Ho adorato questo capitolo con il confronto (quasi) definitivo tra Doe e Soren.
In genere adoro i PoVs di Soren anche se non è il mio cuginetto Von Honhemein preferito. È un personaggio che ho imparato ad amare in Opera al Nero piuttosto che in Ab Umbra Lumen. È un po’ troppo troppo "eterna vittima perfetta" (sia dei cattivi che lo tormentano all’infinito, sia della società dei "buoni" che non lo perdona) per essere il mio tipo di personaggio, troppo puro d'animo nonostante il male del mondo...da un questo tipo di personaggi lato mi affascinano e provo empatia per loro, dall'altro, soprattutto quando è una storia con molti PoVs, tendo ad essere più attratta da personaggi che magari non hanno mai commesso nulla di grave, ma sono interiormente più meschini e contorti e divertenti di dissezionare. Soren è il personaggio che ha commesso più crimini tra i buoni ma è rimasto puro dentro, in modo quasi naive,e questa sua dualità me lo ha reso non particolarmente caro in Ab Umbra Lumen: preferisco i redemption arc quando c’è effettivamente qualcosa da redimere, e non solo da giustificare, e i personaggi che trasudano angst mi piacciono, sia chiaro, ma resto più emotivamente coinvolta da loro quando oltre ad angst trasudano anche difetti. Soren invece è un po' il Ned Stark della situazione, tutto onore e sfiga, quel tipo di personaggio per cui pure i super-cattivi che lo stanno torturato provano un po' di pena, perchè oh, sto qui proprio non è capace di godersi la vita senza portarsi addosso tutte le croci e i peccati dell'umanità. Sono quei personaggi a cui da lettori si vuol bene ma che si vorrebbe anche pigliare a sberle, così magari passa loro la voglia di fare i martiri per qualche capitolo. Comunque riconosco il potenziale poetico e simbolico dei personaggi che il mondo cerca di corrompere in tutti i modi senza riuscirci, rendendoli invece che duri In sostanza, il mio problema con Soren era che incarna due tipi diversi di “personaggio topos” che separatamente mi piacciono, insieme non tanto: da un lato l’idealista puro di cuore che benchè vittima di doversi soprusi rimane sempre moralmente superiore a chi glieli infligge, e perciò viene inizialmente sottovalutato fino a quando non disvela tutto il suo potenziale contro i cattivi che pensavano di averlo sottomesso, e poi incanala tutta la rabbia per l’ingiustizia che ha subito nel combattere chiunque continui a compierla e proteggere gli altri dal soffrire come lui o lei ha sofferto; e dall’altro (almeno così credevo per il modo in cui è stato inizialmente presentato in Aul) il doppiogiochista ambiguo dai valori traballanti, gli schieramenti poco chiari e conflitti morali e traumi repressi a gogò. Quando ho smesso di cercare in Soren questo secondo archetipo che amo, ho capito che la genialità nella creazione del personaggio sta proprio in questo: nel fatto che lui NON è questo tipo di personaggio moralmente ambiguo, anche se tutti credono o immagino che lui lo sia. È qui che sta la tragicità e allo stesso tempo la bellezza, la forza e l’originalità di questo personaggio. Lui è in tutto e per tutto l’incarnazione del primo dei due “topoi” che ho appena descritta. Ed è una variazione magnifica, articolata e originale sul tema a me tanto caro (che poi è anche il tema principale dell’Harry Potter-personaggio- della Rowling.) Solo che tutti gli altri personaggio, tranne Milo e forse (forse) Lily, lo vedono come una variazione del SECONDO tipo di personaggio che ho descritto (e che amo) quello dell’anti-eroe grigio e doppiogiochista. Magari una versione redenta ma pur sempre una variazione sul tema. Quando in realtà lui ha molte più charatteristiche dell’eroe duro puro, del Percival, del Lancillotto, del Rolando. È un Cyrano, un Don Chichotte. O per parlare di riferimenti pop, è più simile a un Harry Potter o un Jon Snow, che a un un Tyrion Lannister, Severus Piton o Draco Malfoy. Lui combatte per ciò che ritiene il Bene Superiore, sempre, anche e spesso a rischio dell’annullamento di se stesso. Soren non si annulla per fedeltà circa alle persone, questo no. La sua ammirazione per Von Honhemein non era del tutto cieca delle sue colpe, e quella che comunque prova per Harry Potter non è scevra di rabbia e rancori sotterranei. Ma era convinto che gli ideali del primo (e ora del secondo) fossero (o siano) così alti e nobili da rendere necessario che Soren si sacrificasse (o sacrifichi) per essi. Per questo dico che è un idealista, perchè è disposto a passare sopra i difetti di un capo se rispetta gli ideali per cui combatte, l’opposto totale di un Thomas che invece si fida solo ed esclusivamente delle persone, ed è disposto a proclamare la sua fiducia totale in uno schieramento anche se non ne condivide gli ideali, perchè ne idolatra chi è a capo (suo Zio Harry).
Le sue azioni (di Soren, intendo) l’hanno portato ad essere considerato un tipo di personaggio, quando tutto nel suo cuore, nel suo animo e nel suo modo di rapportarsi è l’opposto. Eppure il flusso della storia è la necessità del lato per cui sta al momento combattendo lo portano a recitare costantemente quella parte a lui tanto odiata quanto necessaria agli altri per la vittoria, quella del doppiogiochista.
Sono affascinata dal modo in cui i personaggi si rapportano con il loro ruolo narrativo. Da come vengono mossi all’interno della narrativa che l’autrice ha disposto per loro, ma anche di come si comportano di fronte alle aspettative che i lettori o addirittura gli altri personaggi hanno su di loro in un determinato
Se l’aria beffarda di Thomas non è data soltanto dal suo essere uno stronzetto viziato (che io amo, per inciso, nel caso non si fosse capito da quanto spesso lo tiro in ballo) ma anche, in senso metà-letterario, dall’aver disdetto ogni aspettativa che la simbologia e i parallelismi della storia sembravano aver messo su di lui...non per prendere la strada opposta, ma per farsi gli affaracci suoi, fondamentalmente.
L’aria da agnello smarrito di Soren, di contro, non è data soltanto dall’aver avuto una vita davvero di merda e dal doversi adattare a vivere nel mondo reale invece che in un’arena perenne degli Hunger Games, ma anche dal fatto che è COSTANTEMENTE posto dal flusso della storia in un ruolo che non rispecchia o non si confà al suo carattere, ai suoi valori, e alla sua psicologia. E paradossalmente, è questo che me lo rende tanto interessante. (Così come non sarei stata tanto affezionata quanto lo sono a Tommy boy se lo stronzetto fosse diventato un Signore Oscuro 2.0 o un Prescelto 2.0. Ciò che mi fa ghignare di lui è che nonostante tutti gli omen propendessero verso l’una o l’altra strada, il giovane Dursley abbia deciso di scartare dal bivio del suo destino e prendere un’altra, normalissima strada, solo per menefreghismo e sano egoismo. Ed è più iconico e Serpeverde di qualsiasi cosa Alberich, Voldemort e mille altre oscuri edgy lord abbiano mai fatto.)
Nei PoVs di Soren, non so se sia intenzionale o meno, c'è sempre qualcosa di più poetico e profondo che negli altri PoV. Non solo per via delle tematiche trattate e dei dilemmi morali che il giovane Prince si trova ad affrontare, ma anche nel ritmo dei suoi pensieri, nella scelta di parole usate. Non perchè gli altri PoV siano brutti, anzi, ma perchè Soren ha qualcosa in più, non necessariamente come caratterizzazione psicologica personaggio (personalmente credo che almeno Al, Thomas, Lily ed Harry adulto, non abbiano nulla da invidiare a Soren in termini di caratterizzazione e complessità del personaggio, che comunque per me rientra nella top cinque dei personaggi meglio scritti di questa Saga) ma proprio come TIPO di personaggio che Soren è.
Gli altri personaggi escono da una commedia romantica teen e si trovano per caso, affiliazioni, o semplice incapacità di farsi i fatti propri, in un giallo da risolvere, Soren è stato catapultato da un romanzo filosofico russo a un film poliziesco americano in cui si muove spaesato ma pieno di buone intenzioni. Mi piace come ogni tanto lo fai irritare e rispondere male a chi crede di saperne più di lui su se stesso, ma non è mai giudicato per questo; onestamente, se lo merita. Mi piace che Soren non venga giudicato dalla voce narrante per avere reazioni normali e umane ai traumi che gli sono state inflitti. Infatti, è uno dei dettagli che lo rende più realistico, più personaggio-persona e meno cavaliere errante di un altro tempo, incorruttibile da tentazione e inscalfibile dai traumi.
E parlando dei traumi di Soren: io sono la fan n#1 di Jonnhy Boy. Il Camaleonte, il Giullare, il galoppino arrogante, il mercenario, la vecchia volpe che non è immortale ma solo troppo furba per farsi ammazzare. Sì, è orribile. Sì, ha traumatizzato psicologicamente metà dei protagonisti quando erano tutti ragazzini. Sì, ha una vena sadica. Sì, è narcisista. Sì, è un po’ sessista e pure omofobo. Ma è psicologicamente ben costruito. Il suo essere malvagio fa paura e ha senso al tempo stesso.Ed è divertente. È anche raccapricciante. E ha sempre ragione pur avendo torto. È anche uno dei migliori antagonisti che abbia mai incontrato in una Saga fantasy. È spaventoso e incredibilmente comune al tempo stesso, è uno psicopatico non perchè ha manie di grandezza e di sterminio o comportamenti particolarmente sopra il rigo, ma perchè è capace di comportarsi in modo normalissimo Ho anche una playlist su Spotify ispirata o meglio dedicata a lui! (Privata ovviamente. Però se vuoi te la linko, visto che ormai ti ho spammato diecimila canzoni in chat solo perché mi ricordavano vagamente Roisin e Tobia della Selva Oscura.)
Mi piace che Johannes non sia un cattivo alla Von Honhemein o Voldemort, un Signore oscuro minaccioso e imponente, ascetico e misterioso. È normale, comune, gioviale e frivolo, mondano. Frivolo e mondano nel modo in cui spesso lo è il Male. Si presenta gioviale ed edonistico, e noncurante, perchè è così che spesso appare la crudeltà stessa. È mosso dalle più comuni e triviali motivazioni che spingono gli uomini a compiere azioni riprovevoli: denaro, ricchezza, prestigio, voglia di godersi la vita. Quello che lo rende mostruoso è la sua totale mancanza di conflitto morale, di pentimenti o debolezze; la sua mancanza di tentativi di razionalizzazione, giustificazione di quello che fa. E quello che lo rende diverso da un Alberich o un Voldemort, è che oltre alla mancanza di auto-giustificazioni, non cerca neanche la mistificazione delle proprie gesta, il motivo superiore dietro cui mascherare il sadismo e la crudeltà gratuita. L’unica mistificazione che accetta e ricerca è quella del Giullare, di colui che gioca a quella infinita e assurda partita di Poker che è la vita, incurante di tutto tranne che del proprio divertimento e dei suoi guadagni che, da bravo giocatore di poker, accumula più con l’arte di nascondere le proprie intenzioni (bluff) e indovinare quelle dell’avversario, che basandosi su un’attenta e meditata strategia (come potrebbe fare un giocatore di scacchi- Alberich, per esempio). Quella di John Doe è anche una mistificazione sulla propria identità, ma è una mistificazione strana e ambigua perchè si basa non sul crearsi un’identità superiore e idealizzata (come Tom Riddle fece con Voldemort) ma sul frammentare e dividere il proprio essere in mille nomi che spesso non vogliono dire niente, soprannomi e nomignoli spesso nati come dispregiativi o insulti. In sostanza, se Voldemort frammentando la propria anima aveva nascosto il suo essere umano dietro la figura e il nome di una divinità, John Doe accettando di modificare il proprio corpo attraverso gli esperimenti della Thule e spezzando la sua identità in mille nomi e pseudonimi, è diventato tutti e nessuno. Ma se John Doe è chiunque, chiunque può essere John Doe. Ed è questo che fa paura: perchè lui lo sa, è un cattivo cosciente del suo ruolo nella narrativa, e da bravo Camaleonte si mimetizza facilmente nell’ambiente circostante prima di apparire in tutta la sua mostruosità; da bravo Giullare, invece, capisce le insicurezze più profonde dell’eroe di turno che lo affronta, e gliele sputa in faccia con scherno, mettendo il povero sventurato di fronte a paure così profonde che nemmeno lui sapeva di avere. E sono sempre paure legate al proprio valore, alla propria integrità morale, al fatto di essere o meno esseri umani degni, prima ancora che eroi, geni o coraggiosi guerrieri. Perchè il Giullare è sì uno specchio, ma uno specchio grottesco. Restituisce le immagini delle interiorità di coloro che si specchiano, ma le deforma attraverso la sua stessa bruttezza.
Soren ha ragione; John Doe ha sempre giocato sul logorare. È una battaglia psicologica prima che fisica, magica o strategica-come il poker.
Doe è un mercenario che mette i suoi servigi al miglior offerente, senza farsi scrupoli riguardo alla morale o ai conflitti di interesse. È servo di tutti e di nessuno, perchè proprio questa sua incostanza nel cambiare e tradire padroni e clienti lo rende paradossalmente libero, come spiega lui stesso a Soren. Soren è libero perchè ha SCELTO da che parte stare, obbedendo al proprio codice morale. Johannes è libero, invece, perchè non ha nemmeno una morale, un'etichetta o un codice a cui dovere obbedienza. Quella di Soren è la libertà della filosofia e della società. Quella di Johannes della natura e dell'uomo homini lupus. In questo sono inconciliabili e opposti. Eppure è scorretto dire che Johannes è libero da tutti e da tutto, perchè si fa comunque trascinare dai suoi impulsi più bassi, che Soren invece cerca sempre di sopprimere in base a un bene superiore. Quindi, secondo i principi della filosofia orientale soprattutto, Soren sarebbe ancora più libero di John Doe, perchè nonostante quest'ultimo si sia liberato del giogo di Von Honhemein per diventare il nuovo boss (o libero imprenditore, come direbbe lui) mentre Soren sia passato da pedina di Alberich a pedina di Harry Potter e Nora Gillespie, il giovane Prince ha comunque un miglior controllo su se stesso e sui propri impulsi e desidero del suo vecchio mentore/aguzzino. A Johannes piace il gioco d'azzardo, il brivido del pericolo, ha un debole per il lusso pacchiano, il tabacco, i soldi facili e le belle donne. Gli piace anche ferire gli altri, non tanto fisicamente quanto emotivamente, installando in loro il dubbio nominando ad alta voce le loro più profonde e segrete paure. Ah, la banalità del male: l'apparente aspetto mondano del diavolo (inteso non in senso religioso ma morale/etico).
Mi piace il fatto che, nonostante il primo cattivo con cui si confronti Tom è Doe, e il primo aguzzino che vediamo in scena con Soren sia Alberich, i due climax di Aul e Oan riguardano rispettivamente Tom-Alberich e Soren-Doe. Se questa Saga fosse una serie tv forse sarebbe sbagliato, visto che le scene in cui leggiamo di John Doe e Tom fisicamente insieme e in conflitto nella stessa stanza, e di Alberich e Soren nelle stesse situazioni, sono maggiori dei contrari. Ma questa è una storia scritta quindi le introspezioni psicologiche dei personaggi contano tanto e più delle narrazioni visive per quanto riguarda il giudicare la coerenza interna di un’opera. E se guardiamo all’introspezione, alle caratteristiche psicologiche, e ai ruoli narrativi dei personaggi, è chiaro che i due scontri (filosofici e morali prima che fisici o magici) della seconda e terza parte della tua Saga non potevano riguardare altro che questi due personaggi opposti e allineati in questo modo.
Thomas ha un ultimo confronto con Alberich e Soren un ultimo confronto con John Doe perchè entrambi si scontrano con il personaggio che sarebbero potuti diventare se avessero interpretato l parte che un destino tiranno e fortunatamente sconfitto, interpretato da Alberich, avrebbe voluto per loro.
A proposito di ruoli e parallelismi, e di destini: i due giovani che portano il nome/fardello di Severus sulla nave a fare il doppio gioco. Ho adorato (che verbo banale, eh? Continuo a ripeterlo per ogni scena, ma che che posso farci se davvero ho adorato questa storia è questi personaggi) il conflitto morale di Albus su quella nave, e in generale l’introspezione psicologica che questo personaggio riceve negli ultimi dieci capitoli di Opera Al Nero, perchè il rapimento lo porta a interrogarsi su tutta una serie di lati di se’ stesso: i suoi limiti morali, il suo egoismo e il suo spirito di sacrificio, i suoi valori, il proprio coraggio e la codardia e il confine tra di essi...
Se Soren è, a mio avviso, il personaggio con i Pov migliori, Albus Severus in Opera Al Nero diventa (inaspettatamente ma non troppo, per i lettori attenti) il personaggio più stratificato e contorto, e dunque interessante da analizzare. Il modo in cui è assolutamente disposto a sacrificarsi per qualcun altro a mente fredda, gettandosi tra le braccia di un pericolo mortale ,ma solo finchè ha una certezza, anche se minima, di uscirne vivo. Perchè si aggrapperà a quella certezza coi denti e con le unghie, con incredibile e tenace ottimismo, e razionalizzerà il peso del sacrificio che sta compiendo con calcoli e un opportunismo solo di facciata, che adotta perchè deve raccontare a se stesso che non sta facendo l’eroe, ma giocando una partita a scacchi in cui lui sarà anche una pedina, ma una pedina che è scesa in campo consapevole delle regole del gioco, dei rischi che corre ma anche di come evitarli, e soprattutto dopo aver calcolato le probabilità di uscirne vivo, e aver concluso che sono maggiori di quelle che sembrano. Ma il gioco che fa da sfondo a Opera Al Nero non sono più gli scacchi, come in Ab Umbra Lumen, ma il poker: e nel poker, come in tutti i giochi di carte, c’è sempre una variante incognita, irrazionale, che l’intelligenza non può prevedere o calcolare. E poi, per quanto un giocatore possa pensare di aver previsto tutto...c’è sempre la possibilità che l’avversario abbia bluffato per tutto questo tempo. Ed è quello che succede ad Albus su quella nave: aveva pensato di poter anticipare le mosse dell’avversario come in una partita a scacchi, e ha dimenticato che nel poker non puoi davvero vedere le carte di un avversario. Fare piani e previsioni tenendo conto solo delle carte che hai in mano è parte del brivido del poker, certo. Ma è anche ciò che conduce molti alla rovina. Albus ha riposto troppe speranze nella sua doppia coppia e si è reso conto solo al momento di scoprire le carte che i suoi avversari avevano un full.
Quando queste probabilità di uscirne vivo che Albus aveva così attentamente calcolato, da bravo Serpeverde, e a cui si era così tenacemente aggrappato, da bravo Potter, diventano irrilevanti e svaniscono nel giro di un turno come fa la sfortuna in una partita a poker, Albus accetta il compresso che non avrebbe mai pensato di poter sopportare di accettare...tutto per uscirne vivo. Perchè Al è disposto a sfidare incendi, offrirsi al posto di un mentore, sfidare Maghi Oscuri, inseguire fenici nel bosco e lasciarsi trasportare dal Deluminatore...ma solo finchè vede una possibilità, anche minuscola, anche statisticamente irrilevante te, di realizzare l’obiettivo per cui aveva sfidato la sorte in primo luogo. Può sfidare e risfidare la Morte molte volte, ma solo finchè vede una speranza di uscirne vivo, a cui aggrapparsi disperatamente.
Al ha bisogno della speranza per essere eroico e ma ha anche bisogno di razionalizzare il suo eroismo mascherandolo per calcolo e opportunismo ma si vergogna di se stesso quando è davvero opportunista, cosa che avviene solo quando perde ogni speranza è viene messo di fronte alla scelta “fai ciò che è sbagliato o muori”, eppure non si riesce mai a pentire di aver scelto la sopravvivenza di fronte alla sua coscienza. Perchè lo stesso senso di abnegazione per le persone a cui vuole bene, che lo porta a sacrificarsi per il suo mentore Seamus Finnigan, è ciò che paradossalmente gli impedisce di scegliere di mantenere la propria integrità morale a discapito della sopravvivenza. Perchè morendo da eroe testardo magari diventerebbe un martire, ma sicuramente abbandonerebbe le persone che lo amano, che sono preoccupate per lui è che aspettano il suo ritorno...e soprattutto Tom, perchè il loro rapporto è tanto salvifico quanto soffocante, sempre, e nessuno dei due può essere felice se l’altro lo abbandona, e nessuno dei due può morire sereno sapendo di star condannando l’altro a un’infelicità lunga una vita. Si potrebbe dire che ad Al piace fare la parte di quello che si immola senza davvero pagare il prezzo di un sacrificio; oppure, volendo essere più gentili, si può affermare che per Al, idealista e speranzoso ma anche pragmatico, il proprio sacrificio, fatto per evitare di far soffrire la famiglia di Seamus, diverrebbe inutile e controproducente, se causasse la sofferenza perenne della propria, di famiglia. Molto Serpeverde, Potter, molto Serpeverde.
E così Al, per poter riabbracciare i propri cari e soprattutto mantenere la promessa di tornare sano e salvo da Tom, accetta di partecipare alla creazione del Superuomo, chiudendo così un ciclo che Alberich aveva iniziato anni prima con la “creazione” dello stesso Tom.
La Thule avrà perso la creazione vivente più preziosa, ma certo non hanno perso tempo a trovare metodi alternativi per inseguire lo stesso miraggio del mago-soldato invincibile e obbediente, anche senza scomodare altre anime di vaganti e dannate di Maghi Oscuri.
Serialmente, per un personaggio che era partito come il clichè del timido e imbranato in Doppelgaenger, questo personaggio ha avuto una crescita pazzesca, in termini di stratificazione e complessità psicologica. Mi piace anche davvero tanto il fatto che il rapimento di Al ci faccia capire più sulle dinamiche dei cattivi, come funziona il laboratorio, i loro sentimenti verso Doe e la Signora, come chiamano Sophia, le gerarchie.
Lèggerei uno spin-off solo su questo: su Alberich, su Doe, Sophia ed Elias, l’assenza di Thomas su di loro come ingombrante fantasma, memento di quella volta che l’organizzazione creò qualcosa di mai creato e se lo fece rubare...la famiglia della madre russa e il modo in cui vedevano Alberich, i servi Magonò e il perchè l’assenza di elfi, il passato di Cordula...
Mi accontento dei flashback sull’infanzia di Soren, sempre super angoscianti ma anche densi di dinamiche psicologiche complesse e affascinanti nella loro morbosità.
A proposito, perchè Johannes odiava suo padre tanto da voler cambiare nome? Domande, domande, domande. Peccato che questo Saga sia un’opera derivativa di Harry Potter perchè avresti potuto farci mille spin-off e creare la tua, di collana fantasy da milioni di euro, che non avrebbe avuto nulla da invidiare a centinaia di altre saghe fantasy pubblicate, in termine di world-building, sfaccettature psicologiche dei personaggi e complessità delle loro dinamiche.
...Ma allo stesso tempo sono contenta che sia un’opera derivativa di Harry Potter perchè con queste fanfiction hai dimostrato di possedere una capacità incredibile di prendere personaggi conosciuti e trasformarli senza stravolgerli, facendoli crescere in modo impeccabile, interessante e coerente al tempo stesso. Hai avuto la capacità di allargare un mondo che già esisteva senza stravolgerlo, come si vede nell’ultima parte, quando entra in scena Padma. I tuoi protagonisti non sono solo ben delineati, ma sono immersi in un mondo e in una rete sociale che lo è altrettanto. Riesci sempre a rendere i personaggi secondari come umani e reali con poche pennellate, senza mai perdere il focus sulla storia principale. Chapeau.
Colpo di genio il fatto che Padma, ignorata da Ron durante il ballo del Ceppo, provi oggi risentimento non verso Ron, ma verso Harry. Da un lato pone l'accento su quanto fosse forte il legame di Padma con la gemella durante l'adolescenza (tema che tornerà importante perchè è proprio Padma che ha provato per la prima volta l'Incantesimo delle Anime Parlanti per comunicare con Calì ai tempi della scuola) dall'altro serve come una specie di riscatto a Ron che, diciamocelo, spesso quanto è visto dal punto di vista dei ragazzi non ci fa una gran bella figura, essendo un tipo di genitore/zio più rigido e sotto certi aspetti pesante, meno mitico e al tempo stesso meno disposto al dialogo e a mettersi in discussione di Harry.
Anche durante la loro adolescenza Harry era quello che veniva idolatria e miticizzato, quello che ispirava fedeltà e ammirazione anche tra i coetanei...ma tra i tre membri del Trio, è sempre stato Ron quello più bravo a gestire i rapporti con gli altri coetanei, i compagni di casa. Harry era il piccolo prodigio, tanto eccezionale quanto spesso inavvicinabile per via della marea di traumi e segreti che si portava addosso, Hermione la giovane geniale che capiva tutto di tutti ma forse proprio per questo non sempre sapeva relazionarsi ai coetanei da pari a pari, senza atteggiarsi da generale, madre o maestrina. Ron invece era quello che passava ogni tanto del tempo con Seamus, Dean e altri ragazzi loro coetanei, ridendoci e litigandoci e ritornando poi in buoni rapporti come tutti gli adolescenti a quell'età. Per questo ha senso che Padma nutra rancore verso Harry e non verso Ron.
Il dettaglio che Harry L'eroe, che ambisce a essere anche un padre perfetto (ed è paradossalmente proprio questa la sua piu grande pecca come padre) non ami il fatto che I suoi figli, ormai tutti adulti, trovino altre figure di riferimento al di fuori da lui è un dettaglio di caratterizzazione magistrale, che butti lì come un pensiero veloce di Ron, ha perfettamente senso con la caratterizzazione che hai dato di Harry adulto nella tua storia. È questo che mi piace del tuo modo di scrivere: il modo naturale con cui dopo molti capitoli rendi espliciti dettagli psicologici dei protagonisti che precedentemente erano rimasti sotto la superficie, presenti ma impliciti, solo per i lettori attenti. Non è "show don't tell" ma "spiega solo dopo aver mostrato". I like it.
Per quanto riguarda l’ultima parte...faccio copia e in colla del finale che mi ha fatto morire dal ridere. Essere comici è più difficile che suscitare commozione perchè bisogna avere una profonda conoscenza delle dinamiche nascoste di quello di cui si va a parlare per poterci ridere sopra. Tu, dei tuoi personaggi e delle loro relazione, ce
‘hai molto più di altri autori pubblicati. Anche in questo caso si nota la bravura: iniziare un capitolo con toni melodrammatici ed epici, e finirlo con un sorriso. E il sorriso e la commozione sono entrambi scaturiti dagli stessi meccanismi psicologici dei personaggi che li hanno portati a questo punto.
“Io no, ma Lily Luna sì.” Li guardò entrambi. “È con lei che ci sto lavorando da mesi. Essendo una Legimante Naturale ci ha messo meno della metà del resto dei miei allievi a padroneggiarlo … del resto, legge nelle emozioni altrui da quando è nata.”
Ed ecco un altro ragazzino che viene coinvolto…
Harry era scuro come una nube temporalesca, ma non stava dando di matto, quindi era praticamente un assenso a procedere. “Per noi va bene.” Assolutamente no, ma poco importava a quel punto.
“Bene, va’ a chiamarla. È a casa, ma è reperibile.” Disse all’altra Psicomaga. “Io vado a preparare i pazienti.”
Quando se ne andò, Ron fece un lungo sospiro. “Beh, almeno James…”
“Sta’ zitto Ron.”
Scosse la testa, perché mai avrebbe obbedito ad un ordine di quell’insopportabile testone del suo migliore amico. Non quando si comportava in quel modo perlomeno. “Io te l’avevo detto che rinchiuderli in una torre era una buona idea, ma tu non hai mai voluto darmi retta.”
“Ce li ho rinchiusi. Hogwarts è piena di torri.” Harry fece una smorfia disperata. “I guai li hanno trovati pure lì.”
A quello c’era poco da ribattere. Gli diede una pacca sulla spalla e gli rimase accanto: come avrebbe fatto fino alla fine dei loro giorni.
Ho amato la frase conclusiva del capitolo. Davvero- questa Saga è tanto sui ragazzi quanto su Harry padre e adulto, tanto sulle innovazioni quanto sui richiami al passato, e questo passaggio contiene entrambe le cose. Da un lato Parma, Lily Luna Lena (tutto attaccato che suona bene)e il loro esperimento psico magico, dall’altro i ricordi sul Ballo del Ceppo, e soprattutto l’Amicizia tra Ron e Harry, più forte del tempo e dei difetti di entrambi. Ron è l’amico che “non avrebbe mai obbedito” a Harry, ma lo segue per non lasciarlo da solo. Questa per me è vera amicizia, pura.
(Recensione modificata il 02/11/2022 - 04:25 pm) (Recensione modificata il 21/11/2022 - 05:22 pm) |