ABBONAZZACOSAGUASCONA! (sempre discreta, io, lossò)
Questa non te l'aspettavi, eh?? Sono passati tipo sei (?) mesi dall’ultima volta che ho fatto una capatina da queste parti, ma è colpa tua e solo tua. Già, perché con Blackbird hai preso il mio cuore e l’hai ridotto a pezzettini tipo puzzle da 1000 pezzi di un quadro delle Ninfee di Monet – quindi puoi immaginare che faticaccia per ricomporlo e renderlo di nuovo funzionante, e parlo per esperienza diretta. Ed eccomi di nuovo qui, pronta a farmelo fracassare di nuovo… visto quanto te vojo bbene?
L’inizio del capitolo mi ha preso alla gola, senza alcuna delicatezza; mi ha soffocato coi pensieri di Tony, con quei brutti, brutti pensieri che nascono di loro volontà di fronte a qualcosa di così incomprensibile come la morte, il lutto, un funerale. Fanno da barriera, ripescano dall’inconscio concetti e riflessioni che fino a quel momento erano rimasti in sordina, in questo caso la coscienza di essere un figlio adottivo e non naturale. Sai, non ho mai apprezzato molto questa rivelazione nei fumetti: trovo che vada a minare tutta una serie di fondamenta su cui poggia la relazione di Howard e Tony, ma in questo contesto non l’ho trovata forzata. Si incastra bene col senso d’inadeguatezza di Tony e col suo atteggiamento verso il padre esplicato finora nel corso della storia. Credo che, se avessi scelto di renderlo davvero suo figlio, ci sarebbero state sfumature comportamentali diverse, e anche una diversa reazione alla morte di Howard. L’essere stato adottato crea distacco, un distacco al quale Tony vuole aggrapparsi con tutto se stesso perché non può permettersi di annullarlo e soffrire davvero la perdita di un padre. È così dannatamente da Tony, questa odiosa puntigliosità, questo ribadire lo stato effettivo delle cose tirando in ballo il DNA quasi potesse giustificare la sua finora non-reazione con mezzi scientifici,
Il fatto che non nomini una sola volta Maria come singola è straziante. È un silenzio rumoroso, colmo di sottintesi che probabilmente non coglie del tutto neanche Tony; è un’esclusione del dolore perché troppo radicale per essere concepito, troppo schiacciante per essere esternato. Un padre col quale aveva conflitti, discuteva, battibeccava costantemente, con cui aveva dei “conti in sospeso” di cui probabilmente solo lui teneva traccia… è istintivo usarlo come appiglio, rivolgere là i riflettori della propria sofferenza. Ma una madre che è sempre stata supporto, e amore, e parole gentili e incoraggiamenti… no, Tony non vuole abbracciare quel lutto, quel vuoto. Non può farlo, per il suo stesso bene. Per questo quel “colpo” che si aspetta non arriva, non lo scuote. È troppo presto.
Peter invece mi ha fatto un’infinita tenerezza nel suo tentare di instradare Tony in quel processo tortuoso e sofferto che è l’elaborazione di un lutto. Lo fa in buona fede, è vero; lo fa con cognizione di causa perché l’ha già affrontato due volte, soprattutto… ma sta anche qui, il problema. Peter ne è uscito, sebbene non del tutto. L’ha superato, ha ripreso a vivere. È libero. Tony ha davanti agli occhi una persona che ha portato a termine qualcosa che lui non è nemmeno in grado di iniziare: è uno scalino, è una distanza, è un senso d’inferiorità che Tony nella sua vita ha sentito nettamente solo con suo padre, e con dinamiche del tutto diverse. E nonostante questo divario ora palpabile, su un qualcosa riguardo alla quale non dovrebbe esserci una “graduatoria”, Tony ha bisogno di Peter. E questa per lui è una realizzazione drastica. Lui ha bisogno di cose, razionalmente, di sensazioni, di annullarsi. Per questo ciò che accade dopo con Peter fa male anche solo a leggerlo. È comprensibile, ma al contempo mette addosso un senso di frustrazione e disagio e delusione verso Tony, perché di fatto sta usando Peter, si sta sfogando su di lui senza alcun riguardo, in quel modo egocentrico che lo contraddistingueva e in cui adesso ricade.
Sai Co’, questa è una delle scene che più mi ha colpita in questa storia, non tanto per quello che succede, ma per come hai scelto di scriverne, cioè senza giustificare Tony nemmeno ai suoi stessi occhi. Senza voler trovare romanticismo in qualcosa che, di fatto, è unicamente impulso e irrazionalità. È un passaggio crudo, in cui anche se Peter è consenziente ci si sente a disagio per lui, ci si dispiace perché diventa in quell’istante un mero mezzo per ottenere sollievo. E questo modo di fare di Tony lo trovo del tutto coerente; mi sembra quasi un’eco del suo futuro canonico, di quando avrà bisogno d’alcol e sesso e soldi e dissolutezza per annullarsi; il bisogno di qualcuno lo reprime sul nascere come meccanismo intrinseco d’autodifesa. Qui però non è ancora il Tony che forse non conosceremo mai: è un ragazzino spaurito, solo e allo sbando che cede alle proprie emozioni incapace di controllarle, alla ricerca disperata di un conforto che non trova in un amplesso vuoto ma nell’abbraccio di chi lo ama a prescindere, quasi a farlo ravvedere nel suo errore.
Mi sto concentrando tanto su Tony, qui, ma perché in questo capitolo parla lui, anzi, urla, si prende la scena ancor più del solito per poi rimpicciolire di fronte a Peter. Si fa minuscolo, perché inizialmente Peter qui si erge di nuovo a guida e supporto e gli permette di farlo e di urlare, gli fa capire che va bene, che è giusto così, che può lasciarsi andare. Che c’è lui, a stargli accanto, e che deve solo accettare di essere amato e di volerlo anche lui. Ma non ci si può aspettare coerenza e comprensione da qualcuno in un momento simile, tanto più se quel qualcuno è Tony Stark. Anzi, io in questo caso, nonostante le accuse che rivolge a Peter siano assolutamente insensate e incoerenti, ritengo che Tony a livello inconscio sia perfettamente razionale, lucido. Quello che fa è quasi premeditato, è un portare a compimento la profezia nefasta che si è autoinflitto per capitoli interi prendendo in mano le redini della situazione: fa terra bruciata attorno a sé. Ferisce chi gli sta attorno, si isola, respinge, dà fuoco alle polveri perché dentro di sé è convinto di non meritarsi nulla di ciò che ha. Né l’affetto dei genitori adottivi, né di Happy, né di Peter. È Tony. È così maledettamente Tony nei suoi ragionamenti contorti, sempre rivolti contro se stesso come se stesse giocando alla roulette russa; perché in fondo nella sua ottica autodistruttiva vince sia sparando a vuoto che con un proiettile in testa.
Peter, in tutto questo, è quella porta che sbatte. Lui, che nell’entrare l’aveva chiusa cercando di fare meno rumore possibile, delicato come sempre. Peter sbatte una porta e frantuma un mondo dietro di sé con quel semplice gesto fuori posto, e solo tu avresti potuto scriverlo con così poche parole, rendere la portata di quanto le parole di Tony l'abbiano ferito e adirato.
Co’, io ho perso il conto di quante parole, cose, cazzate t’ho detto, ma quando ti leggo finisce sempre così.
Mi impegnerò a riattaccare il mio cuoricino malmesso con lo scotch e a ripassare quanto prima, che ‘sta storia l’ho da finì, me dovesse costa' 'na varvola cardiaca <3 Nel frattempo, ti ricopro di pite greche gluten-free, mo’ che ho scoperto che esistono :’)
Un baciotto sdolcinato tanto per stemperare l'angst, e a prestissimo,
-Light/Cosa2/La tua Guascona Bonazza- |