Recensioni per
Cuori, quadri, fiori, picche: welcome to Wonderland
di syontai

Questa storia ha ottenuto 581 recensioni.
Positive : 581
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
19/06/14, ore 13:49

Wow!!! Ke scena romantica che c'è fra i due futuri fidanzati. Come al solito c'è una parte che amo ed é :
Avrebbe voluto ribattere ancora, per fargli capire che non aveva intenzione di seguirlo, quando la porta di legno si aprì cigolando. “Ma chi si rivede, vi stavo aspettando!” strillò Beto, martellandogli le orecchie. “B-beto” salutò timorosa Violetta, vedendosi in due secondi catapultata dentro la stanza, resa accogliente dal camino acceso. Al centro, sul tavolo da tè, c’era un giradischi in bronzo, che diffondeva la musica che li aveva tanto attirati. Il Ghiro e la Lepre Marzolina stavano saltellando, imitando una sorta di ballo. “Basta con questa stupida musica!” esclamò il Cappellaio, alzando la punta del giradischi, con fare stizzito. La musica si fermò e si sentì solo il canticchiare dei due compari dell’uomo. Il Ghiro quel giorno sembrava particolarmente attivo, e si scatenava anche senza accompagnamento musicale. Beto, agitatissimo come sempre, dall’enorme quantità di teina che scorreva nel suo corpo, prese una padella e gliela diede in testa con una violenza inaspettata; il povero animale traballò per un secondo, poi cascò a terra, e cominciò a ronfare nuovamente. “Ci voleva” sentenziò soddisfatto, riposando l’arma sul tavolo. Violetta si chinò preoccupata vicino al Ghiro, per sapere se stesse bene: “Ma…questa è una pazzia! Non si dovrebbe fare del male agli animali in questo modo”. “Lui ha la testa più dura di una noce, non preoccuparti, Violetta cara, hai altre questioni più importanti da affrontare” disse l’uomo, facendosi improvvisamente serio. Il suo sguardo saettò sul principe Vargas, rimasto all’ingresso, profondamente confuso. “Ehi, tu, stoccafisso, entra, mica mordiamo” sghignazzò la Lepre, prendendo una tazzina e bevendone il contenuto in un solo sorso. “Noi dobbiamo andare” ribatté Leon con la sua solita freddezza. “Meno male che c’è un camino, il tuo tono di voce è da brividi, amico” rise Beto, afferrando il braccio di Leon e trascinandolo dentro. “Ho qualcosa che fa per noi!”. Si avvicinò ad una mensola fissata alla parete e tirò fuori da una pila di dischi polverosi un disco di un colore arancione chiaro. Leon scoppiò a ridere, ma non era una risata malvagia, sembrava piuttosto una risata isterica: “Non crederete davvero che io mi metta a ballare con voi pazzi scatenati? No, io e Violetta torniamo al castello”. Il modo in cui aveva marcato il suo nome la fece rabbrividire, e i suoi occhi che le ordinavano di alzarsi e di seguirlo erano peggio di una doccia fredda. “Ma…solo un ballo” lo supplicò, alzandosi e avvicinandosi con un’espressione tenera. Amava ballare, quasi quanto cantare, e anche se profondamente squilibrati quei tre compari erano a loro modo simpatici, e soprattutto abbastanza innocui. “Non mi incanti con quella faccia” esclamò Leon, voltandosi dall’altra parte. Doveva mostrarsi forte, anche se quel viso così dolce faceva crollare in un secondo tutte le sue difese. Violetta, consapevole del potere che in quel momento aveva su di lui, sorrise maliziosa, si aggrappò alle sue spalle, e si avvicinò con la bocca al suo orecchio, in punta di piedi. “Per favore, uno solo. In fondo ancora non è buio” gli sussurrò dolcemente. Leon si irrigidì di botto, e chiuse gli occhi. Sospirò profondamente in segno di resa, e la ragazza lo abbracciò da dietro entusiasta: “Grazie Leon, grazie mille”. Le mani di Violetta gli cingevano il busto, con un affetto che non aveva mai provato, e che gli stava lentamente scaldando l’anima. Sentiva il volto appoggiato sulla schiena, il calore emanato dal suo corpo. Brividi di emozione correvano lungo il suo corpo, fino a raggiungere le punte delle dita, fino a sconvolgere ogni singolo neurone del cervello. “Ma dopo dritti al castello” precisò, per dimostrare di non essere stato completamente vinto. “Assolutamente si!” esclamò la ragazza, prendendogli la mano e cercando di portarlo al centro della stanza. Leon si ritrasse di colpo inorridito: “No, non ci siamo capiti! Non ho intenzione di ballare!”. “Dai, Leon! Altrimenti non mi divertirei” mormorò lei, arrossendo. L’aveva ammesso, aveva ammesso di provare qualcosa per Leon. Non nel modo tradizionale, non c’era stato alcun ‘ti voglio bene’ o ‘ voglio stare con te’, ma il suo cuore si era appena dichiarato intenzionalmente, e in maniera implicita. Non aveva mai battuto così forte, non le aveva mai mandato segnali così chiari, ed era giunto il momento di seguirli. Solo che Leon non sembrava voler ballare, forse non le interessava avere nulla a che fare con lei. E nonostante cercasse di sorridere quella situazione le faceva male: il principe continuava a fissarla di sbieco, non ancora consapevole di cosa quelle parole potessero voler dire. Per fortuna Beto agì in tempo, infilando il disco con un vigore tale che il giradischi quasi non cadde dal tavolo per l’urto. La musica cominciò a partire, vivace e coinvolgente, e Leon si sentì frastornato all’inizio, mentre subito dopo si trovò al centro di un cerchio. Il Ghiro, la Lepre, Beto e Violetta lo circondavano di spalle, ridendo come pazzi. “Ma che…?” imprecò, cercando di uscire da quella prigione. “E dai, sangue reale, lasciati andare. E’ la quadriglia dell’aragosta, chi non la balla ha una faccia tosta!” strillò Beto, sciogliendo il cerchio, e formando delle coppie. La Lepre ballava con Violetta, e Leon era in mezzo a Beto e il Ghiro che, una volta risvegliato, era ancora più scalmanato di prima. Il Cappellaio ghignò soddisfatto e fece un cenno alla Lepre, che si spostò di scatto, lasciando sola Violetta in mezzo alla stanza. “Cambio partner” sghignazzò l’uomo, dando una spinta a Leon, che rischiando di inciampare si ritrovò quasi tra la braccia di Violetta. “S-scusa”. Leon era profondamente mortificato per la situazione. La musica andava avanti, con un ritmo sempre più lento. O forse erano i loro cuori che registravano i rumori all’esterno più lentamente. Leon cercò di dire qualcosa, ma Violetta posò un dito sulle sue labbra: “Non rovinare questo bel momento. Voglio solo ballare con te”. Gli prese la mano, e gliela mise intorno alla vita teneramente, quindi posò la destra sulla sua spalla, e lo guidò con dei piccoli tocchi leggeri.
“Mi piace stare con te” esclamò d’un tratto il principe, seppur con un notevole impaccio nel seguire i suoi movimenti. La melodia adesso era romantica; ispirava dolcezza ed amore. Non capivano come la stessa musica potesse assumere tutte quelle sfumature. Beto sorrise disinvolto: non per niente aveva messo la Quadriglia delle Aragoste. Un brano magico in grado di adattarsi alle emozioni di coloro che lo ballavano. Violetta continuava a guardarlo dritto negli occhi, e si chiese come sarebbe stato bello vederli brillare per amore. Avrebbe tanto voluto che provasse i suoi stessi sentimenti, sentimenti che si erano lentamente manifestati, con una forza ormai devastante. La mano che le sfiorava il fianco, rafforzò timidamente la sua presa. Leon sorrideva impercettibilmente, rispondendo alla dolce espressione della ragazza. Si sentiva rilassato per la prima volta in vita sua: non sentiva i sensi di colpa per tutti i crimini commessi, non sentiva gli ordini della madre o il desiderio di sangue. Stringendo quella creatura così fragile desiderava stare con lei in quella casa per sempre. Anche a costo di sopportare la compagnia di quelli stranissimi tipi. “Mi sento strano quando sono con te” le confessò all’orecchio, senza riuscire ad evitare di ispirare profondamente, in cerca del suo profumo, solleticandole così la pelle. “Ed è qualcosa che ti fa stare bene?” chiese lei, non sapendo se volesse davvero conoscere la risposta. “Si, lo è” rispose semplicemente, sfiorandole la guancia con un dolce bacio. Violetta tremò quasi per quel gesto e non fosse per la forte presa che il ragazzo stava esercitando sulla sua vita, avrebbe potuto crollare sul pavimento in un istante. La musica finì di colpo, riportandoli alla realtà. “Non avrei dovuto, sono stato scortese” si scusò Leon, per il modo in cui era stato esplicito e irrispettoso. Per la prima gli importava davvero del modo in cui trattava qualcuno. Da piccolo aveva sempre prestato una pedissequa attenzione al galateo, che gli veniva insegnato ogni giorno. E anche adesso che era più adulto in pubblico si era sempre mostrato rispettoso, ma…con Violetta era diverso. Avrebbe potuto trattarla male, avrebbe potuto farne quello che voleva. E non l’aveva fatto. Ci teneva a quella ragazza, ci teneva davvero; e quel misto di nuove emozioni lo spaventava. Perché quel desiderio di voler stare sempre stare tra le sue braccia? Perché quel bisogno fisico di baciarla, come se fosse l’obiettivo di tutta la sua vita fin lì? Senza rendersene conto, ormai i loro corpi si toccavano, le sue braccia la stringevano con naturalezza a sé, e lo sguardo era fin troppo combattuto, se cedere o no alle lusinghe delle sue labbra socchiuse che lo chiamavano. Violetta se ne accorse, ma non disse nulla, in attesa di una sua mossa. Alla fine Leon cedette: chiuse lentamente gli occhi, e la baciò lentamente. All’esterno non era un bacio appassionato, ma dentro le loro anime si toccavano, e si conoscevano, attraverso quel semplice gesto. Leon ebbe una scossa che non aveva mai provato in vita sua. Non era adrenalina pura, non era nemmeno paura. Era qualcosa di diverso. E se fosse quello l’amore di cui tanto gli parlava Humpty? Sorrise. Il sapore era proprio come se l’era immaginato: una dolcezza sconfinata. O forse era anche meglio. Esercitò una pressione leggermente più forte, e la sentì fremere tra le sue braccia. Affondò ancora le labbra nelle sue, desideroso di conoscere ancora di più quella strana sensazione. Dopo un tempo indefinito, anche a causa della bolla temporale che avvolgeva quella casa, lentamente si separò e riaprì gli occhi di scatto, poggiando la fronte sulla sua. Voleva conoscere la sua reazione, sperava di non aver agito male, di non essersi lasciato andare per un pugno di mosche. Il suo enorme orgoglio non avrebbe retto un rifiuto. Violetta socchiuse gli occhi, come assaporando ancora quel momento, poi li aprì del tutto, e lo guardò. Lentamente un dolce sorriso si dipinse sul suo volto, e Leon capì. Completamente euforico la baciò ancora, e ancora. Erano baci veloci, dei semplici tocchi di labbra, ma bastavano a far perdere la testa ad entrambi. Si erano dimenticati perfino che qualcuno li stesse osservando.
Violetta ancora non riusciva a credere di aver dato il suo primo bacio. A Leon. Se qualche mese fa glielo avessero detto lei avrebbe semplicemente riso per quella paradossale, quanto sgradita, battuta. Eppure adesso le sembrava la cosa più naturale del mondo. Anzi, tutto ciò che era successo prima di quel bacio aveva perso importanza. Era come se avesse iniziato solo in quel momento la sua avventura in quel mondo. Ogni volta che Leon la baciava sentiva che attraverso il bacio le diceva tutto ciò che a parole non sarebbe mai riuscito ad esprimere. Avvertì il naso di Leon affondare nella sua guancia, solleticandola leggermente, e le venne da ridere. Il principe, come contagiato, ridacchiò anch’egli, e si separò a malincuore. Continuò a guardarla negli occhi, e le strinse la mano, per poi darle un bacio sulla guancia. Il rumore di applausi li risvegliò da quella sorta di sogno, e i due si allontanarono imbarazzati.

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:47

Ecco qui le parti che amo di questo capitolo sensazionale:
La freccia sibilò con una velocità incredibile, mentre la punta acuminata si rifletteva negli occhi brillanti della giovane; si conficcò vicino al centro del bersaglio, con un tonfo sordo. “Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!” esclamò, saltellando dalla gioia. Si voltò di scatto, lasciando cadere a terra l’arco, e si fiondò tra le braccia di Leon, tenendosi stretta a lui, e facendo passare le braccia intorno al collo. Leon rimase spiazzato, con lo sguardo vitreo, e fisso nel nulla. I capelli di Violetta gli ondeggiavano davanti agli occhi, e tutto il resto aveva perso importanza. Sentire quel corpo fragile che gli trasmetteva un calore mai provato, gli fece venire il desiderio di prometterle di proteggerla sempre e comunque da chiunque. Chi era lui per promettere però protezione? Un carnefice, un assassino. Non era stato nemmeno in grado di proteggere le persone che amava. No, non meritava nulla di tutto quello, non era giusto che si sentisse così felice, così appagato dalla presenza di Violetta. Lui era un mostro. Ma la luce della sua anima che giaceva nell’abisso, sollecitata in non sapeva quale modo, brillava con più forza, chiedendo a qualcuno di trovarla. Leon rafforzò la presa, quasi inconsapevolmente, e aspirò a fondo il suo profumo, un misto di essenza di rose e lavanda. Ma non era una profumo forte, invasivo, era semplicemente il suo profumo. E si rese conto che avrebbe desiderato svegliarsi ogni mattina con esso. Colto da un senso di colpa ancora più frustrante, si allontanò, girando i tacchi, con l’intenzione di dirigersi al castello, ma la mano di Violetta arpionata al suo braccio, non gli permise di fare un solo passo. “Leon, vedo che stai meglio con la spalla”. Il principe si voltò a rallentatore, pendendo dalle sue labbra, quelle meravigliose labbra rosee e sicuramente dal sapore dolce. Avrebbe tanto voluto assaggiarle, ma aveva paura che potesse sentirsene dipendente, e ancora un velo di orgoglio lo tratteneva. “Si, sto meglio” rispose tranquillamente, cercando il suo sguardo. Ne aveva bisogno, voleva sapere cosa stesse pensando. E quando lo trovò ne rimase ancora una volta incantato. Perché doveva fargli sempre quell’effetto? Perché si lasciava vincere così facilmente? “Bene, allora non dimenticarti la nostra promessa. Che ne dici di andare oggi per l’ora di pranzo al limitare del bosco? Porto io da mangiare” propose con un sorriso solare.
Non se l’aspettava affatto. Tutto, ma non quella proposta che in cuor suo aveva desiderato venisse posta fin dal giorno in cui si erano ritrovati a leggere insieme delle stramaledette poesie. “Va bene. Ci vediamo all’entrata all’una, quando il sole è in alto” rispose secco, per poi allontanarsi a passo lento, mentre Violetta lo osservava sorridendo sempre di più. Qualcosa era cambiato, non solo in Leon, ma anche in lei. E adesso ne era quasi certa, il fremito che gli aveva provocato la sua sola vicinanza, il desidero di abbracciarlo, di sentirsi al sicuro tra le sue braccia, non poteva essere frainteso: era innamorata. Non si trattava di una semplice cotta, non poteva smettere di pensare a lui. Era innamorata davvero sul serio, e prenderne consapevolezza in quel modo la spaventò un pochino, ma in fondo subito il suo cuore si sentì leggero come una piuma. Adesso rimaneva solo da pensare a preparare il pranzo da portare. Cominciò a correre verso il castello, mentre numerose idee sulle pietanze che avrebbe potuto preparare le affollavano la testa. Quel pomeriggio sarebbe stato speciale, lo sentiva. “Nessuno aiuta un vecchio e saggio, eh?” rise l’uomo-uovo, che per alzarsi dal ciocco rischiò di rotolare per terra. “D’altronde sono giovani. Così sognatori, ma soprattutto così innamorati”.
Leon batteva nervosamente il piede all’ingresso, tenendo d’occhio la scalinata. Non sarebbe venuta, e la sua era stata una perdita di tempo. Come poteva pensare che si sarebbe davvero presentata? Forse aveva deciso di prendersi gioco di lui…Il solo pensiero lo faceva ribollire di rabbia, e già nella sua testa stava cercando di decidere in che modo vendicarsi di quell’affronto, quando un rumore di passi lo fece voltare verso il salone d’ingresso. Violetta avanzava indossando un vestito turchese, dai ricami bianchi floreali, molto stretto sulla vita, che risaltava le sue forme. E in quel momento il vestito che indossava nella mente di Leon passò quasi in secondo piano. Non aveva mai fatto pensieri di quel tipo, ma in quella situazione gli sembrò impossibile non farne. Avanzava a passo svelto con un cestino di vimini in mano e le guance arrossate per la corsa che doveva aver fatto. Ancora una volta doveva ringraziare la sua cattiva fede per averlo messo sulla via sbagliata. “Scusa per il ritardo, solo che non sapevo…”. “Che indossare?” completò lui, sicuro della sua intuizione. “No, che preparare. Il vestito me l’ha prestato Lena, a lei sta un po’ grande” rispose Violetta, lisciandosi le pieghe, incerta, all’ingresso. Leon si riscosse dalla bellissima visuale che aveva davanti, e annuì alle parole pronunciate poco fa, dandosi dell’idiota per aver pensato che ci avesse messo così tanto per prepararsi, quando aveva impiegato tutto il suo tempo per cucinare qualcosa che potesse essere di suo gradimento.
“Mi dispiace per averti fatto aspettare” esclamò, mentre camminavano l’uno affianco dell’altro fuori dalle mura, dirigendosi lungo la verde vallata verso il limitare del bosco. “Non è nulla” disse Leon, avanzando sempre più velocemente per la destinazione. “A che ti serve quella spada?” domandò la ragazza, cercando di intavolare una qualche conversazione, pur di rompere quell’imbarazzo iniziale. “Se qualcuno ci dovesse attaccare…” eluse abilmente il tentativo Leon, stringendo l’elsa della spada, per infondersi sicurezza. “E perché dovremmo essere attaccati?”. “Fuori da quelle mura tutto è possibile” replicò il principe, indicando le imponenti strutture di difesa che estendevano la loro ombra sulla valle. Finalmente raggiunsero le prime tracce di vegetazione che si fece sempre più fitta ad ogni passo. “Dove stiamo andando?” chiese Violetta, incerta. “In un posto speciale” rispose l’altro, evasivo come sempre. Raggiunsero il viale rosso fuoco, e Leon le fece cenno di allontanarsi da esso, scostando alcuni rami bassi, per cavalleria. Violetta sollevò leggermente la gonna e chinò il capo lasciandosi nuovamente inghiottire dal folto della foresta da cui tutto aveva avuto inizio. “Siamo quasi arrivati” la informò il principe, lasciando tradire leggermente l’emozione che provava in quel momento. Quando l’ultimo ramo fu scostato, si trovarono su una piccola radura isolata nel bel mezzo della foresta. Il prato era intervallato da accorpamenti di fiori dai colori variopinti, e alcune farfalle volteggiavano pigramente da un fiore all’altro, mettendo in mostra le proprie ali. “Ti piace?” chiese dopo qualche minuto di silenzio, in attesa del verdetto, teso come non mai. “E’…perfetto. Sembra un piccolo paradiso” esclamò Violetta, stupefatta, guardandosi intorno. Il ricordo dell’incubo la investì congelandole il sangue. Quella radura…era esattamente quella del sogno!
Un bacio💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:42

La tua storia diventa sempre più emozionante!!!
La parte che adoro è:
“Penso che dovrei andare” disse osservando il panorama ingiallito dalla luce del tardo pomeriggio. “Mi piacerebbe tanto uscire di qui con qualcuno” esclamò improvvisamente, pentendosi immediatamente dell’audacia con cui si era azzardata a parlare. Leon la guardò interrogativo: “Che cosa significa ‘uscire con qualcuno’?”. Violetta si aspettava tutto, ma non quello: “Significa…ecco…che un ragazzo e una ragazza passano del tempo da soli, all’aperto, magari pranzando insieme, o non so…”. Il principe annuì, e quindi si alzò. Si inginocchiò, imbarazzato, prendendole la mano. “Che cosa stai facendo?” domandò, rossissima in volto. Leon si rialzò di scatto, guardando per terra: “Non si fa così?”. “Così cosa?”. “Non si fa così per chiedere ad una ragazza di uscire?”. “No, beh, non necessariamente” spiegò, mordendosi il labbro per la dolcezza dell’inchino del ragazzo. Sembrava un bambino perso in un bicchier d’acqua. “Ah…e…tu usciresti con me? Si dice così?” domandò nuovamente il principe Vargas, con voce tremante. “Mi farebbe davvero piacere. Magari quando starai meglio con la ferita” rispose Violetta, salutandolo con un cenno della mano, e avviandosi a passo spedito fuori dalla biblioteca. Leon si risedette afflitto: la verità è che probabilmente non ci teneva a stare da sola con lui, e con la scusa della ferita aveva rinviato tutto, nella speranza che se ne dimenticasse.
Humpty non appena ebbe visto la ragazza uscire e notando al volo il modo con cui Leon la guardava andarsene, si avvicinò cautamente fino a sbucare alle sue spalle. Si sedette di fronte a lui: “Problemi?”. “Ti è mai capitato di sentirti completamente privo di forze, come se tutta la tua volontà e voglia di andare avanti si fosse spenta in un secondo?” sbottò Leon, amareggiato. “Cosa intendi?” lo interrogò l’altro, evidentemente interessato dalla profondità che finalmente il principe stava cominciando a tirare fuori. “Non sempre si può avere ciò che si vuole, giusto? E’ questa la lezione, no? E allora perché anche prendendone atto, non si può guardare dritto davanti a sé e basta, senza crearsi tanti problemi?”. Leon si alzò, stringendo i pugni, il viso contratto in una smorfia di dolore, per lo sforzo eccessivo fatto. Humpty si posizionò di fronte a lui, e gli mise una mano sul cuore: “Sai cosa significa, Leon? Che sei innamorato…ed è la sensazione più meravigliosa e distruttiva del mondo”. Leon abbassò lo sguardo e fece qualche passo indietro, dondolando, come privo di equilibrio: “N-non è vero, non è come pensi!”. Il bibliotecario scosse la testa, aspettandosi questa negazione, ma doveva battere il ferro finché era caldo: “Smettila di far finta di essere cieco, e guarda in faccia alla realtà. Tu sei innamorato. Innamorato di Violetta”.
Ecco qui la parte che mi piace troppo ti saluto un bacio💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:35

Come sempre scrivi in un modo incantevole la parte che amo è:
Finalmente il volto di Leon si rilassò al sentire quelle note, quella voce…era come se l’equilibrio fosse tornato nella sua mente ancora annebbiata dalla febbre, era come se qualcuno fosse finalmente venuto a salvarlo da quel buio, quell’oscurità e quel male di cui aveva sempre avuto paura ma che aveva sempre abbracciato come la sua fede.
Plick. Pluck. Le gocce scorrevano inesorabili in quella gabbia, fatta di sottili fasci neri. Leon osservava il mondo esterno, avvolto dalle ombre, mentre la testa gli scoppiava. Le immagini scorrevano velocissime, e non aveva nemmeno il tempo di assimilare l’atrocità di una, che subito quella dopo lo tempestava come un flash. Stava impazzendo, e desiderava solo che tutto avesse fine. E alla fine successe. La testa si svuotò improvvisamente, e una mano candida attraversò le sbarre, afferrando la sua. Quel calore…lo aveva già conosciuto quel calore così piacevole; e poi quella voce. Non poteva sbagliarsi, la voce di Violetta non l’avrebbe potuta confondere tra mille. Senza saperlo si ritrovò tra la sue braccia, all’esterno, stretto a lei. Il suo profumo placava i suoi sensi, e improvvisamente tutto intorno non vi era più nulla. Non oscurità, solo vuoto. E senza più alcuna volontà, completamente rapito dalla voce di Violetta, si inchinò di fronte alla ragazza, facendo scorrere la mano tra la sua, apprezzandone il candore e il tepore. Quindi si avvicinò sempre di più con le labbra, sfiorandone la pelle, e lasciando un lieve bacio, lieve come neve sciolta, come la sensazione di frescura di un soffio di vento. “Sei il mio principe” disse Violetta, smettendo di cantare, con un sorriso solare, arrossendo per quella strana situazione. “Sarò ciò che vuoi, Violetta, ma ti prego, non smettere di cantare. Fallo per me” la implorò, rialzandosi lentamente in piedi, mentre tutto intorno prendeva velocemente colore. Violetta gli sfiorò il braccio con dolcezza, intonando ancora la canzone, con la sua voce pura come la limpida acqua che sgorga zampillando dalle sorgenti più nascoste. Arancione, viola intenso, rosso sangue, tutto gli appariva sfocato intorno. Si ricordò della vecchia immagine del libro, e sorrise scioccamente: possibile che si fosse veramente innamorato? Possibile che non riuscisse a togliere quella ragazza dai suoi pensieri?
La luce dell’alba con i suoi raggi irruppe a forza nella stanza. Leon aprì gli occhi per qualche secondo, prima di richiuderli frastornato da un mal di testa insopportabile, e da una strana spossatezza. Sentiva caldo e i brividi allo stesso tempo. Cercò di muoversi, ma la spalla gli faceva troppo male, quindi decise di rimanere disteso, e di riposarsi ancora. Ricordava poco di quello che era successo prima che perdesse i sensi. Era ancora troppo frastornato per pensarci. La mano destra era stretta attorno a qualcosa di caldo, e all’altezza del ventre avvertiva un peso leggero. Si decise ad aprire nuovamente gli occhi, sfidando la luce intensa, e vide i riflessi brillanti sui capelli leggermente mossi della ragazza, profondamente addormentata. Aveva il braccio destro disteso su di lui e la testa poggiata su di esso. Era bellissima, e sarebbe rimasto ore a guardarla, poi si rese conto che le loro mani erano strette. Sorrise quasi inconsapevolmente, e si ricordò del sogno che aveva fatto quella notte quando aveva riacquistato un po’ di lucidità. Non ne ricordava tutti i dettagli, ma era certo che ad un certo punto lui si fosse inchinato al cospetto di Violetta, come nell’immagine del libro che gli aveva mostrato Humpty Dumpty. Non ebbe il coraggio di sciogliere quella stretta, non voleva svegliarla e non voleva abbandonare quella mano. Mosse il braccio sinistro, rimasto illeso, fuori dalla coperta e sfiorò il più delicatamente possibile la guancia della giovane. La sensazione dell’accarezzare era proprio identica a quella del sogno, ma le emozioni erano più intense, più vive. Fece scivolare la mano sui suoi capelli, incerto sul perché sentisse il bisogno di agire in quel modo. Portò le dita alla narice ed ispirò il profumo intenso che emanavano quei capelli. Ma ciò che catturò la sua attenzione più di ogni altra cosa era la bocca socchiusa di Violetta, che non chiedeva altro se non di essere baciata. Le labbra sottili, ma non troppo, lo ipnotizzavano completamente, provocandolo. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, per non cedere a nessuna di quella tentazioni. Ma che gli stava prendendo? Lui non era così, non lo era mai stato. Chiudendo gli occhi, il battito del cuore tradì comunque i suoi sentimenti. Cercò di muovere la mano destra per metterla sul petto e rendersi conto di quello che stava succedendo, ma si scordò che era ancora stretta in quella di Violetta, e in più il dolore sulla spalla e all’altezza del petto non glielo permetteva. Quell’impercettibile movimento comunque fece svegliare Violetta lentamente, che emise un piccolo sbadiglio, strizzando gli occhi più volte. Le immagini erano ancora un po’ sfocate, ma dopo qualche secondo si abituò alla fortissima luce, ed incontrò per un secondo lo sguardo di Leon. “Buongiorno” disse con un mezzo sorriso, sbadigliando nuovamente. “Che ci fai qui?” chiese direttamente Leon, senza perdere tempo. Voleva essere sicuro che non fosse successo quello che temeva. Non voleva avere debiti nei suoi confronti, voleva solo che fossero il più distante possibile. “Sono rimasta tutta la notte con te” rispose. Era sincera, lo leggeva nei suoi occhi, nella sua voce; e si maledì per quella sciocca domanda. Che sperava di ottenere allontanandola? Non lo sapeva, ma si sentiva debole al suo cospetto, ed era una sensazione altamente sgradevole. “Adesso puoi andare, ci penserà il medico a me” ordinò il principe, cercando di mettersi seduto sul letto. Ma quel movimento gli era impossibile a causa del ferita aperta, e sul suo viso si disegnò una smorfia di dolore. Due mani si poggiarono sul suo petto e lo spinsero nuovamente indietro facendolo tornare disteso. Violetta lo guardava seria, a qualche centimetro dal suo viso e non accennava a togliere le mani dal petto, impedendogli il più piccolo movimento. “Non devi fare nessuno sforzo” sibilò la ragazza, osservandolo attentamente. “E chi ti dice che quello sia una sforzo?” ribatté Leon, con aria di sfida. Ma un’occhiata di Violetta lo intimorì all’istante, facendolo sentire un cucciolo abbandonato. “Non ti muovere” scandì bene ogni sillaba. Si rese conto che le sue mani premevano sul suo petto nudo con insistenza, e non sapeva come reagire. “E come potresti impedirmelo?” continuò, lasciandosi guidare dal suo eccessivo orgoglio. Violetta non disse nulla, rapita da qualcosa, forse dal suo sguardo, non sapeva spiegarselo bene. Sapeva solo che i brividi di freddo erano sostituiti da un calore che premeva sulla pelle, ansioso di scatenarsi all’esterno del suo corpo. La porta si aprì, interrompendo quel momento, e Violetta con uno scatto si allontanò dal letto, arrossendo.
Mi piace assai questo capitolo ciao

Recensore Veterano
19/06/14, ore 13:35

Forza la coppia leonetta !!! Lui dolce per la prima volta, lei gelosa da morire (e come biasimarla). Lena decide di non dire niente (si lascia andare ad un grido isterico), ma arriva la futura moglie di Leon, Ludmilla (si mette a imprecare in turco). E come se non basasse la regina sospetta di Leon e Violetta (inizia a piangere). Ti prego non separare la coppia leonetta !!!
Aggiorna presto.
Un bacio.

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:31

Wow è sconvolgente per l'ultima parte mi stavo mettendo a piangere come una bambina!!!!
La parte che preferisco non può mai mancare ed è questa:
lentamente adagiando Leon sul letto. Jade aspettò che terminassero quel compito e che lasciassero la stanza, avvicinandosi alla finestra e fissando fuori da essa. “Qui abbiamo finito” disse uno dei due, avvicinandosi alla regina, e facendo un rapido inchino. La regina si voltò e nei suoi occhi scurissimi ancora brillava il riflesso dei raggi del sole: “Bene, lasciatemi solo con mio figlio”. Il suo tono di voce lasciava trasparire in minima parte la sofferenza e la paura che provava Jade. Anche se non poteva sopportare la vista del figlio, in quanto le ricordava l’odiato marito, il senso materno le impediva di rimanere serena di fronte al volto pallido del giovane, che ansimava con la bocca socchiusa. Delle gocce di sudore gli scorrevano libere sulla fronte, risaltando ancora di più quel colorito così anormale, cadaverico. “Non farlo, Leon. Non morirai, non sarai debole come tuo padre. Tu e la morte non siete fatte per stare insieme, lotta, come ti ho insegnato. Con odio” sibilò la donna avvicinandosi al capezzale del figlio e sfiorando il braccio olivastro del giovane adagiato sul materasso. In quel preciso istante due uomini con un camice bianco e delle valigette in pelle marrone fecero il loro ingresso, guardando impazientemente la fasciatura di fortuna attorno alla spalla di Leon. La macchia vermiglia si diffondeva lungo il tessuto, mentre il giovane digrignava i denti, con gli occhi chiusi e in uno stato di incoscienza, come scosso da mille brividi. “E’ in preda alla febbre scatenata dall’infezione” disse uno dei due, attendendo un cenno d’assenso dal collega. Leon aveva preso a sudare e il volto contratto in smorfie di dolore preoccupò ulteriormente i due esperti, chiedendo alla regina di uscire per lasciarli lavorare. Jade annuì, ma prima di lasciare la stanza si voltò un’ultima volta: “Salvatelo. Se non lo farete, allora non sarà solo lui a morire”. Il più giovane, circa sulla quarantina, fece tremare per lo spavento l’attrezzo metallico nella mano, probabilmente per estrarre eventuali frammenti della spada dalla ferita. “Ci riusciremo, regina” rispose l’altro, decisamente più anziano, e dal sangue più freddo. La regina fece un mezzo sorriso, come avvertimento finale, quindi uscì per tornare nella sua stanza. Il ricordo del re di Cuori gravava come una maledizione, per quanto provasse a rimuoverlo. Poteva ancora vederlo: quel volto disteso e solare, sempre pronto a regalare un sorriso a tutti, tranne che a lei. “Non me lo porterai via, mai!” sibilò nel corridoio deserto, portandosi le mani alla testa per l’improvviso mancamento. Leon era l’unico bene che le era stato donato da Javier, e non intendeva perderlo per nulla al mondo.

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:27

Wow!!! È sensazionale questo capitolo come sempre la parte che adoro è questa:
Violetta avanzava sicura per la foresta. Non era la stessa foresta che aveva attraversato prima di raggiungere il Castello di Cuori. La vegetazione era molto diversa, più fitta, e selvaggia. Uno strano odore di fumo attirò la sua attenzione, seguito da un vociare sempre più diffuso. Si fece strada, sempre più confusa, e si trovò nei pressi di quello che sembrava essere un accampamento distrutto. Più avanzava più sentiva la testa pesante, ma non poteva fermarsi, era come se i piedi si muovessero indipendentemente dalla sua volontà, e le sembrava tutto assurdo. Un giovane con un medaglione a forma di trifoglio era piegato su un altro ragazzo che sembrava svenuto. “Allora, perché non si riprende? Dobbiamo fare qualcosa!” esclamò il ragazzo, dai capelli ricci e ribelli. Vicino a lui un uomo dalla corporatura non troppo esile, protetto da un’armatura scintillante e con in mano una spada dorata, si guardava intorno con sguardo colmo di dolore. “Quanti ne sono rimasti vivi di voi?” chiese all’improvviso, puntando i suoi occhi scuri su quelli del ragazzo. “Pochi, troppo pochi” si intromise una ragazza con un pugnale insanguinato in mano. “Libi, Andres…” mormorò il ragazzo, facendo sbiancare la guerriera, che si stese affianco al ferito. “E’ vivo, è solo svenuto…Ma mentre accorrevo con i rinforzi ho visto che la maggior parte dei soldati stava già ripiegando. Cosa è successo?” chiese il soldato, piantando la punta della spada a terra. “Non lo so, è successo dopo che Andres ha ferito il principe Leon e…” cominciò a parlare l’interpellato, venendo però interrotto. “Ferito?! Il principe Leon ferito?! E…è morto?” domandò nervosamente, non riuscendo a credere alle sue orecchie per la bellissima notizia. Violetta rabbrividì a quelle parole. Leon ferito? Addirittura morto? Quello strano sogno si era tramutato in un incubo, eppure le sembrava tutto così realistico, come se non fosse frutto della sua immaginazione. “Io non lo so…non lo so, davvero. Lo hanno trascinato via. Non so se sia vivo o morto” rispose il ragazzo, rialzandosi, e pulendosi i pantaloni sporchi di polvere con qualche manata. “Andres l’ha infilzato con la sua spada. O almeno quel che ne era rimasto” spiegò Maxi. Violetta cominciò inspiegabilmente a piangere per quelle parole. Era davvero tutto finito? Davvero non avrebbe più rivisto Leon? Avrebbe dovuto sentirsi sollevata, e invece era il contrario, il dolore al petto era troppo forte, troppo massacrante. Cominciò ad ansimare, mentre il respiro si faceva pesante, e il dolore aumentava sempre di più, sempre di più.
“Ferito?! Il principe Leon ferito?! E’…morto?”
“Andres l’ha infilzato con la sua spada. O almeno quel che ne era rimasto”
Ovvero quando Violetta sogna il fatto avvenuto al povero e affascinante principe Leon Vargas


Continua così un
Bacio💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:23

Wow!!! La parte che adoro è questa:
Si alzò per avvicinarsi al pentolone e prenderne ancora, quando Libi lo prese in disparte, afferrandolo per il braccio. “Ehi, calma, calma” ridacchiò Andres, lasciandosi trascinare con un sorrisetto, lontano da occhi indiscreti. “Non capisci!” sibilò arrabbiata, mollando la presa e fermandosi dietro una tenda debolmente illuminata dal falò. “Non capisco cosa?” chiese il giovane, divertito. “Smettila di ridere! Come fai a fidarti di Maxi? Non sappiamo chi è, da dove viene…non sappiamo niente di lui. Potrebbe essere una spia. E quella spada nera…” tentò di spiegare la ragazza, gesticolando eccessivamente. “Ne abbiamo già parlato. Ti ho detto che non c’è da preoccuparsi, Maxi è a posto” ribatté tranquillo l’altro, guardandola dritta negli occhi. “Andres, non ti riconosco, pensavo che fossi un vero leader…” mormorò Libi, non riuscendo a reggere quegli occhi scuri che la scrutavano impazienti. “Ti piace Maxi, non è così?” domandò improvvisamente, senza riuscire a trattenersi. “Ma cosa ti inventi?! Non mi dire che sei gelosa del nuovo arrivato!” disse, senza riuscire a trattenere una risata. Libi, gli diede una spintonata amichevole: “Ridi pure, scemo”. Sembrava molto più rilassata ora che era sicura che tra Andres e Maxi non ci fosse nulla. Non sapeva nemmeno come avesse potuto equivocare così tanto la situazione. “Libi, non mi potrei innamorare di nessuno, il mio cuore appartiene già a qualcun altro” disse, accarezzandole la guancia, estremamente vicino. “D-davvero?” balbettò la ragazza, che ringrazio l’oscurità perché nascondeva il rossore del suo viso. Andres annuì con il capo, facendo sfiorare il naso con il suo, creandole una piacevole sensazione di solletico. Si allontanò di scatto, lasciandola profondamente delusa. “Non avrai davvero pensato che si trattasse di te? Sei più uomo di Maxi!” esclamò, facendole la linguaccia. Libi scoppiò a ridere, una risata amara che nascondeva la sofferenza per quelle parole. Lei sentiva qualcosa di profondo per Andres, ma sembrava che i suoi sentimenti fossero destinati a rimanere sepolti dentro di lei: “Vedi che sei proprio scemo?! Torna dalla tua donna, allora, il cui nome è avvolto da mistero”. “Alla fine di questa guerra, potrei anche dichiararmi” le sussurrò all’orecchio, soddisfatto per averla fatta innervosire. “Attenderò con ansia quel giorno” sbuffò, per niente allegra della cosa. Pensava solo a chi potesse essere la fortunata che aveva avuto la possibilità di ottenere lo spazio nel cuore del giovane, spazio che aveva sempre agognato. Ma per il leader dei ribelli, lei era solo un maschiaccio, un guerriero, un’amica fidata, niente di più. “Quant’è carina quando fa la gelosa” disse tra sé e sé Andres allontanandosi. Era Libi la ragazza per cui provava un forte sentimento, ma si era fatto una promessa: fino a quando quell’incubo non fosse finito non le avrebbe detto nulla. Non era quello il tempo per pensare all’amore. Aveva delle responsabilità, aveva la vita di numerosi ragazzi nelle mani, e non intendeva sacrificarne nemmeno una. “Ti amo, Libi” sussurrò prima di entrare nella sua tenda, mentre sentiva il suono della tromba per il cambio della veglia.
Dopo che Libi e Andres si furono allontanati Maxi consumò silenziosamente il suo pasto, senza farsi coinvolgere in nessuna discussione. In quel momento desiderava chiudersi dentro la sua tenda e dormire per dimenticare. Dimenticare tutto e tutti. Voleva solo ricordare i momenti spensierati passati con la madre e il nonno. Quando si trascinò nella tenda, e si mise sotto le coperte sorrise al ricordo dei momenti in cui era solito dormire nel letto della madre, abbracciandola. Un tepore immaginario lo cullò anche quella notte, perché in fondo lui non sarebbe mai riuscito a separarsi dal passato. Era troppo duro, e c’era qualcosa che non gli permetteva di andare avanti: la vendetta.
Uno squillo di tromba notturno e il rumore di passi e grida svegliò il ragazzo di soprassalto. Era ancora notte fonda, eppure c’era un trambusto incredibile. Sentiva alcuni dare ordini a destra e a manca, urlando a squarciagola. Si alzò a mezzo busto e si stropicciò gli occhi, mentre le fiamme delle torce emanavano barlumi rossastri sul tessuto della sua tenda. “Che cosa…” mormorò, ancora mezzo assonnato, quando qualcuno aprì con forza la tenda: era Serdna. “Sono arrivati” esclamò il ragazzo, con in mano una spada. Stava tremando e il suo volto esprimeva solo terrore. “Arrivati chi?” chiese il ragazzo, non avendo messo a fuoco la situazione. “Siamo stati localizzati. Siamo sotto attacco. Le truppe di Cuori ci stanno attaccando” esclamò. Maxi scattò in piedi, e si fiondò sulla sua spada di neranio, gelosamente custodita. “Andres dov’è?” chiese a Serdna, che in tutta risposta scosse le spalle. “Nel disordine generale, non ho idea di che fine abbia fatto. Non so se riusciremo a resistere all’attacco. Sono troppi, dannazione!”. “Devo andare da lui per aiutarlo” esclamò Maxi, sguainando la sua arma e correndo fuori dalla tenda.
La confusione e il panico regnavano sovrani. Ragazzi ancora non del tutto equipaggiati correvano da una parte all’altra, cercando armi o chiedendo spiegazioni come lui. Un attacco del genere in piena notte non era stato minimamente previsto, anche perché finora non erano mai stati localizzati da nessuno. La loro era sempre stata un’azione di rallentamento e indebolimento delle truppe nemiche che attraversano la foresta, con degli attacchi lampo. Colpivano e poi scomparivano, aiutati dalla natura selvaggia. Ma non si erano mai dovuti trovare a fronteggiare una situazione del genere, e non erano pronti, psicologicamente e strategicamente parlando. Maxi cominciò a correre, senza fermarsi in nessun caso fino a quando non raggiunse le palizzate in legno. In cima ad una torretta Andres stava controllando la situazione. Gli arcieri scoccavano frecce in continuazione nel tentativo di assottigliare il numero di nemici, ma dall’espressione del giovane leader non doveva essere abbastanza efficace. Maxi salì alcune scale in legno e raggiunse la sommità, affiancandosi ad Andres. “Com’è la situazione?” chiese, cercando di mantenere il sangue freddo. “Sono tanti, troppi…” rispose con occhio attento Andres, dopo aver fatto una breve stima. “Continuate con le frecce! Organizziamo un gruppo di resistenza, prima che distruggano completamente le nostre difese!” ordinò il giovane, estraendo la spada e portandola in alto per farsi notare dai suoi compagni. Rimase con l’arma a mezz’aria mentre i suoi occhi si colorarono di odio. In mezzo alle file nemiche sul suo destriero, e una torcia in mano, Leon spronava i suoi uomini, con urla fredde e impartendo ordini ovunque: “Non ci devono essere sopravvissuti, né prigionieri. Solo morti”.
Andres serrò i denti, non riuscendo a muovere nemmeno un muscolo. Eccolo lì, il suo rivale, che irrompeva ancora una volta nella sua vita, cercando di distruggere ciò che aveva con tanta fatica creato. “Non te lo permetterò. Non di nuovo, ti ucciderò” sussurrò, sotto lo sguardo impaziente di Maxi, che attendeva ordini. “Organizziamo una truppa di resistenza per tenerli a bada” urlò, scendendo velocemente dalla torretta e dirigendosi di fronte all’entrata principale. Un gruppo di ragazzi, male armati e con sguardo determinato gli venne incontro preparandosi. Le porte in legno tremavano sotto il rumore dei colpi di spada e delle botte che continuavano a dare i soldati nemici nel tentativo di farle cedere. “Tutti pronti?” chiese il giovane, indossando un elmetto, per darsi un minimo di protezione. “Andres!” esclamò Maxi, mettendosi al suo fianco. “Non sei costretto a combattere” esclamò lui, con un sorriso di gratitudine. “ E poi chi ti tira fuori dai guai?” ribatté l’altro, dandogli una pacca sulla spalla. Andres scoppiò in una risata secca: “Ma per favore! Il novellino crede davvero di saperci fare!”. Maxi abbassò lo sguardo, cercando di non pensare a quel che stava per fare. Il suo primo combattimento. Il rumore sordo del cancello in legno che dava i primi segni di resa si fuse con il battito del suo cuore, con l’adrenalina che gli scorreva nel sangue liberamente, con il tremolio delle mani. Strinse più forte l’elsa per farsi coraggio: voleva davvero aiutare Andres, l’unico che l’aveva fatto sentire amato e stimato. Voleva dimostrargli il suo valore, voleva combattere. Lui era un rivoluzionario, inconsapevolmente, ma lo era diventato, e quella era appena diventata la sua famiglia. “Lasciami Leon, però, quello lo voglio fare fuori con le mie mani, se non crepo prima” scherzò Andres, mentre dalla sua espressione chiaramente si intuiva la paura che lo stava cogliendo. Erano tra le prime file del gruppo di resistenza, il che voleva dire una sola cosa: sarebbero certamente morti.
Un fracasso allucinante annunciò la rottura della barriera, e l’irrompere dei primi nemici. Maxi mosse la sua spada nera scintillante, e colpì il primi soldato, trapassandogli l’armatura e uccidendolo all’istante. Andres gli rivolse un’occhiata eloquente, quindi fu troppo occupato con due soldati piuttosto abili per poterlo valutare nuovamente in battaglia. Leon irruppe con il suo destriero, e al suo passaggio mieteva vittime come se niente fosse, gettando l’intero accampamento nel panico più totale. “Serrate i ranghi! Non rompete le file per nessun motivo!” ordinò Andres, mentre il suo sguardo era puntato sul cavaliere; anche la spada di Leon era nera, come quella di Maxi. Neranio, la sua spada è di neranio!, pensò Andres, mentre evitava un fendente letale. Cercò di avvicinarsi sempre di più al suo unico obiettivo: improvvisamente le urla dei suoi compagni erano solo un suono ovattato, e a lui non importava affatto di quello che stava succedendo. Sentiva solo le parole che gli aveva rivolto Leon durante il loro primo incontro. Il principe scese da cavallo, e si gettò nella mischia, colpendo senza pietà. Ogni volta che muoveva la sua spada, si sentiva il tonfo di un corpo cadere a terra. Finalmente l’aveva raggiunto, finalmente l’avrebbe ucciso, e avrebbe posto fine alla sua vendetta. “Andres! Andres!” lo chiamò ripetutamente Maxi, messo alle strette da alcuni nemici. Per essere alle prime armi Maxi se la cavò abbastanza bene, tranne quando venne assalito da un energumeno, il doppio di lui. Solo il suo collo era scoperto, mentre tutto il resto del corpo era protetto da un’armatura metallica piuttosto resistente. Maxi riuscì a scalfirla come se fosse di plastica, ma il soldato mosse l’ascia in alto pronto a colpirlo, approfittando della sua difesa scoperta. Prima che potesse anche solo chiudere gli occhi pronto a morire, l’uomo si accasciò a terra, con una freccia conficcata nella giugulare. Libi lo guardò da lontano con l’arco ancora teso, poi si voltò e continuo a combattere tirando fuori un pugnale.
Andres si mosse sempre lentamente, come ipnotizzato, fino ad arrivare di fronte al principe, che aveva steso un altro dei suoi compagni. Leon si voltò di scatto, pronto a fare fuori l’ennesimo avversario, quando ghignò divertito. “Ci rivediamo” esclamò con freddezza, preparandosi per il combattimento. Solo un fendente e la spada del leader dei ribelli fu ridotta in frammenti. Quella spada magica era troppo forte, e lui non poteva nulla. Notò che anche l’armatura era nera. Quel guerriero era imbattibile, non poteva essere nemmeno scalfito. E ancora una volta Andres si sentì impotente, completamente impotente. “Ti avevo promesso che ti avrei ucciso” lo risvegliò Leon, con voce impassibile. Alzò la spada pronto a colpire, ma all’improvviso la riabbassò con una smorfia di dolore. Andres nella confusione generale cercò di capire cosa fosse successo, e vide Maxi dietro Leon con il fiatone per la corsa che aveva fatto. L’armatura di Leon era stata incrinata ferendolo superficialmente. “Tu, bastardo!” strillò il principe, voltandosi di scatto, per fronteggiare il nuovo nemico. Quello che successe fu completamente improvviso e inaspettato. Andres raccolse l’elsa della spada frantumata, e di slancio infilzò Leon di spalle, all’altezza della scapola destra, dove vi era l’apertura nell’armatura creata da Maxi. Un urlo disumano riempì l'aria circostante, e un rivolo di sangue uscì dalla bocca di Leon, che cadde a terra, privo di sensi. I soldati delle truppe di cuori, non appena videro il loro leader in quelle condizioni, presi dal panico, organizzarono una ritirata. Due soldati recuperarono il corpo di Leon trascinandolo via, protetti da una sorta di scudo umano. Uno squillo di trombe risuonò, diffondendo ancora più terrore tra le truppe nemiche. Tra il fuggi fuggi generale, e il sospiro di sollievo dei rivoltosi, emerse una figura imperiale, che avanzava sul suo destriero bianco dalle macchie grigie.
Non vedo l'ora di continuare a leggere il resto!!!
Un bacio💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:21

La parte che preferisco è :
Serdna era seduto a gambe incrociate con numerose carte ripiegate, un foglio appoggiato su alcuni quadernini, e un pennino in mano. Attorno a lui era pieno di colori, e dalla sua faccia concentrata era sicuro che il ragazzo stesse tentando di rappresentare quel paesaggio con un dipinto. “Avvicinati” esclamò alzando appena il capo: anche se di spalle, aveva perfettamente avvertito la sua presenza. Maxi fece come gli era stato ordinato e si sedette vicino a Serdna. “Immagino tu voglia sapere qualcosa in più su di noi” disse con un sorriso amaro. “Immagini bene” mormorò in tutta risposta il giovane, sorpreso dell’incredibile e insospettata capacità intuitiva del suo interlocutore. “Se Tuideldum sapesse cosa sto per dirti” sghignazzò improvvisamente, appoggiando il suo disegno accuratamente sull’erba e fissando Maxi con sguardo indagatore. “Tuideldum?” chiese curioso. “Scusa, volevo dire Andres. Sai, noi siamo gemelli, e usiamo spesso dei nomignoli tra di noi”. “E tu come ti chiami?” domandò nuovamente. “Io sono Tuideldì. Io la mente, lui il braccio. Anche se Andres è un genio nelle strategie militari, di questo bisogna dargliene atto” spiegò sistemandosi gli occhialetti. “Ma non sei qui per questo…Tu vuoi solo sapere cosa lega tutti noi, perché combattiamo. Giusto?”. Maxi annuì nuovamente, leggermente dubbioso. Non sapeva se voleva sapere davvero la verità, non sapeva se voleva aggiungere altro dolore al suo, ma la curiosità prevalse su tutto, anche sul senso di riservatezza che avrebbe potuto riguardare i due fratelli. “Io e Andres siamo due cittadini del Regno di Picche. Ormai sono anni che non vediamo più la nostra famiglia, da quando siamo partiti per la guerra come volontari. All’epoca eravamo dei giovani infervorati da nobili ideali”. “Una manciata di polvere. Gli ideali non esistono, l’ho imparato sul campo di battaglia. In quel posto capisci come l’uomo può davvero diventare una bestia. E il tuo unico scopo non è la libertà, o sciocchezze del genere. Il tuo unico scopo è uccidere per non essere ucciso a tua volta. E senti il conato di vomito quando affondi la lama nel corpo del tuo nemico che ti fissa con gli occhi spenti, un’immagine che non ti abbandonerà mai, nemmeno per un istante, per tutta la vita. Pensi che forse quella persona che hai ucciso è scesa sul campo di battaglia per i tuoi stessi ideali. Non riuscivo nemmeno a piangere in mezzo a quel polverone dall’odore di sangue”. Serdna fissava la cascata con sguardo timoroso, Maxi poté addirittura giurare di averlo visto rabbrividire.
‘Serdna arretrò sul campo di battaglia, mentre il fumo gli permetteva solo di scorgere sagome indistinte. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, e scattò subito, sollevando la spada. “Fermati, Dì, sono io, Del” strillò Andres, fissandolo con uno sguardo inespressivo. Era rimasto scioccato quanto lui dalla durezza della guerra. “Moriremo” ribatté il giovane, lamentandosi come un bambino. Il sibilare delle frecce, in mezzo al campo di battaglia, il cozzare degli scudi e delle spade, quella sinfonia mortale gli martellava il cervello, senza permettergli di recuperare il sangue freddo. I corpi dei feriti, che emettevano lamenti, e dei morti, costituivano degli ostacoli alla libertà di movimento. Andres gli afferrò le spalle e lo scosse facendo tremolare la cotta che indossava: “Non dire scemenze. Noi vivremo”. Gli fece un cenno col capo e lo intimò ad avanzare in quella nuvola.’
“Non vedevo nulla. Sentivo solo urla intorno a me. L’indefinito fa più paura di una morte certa. Andres non sarebbe mai fuggito da un campo di battaglia come un codardo, ma pur di portarmi in salvo e risparmiarmi la vita, corse il rischio più grande di tutti. Tentammo la fuga”.
Come al solito il capitolo è stupendo!! Niente critiche come al solito io sto diventando sempre più pignola ma non mi dai un motivo per esserlo adesso!!!

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:18

Wow credo che questo sarà un capitolo che non dimenticherò mai la parte che adoro è:
i baci. “Ti stai divertendo?” chiese ironico, dando un piccolo morso. Violetta chiuse gli occhi e strinse i denti, cercando di sopportare tutto quello, e involontariamente inarcò di poco la schiena. “Non puoi immaginare” rispose fredda, contando i secondi che trascorrevano con una lentezza snervante. Finalmente sentì la presa di Leon allentarsi e il suo corpo fermarsi. Voltò lentamente la testa e si ritrovò a qualche centimetro dal viso del principe, profondamente addormentato. Mentre dormiva sembrava quasi un angelo, e per qualche secondo si perse ad ammirarlo. Ma per quanto potesse essere affascinante, non poteva rimuovere quelle terribile immagini. Non poteva, né voleva, rimuovere il pensiero di quello che le sarebbe potuto accadere. “Te lo sei meritato, Leon. E ringrazia che non ci fosse il veleno là dentro” mormorò, consapevole che il principe non potesse sentirla. Sentendosi schiacciata dal corpo del giovane, portò le mani all’altezza del suo petto e fece leva per spostarlo di lì. Dopo quella che le parve un’eternità, riuscì nella sua impresa, e si alzò dal letto, con il vestito tutto spiegazzato. Si rialzò in fretta la spallina e si avviò verso la porta per uscire, lanciando prima un’ultima occhiata al principe, ancora nel mondo dei sogni. “Una notte indimenticabile, Leon, proprio come volevi tu” sibilò con un piccolo sorrisetto compiaciuto, prima di lasciare definitivamente la stanza.
Davvero è stupenda!!!!!!
Un bacio💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:12

Mi piace tanto il capitolo io amo la coppia Leonetta😍😍
La parte che adoro è la trovata geniale di Lena e la parte con Vilu e Lyon (come dice Ludmilla😂).
Mi piace la parte di suspense che hai creato, la motivazione che fai attendere il lettore per qualcosa che sarà fuori dagli schemi se posso dire!!!!!!
Va bene critiche come al solito nessuna!!! I complimenti credo di averli già detti ma li ripeto con piacere Devi continuare a scrivere se è quello che ti rende felice !!!!

Devo andare all'altro capitolo
Un bacio💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 13:02

Io amo questa coppia è dolcissima anche se preferisco come te la coppia Germangie.
Però anche questa funziona alla grande😊
So che non c'entra con la storia
Forza Italia🇮🇹
Ora torniamo a noi la parte che adoro è... Tutta quanta😂😂😂😂😂😂
Mi piace troppo!!! Anzi tantissimo!!!
Non aggiungo altro se no facciamo notte entrambi!!!
Ciao ti mando un bacio💋

Recensore Junior

Wow!!! La parte che adoro è al parte della biblioteca!!! Mi piace tanto la storia che racconta Humpty Dumpty a Vilu!!! Io amo troppo questo capitolo!!! L'avevo già letto e devo dire che l'ho pure sognato sai?!!
Mi piace assai te lo giuro!!!! 😄😜😉😉
Ora mi tocca recensire tutta la storia perché mi piace troppo +_+ !!!!!
Continua così!!!!

Baci 💋💋

Recensore Junior
19/06/14, ore 12:47

Scrivi benissimo!!!!!! Anche se non c'è il mio personaggio preferito(Leon) mi piace tanto!!!
👍👍
Neanche qui una critica(ma lo fai apposta?!😂😂)
Sto scherzando comunque davvero non posso farti neanche una critica!!! È stupendo non ha segni di cricche questo capitolo come quelli precedenti!!!!
Per tornare alla storia la parte che preferisco di più è quando la Regina Natalia " piange" per la Cugina Francesca.
Ma posso chiedere una cosa??
Se lei vuole bene alla sua amata cugina perché rinchiuderla anche se sono rivali per vincere?!
Non è troppo facile così ???
Comunque è perfetta!!!

Recensore Junior
19/06/14, ore 12:38

Senti puoi scrivere meno bene *_*
Sto scherzando, io solitamente sono una pignola colossale forse perché provengo dal nord chi lo sa??!!
Comunque il capitolo come sempre è sensazionale!!!! Io devo farti una critica NON HO TROVATO NULLA DA CRITICARE!!!! Bravo io come voto ti darei un bel 10++++ 😄😊😊.
Io voti del genere non li do mai!!!! Per ottenerli questi voti bisogno sputare sangue.
Ma tu ci riesci senza sudare!!!! 😂😂
Ciao continuo a recensire!!!
Baci💋💋