary Bakers”.

Si frustò mentalmente per essersi lasciata trascinare dalla propria rabbia e dai propri sentimenti. Va bene la satira, va bene la pungente ironia e il velato antagonismo, ma apertamente urlare il proprio odio ai quattro venti nei confronti di Bakers era forse un po' troppo.

 Sospirò di nuovo.

Forse non era al corrotto politico che era indirizzato l'articolo, e tantomeno la “pugnalata”.

Più che umano lasciarsi trasportare dai sentimenti quando si dovrebbe mantenere una rigorosa obbiettività critica. E' la classica azione più facile a dirsi che a farsi. Nessuno di noi può biasimare la povera Erin, in una manciata di ore ha incontrato Billie ed è stata tradita dalla sua migliore amica, direi che il minimo che possa fare sia lasciarsi andare a qualche commento velenoso contro il malcapitato di turno, nel nostro caso Bakers.

Mi piace che tu abbia inserito questo particolare quotidiano, lo definisco così perchè è qualcosa che tutti abbiamo provato, rende la storia più vicina ad ognuno di noi, più reale.

La ferita era fresca e lei non poteva fare a meno di stuzzicarla, ripensando con rabbia all'accaduto e meditando possibili litigate e rappacificazioni improbabili.

Lo faccio sempre anch'io. M'immagino conversazioni, cose da dire, riappacificazioni, come dici tu, davvero improbabili.Quando sei tu il regista si questi filmini sembra tutto facile, poi improvvisamente arriva la realtà e non dici mai le cose che hai pianificato.

Non appena fu in strada, chiuse gli occhi e inspirò profondamente, grata di quell'aria appena fredda che le pungeva i muscoli indolenziti dalla quasi totale immobilità delle ultime ore. Ripensò brevemente all'accaduto di quella stessa mattina; Billie (chiamarlo così sembrò improvvisamente una libertà troppo grande da prendersi, pur avendolo sempre fatto prima di averlo conosciuto di persona) che si presentava sotto casa sua, i caffé bollenti, la pioggia, la canzone.

Scosse la testa.

Troppi pensieri, congetture e ricordi per poterli affrontare con nervosa lucidità.

Decise di rimandare l'analisi dello strano fenomeno “Billie” alla mattina successiva, davanti al dovuto caffé mattutino.

E' una faccenda strana, a me non piace il freddo, però l'aria che ti punge i muscoli in qualche modo ti risveglia e ti fa essere più presente a te stessa.

Immagino che per Erin sembri passata un'eternità, succede sempre così quando accadono cose troppo fuori dalla tua portata, cose assurde, impensabili. Comprensibilissima la necessità di rimandare il pensiero di qualcosa di così grande almeno alla mattina successiva.

Osservò il barista, un omone pelato dalla pelle innaturalmente nivea e costellata di efelidi […]

Ree, my little Carrot! E' tanto che non ti vedo.. Come stai?” […]

Aemonn annuì, come se avesse improvvisamente capito tutto. […]

L'“Oblivion”, tesoro. E' ciò che ci vuole per te, dato che mi pare che tu non sia in vena di sputar fuori ciò che ti pizzica. Comunque, il vecchio Aemonn è sempre qui, nel caso volessi rendermi partecipe di qualche gossip.” […]

per poi osservarlo accarezzarsi la lunga barba color carota mentre ascoltava l'ordinazione di tre ragazzi poco più in là, un altro tic che si portava appresso probabilmente da quando aveva orgogliosamente cominciato a crescere la folta barba di cui andava tanto fiero.

Adoro la descrizione di questo barista *_* è tenero da matti, è affettuoso, ma non eccessivamente paterno, attento, ma non apprensivo, discreto e non invadente. Chi non vorrebbe avere un barista del genere a gestire un pub irlandese sotto casa, capace, come se non bastasse, di preparare cocktail buonissimi?

My little Carrot”... sento di volergli già bene!

Anche l'idea di quest'omone pelato che si accarezza la barba, sovrappensiero, come un tic, mentre ascolta un'altra ordinazione, mi è piaciuta davvero tanto.

Erin accarezzava il bordo del bicchiere con aria assorta, piacevolmente intorpidita grazie all'alcol che le circolava in corpo, tuttavia ancora sobria, abbastanza da scuotere la testa infastidita e dolorante ogni qualvolta la sua mente errante sfiorasse il doloroso ricordo dell'accaduto. La capacità tipicamente irlandese di reggere l'alcol non era sempre comoda, soprattutto quando si avevano una migliore amica da avere in odio e una giornata (forse non tutta) da dimenticare.

Mi piace il fatto che Erin regga bene l'alcool, s'inserisce perfettamente nel personaggio.

Che cavolo Erin, direi proprio che non è tutta da dimenticare, insomma se Billie Joe Armstrong fosse venuto sotto casa mia con due caffè (di Starbucks) per farmi leggere una sua canzone, probabilmente ci avrei pensato due volte prima di dimenticare quella giornata! Ma solo per i caffè di Starbucks, intendiamoci. Tutto sommato però è giusto che Erin non sia andata in visibilio per questo. Innanzitutto lei può prenderselo quando vuole il caffè di Starbucks e poi, probabilmente, è troppo stranita per farlo e, so che sembra folle dirlo, ma ha cose più importanti a cui pensare. Oltretutto l'argomento Billie-Alice è strettamente collegato perciò non si può pensare all'uno senza l'altro, bella fregatura.

Pronto?” Voce stanca, seccata. La mano nella tasca dei pantaloni, il piede ciondolante a calciare via qualche sassolino d'asfalto.

Erin? Sei tu, tesoro?” Una voce distintamente femminile dall'accento irlandese, calorosa e apprensiva, si poteva quasi percepire un sorriso nella voce stessa.

[...]

La nostra Allie ci ha detto di averti aiutata tanto, non è vero? Siete sempre inseparabili, eh, come eravate da piccoline...”

Erin rimase in silenzio; strinse i pugni, chiudendo gli occhi e inconsciamente trattenendo il fiato. Contò i battiti, lenti, regolari, nel tentativo di arginare l'ondata il veleno che le si insinuava nel corpo. Respirò profondamente.

.. Io.. Io devo andare, Abigail. Scusami, ma devo proprio andare. Ci risentiamo a Natale, eh? Come sempre. Ciao.”

La telefonata. Ormai si è capito che Erin ha (ha avuto?) qualche piccolo problema in famiglia. Ha adottato i genitori di Alice come suoi e loro, probabilmente, hanno fatto altrettanto. Questo rende la situazione dannatamente più complicata. Quando ti affezioni a delle persone, considerandole come genitori, non è facile dire loro che la tua migliore amica, nonché loro figlia, è, quantomeno, una bugiarda. Prima di tutto perché spesso, per i genitori, le amicizie, sembrano cristallizzate all'infanzia, per cui non riescono neppure a immaginare che i rapporti possano cambiare, evolversi, che possa esserci un litigio. Il secondo motivo è che non potranno fare a meno di dare comunque ragione a loro figlia, per quanto ti amino, per quanto ti considerino una figlia adottiva, per quanto ti vogliano bene, non potranno mai “abbandonare” da sola dalla parte del torto la loro creatura, la difenderanno sempre, la scuseranno nel migliore dei casi, nel peggiore accuseranno te di essere un'ingrata, un'approfittatrice della loro generosità, una viziata, qualcuno che non appena può giudica e critica. Erin si dev'essere resa conto di tutto questo perché all'improvviso non sembra riuscire più a continuare la telefonata, come se si sentisse soffocare nel vedere con chiarezza tutto ciò che può perdere.

Che cosa vuoi?”

Non credette di aver mai parlato con tanta freddezza, con tanto veleno nelle parole. Occhi duri e carichi d'odio in occhi disperati ed eloquenti, quasi domandassero mille cose, mille scuse.

[...]

Alice si bloccò; boccheggiava, con gli occhi sbarrati, incredula, negli occhi il dispiacere, la disperazione. Abbassò il viso, socchiudendo gli occhi. Mormorò un “mi dispiace”, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime, prima di scappare via, fuori dal pub.

Povera Alice. Si lo so, forse non è il commento giusto da fare, ma a me fa tenerezza. Hai ragione, ha terribilmente tradito la fiducia di un'amica, della sua migliore amica ed è una delle cose peggiori che si possano fare. Erin ha tutte le ragioni del mondo per essere furiosa con lei. Però, cosa vuoi che ti dica? Mi fa tenerezza. Ha sbagliato e ne sta pagando le conseguenze. So anche che Erin adesso è troppo arrabbiata per stare ad ascoltarla, troppo scossa, troppo ferita. Quindi è giusto così, sì, d'accordo...bando ai sentimentalismi (*faccia da dura, non troppo convinta*).

Era forse il momento giusto di porre fine a tutto quell'infinito dolore, che, ormai era evidente, non era la sola a dover sopportare? Non voleva lasciar andare tutto così, come se fosse stata una litigata stupida, di quelle che alla fine non si sanno neanche per quale motivo siano cominciate. Non riusciva a dimenticare quell'immagine dell'amica che la guardava, senza riuscire ad articolare parole, mentre lei si rendeva conto di ciò che le stava di fronte. Non riusciva a lasciar andare la nuova, dolorosa consapevolezza che ormai non avrebbe avuto più nessuno di cui fidarsi ciecamente, neanche più Alice. Non riusciva ad accettare che la propria migliore amica le avesse intenzionalmente mentito, nascosto la verità, tradita..

Non riusciva a ritrovare la fiducia e la speranza di far ritornare tutto come prima.

Per il commento vedi sopra. No, scherzo però sì, il succo della questione è lo stesso. Erin è troppo arrabbiata, ferita, si sente incredibilmente tradita e ha perso la fiducia. Quando perdi la fiducia in una persona è davvero difficile, forse impossibile tornare indietro. Certo, puoi proseguire l'amicizia, puoi perdonare, ma mai fino in fondo, mai senza riserve, almeno inconsce. Puoi cominciare un nuovo rapporto, superando la delusione con l'affetto che provi, ma non è mai la stessa cosa. Intendiamoci non che, dopo una perdita di fiducia, due persone non possano più avere un rapporto sincero, semplicemente è un rapporto nuovo, sicuramente diverso.

La guardò qualche altro momento, lo sguardo buio e infinitamente triste, prima di avviarsi lungo Telegraph Ave., verso casa. Anche stanotte non avrebbe dormito.

Una bellissima conclusione dalla quale traspare il fatto che, comunque, a Erin importa eccome di Alice.

 

Per concludere posso dire che questo capitolo mi è piaciuto molto (ma va), soprattutto perché entra un po' di più nella psicologia di Erin...

Morale della favola...Non vedo l'ora di leggere il prossimo capitolo!!

Nuovo recensore

Dopo un tempo infinito, non mi scuserò mai abbastanza per questo, ecco (finalmente) il mio commento.

Eccomi qua, pronta a recensire un altro (e meraviglioso) capitolo! E qui ci starebbe la risatina mefistofelica, ma te la risparmio.

Allora, che dire? Il capitolo precedente ci aveva lasciati con il fiato sospeso, Erin tradita dalla sua migliore amica, Billie che le va a parlare come se potesse permettersi di essere "fastidiosamente chiunque" e Erin che, come se non bastasse, gli risponde pure male. Un quadretto quanto meno insolito. Cosa c'è di bello nella tua storia è che non ci si annoia mai. 

 

"O Romeo, Romeo, wherefore art thou Romeo?"

Un grugnito. Il letto cigolò sotto il peso che si spostava.

Una serie di colpi. Secchi, deboli.

"We are once again reminded that America can do whatever-"

Altri colpi. Altri grugniti. Imprecazioni.

Do you mind?!

Vibrazione improvvisa, e la vecchia tivvù della vecchia signora del piano di sopra e la vecchia signora del piano di sopra improvvisamente non sembrarono più così fastidiosi.

Erin socchiuse un occhio, dopo aver girato appena la testa. Storse il naso per la luce del display del cellulare, che le ferì gli occhi ancora assonnati.

"Lice", sapeva che vi avrebbe letto.

Il telefono vibrava allegramente nella sua mano esattamente come aveva fatto le altre ventisette volte nell'ultima ora. E, come le altre ventisette volte, Erin sbuffò e lasciò cadere il piccolo aggeggio sul materasso.

Nascose il cellulare sotto al cuscino, tuffandovi il viso nell'attesa che quella dannatissima vibrazione finisse.

Sospirò.

"Try the new Big N' Tasty! With extra salad-"

Grugnito crescente in esasperazione.

Vibrazione.

 

Eccoci immersi in una classica situazione che tutti, almeno una volta nella vita, -purtroppo- abbiamo sperimentato. Cosa c'è di peggio che cercare di dormire, avendone peraltro disperatamente bisogno, mentre la tv della vicina sorda ci penetra nelle orecchie ad un volume indecente, come un martello pneumatico? Tra parentesi come ti sia venuto in mente di spaziare da Shakespeare alla pubblicità del "New Big N' Tasty" lo sai solo tu, geniale. Fatto sta che effettivamente le variazioni sul tema "il destino sta cercando di impedirmi di dormire" sono infinite: il rubinetto che gocciola, il ticchettio dell'orologio, i lavori in corso nella strada sotto la tua finestra, la vicina che passa il folletto, lava i piatti e litiga col marito contemporaneamente (solo lei sa come…), ma l'istinto di ringhiare il tuo malcontento al prossimo è sempre lo stesso, se aggiungiamo poi le ventisette chiamate senza risposta di un'amica con la quale non hai nessuna intenzione di parlare, l'irritante, imperterrita, allegra vibrazione del telefono che continua a squillare, ignorando il tuo umor nero e la tua tentazione di metterlo a tacere lanciandolo contro un muro, bè non potremmo certo biasimare Erin per la reazione spazientita, irritata e scorbutica.

 

«This is East Jesus fucking Nowhere! Ti spiacerebbe andare all'inferno?»

 

Questo è il miglior modo che io abbia mai sentito di mandare a quel paese qualcuno. Dico davvero! Non so, sarà il riferimento alla canzone, sarà l'americano. Sarà il tono scorbutico seguito dall'apparente gentilezza del "ti spiacerebbe", sarà che "andare all'inferno" mi sa di Christian e Gloria. Non lo so, ma è assolutamente perfetto. 

 

Una breve risata dall'altro capo della linea. Maschile.

Erin sentì il sangue gelarsi nelle vene.

 

Ops. Interlocutore sbagliato. Il fatto più esilarante dell'intera vicenda, è come Erin, fan sfegatata, non faccia altro che insultare, in un modo o nell'altro, il suo frontman prediletto. Credo che Billie le abbia voluto parlare anche per questo, è stato incuriosito dal suo modo di fare anomalo, di sicuro più sgarbato di quelli che è abituato a ricevere, dalla maniera in cui è stata ferita e dalla sua reazione al "tradimento", tema comune e caro ad entrambi.

 

<<I'd love to, ma mi seccherebbe buttare tutto questo caffé.. Ah, e ho anche quella canzone che mi avevi chiesto ieri. .. Anzi, non è neanche tanto male.>>

 

Perfetta anche la risposta di lui, molto "Billesca" a mio avviso…"I'd love to", bellissimo! Povera Erin, riesco a stento ad immaginare l'infarto che debba essere sentirsi dire una cosa del genere per telefono da lui, appena sveglia. Farebbe andare in iperventilazione chiunque!

 

«Dimmi che non sei quello in piedi qui sotto.. Vicino all'insegna del cinese.»

Breve silenzio.

«Allora, che fai.. Scendi o no?» 

Oh.

 

Oh. Billie mi sta aspettando sotto casa mia. Vuole che scenda. Sta aspettando proprio me. Già, Erin, "Oh." 

Qui è bello il contrasto tra l'insicurezza di lei e quella di lui. Quella di lei è immediatamente comprensibile per ovvi motivi, insomma ha anche il diritto di accettarsi se è proprio quella voce che conosce così bene a parlarle al telefono e se è proprio Billie Joe Armstrong quello che la attende sotto casa sua, in un angolo quanto mai squallido e banale, davanti al quale è passata ogni giorno e dove mai avrebbe immaginato di vedere proprio lui, ad aspettarla per giunta. Ma l'insicurezza di Billie è ancora più bella, perché meno ovvia in un certo senso, trapela a stento da quelle poche sillabe. "Allora che fai…Scendi o no?" O no. Sembra che Billie senta come possibile un eventuale rifiuto, quasi che in qualche modo lo tema, quasi come se avesse timore di sentirsi rifilare un "no" secco da quella ragazza che, d'altra parte, non aveva certo esitato a trattarlo come chiunque altro. Sembra anche che sia incerto, insicuro di quello che ha fatto, sembra che abbia paura di sbagliare ancora, di fare qualcosa che non va, forse ha paura di ferire una ragazza in quel momento già così provata, forse non vuole invadere con la sua presenza una vita già messa alla dura prova dal tradimento di un'amica. E' molto umana l'indecisione, il nervosismo che sembra provare all'idea di poter essere lasciato lì, con due caffè in mano.

 

«Arrivo.» Risposta secca, con una traccia di ansia.

 

Con una traccia d'ansia, ma solo una traccia eh, beata lei! Scherzi a parte, è "giusta" anche questa risposta, senza fronzoli, senza altre domande, senza neanche risposte. 

 

Non credette di essersi mai sbrigata tanto in vita sua.

Sette minuti dopo usciva dal portone biancastro del palazzo sistemandosi gli occhiali sul naso, al contempo mentalmente domandandosi se avesse chiuso la porta di casa e come avesse fatto a scendere le scale senza gli occhiali e di corsa senza schiantarsi e-

Cosa cazzo ci facesse Billie Joe Armstrong davanti al suo portone di casa con due caffè e un sacchetto con ciò che pareva essere un brownie in mano.

 

A parte il fatto che mi immagino troppo bene Erin che corre come una pazza per la casa, prendendo vestiti alla rinfusa, cacciando il suo gatto dalla sua borsa (e credimi, per esperienza, è un'impresa non da poco!), lavandosi i denti mentre si infila le scarpe, uscendo di casa senza gli occhiali messi, con mille ansie e domande, tra cui: cosa cazzo ci faccia Billie Joe Armstrong davanti a casa sua. Un interrogativo più che legittimo. Immagino cos'abbia provato ad uscire di casa e vederselo lì, mingherlino sotto quella giacca di pelle nera, gli occhi chiari increspati in un sorriso appena accennato e, come se non bastasse, a completare questa visione, un caffè e dei brownies. 

 

Dovette rimanere imbambolata per almeno dieci secondi; il suo viso era contratto in una lieve smorfia, qualcosa a metà tra l'addormentato, l'incredulo e l'infastidito, ma quest'ultimo per colpa del sole semi-nascosto dalle nuvole che le feriva gli occhi.

 

E' bellissima questa descrizione, rende benissimo l'idea. Insomma chiunque avrebbe detto "con un sorriso a 32 denti" o "raggiante in volto". Invece no. E' giusto che l'incredulità prevalga, quel sentimento sospeso tra realtà e finzione che ti lascia in bilico, come quando sei sull'orlo di un sogno e avverti, in un angolo recondito la tua mente che si risveglia, che reclama la tua coscienza all'adesione a una realtà ancora impastata di sonno. Quell'incredulità che ti impedisce di aprire gli occhi sulla verità anche se la stai guardando. Non è esattamente semplice passare dal sonno al sogno ad occhi aperti e convincersi di non star sognando. 

 

"Coffee?" Billie le allungò uno dei due bicchieri; sorrise appena, divertito dall'impaccio e dall'espressione della ragazza.

 

Mi fa troppo ridere l'idea di Billie che ti porge un bicchiere dicendo: "Coffee?", non lo so, mi sembra di vedere il suo sorriso impertinente, quasi come se stesse cercando di nascondere il divertimento nel vedere l'espressione confusa di Erin nel tentativo di non offenderla. Quel sorriso da presa in giro tipico di Billie insomma.

 

Erin grugnì, buttando giù per la gola rasposa una sorsata del liquido bollente, per poi allontanarne il contenitore e osservarne con naso arricciato la nota marca verdastra stampata sul cartoncino anti-ustione-dita-consumatori

 

Staaaaarbucks! :( Come mi manca. Sniff. 

 

 

".. Perché mi hai portato il caffé?"

Cristo, Erin. Di tutte, le domande che potevi fargli.. Sai com'è, perché si trovi qui, perché proprio ora, come ha fatto a sapere dove abitassi, dove abbia pescato il mio numero.. No, eh? Niente.

 

Effettivamente! Però è giusto così, non si può avere la lucidità necessaria per fare certe domande in simili situazioni…Mi piace come Erin si maledica per la banalità di ciò che pensa di aver detto, io lo faccio sempre. E' una strana sensazione, sentirsi sfuggire delle parole di bocca, sentirle fiacche, inadeguate, fuori posto e desiderare di averne pronunciate altre, ma è una sensazione più che comune.

 

Billie rise appena. "Tré non ama svegliarsi prima delle due di pomeriggio senza quattro o cinque caffé.. Volevo ringraziarti per il favore che hai reso alla nazione ieri. - Erin sorrise appena; Billie si schiarì la voce, facendo poi spallucce. - E comunque volevo darti almeno un motivo per non uccidermi selvaggiamente per averti svegliato".

 

In effetti secondo me ha rischiato grosso XD

 

Lui sorseggiando il suo con una mano in tasca, avanzando con quel suo strano incedere che ricordava i tempi di Dookie, in cui non riusciva a mettere un piede davanti all'altro senza che sembrasse che si stesse perdendo i piedi, come se li facesse rimbalzare troppo in là per la gamba e il resto del corpo. Come se non avesse proprio voglia di camminare.

 

Ecco io ti invidio profondamente per queste descrizioni stupende che riesci a fare…E' così preciso il modo in cui hai saputo descrivere l'andatura buffa e malinconica al tempo stesso che aveva in quegli anni. Mi ricorda precisamente l'andatura che Billie ha nel video di When I Come Around.

 

"Stupide marionette di una salvezza che si sono costruiti da soli, ecco cosa sono." Aria uscita dal naso, brevemente, con evidente disapprovazione. Uno sguardo di lato, subito tirato via; eppure non c'era solo disdegno in quegl'occhi..

"Vuoi spiegarmi allora perché vivi in un quartiere di ferventi protestanti?" La domanda non era solo curiosità; affronto, forse?

".. Per masochismo." Rise aridamente Erin, tra sé e sé, mentre finiva il suo caffé per buttarlo in un cestino lungo la strada. "Mio fratello e mio padre hanno avuto sempre rapporti migliori con dio che con me."

 

Mi piace tanto come lo dice, in qualche modo spiega il rifiuto complicato che ha della religione, dell'idea di Dio, è molto più difficile non credere se hai accanto qualcuno che lo fa con tanta dedizione. E' buffo, in un certo senso, ne parla come se Dio fosse un amico di famiglia con cui lei non si trova tanto bene, un parente con il quale non si può evitare di relazionarsi, ma con cui allo stesso tempo senti di avere un rapporto difficile.

 

cominciarono a venire giù grosse gocce d'acqua.

 

Ah, la pioggia. La nostra storia infinita.

 

Billie si sfilò il chiodo in pelle, porgendolo ad Erin, che non aveva nulla con cui coprirsi. Erin lo guardò con un'espressione indecifrabile, un misto di ammirazione, confusione, gratitudine e orgoglio, prima di accettare la giacca e riprendere la corsa.

 

Mi immagino fin troppo ben quell'espressione

 

Lasciandosi cadere su uno dei sedili in plastica, Billie sospirò, chiudendo gli occhi. Riaprendoli qualche attimo dopo, si ritrovò davanti la mano di Erin che gli rendeva la giacca, con un'espressione in viso piuttosto eloquente; i capelli erano zuppi, come anche il viso e gli altri vestiti. Sorrideva appena.

"Grazie comunque." disse, tentando di rimanere impassibile.

Dopo averla guardata qualche secondo, Billie scoppiò a ridere. Erin alzò gli occhi al cielo.

 

Mi piace questa sequenza di azioni, Erin che cerca, che spera che Billie non scoppi a ridere vedendola fradicia e lui che si lascia andare ad una bella risata. Stupendo.

 

Il foglietto sembrava cedesse sotto alle sue dita che tremavano appena; schiuse la carta appesantita, respirò. Lesse.

 

Pare quasi che sia la verità rivelata a celarsi tra le pieghe di quella carta umida. La verità più importante, quella che qualcuno vede guardandoti dentro.

 

Ora non starò a citare tutta la parte riguardante la canzone perché sarebbe eccessivamente lungo e io ti ho promesso almeno un commento per quando saresti tornata a casa. Inoltre poi ho constatato, la mancanza di parole tra noi non è un problema comunicativo poi così rilevante.

 

E' semplicemente delicatissimo e stupendo il richiamo che fai alle favole, che danno il titolo all'intera fan fiction. Favole, in un certo senso le canzoni lo sono, ti trasportano in un'altra realtà, ti fanno percepire un mondo altro, completamente avulso da quello a cui siamo abituati. E' una dimensione a sè stante dove la musica scalanca un universo intero e le parole gli danno voce, un cosmo che alla lunga, per quanto vasto e sconfinato ritrovi dentro te stesso, rannicchiato nelle tue pieghe, annidato nelle tue piaghe, nascosto tra memorie del passato e speranze sl futuro.

 

Non c'era nessuna storia, nessuna fiaba che finisse, nella sua memoria. E lei aveva imparato che ogni cosa, ogni cosa vera, aveva una fine.

Le fiabe, quelle.. Non finivano. Quelle erano solo finzione.

 

Il dubbio, il terribile dubbio, che le favole restino tali, che nella realtà non ci sia spazio per i lieto fine, che nessun "vissero felici e contenti" sia davvero pensabile. 

 

Alzò lo sguardo dal foglio, appena indirizzandolo verso l'uomo che sedeva accanto a lei. Il suo era uno sguardo illegibile, cupo e lontano; non era il presente, né la realtà ad avere stretta in pugno la sua mente.

Era lontano.

 

Bellissima la descrizione di questo sguardo. Non assente, ma lontano, distante, meglio irraggiungibile. Inafferrabile come i suoi ricordi e i suoi pensieri.

 

Chi aveva perso? Cosa lo aveva spinto a brancolare nel buio?

Eppure c'era un tale amore in quelle parole, in quel primo verso, una tale dipendenza da una persona..

I respiri diventavano più forzati, gli occhi rileggevano quelle due righe come fossero un mantra.

Perdevo me stesso quando non ti trovavo.. E ora non so neanche più dove cercarti.

Ti ho perso, ho perso me stesso.

Così apparentemente chiaro, così crudo.

 

Quell'immediatezza tipica delle canzoni di Billie, quella di cui parlavamo, quel suo mettersi a nudo, mostrarti con una semplicità disarmante intimi scorci della sua anima. Definire, in questo caso, con chiarezza la perdita. Perdita di una persona, certo, ma allo stesso tempo perdita di una meta, di un luogo dove andare, dove cercare ciò che si è perso, la perdita di una direzione quindi la perdita di se stessi e del proprio baricentro, una conseguenza inevitabile. 

 

Guardò Billie, con uno sguardo pieno di tensione, di perplesso dispiacere; non sapeva bene per cosa dovesse dispiacersi, era semplicemente quel peso terribile che gravava su quelle stesse parole, era stata quella frustata così netta di realtà, ad averla resa quasi dolorosamente sensibile.. A cosa, non lo sapeva ancora bene.

 

Quella sensazione, a noi ben nota, del dispiacersi da spettatrici esterne certo, ma non solo, è un dispiacersi dato dalla consapevolezza di avere una comprensione di quel dolore perché quelle parole così personali eppure così universali, parlano anche per te, danno voce alla tua d'interiorità, diventano di chiunque e di nessuno.

 

Qualche secondo ancora, e Billie si girò, guardandola prima negli occhi; quasi inespressivi, i suoi, in genere sempre così accesi di quel verde pieno di tutta l'anima. 

 

Quest'espressione non avrebbe potuto essere più azzeccata, perfetta e calzante.

 

Si alzò, passando velocemente le mani sui pantaloni, come a volerli ripulire, come se volesse ripulirsi le mani della conversazione appena avuta. Dimenticarla, forse, annoverarla negli scaffali del passato e cercare di dimenticarla, o di farla passare inosservata alla sua stessa coscienza.

 

Immagino alla perfezione questo gesto. Come se avesse voluto scrollarsi via di dosso qualcosa, spazzare via occhiate indiscrete, una specie di modo per richiudersi nel guscio dopo aver aperto così tanto la propria anima.

 

Erin rimase seduta a guardarlo mentre si sistemava, mentre si infilava il chiodo di pelle ancora lucido di pioggia, improvvisamente troppo grande per le sue spalle piccole e stanche. Rimase seduta a domandarsi se fosse il suo posto, quello, di vedere tutta l'umanità del proprio eroe, del proprio idolo, tutta l'umanità, tutta la debolezza più miserabilmente umana, tutta insieme.

 

E' questa la fregatura di Billie: è umano e non fa niente per nasconderlo; non cerca di mostrarsi forte, perfetto, senza macchia. Confessa le sue debolezze, i suoi bisogni, i suoi tormenti. Sembra diventare ancora più piccolo e mingherlino Billie quando fa così, quando ti nasconde i suoi occhi chiari nell'ombra o quando in quel verde riesci a leggere quanto sinceramente si stia confessando a te, quanto sia difficoltoso ammettere determinate cose, quanto direttamente ti mostri improvvisamente ciò che prova o ha provato. 

 

quell'ombra che si faceva strada tra i sedili della tribuna, con l'alone della propria pioggia interiore su ogni centimetro di sé.

 

Quanto è stupenda questa frase.

 

Prima di scendere l'ultimo scalino, si girò, rivolgendole un sincero, piccolissimo sorriso; gli occhi si accesero appena. "Se mai dovessi ritrovare quella forza che ti ha spinto a combattere le favole degli altri.. Vorrei esserci."

I'd like to feel what it's like.

 

Mi sembra di vederlo Billie che si gira, con gli occhi che brillano appena, accesi da qualcosa e dire: " […] vorrei esserci", sembra sottintendere: "ho bisogno della tua forza per tornare a combattere", sembra gridare 'non ti arrendere', sembra un invito alla resistenza contro il tradimento subito dalla ragazza che funziona come propulsore della reazione di Billie al tradimento da lui subito. 

 

 

So che spesso mi ripeto, ma credo che questo capitolo sia ormai ufficialmente eletto a mio preferito. Forse. E' davvero difficile scegliere, le emozioni che mi trasmetti e la tua bravura mi lasciano sempre senza fiato, un po' frastornata, come se leggendo questa storia entrassi nel mio personalissimo mondo di favole, quelle favole che ti consolano e sollevano, quelle favole che ti trascinano in una sospensione trasognata della realtà.

Nuovo recensore
24/11/11, ore 21:36

Completamente diverso dal primo capitolo, anche questo capitolo ha dello straordinario. L'ho letto tutto d'un fiato, e pian piano l'immagine di Erin, così normale eppure così speciale, ha iniziato a formarsi nella mia mente.
Cosa posso dire di questo capitolo? Che mi è sembrato di ritrovarmi in una situazione talmente reale che la mente mi si è affollata di ricordi, e ho pensato a quante volte ho avuto le stesse identiche sensazioni di Erin, e di quante volte forse le hai avute anche te.
Erin mi piace semplicemente perché è reale. Non è un personaggio dalla personalità e i caratteri inesistenti, o perlomeno introvabili in natura, ma è una ragazza reale.
Ora aspetto solo di vedere come si sentirà la tua reale Erin davanti ad i suoi idoli. Vado avanti :)

Nuovo recensore
24/11/11, ore 21:29

"Adrienne, ci credi, ora? Ci credi ancora, alle favole?"
Per quanto possa sembrare strano è questa la frase che di tutto questo capitolo, strabordante di idee da sviluppare, mi ha colpito di più.
A mio parere è probabilmente la frase che rappresenta nel modo migliore il fulcro di ciò che hai voluto trasmettere; scoprire che dopotutto il nostro mondo non è fatto d'altro che di illusioni.
Sei riuscita, con efficacia disarmante, a mostrare come un uomo riesca ad essere distrutto da questa scoperta, e come questa scoperta cambi irrimediabilmente la sua vita.
Ora vado avanti nella lettura, vado a fare nuove scoperte :)

Recensore Junior
07/10/11, ore 20:05

:'(
Che bel capitolo.
Leggendolo mi si è stretto davvero il cuore.
Sei bravissima a scrivere, tutte le emozioni le riesci a recchiudere in delle semplici parole.
La lettura è molto scorrevole, la descrizione non è esagerata ed è curata nei minimi particolari.

"perché vivere qualcosa, fare tesoro di un'esperienza, se poi si vive il resto della propria vita ripensando con dolore all'attimo in cui si è sfiorato il paradiso? Perché cercare davvero la felicità in un'occasione, se poi si è a conoscenza del fatto che tutto ha una fine?"

Sai, anche se io non sono andata a un Loro concerto, certe volte me le faccio anche io queste domande. E' strano come ti può far star male il ricordo più bello della tua vita.
Bhè, io continuo a leggerti.
Alla prossima recensione.
xxxHaushinkaxxx

Recensore Junior
30/09/11, ore 20:08

Oh, che bel capitolo!Quante emozioni racchiuse dentro poche righe.
Sei davveri brava a scrivere, ti faccio i miei complimenti. Si vede che ci metti l'anima e il cuore quando scrivi i capitoli di questa storia. Sono davvero curiosa di sapere come andrà a finire. Sono sicura che il finale non mi deluderà.

"Ecco, ciò che aspettava; un segnale.
Un segnale, e tutto sarebbe cambiato. Un segnale, e tutto si sarebbe frantumato, si sarebbe sgretolato. Tutto ciò che la opprimeva, quel dannato "locked-up world" sarebbe stato distrutto da lei, dal suo urlo, dalla sua voce.
Tutto ciò di cui necessitava era un segnale, e i suoi dubbi si sarebbero dissolti, e lei sarebbe stata di nuovo libera da quelle catene che la obbligavano a stare rinchiusa in quella stanza, che la obbligava ad urlare in silenzio.
Perché, in fondo, i dubbi non erano i suoi; erano paure, erano domande, ma a cui Erin aveva saputo dare la più chiara e sicura delle risposte nello stesso momento in cui erano state poste: "Nulla. Nulla andrà male, nulla succederà che non dovrà succedere, nulla succederà se si rivelerà essere stato tutto un sogno..""

Sai, penso che tutti aspettiamo un segnale. Anche io spesso mi pongo queste domande. Può essere tutto un sogno? Non lo so, per il momento lo vivo. Può sembrare un pò stupido e forse lo è, però è così.
Bhè ora continuo a leggere.
Alla prossima.
xxxHaushinkaxxx

Recensore Junior
30/09/11, ore 19:43

Questo capitolo è semplicemente stupendo!Non ci sono parole per descriverlo. In più punti è stato un'emozione unica, mi sembrava di essere davvero sotto quel palco. E poi, il modo in cui descrivevi mi ha fatto pensare, mi ha fatto sognare ancora una volta il lontano giorno quando io sarò sotto quel palco che odio e amo tanto allo stesso tempo.

"Billie slanciò un braccio, chiudendo le dita in un ferreo pugno, alzandolo, dritto contro il cielo.
L'urlo del pubblico aumentò d'intensità, e all'uomo non parve che una scarica di corrente allo stato puro.
Urlò anche lui, con tutto il fiato che aveva nei polmoni; un urlo disumano, grezzo, crudo, bestiale.
Il suo sorriso si aprì, beffardo, mentre sente i primi accordi del pianoforte partire, seguiti dopo poco dall'applaudire ritmico del pubblico, a tempo con la musica.
Annuì, il suo sorriso non abbandonando mai le sue labbra sottili. Avrebbe voluto battere le mani con loro, avrebbe voluto lasciarsi andare, desidererava, più d'ogni cosa, lanciarsi sulle mani avide di contatto della folla, lasciarsi cullare dall'onda, stavolta di corpi, del suo pubblico.
Poi, la batteria di Tré; era il battito dei loro cuori, era il rullare di una marcia inarrestabile, era quel pulsare ruggente nelle orecchie che rese tutto più reale, tutto più vivo.
I cori; Mike, al suo fianco, batteva le mani anche lui, trasportato dall'inarrestabile travolgenza di quel momento, vittima come Billie Joe dell'overload di quell'intensa, travolgente furia.
Il frontman lasciò scorrere le mani sul ponte logorato di Blue, senza guardare, sentendo il legno levigato fresco e delicato al tocco."

Penso che questo sia il pezzo che mi ha colpito di più.
Bhè, io continuo a leggere, mi sono dilungata anche troppo.
xxxHaushinkaxxx

Recensore Junior

Ciao :)
Innanzi tutto ti ringrazio per avermi dedicato questo capitolo, e scusa se ti faccio aspettare sempre così tanto per i miei commenti. Devo dire che no, non mi ha delusa affatto, al contrario posso affermare che questo è, secondo me, uno dei più belli che hai pubblicato fin ora. Il fatto strano è che in fin dei conti nemmeno io so dirti con esattezza come mai mi sia piaciuto così tanto, so solo che mi ha letteralmente incantato, dico davvero. Probabilmente mi prenderai per pazza (e, cedimi, non avresti tutti i torti), ma mentre leggevo dell'incontro tra Billie ed Erin ho avuto come l'impressione, per un istante, di essere stata proiettata in un sogno. Non so... la telefonata, Billie che la aspetta con il caffè, lei che senza nemmeno chiedergli come avesse fatto a rintracciarla o perchè fosse lì accetta il suo invito a passeggiare... ma soprattutto il foglietto, e lei che poi rimane da sola. Non so spiegarlo, davvero, ma tutto ciò ha ricreato nella mia mente la stessa e identica atmosfera che c'è nei sogni, o almeno in quelli che faccio solitamente io, quelli che mi fanno svegliare con una gran confusione in testa e a cui non posso fare a meno di pensare per tutto il resto della giornata.
Forse ti aspettavi un commento che riguardasse un po' più nello specifico ciò che hai scritto e il modo in cui lo hai scritto, ma per questa volta veramente non so dirti altro se non grazie per le sensazioni che mi hai fatto provare con questo capitolo.

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